Sperimentazione medico-farmacologica dannosa, responsabilità contrattuale e contatto sociale

Interessante fattispecie decisa da Cass. 20.04.2021 n. 10.348, rel. Sestini.

Una signora, affetta da carcinoma mammario, era stata invitata a partecipare ad un programma di sperimentazione medica a base di Herceptin, prodotto da Roche (R.), effettuata dall’azienda ospedaliera.

Avendovi aderito, erano però successivamente insorte complicanze.

Il Tribunale accolse la domanda anche se in misura ridotta; la corte di appello confermò la reponsaiblità di R. e a titolo di contatto sociale.

R. ricorre in Cass. dicendo che non c’era stato alcun contatto tra essa e la paziente, che era invece intercorso solo tra questa e i medici dell’azienda ospedaliera.

La SC accoglie il motivo di ricorso. Se non c’è stato contatto alcuno in via diretta, osserva, o la sua responsabilità è aquiliana oppure, per essere contrattuale, bisogna che i medici dell’azienda ospedaliera (o questa stessa) siano qualificabili come ausiliari ex art. 1228 cc.

La SC cassa quindi con rinvio per l’effettuazione di questo accertamento.

<Va premesso che la categoria della responsabilità da “contatto sociale” in ambito di responsabilità sanitaria venne elaborata (a partire da Cass. n. 589/1999) per inquadrare secondo il paradigma contrattuale la responsabilità dei medici dipendenti di strutture sanitarie che, pur in assenza di un rapporto propriamente contrattuale coi pazienti, entravano tuttavia in rapporto immediato con gli stessi, effettuando prestazioni in tutto sovrapponibili a quelle scaturenti da un contratto di prestazione di opera professionale; una siffatta categoria giuridica (ormai superata, nello specifico ambito sanitario, a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 24 del 2017, art. 7, che ha ricondotto in ambito extracontrattuale la responsabilità del sanitario esercente la propria attività alle dipendenze di una struttura, “salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente”) presuppone dunque l’accertamento di un rapporto diretto fra due soggetti (il “contatto”, per l’appunto) che valga a far sorgere obblighi di condotta assimilabili a quelli derivanti dal contratto e che comporti una successiva valutazione in termini contrattuali dell’eventuale responsabilità conseguente alla prestazione svolta>.

Perciò va esclusa – nel caso specifico – <la possibilità di fondare la responsabilità contrattuale della casa farmaceutica su un “contatto sociale” che certamente non vi è stato, giacchè è pacifico che la I. ha avuto rapporti diretti soltanto con i sanitari dell’Azienda Ospedaliera. L’affermazione di una responsabilità (non “da contatto”, ma propriamente) contrattuale può pertanto conseguire soltanto all’accertamento dell’assunzione, da parte della Roche, di un’obbligazione nei confronti della I. a seguito del suo reclutamento nel programma sperimentale; e ciò sia direttamente che indirettamente e, in questo secondo caso, a condizione che tale reclutamento risulti riferibile (oltrechè alla struttura ospedaliera) anche alla casa farmaceutica, in modo che l’inadempimento individuato a carico dei sanitari (quale quello evidenziato dalla Corte territoriale) risulti imputabile anche alla società farmaceutica a norma dell’art. 1228 c.c. >.

Nè il rapporto ex art. 1228 cc può essere presunto per il solo fatto <che la Roche sia stata promotrice della sperimentazione, dovendosi accertare in concreto, in base alla concreta conformazione della convenzione di sperimentazione fra la casa farmaceutica produttrice del farmaco e la struttura ospedaliera nel cui ambito si è svolta la sperimentazione (mediante la somministrazione del farmaco ai pazienti), se vi sia stata partecipazione – anche mediata – della casa farmaceutica al reclutamento e alla gestione dei pazienti sottoposti alla cura sperimentale, tale da consentire di qualificare la struttura ospedaliera e i medici “sperimentatori” come ausiliari della prima, in modo da poter predicare la responsabilità della società farmaceutica ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c.; ove non emerga una siffatta riconducibilità dell’attività degli sperimentatori alla casa farmaceutica (per la quale non è sufficiente la sola esistenza di un interesse ai risultati della sperimentazione), la responsabilità della casa farmaceutica non può essere affermata in termini contrattuali, ma, eventualmente a titolo extracontrattuale, in relazione alle fattispecie di cui all’art. 2050 c.c. o all’art. 2043 c.c., semprechè ne risultino provati tutti gli elementi>.

Deve dunque affermarsi <in termini generali, che la casa farmaceutica che abbia promosso, mediante la fornitura di un farmaco, una sperimentazione clinica – eseguita da una struttura sanitaria a mezzo dei propri medici – può essere chiamata a rispondere a titolo contrattuale dei danni sofferti dai soggetti cui sia stato somministrato il farmaco, a causa di un errore dei medici “sperimentatori”, soltanto ove risulti, sulla base della concreta conformazione dell’accordo di sperimentazione, che la struttura ospedaliera e i suoi dipendenti abbiano agito quali ausiliari della casa farmaceutica, sì che la stessa debba rispondere del loro inadempimento (o inesatto adempimento) ai sensi dell’art. 1228 c.c.; in difetto, a carico della casa farmaceutica risulta predicabile soltanto una responsabilità extracontrattuale (ai sensi dell’artt. 2050 c.c. o, eventualmente, dell’art. 2043 c.c.), da accertarsi secondo le regole proprie della stessa>.

Responsabilità da attività pericolosa (art. 2050 cc) in caso di danno da merce pericolosa stoccata presso il compratore

La Corte di Cassazione (n. 28626 del 07.11.2019, sez. 3) chiarisce il punto del se operi la responsabilità da attività pericolosa ex art. 2050 cc quando la pericolosità sia insita nella merce prodotta e distribuita. Nel caso specifico il danno (incendio) era verosimilmente derivato da deflagrazione iniziata nei locali di un prodotture di vernici (MAB) dove era stata stoccata nitrocellulosa, prodotta da DOW WOLFF e distribuita da TILLMANNS.

La domanda risarcitoria di MAB e delle Assicurazioni (in riconvenzionale, essendo la lite stata promossa in accertamento negativo da DOW) era stata proposta contro il produttore e il distributore.

La particolarità del caso è consistita nel basare la domanda sulla  norma citata, quando però le merci pericolose erano nella proprietà e disponibilità del compratore (quindi all’interno del suo ciclo prodottivo) e non più del produttore o distributore.

La S.C. precisa che -ratione temporis- non si applica il d. lgs. 19.05.2016 n. 81 Attuazione della direttiva 2014/28/UE concernente l’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato e al controllo degli esplosivi per uso civile.

I giudici di merito respinsero le domande del danneggiato e delle Assicuirazioni.  Anche il giudice di legittimità esclude la responsabilità ex art. 2050 cc di produttore e distributore della merce pericolosa, asseritamente fonte dell’incendio, ma stoccata presso il compratore.

Ecco i passaggi rilevanti :

<<20…deve qualificarsi come intrinsecamente pericoloso sì ogni momento o fase del suo processo di produzione e di lavorazione fino al prodotto finito …. ma non può farsi a meno di rilevare come un tale processo si scinda naturalmente in più momenti o fasi, aventi ognuna una sua intrinseca autonomia gestionale ed implicanti un diverso grado di disponibilità del prodotto pericoloso da parte dei differenti soggetti che lo manipolano. 21. A tale diversificazione di fasi e di disponibilità del prodotto pericoloso, almeno finchè il ciclo della sua trasformazione non è esaurito, non può che corrispondere una conseguente diversificazione della responsabilitàdei diversi soggetti che quelle fasi gestiscono in autonomia gli uni dagli altri, ciascuno assumendo una quota ben determinata e ben prevedibile del relativo rischio di impresa connesso alla produzione di beni mediante impiego di materiali pericolosi. 22. In particolare, tali diverse fasi debbono essere considerate, di norma (e con l’eccezione che subito si vedrà) ed ai fini della responsabilità da attività pericolosa tra i diversi soggetti coinvolti professionalmente nel medesimo processo produttivo, l’una indipendente dall’altra ed ognuna caratterizzata da oneri di precauzione incombenti a ciascun soggetto titolare del potere di impresa di volta in volta esercitato, parametrati allo stato di avanzamento della lavorazione ed almeno tendenzialmente idonei a scongiurare i rischi propri di quella fase: diversamente, si tratterebbe di estendere incongruamente la nozione di attività pericolosa e la relativa severa responsabilità sostanzialmente oggettiva anche alla circolazione del bene pericoloso e senza alcuna limitazione, con insostenibile equiparazione alla responsabilità da prodotto difettoso o da vizi della cosa venduta, che hanno però presupposti molto meno gravosi per il produttore e per il distributore rispetto alla presunzione di cui all’art. 2050 c.c.. … 24. Ora, il rischio di impresa di chi produce e distribuisce nitrocellulosa destinata ad ulteriore lavorazione non può comprendere … le fasi di ulteriore lavorazione: le quali non sono di per sè esercizio dell’attività pericolosa originaria e di queste successive avendo la responsabilità – ove non si configurino o non si provino diversi titoli, come già detto e come escluso nella specie – invece l’imprenditore od altro soggetto professionale che le gestisca in autonomia e con correlativi oneri di adozione di misure di precauzione adeguate al ciclo di lavorazione che impieghi il prodotto intrinsecamente pericoloso, come è indubbio in punto di fatto che sia accaduto nella fattispecie. 25. Pertanto, in difetto di ulteriori titoli di responsabilità e della prova sul difetto intrinseco o sul vizio del prodotto [NB : in causa era stata esclusa la responsabilità del produttore ex art. 114-120 cod. cons.], l’esclusione della responsabilità da attività pericolosa impedisce al danneggiato di giovarsi del relativo particolare regime anche in tema di prova dei presupposti e quindi del carattere indubbio del coinvolgimento della nitrocellulosa nell’incendio: se è vero che, in virtù dei principi in tema di responsabilità oggettiva, non avrebbe dovuto rilevare che il prodotto pericoloso fosse stato la causa mediata o immediata dell’incendio e che l’incertezza della causa ultima di questo difficilmente avrebbe potuto esimere l’esercente dell’attività pericolosa dalla sua peculiare responsabilità in difetto della prova, su di lui incombente, di avere adottato ogni misura idonea ad evitare il danno, è pur vero che, ricostruita adeguatamente la fattispecie per cui è causa, non trova appunto applicazione l’intero sistema della responsabilità da attività pericolosa>>.