Marchi rinomati, scissioni aziendali e liti tra familiari

La corte di appello di Venezia nel 2017 aveva giudicato la lite tra esponenti della nota famiglia di ristoratori Cipriani intorno a marchi denominativi contenenti il detto cognome (APP. Venezia 2798/2017 del 30.11.2017, rel. Bazzo).

Non si ripercorrono qui le complesse vicende fattuali.  Solo si riporta il passaggio ove si dice che la fama della persona e quindi l’uso del proprio nome non può andare ad incidere su marchi anteriori: la tutela civile del nome  è altro dalla tutela del suo valore commerciale. Si tratta di tema spesso ricorrente per cui vale la pena di leggere le analitiche considerazione della Corte:

<<Ciò premesso, va rilevato che una volta avvenuta la scissione (vuoi a seguito dell’accordo del 1967, vuoi per effetto di vicende successive) tra la figura di Giuseppe Cipriani senior ed i segni “Cipriani”, ed “Hotel Cipriani” – il primo concesso su domanda risalente già al 1969 per le classi 43 (alberghi, ristoranti caffetteria), 35 (gestione d’alberghi) e 16 (stampati) – la notorietà del suddetto e del figlio Arrigo quali personaggi di rilievo (ed imprenditori di successo grazie alla fama dell’Harry’s Bar) non potrà minimamente giustificare l’uso del patronimico in contrasto con la tutela da assicurare ai citati marchi (italiani e comunitari), divenuti celebri, e che in quanto tali non possono tollerare interferenze ed agganciamenti di sorta, apparendo anzi irrilevante quanto ipotizzato dal tribunale circa la preesistente notorietà delle iniziative economiche nel settore della ristorazione della famiglia Cipriani (asseritamente anteriore ai marchi registrati, in capo ad Hotel Cipriani); basti rimarcare che – come già detto – detta notorietà va semmai ricollegata all’esercizio del locale suindicato (Harry’s Bar), e si rivela a ben vedere ininfluente dopo che Giuseppe Cipriani senior (con l’adesione del figlio) ebbe a disporre del suo nome al momento dell’uscita dalla compagine dell’Hotel Cipriani lasciando che la Società conservasse in esclusiva il nome Cipriani (giusta l’accordo del 1967: si veda al riguardo la recente pronuncia resa in data 29 giugno 2017 dal Tribunale dell’Unione a definizione del ricorso di Arrigo Cipriani sulla richiesta di annullamento del marchio comunitario, depositata all’udienza di conclusioni, laddove la statuizione di accertamento resa dal Tribunale di Venezia in altra controversia tra Arrigo Cipriani e l’odierna appellante – con sentenza n. 1838/2011 – non appare sufficiente a consentire diverse conclusioni).
Si osserva dunque che la diversa interpretazione prospettata dal Tribunale (coerente con la possibilità per gli odierni appellati di svolgere attività di ristorazione sotto un segno distintivo incentrato sul loro nome anagrafico poiché di per sé non decettivo, sempre che proposto in dimensioni grafiche “contenute”), presuppone che sia del tutto conforme alla correttezza professionale l’uso del suddetto nome al fine di veicolare un valore di qualità e tradizione (asseritamente “sinonimo di qualità, eleganza e stile in tutto il mondo”, come puntualizzato nella memoria di costituzione degli appellati, ricollegabile in modo esplicito al segno de quo), ma ciò avverrebbe in concorrenza ed aggancio con i marchi celebri “Cipriani” ed “Hotel Cipriani”, con ogni conseguente rischio di confusione e di associazione tra le attività contraddistinte dai segni in conflitto, in presenza di attività imprenditoriali svolte nello stesso settore o comunque in settori affini.>>

Poi così prosegue la Corte: <<Né risulta decisiva in contrario la sottolineata esigenza di comunicare al pubblico le competenze e professionalità acquisite, consentendo agli appellati di “firmare” in qualche modo le loro attività, dando loro una precisa impronta; i predetti a ben vedere non possono essere annoverati tra gli artisti o i “creatori” di moda, o “stilisti” che si affermino in attività artistiche o professionali che richiedano una puntuale informazione al pubblico della provenienza dell’attività creativa realizzata, appartenendo al mondo della ristorazione (per quanto di fascia alta) e provvedendo in detta veste ad aprire e gestire ristoranti nelle più disparate località, sulla base di personali scelte imprenditoriali, alle quali risultano non pertinenti i profili di “creatività” nel senso sopra indicato.
In definitiva, per quanto ogni valutazione concreta non sia stata resa agevole dalla scarsezza del materiale offerto in causa, gli argomenti addotti nell’impugnata sentenza per consentire l’utilizzo delle espressioni “by Arrigo Cipriani”, “by Giuseppe Cipriani”, “by famiglia Cipriani” e consimili (“managed by” o “directed by”), al fine di indicare la gestione di attività di ristorazione da parte delle persone delle persone individuate nelle stesse (o individuabili con esse), non si rivelano idonei a configurare l’asserita valenza descrittiva, ipotizzata sulla base di astratte (ed opinabili) considerazioni, a fronte di una indubbia valenza distintiva delle medesime, le quali – per loro natura – sono destinate (quali sinonimi di elevata ospitalità, convivialità e buon vivere) non certo a comunicare mere informazioni essenziali relative alla “specie, alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, all’epoca,,,” del servizio, bensì ad attirare l’attenzione dei potenziali clienti sul nome anagrafico sotto il quale il servizio è proposto e dunque sulla origine e sulla qualità dello stesso, in quanto tale in grado di connotarlo con il richiamo ad un patronimico divenuto famoso, poiché oggetto dei marchi celebri in legittima titolarità dell’appellante (nel settore alberghiero e della ristorazione).
In tal senso deve escludersi che l’utilizzo del patronimico Cipriani corrisponda ai principi di correttezza professionale ovvero alle consuetudini di lealtà in campo commerciale e industriale, tenuto conto dell’inevitabile rischio di aggancio e di confusione con i segni distintivi propri delle affini attività alberghiere e di ristorazione esercitate dalla società appellante mediante iniziative imprenditoriali sostenute da marchi celebri e tra l’altro rivolte alla medesima fascia alta di clientela.>>.

Separazione tra coniugi, costituzione di simil rendita vitalizia e successiva decisione sull’assegno divorzile

Cass. n. 11.012 del 26.04.2021 si occupa dell’incidenza dell’accordo post separazine sul giudizio circa l’assegno divorzile.

Il giudice di legittimità ribadisce che <<la giurisprudenza di questa Corte è costante nel sanzionare con la nullità gli accordi conclusi in sede di separazione in vista del futuro divorzio. In particolare, nella sentenza n. 2224 del 30/01/2017 (vedi anche Cass. 5302 del 10/03/2006) è stato enunciato il principio di diritto secondo cui gli accordi con i quali i coniugi fissano, in sede di separazione, il regime giuridico-patrimoniale in vista di un futuro ed eventuale divorzio sono invalidi per illiceità della causa, perché stipulati in violazione del principio fondamentale di radicale indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale di cui all’art. 160 c.c. Ne consegue che di tali accordi non può tenersi conto non solo quando limitino o addirittura escludano il diritto del coniuge economicamente più debole al conseguimento di quanto necessario a soddisfare le esigenze della vita, ma anche quando soddisfino pienamente tali esigenze, in quanto una preventiva pattuizione potrebbe determinare il consenso alla dichiarazione della cessazione degli effetti civili del matrimonio.>>p. 4-5

La corte rigetta l’utilzizabilit àòdel precedente Cass. 8109/2000 in cui l’accordo medio tempore inrevenuto (ante divorzio) era una transazione.

Il principio di diritto allora è : <<“In tema di soluzione della crisi coniugale, ove in sede di separazione, i coniugi, nel definire i rapporti patrimoniali già tra di loro pendenti e le conseguenti eventuali ragioni di debito – credito portata da ciascuno, abbiano pattuito anche la corresponsione di un assegno dell’uno e a favore dell’altro da versarsi “vita natural durante”, il giudice del divorzio, chiamato a decidere sull’an dell’assegno divorzile, dovrà preliminarmente provvedere alla qualificazione della natura dell’accordo inter partes, precisando se la rendita costituita (e la sua causa aleatoria sottostante) “in occasione” della crisi familiare sia estranea alla disciplina inderogabile dei rapporti tra coniugi in materia familiare, perché giustificata per altra causa, e se abbia fondamento il diritto all’assegno divorzile (che comporta necessariamente una relativa certezza causale soltanto in ragione della crisi familiare)”.>>

Tutela d’autore e di marchio sulla medesima creazione

Si vedano le seguent immagini:

Il titolare della prima creazione ha agito sia in base a diritto di autore che di diritto di marchio contro il titolare della seconda (anzi la terza, essendo la secodna solo la rappresetnazione geografica dello stato del Michigan)

la Corte distrettuale del Michigan però ha rigettato ogni domanda (6 maggio 2021, Case No. 1:20cv604, High Five Threads c. Michigan Farm Boureau).

Il preteso disegno contraffattore << contain a basic line drawing of two hands. High Five does not possesscopyright protection overasimple outlineof a human hand. There is nothing original in such a drawing; it is the most basic representation of something from nature, familiar to every child who has ever traced herown hand. Does the juxtaposition of two such drawings at a right angle, as in the Hand Map, result in copyrightprotectible expression? If it does, the protectionfor that expression is “thin”at best,comprising no more than...original contribution to ideas already in the public domain.Satava v. Lowry, 323 F.3d 805, 812 (9th Cir. 2003).Two closefingered hands arranged perpendicular to one another as arepresentation of Michigan is simply a generic expression of the “popular idea of using ones’ hands to indicate the shape of Michigan.” (See Pl.’s Resp.24, ECF No. 17.)High Five did not invent this idea (see id.at 25) and copyright does not protectit. At most, copyright protects original contributions to, or expressions of, that idea.

To be sure, High Five’s Hand Map is not devoid of protected expression. For instance, the folded pinkyand overlapping index finger are arguably protected elements. But those elementsarenot presentin MFB’s design; thus,MFB did not copy them>>, p. 7

Segue poi analisi della domanda di violazione di marchio.

Il giudizio di confonbilitòà va dato in base ai seguenti fattori (che sarebbe interssante paragonare a quelli italiani o europei): <<(1) strength of the senior mark; (2) relatedness of the goods or services; (3)similarity of the marks; (4) evidence of actual confusion; (5) marketing channels used; (6) likely degree of purchaser care; (7) the intent of defendant in selecting the mark; and (8) likelihood of expansion of the product lines.>> p. 9

Come detto, viene rigettata anche tale domanda: <<In summary, the complaint contains very few facts from which to reasonablyinfer a likelihood of customer confusion. Indeed, the facts allegedindicate that such confusion is very unlikely.Only the distinctiveness of High Five’s marksweighs in its favor. But that distinctiveness cannot overcome the dissimilaritiesbetween its marksand the designsused by MFB, as well as the dissimilaritiesbetweenthe parties’ goods and services. Thus, High Five falls far short of stating a plausible claim under the Lanham Act>> p. 13.

Altro tema interessante è quello del rapporto tra le due tutele sulla medesima creazione: necessità di  ponderato coordinamento dogmatico o non ci sono attriti?

Copyright e opera fumettistica (sull’opera in collaborazione)

Il Tribunale di Milano interviene in un caso di tutela di autore di opera fumettistica (Trib. MI 09.12.2020 sent. 8090/2020, Cardinale v. Sergio Bonelli Editore ed altri)

Non vi sono particolari approfondimenti in diritto, mentre è ricca l’analisi in fatto.

A p. 22-23 si leggono note considerazioni su novità e creatività.

Si v. poi: <<nel caso della rappresentazione grafica, che in ipotesi di opere a fumetti rappresenta il tramite mediante il quale la narrazione si estrinseca, la tutela autorale potrà essere invocata se questa, necessariamente, risulta essere correlata al livello dell’apporto creativo dell’opera, con la conseguenza che ove la creatività grafica non sia particolarmente accentuata varianti anche minime possono escludere la contraffazione (così Trib. Milano 31 maggio 2010)>> , p. 23.

A p. 24 alcune considrzione sul sempre spinoso tema dell’opera in collaborazione: <<La fattispecie costitutiva della comunione originaria dei diritti prevede, sotto il profilo soggettivo, che più soggetti prendano parte alla creazione dell’opera ciascuno apportando un proprio contributo. Anche chi si limiti ad individuare le idee che stanno alla base di un’opera senza peraltro esteriorizzarle in una forma espressiva particolare soggiace al regime di cui all’art. 10 l.d.a.In particolare “quando l’opera nasce dalla collaborazione tra un soggettista/sceneggiatore che lo caratterizza idealmente ed un disegnatore che lo definisce e rappresenta graficamente, il personaggio dei fumetti è assoggettato al regime previsto dall’art 10 l.d.a”(Trib. Milano 21.10.2003). Sotto il profilo oggettivo, occorre che i requisiti dell’inscindibilità ed indistinguibilità dei contributi debbano essere intesi nel senso che gli apporti dei vari soggetti debbano limitarsi a costituire parte di un insieme organico, anche ove questi siano materialmente distinguibili (App. Milano 13.3.1973; App. Milano 16.6.1981; Trib. Milano 14.5.1990). La fattispecie costitutiva della comunione si perfeziona con la creazione congiunta di più soggetti accompagnata da un accordo (anche tacito) sulla destinazione dei singoli apporti ad essere impiegati nell’opera finale>>, p. 24.

E poi sulla posizione specifica di un convenuto: <<Nel caso in esame non si ravvisano i presupposti, innanzi richiamati, della tutela autorale, anche nello specifico regime riservato all’opera collettiva di cui all’art. 10 l.d.a., dal momento che l’attore lamenta la riproduzione di frammenti isolati provenienti da opere diverse a lui riferibili, non proteggibili però perché costituenti elementi marginali non suscettibili di integrare un nucleo narrativo organico, che, come rilevato, costituisce presupposto minimo necessario ai fini dell’individuazione di un atto creativo meritevoledi protezione>, p. 25.

Di una speciica opera di costui: <<va esclusa la condotta contraffattoria dedotta dal momento che gli elementi contesati integrano un toposletterario tipico del genere (l’utilizzo dell’espediente narrativo del rinvio al mondo onirico), non dotato del carattere della novità, specie in ambito fumettistico, nel quale espedienti di questa natura sono largamente utilizzati. In ogni caso non sono riscontrabili, dall’analisi delle tavole prodotte, elementi che possano far ritenere confondibili le due opere per l’utilizzo di un sovrapponibile nucleo narrativo.  Un secondo elemento di asserita contraffazione sollevato dal Cardinale riguarda la riproposizione, all’interno dell’opera Orfani Nuovo Mondo n. 10” della raffigurazione dei sensi di colpa impersonati da figure oniriche tutte uguali tra loro che intimorirebbero il protagonista assumendo atteggiamenti minacciosi.Anche in riferimento a detta asserita violazione il fumetto contraffatto sarebbe “Mickey”, producendo il Cardinale copia delle pagine oggetto di plagio da porre a confronto con il numero 10 di “Orfani Nuovo Mondo”101Dal confronto tra le due opere emergono però chiare differenze: mentre nel fumetto “Mickey” i sensi di colpa assumono le sembianze di volti di uomini di mezza età e paiono essere dei cloni del padre della protagonista Rose, in “Orfani Nuovo Mondo n. 10” questi sono raffigurati come delle ombre (scheletri di uomini selvaggi che impugnano una lancia) inducendo la protagonista a ritenere che siano un ricordo remoto o delle illusioni. Ferma la chiara differenza a livello narrativo, ascrivibili al diverso espediente psicologico impiegato nelle due opere, occorre ribadire che gli elementi che il Cardinale rinviene come identici sono in ogni caso meri frammenti isolati, che come tali non possono ricevere alcuna tutela perché inidonei a definire un sia pure minimo intreccio narrativo che possa dirsi prodotto di contraffazione>>, p .26

Di altra opera: <<L’opera edita, integralmente prodotta dal Cardinale, consente al Collegio di prendere contezza dell’evoluzione logiconarrativa del fumetto, rimanendo tuttavia le censure formulate da parte attrice limitate a soli frammenti minimi, che, presi di per sé, non sono proteggibili.In particolare, il Cardinale lamenta come la copertina del n. 355 di “Dylan Dog” riproponga un’immagine di “Kepher n. 1”, ovvero quella di un personaggio in primo piano con il capo contornato di luce e sovrastatoda un simbolo esoterico, con ombreggiatura e prospettiva dal basso.Occorre preliminarmente sottolineare che l’inquadratura non è altro che una modalità di rappresentazione dell’immagine e come tale non è astrattamente proteggibile, potendo ricevere tutela solo ove sia concreta estrinsecazione di una forma specifica ed originale>> p. 29-30.

Notifica di cartella esattoriale con firma illeggibile, atto pubblico e impugnabilità con querela di falso

Una cartella esattoriale dell’Agenzia delle Entrate, notificata ex art. 26 dpr 602/1973, che sia stata notificata tramite le Poste ma con firma ileggibile nello spazio del destinatario, può essere impugnata con querela di falso?

Cioè l’attestazione, che il plico è stato ricevuto dal destinatario o dal suo addetto, costituisce atto publbico?

La risposta è positiva secondo Appello Milano 03.07.2020 n. 1662/2020, RG 4060/2018, pres. ed est. Ranieri C.R..

Sentenza che si appoggia largamente a Cass. sez. un. 9962/2010 (riguardante notifca ex L. 890/1992)

Protezione d’autore ex art. 2 n. 10 degli stivali da neve Moon Boot

Il Trib. Milano con sent. 493/2021 del 25.01.2021, RG 30937/2018, conferma la protezione d’autore come opera di design ex art. 2 n. 10 dello stivale da neve Moon Boot della Tecnica Group spa, già affermata nel 2016.

Il punto significativo è naturalmente spt. il concetto di <valore artistico>

A tale proposito, osserva il collegio riprendendo passaggi dalla sua sentenza del 2016 , <non potendo il giudice arrogarsi il compito di stabilire l’esistenza o meno in una determinata opera di un valore artistico – occore rilevare nella maniera più oggettiva possibile la percezione che di una determinata opera del design possa essersi consolidata nella collettività ed in particolare negli ambienti culturali in senso lato, estranei cioè ai soggetti più immediatamente coinvolti nella produzione e commercializzazione per un verso e nell’acquisto di un bene economico dall’altro. In tale prospettiva ha ritenuto questo Tribunale di dare rilievo – al fine di riconoscere una positiva significatività della qualità artistica di un’opera del design – al diffuso riconoscimento che più istituzioni culturali abbiano espresso in favore dell’appartenenza di essa ad un ambito di espressività che trae fondamento e che costituisce espressione di tendenze ed influenze di movimenti artistici o comunque della capacità dell’autore di interpretare lo spirito dell’epoca, anche al di là delle sue intenzioni e della sua stessa consapevolezza, posto che l’opera a contenuto artistico assume valore di per sé e per effetto delle capacità rappresentative e comunicative che essa possiede e che ad essa vengono riconosciute da un ambito di soggetti più ampio del solo consumatore di quello specifico oggetto.
In tale contesto il giudice dunque non attribuisce all’opera del design un “valore artistico” ex post in quanto acquisito a distanza di tempo, bensì ne valuta la sussistenza con un procedimento che in qualche modo richiede un apprezzamento che contestualizzi l’opera nel momento storico e culturale in cui è stata creata, di cui assurge in qualche modo a valore iconico, che può richiedere (come per tutti i fenomeni artistici) una qualche sedimentazione critica e culturale.>, p. 17.

Vi aggiunge alcuni successivi riconoscimenti artistici, p. 18-19.

Irrilevante è la preesistenza di altri modelli: <Né particolare rilievo sembrano assumere – al fine di sostenere una pretesa mancanza di novità dei Moon Boots – le pretese anteriorità costituite dalle calzature utilizzate dagli astronauti nella missione Apollo, cui il modello dell’attrice traeva diretto ed esplicito spunto ma dando luogo ad una del tutto autonoma e diversa autonomia di forme avente indubbio carattere creativo, o di altri modelli di calzature da neve per le quali tuttavia non è stata fornito alcun elemento in base al quale poter confermare la loro preesistenza rispetto all’immissione in commercio dei Moon Boots originali.> p. 19.

Sulla elaborazione creativa, diversa dalla contrraffazione: <l’elaborazione creativa si differenzia dalla contraffazione, in quanto mentre quest’ultima consiste nella sostanziale riproduzione dell’opera originale, con differenze di mero dettaglio che sono frutto non di un apporto creativo ma del mascheramento della contraffazione, la prima si caratterizza per un’elaborazione dell’opera originale con un riconoscibile apporto creativo. Ciò che rileva, pertanto, non è la possibilità di confusione tra due opere, alla stregua del giudizio d’impressione utilizzato in tema di segni distintivi dell’impresa, ma la riproduzione illecita di un’opera da parte dell’altra, ancorché camuffata in modo tale da non rendere immediatamente riconoscibile l’opera originaria (così Cass. 9854/12)…Al di là dell’inconferenza alla tematica del plagio/contraffazione di un’opera del design tutelata dal diritto d’autore della presenza di un marchio sul prodotto, la pretesa autonomia creativa si ridurrebbe di fatto all’estrosità conferita ai modelli dall’uso del glitter.     Ritiene il Collegio che tale profilo sia del tutto inessenziale a conferire l’autonomia ed originalità creativa necessaria per conferire al modello “glitterato” dignità di opera autonoma, tenuto presente l’assoluta identità delle forme della calzatura – come si rileva facilmente dal confronto tra le immagini innanzi riportate – con il Moon Boots originale>, p. 21/2.

Afferma anche la violazione di un obbligo contrattuale di non contestzione, il cui danno è però risarcito dalla pronuncia sulle spese, p. 24.

Non c’è spazio per autonomo danno da concorrenza sleale, che non ha autonomia rispetto alla violazione di autore, p. 24.

Sul profilo soggettivo: <Quanto all’illecito consistito nella lesione dei diritti di utilizzazione economica del design dei Moon Boots esistenti in capo a TECNICA GROUP s.p.a., deve confermarsi l’orientamento costante della giurisprudenza in ordine al fatto che nei confronti di tale titolare ogni soggetto che abbia partecipato alla filiera produttiva e distributiva del prodotto contraffatto debba risponderne in via solidale con gli altri appartenenti a tale filiera, avendo essi posto in essere un contributo causale comunque rilevante ai fni della consumazione dell’illecito (v. in tal senso Tribunale Milano 25.1.2006).>, p. 25.

Segue elenco dettagliato delle condotte addebitabili a ciascuno dei convenuti che giustifica la corresponsabilità

Sulla nullità brevettuale per carenza di attività inventiva

Il Trib. Milano con sent. 1015 del 08.02.2021, Rg 14639/2017, rel. Barbieri, relativa a farmaci (principio attivo Glatiramer Acetato), dichiara la nullità della frazione italiana di un brevetto delle convenute per carenza di inventività.

Cos’ si esprime: <Sul punto, il Collegio condivide le considerazioni svolte dal CTU, che ha concluso per la nullità di EP’962 sulla base delle medesime argomentazioni che hanno condotto il medesimo ausiliario a ritenere non valido EP’335, definitivamente revocato, lo si ricorda, per carenza di attività inventiva, poiché la caratteristica aggiuntiva della rivendicazione 1 (di EP’962), relativa al PH della composizione farmaceutica in cui è contenuto il Glatiramer acetato, nella sostanza non modifica in maniera significativa l’analisi e le conclusioni raggiunte per il brevetto EP’335>.

La valutazione centrale sul punto <muove dalla individuazione della closest prior art maggiormente pertinente all’analisi di non ovvietà del trovato. In particolare, l’individuazione della stessa in WO ‘975 Pinchasi, elide l’attività inventiva, dal momento che nello stesso è chiaramente e specificamente rivendicato – in alternativa alla somministrazione quotidiana – il regime di dosaggio di 40 mg. di Glatiramer Acetato applicato a giorni alterni, che risulta dal testo letterale della riv. 3 di tale domanda e risulta indicato nel testo della descrizione (v. pag. 8 della descrizione: “In another embodiment, the periodic administration is every other day”; v. anche pag. 9, righe 20 e 21).
E’ vero che tale indicazione non trovava ancora all’epoca un supporto diretto di natura sperimentale, ma tale circostanza non è parsa alla CTU di effettivo rilievo nello specifico contesto in cui essa era formulata in quanto la ricchezza di informazioni tecniche espresse in tale documento sui regimi di dosaggio di 40 mg non avrebbero distolto il tecnico del ramo dal considerare tale indicazione come meritevole di considerazione ed approfondimento nella prosecuzione delle ricerche in merito alla individuazione di un regime di trattamento con il Glatiramer Acetato volto ad aumentarne la tollerabilità complessiva per i pazienti>.

Ancora: <Condivisa l’individuazione della closest prior art in WO ‘975 Pinchasi, occorre ritenere – a parere del Collegio – che l’esperto del ramo avrebbe potuto confidare sulla base del quadro dello stato della tecnica innanzi descritto in una ragionevole aspettativa di successo nell’individuazione di una soluzione alternativa di somministrazione rispetto a quella corrente all’epoca aumentando la dose di Glatiramer Acetato da 20 mg a 40 mg e riducendone la frequenza di somministrazione. Evidentemente tale aspettativa non poteva ritenersi estesa fino al punto di prevedere con esattezza l’effetto complessivo di tale soluzione ma nel senso di poter ragionevolmente ritenere che una sperimentazione ulteriore – che non presentava in sé particolari profili di difficoltà – avrebbe potuto conseguire effetti positivi ancorchè quale soluzione alternativa di somministrazione del medesimo principio attivo.
Deve dunque ritenersi, condividendo le conclusioni del CTU, che l’esperto del ramo avrebbe potuto confidare sulla base del quadro dello stato della tecnica innanzi descritto in una ragionevole aspettativa di successo nell’individuazione di una soluzione alternativa di somministrazione rispetto a quella corrente all’epoca aumentando la dose di Glatiramer Acetato da 20 mg a 40 mg e riducendone la frequenza di somministrazione. Evidentemente tale aspettativa non poteva ritenersi estesa fino al punto di prevedere con esattezza l’effetto complessivo di tale soluzione ma nel senso di poter ragionevolmente ritenere che una sperimentazione ulteriore – che non presentava in sé particolari profili di difficoltà – avrebbe potuto conseguire effetti positivi ancorchè quale soluzione alternativa di somministrazione del medesimo principio attivo. Tale variante nel regime di somministrazione integra dunque una ovvia modifica del regime a giorni alterni>.

Sperimentazione medico-farmacologica dannosa, responsabilità contrattuale e contatto sociale

Interessante fattispecie decisa da Cass. 20.04.2021 n. 10.348, rel. Sestini.

Una signora, affetta da carcinoma mammario, era stata invitata a partecipare ad un programma di sperimentazione medica a base di Herceptin, prodotto da Roche (R.), effettuata dall’azienda ospedaliera.

Avendovi aderito, erano però successivamente insorte complicanze.

Il Tribunale accolse la domanda anche se in misura ridotta; la corte di appello confermò la reponsaiblità di R. e a titolo di contatto sociale.

R. ricorre in Cass. dicendo che non c’era stato alcun contatto tra essa e la paziente, che era invece intercorso solo tra questa e i medici dell’azienda ospedaliera.

La SC accoglie il motivo di ricorso. Se non c’è stato contatto alcuno in via diretta, osserva, o la sua responsabilità è aquiliana oppure, per essere contrattuale, bisogna che i medici dell’azienda ospedaliera (o questa stessa) siano qualificabili come ausiliari ex art. 1228 cc.

La SC cassa quindi con rinvio per l’effettuazione di questo accertamento.

<Va premesso che la categoria della responsabilità da “contatto sociale” in ambito di responsabilità sanitaria venne elaborata (a partire da Cass. n. 589/1999) per inquadrare secondo il paradigma contrattuale la responsabilità dei medici dipendenti di strutture sanitarie che, pur in assenza di un rapporto propriamente contrattuale coi pazienti, entravano tuttavia in rapporto immediato con gli stessi, effettuando prestazioni in tutto sovrapponibili a quelle scaturenti da un contratto di prestazione di opera professionale; una siffatta categoria giuridica (ormai superata, nello specifico ambito sanitario, a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 24 del 2017, art. 7, che ha ricondotto in ambito extracontrattuale la responsabilità del sanitario esercente la propria attività alle dipendenze di una struttura, “salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente”) presuppone dunque l’accertamento di un rapporto diretto fra due soggetti (il “contatto”, per l’appunto) che valga a far sorgere obblighi di condotta assimilabili a quelli derivanti dal contratto e che comporti una successiva valutazione in termini contrattuali dell’eventuale responsabilità conseguente alla prestazione svolta>.

Perciò va esclusa – nel caso specifico – <la possibilità di fondare la responsabilità contrattuale della casa farmaceutica su un “contatto sociale” che certamente non vi è stato, giacchè è pacifico che la I. ha avuto rapporti diretti soltanto con i sanitari dell’Azienda Ospedaliera. L’affermazione di una responsabilità (non “da contatto”, ma propriamente) contrattuale può pertanto conseguire soltanto all’accertamento dell’assunzione, da parte della Roche, di un’obbligazione nei confronti della I. a seguito del suo reclutamento nel programma sperimentale; e ciò sia direttamente che indirettamente e, in questo secondo caso, a condizione che tale reclutamento risulti riferibile (oltrechè alla struttura ospedaliera) anche alla casa farmaceutica, in modo che l’inadempimento individuato a carico dei sanitari (quale quello evidenziato dalla Corte territoriale) risulti imputabile anche alla società farmaceutica a norma dell’art. 1228 c.c. >.

Nè il rapporto ex art. 1228 cc può essere presunto per il solo fatto <che la Roche sia stata promotrice della sperimentazione, dovendosi accertare in concreto, in base alla concreta conformazione della convenzione di sperimentazione fra la casa farmaceutica produttrice del farmaco e la struttura ospedaliera nel cui ambito si è svolta la sperimentazione (mediante la somministrazione del farmaco ai pazienti), se vi sia stata partecipazione – anche mediata – della casa farmaceutica al reclutamento e alla gestione dei pazienti sottoposti alla cura sperimentale, tale da consentire di qualificare la struttura ospedaliera e i medici “sperimentatori” come ausiliari della prima, in modo da poter predicare la responsabilità della società farmaceutica ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c.; ove non emerga una siffatta riconducibilità dell’attività degli sperimentatori alla casa farmaceutica (per la quale non è sufficiente la sola esistenza di un interesse ai risultati della sperimentazione), la responsabilità della casa farmaceutica non può essere affermata in termini contrattuali, ma, eventualmente a titolo extracontrattuale, in relazione alle fattispecie di cui all’art. 2050 c.c. o all’art. 2043 c.c., semprechè ne risultino provati tutti gli elementi>.

Deve dunque affermarsi <in termini generali, che la casa farmaceutica che abbia promosso, mediante la fornitura di un farmaco, una sperimentazione clinica – eseguita da una struttura sanitaria a mezzo dei propri medici – può essere chiamata a rispondere a titolo contrattuale dei danni sofferti dai soggetti cui sia stato somministrato il farmaco, a causa di un errore dei medici “sperimentatori”, soltanto ove risulti, sulla base della concreta conformazione dell’accordo di sperimentazione, che la struttura ospedaliera e i suoi dipendenti abbiano agito quali ausiliari della casa farmaceutica, sì che la stessa debba rispondere del loro inadempimento (o inesatto adempimento) ai sensi dell’art. 1228 c.c.; in difetto, a carico della casa farmaceutica risulta predicabile soltanto una responsabilità extracontrattuale (ai sensi dell’artt. 2050 c.c. o, eventualmente, dell’art. 2043 c.c.), da accertarsi secondo le regole proprie della stessa>.