Tik tok responsabile per video che spingono a prove estreme? Sul safe harbour ex § 230 CDA

La corte dell’eastern district della Pennsylvania, Civ. No. 22-1849, del 25.10.2022, Anderson c. TikTOk, decide una dolorosa lite.

la domanda era svolta contro TT dalla madre di ragazza rimasta uccisa (a 10 anni!) nel cimentarsi con una delle pericolosissime prove di  “coraggio” che tristemente circolano sui social tra gli adolescenti. Nel caso era il “Blackout Challenge” (sopportazione di strangolamento crescente).

TT eccepisce il safe harbour ex 230 CDA.

La madre si sforza di provar il fatto proprio della piattaforma e nnn meramente dellutente uploader : <<Anderson bases her allegations entirely on Defendants’ presentation of “dangerous and deadly videos” created by third parties and uploaded by TikTok users. She thus alleges that TikTok and its algorithm “recommend inappropriate, dangerous, and deadly videos to users”; are designed “to addict users and manipulate them into participating in dangerous and deadly challenges”; are “not equipped, programmed with, or developed with the necessary safeguards required to prevent circulation of dangerous and deadly videos”; and “[f]ail[] to warn users of the risks associated with dangerous and deadly videos and challenges.” (Compl. ¶¶ 107, 127 (emphasis added).) Anderson thus premises her claims on the “defective” manner in which Defendants published a third party’s dangerous content.>>

Ma la corte immancabilmente rigetta, ritenendo operante la libertà editoriale.  Sono esmanati i precedenti tra cui quello dello Speed filter sull’applicazione Snapchat

La cosa è però sorprendente, alla luce della ratio di quest’ltima (garantire la libertà di pensiero ).

Intanto la piattaforma ha pesantemente diffuso il video, dice la madre. Però qui potrebbe replicarsi che ciò corrisponde all’ analogico decidere se la notizia vada in prima o quinta pagina.

POi il contributo al libero pensiero, nello spingere i ragazzi verso prove ad elevatissima rischiosità per la salute o la vita,   è scarso se non inesistente: parrebbe invece  istigazione colposa (colpa cosciente se non solo eventuale) alle autolesioni o al suicidio .

Un’intepretazione costituzionalmente corretta dovrebbe dunue indurre a decisione opposta,

E’ da vedere se tale interpretazione possa essere data  anche in base alla lettera della Costituzione usa o se ne serva una evolutiva. Nel secondo caso, con una Corte Suprema come quella attuale -radicalmente originalista per 6 a 3-  e col vincolo del precedente, sarebbe quasi impossobile.

Le etichette poste da Facebobok sopra i post degli utenti, a seguito di fact checking, non sono diffamatorie ma esercizio del diritto di parola

Facebook pone due etichette a due post (video) di un giornalista leggermente negazionsta circa il surriscaldamento globale:

  1. Missing Context” e sotto “Independent fact-checkers say the information could mislead people.” e sotto ancora a button with the words “See Why” (premendo il quale si aprono ulteriori finestre spiegatorie)
  2. “Partly False Information” s ttto “Checked by independent fact-checkers.”, sotto ancora appare il button with the words “See Why.” (premendo il quale si aprono ulteriori finestre spiegatorie)

Il giornalista cita Fb per diffamazione.

La corte del distretto nord della California con sentenza 11 ottobre 2022 Case 5:21-cv-07385-VKD , Stossel v. Meta, però rigetta perchè, stante la disciplina anti SLAPP (mirante ad evitare inibizioni o intimidazioni della libera espressione del pensiero su temi di pubblico interesse) , l’attività di Fb è coperta dal Primo Emendamento.

E’ veo che questo si applica a espressioni di giudizi e non di fatti, p. 12 righe 10-11: però l’attività di etichettatura da fact checking consiste proprio in giudizi.

Direi che la sentenza è esatta: ci mancherebbe che la piattaforma non potesse suggerire avvertenze di possibile falsità dei post dei suoi utenti.

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

Tutela dell’onore v. diritto di cronaca: sul concetto di verità nell’intervista giornalistica

Cass. n. 23.166 del 25.07.22, rell Pazzi, sez. 1, interviene nella lite tra Il Fatto Quotidiano  e Finivest circa gli allegati danni dal primo cagionati alla seconda in occasione di articoli sul presunto ricorso a finamziamenti illeciti per sopperire alla gravissima crisi finanziaria (circostanze emergenti dal merito ma poco chiaramente dalla SC).

<< 8.3 Il secondo profilo di censura sollevato dalla società ricorrente contesta la tesi della Corte palermitana secondo cui la critica, mirando a valutare soggettivamente una data informazione, non comporta l’obbligo di esporre anche argomenti di segno contrario e sostiene che un simile assunto ha finito per legittimare l’esercizio di un diritto di critica fondato su dati incompleti e superati.

Sotto questo profilo il mezzo in esame merita di essere condiviso.

Se è pur vero che il diritto di critica non si concreta, come quello di cronaca, nella narrazione veritiera di fatti, ma si esprime in un giudizio che, come tale, non può che essere soggettivo e separato rispetto ai fatti stessi, resta comunque fermo che il fatto presupposto ed oggetto della critica deve corrispondere a verità, sia pure non assoluta, ma ragionevolmente putativa per le fonti da cui proviene o per altre circostanze oggettive, così come accade per il diritto di cronaca (Cass. 7847/2011).

In altri termini, il diritto di critica non si concreta nella mera narrazione di fatti, ma si esprime in un giudizio avente carattere necessariamente soggettivo rispetto ai fatti stessi; tuttavia, per riconoscere efficacia esimente all’esercizio di tale diritto, occorre che il fatto presupposto ed oggetto della critica corrisponda a verità, sia pure non assoluta, ma – come già si è detto – ragionevolmente putativa per le fonti da cui proviene o per altre circostanze soggettive (Cass. 25420/2017).>>

Bisogna poi che i fatti siano non solo veri ma anche non ridotti alla bisogna del giornalista  e cioè che siuano esposti per intero:

<< 8.4 E’ evidente, poi, che togliendo porzioni della complessiva realtà fattuale che si intende criticare si può alterare la veridicità della descrizione fattane, nel caso in cui le parti tralasciate abbiano caratteristiche tali da compromettere il significato di quanto espressamente riferito.

La ricostruzione parziale dei fatti, ove sia avvenuta omettendo di riferire circostanze capaci di attribuire a quanto narrato un senso del tutto diverso, influisce quindi sul carattere di veridicità del fatto presupposto ed oggetto della critica.

Il che significa che la narrazione del fatto presupposto dalla critica, per corrispondere a verità, deve avvenire non solo riferendo circostanze in sé veridiche, ma anche avendo cura di non tralasciare ogni rilevante circostanza di contorno che sia, per sua natura, capace di alterare in maniera rilevante il significato della narrazione compiuta.

Non è perciò corretto il procedere a una ricostruzione volontariamente distorta della realtà fattuale, omettendo ad arte porzioni di significativo rilievo con lo scopo di attirare l’attenzione negativa dei lettori sulla persona criticata (v. Cass. 6902/2012).

8.5 La giurisprudenza penale di questa Corte in materia di diffamazione a mezzo stampa ha ritenuto che il diritto di cronaca non ricorra quando si offre il resoconto di fatti distanti nel tempo, in relazione ai quali è legittimo pretendere un’attenta verifica di tutte le fonti disponibili, con la conseguenza che, laddove si dia conto di vicende giudiziarie, incombe l’obbligo di accertare e rappresentare compiutamente lo sviluppo degli esiti processuali delle stesse (Cass. 13941/2015).

Il principio può essere mutuato rispetto alla narrazione del fatto presupposto ed oggetto del diritto di critica – che, come detto, si ispira ai medesimi principi regolatori del diritto di cronaca – con riguardo alla necessaria corrispondenza a verità della notizia di natura giudiziaria su cui l’opinione si fonda e all’obbligo di non tralasciare circostanze che possano influire in maniera rilevante sul significato di quanto narrato.

La necessaria corrispondenza a verità della notizia su cui l’opinione si fonda, laddove si dia conto di vicende giudiziarie risalenti nel tempo, comporta quindi l’obbligo di accertare e rappresentare compiutamente lo sviluppo degli esiti processuali delle stesse, ove tale sviluppo abbia un significativo rilievo nella rappresentazione della realtà fattuale, cosicché un riferimento selettivo ed incompleto delle sorti del procedimento giudiziario costituente il fatto presupposto della critica mina il fondamento del diritto esercitato e con esso la sua portata esimente.>>

Ancora sul diritto di parola vs. Facebook: non c’è State action , per cui è censurabile

Altra, ennesima, decisione che conferma la privatezza di Facebook , per cui la sua censura sui post degli utenti (qui relativi al Covid) è legittima, stante la base contrattuale.

Il Primo Emendamento quindi non è invocabile.

Si tratta di corte del nord California 9 agosto 2022, Case No. 22-cv-02482-CRB., Rogalinsky c. Meta.

La corte esamina il proprio recente precedente Hart. .v Facebooh , in cui pure aveva rigettata domanda basata sul 1 Emendamento, e poi la teoria del nexus test e joint action (tesi strampalatissima). Ma alla fine rigetta.

(notizia e link alal sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

Diritto alla reputazione vs. diritto di critica giornalistica: ecco la decisione fiorentina nel caso Renzi v. Travaglio

Sentenza interessante da Trib. Firenze 18.08.2022 n. 2348/2022, RG 9217/2020, G.U. Donnarumma Massimo, nella causa civile per illecito aquiliano diffamatorio di Marco Travaglio ai danni di Matteo Renzi.

Viene riportato l’intero passo censurato:

<<GRUBER: “Tu, oggi, definisci Renzi un mitomane?”»
T
RAVAGLIO: “Si, è una forma di mitomania molesta che, probabilmente, risale a fattori prepolitici che
andrebbero studiati da specialisti clinici. Probabilmente vuole farci pagare colpe ataviche, non so se
lo prendevano in giro da bambino, non so se vuole farci pagare il fatto che gli italiani non lo hanno
capito e lo hanno bocciato più volte, che il mondo non comprende il suo genio. Sta di fatto che lo
spettacolo penoso di ieri sera denota, secondo me, una svolta che non può essere nemmeno definita più
uno show, è una cosa penosa. Secondo me per l’igiene della politica bisognerebbe cominciare a fare
una specie di silenzio stampa, cioè una moratoria nel continuare a mettere il microfono davanti a una
persona che chiaramente non è compos sui, non è in sé. Ha appiccato il fuoco al governo Letta lo ha
fatto cadere, poi ha silurato se stesso. Sta cercando di silurare Conte e ieri ha proposto una soluzione
per rafforzare il premier, eleggendolo direttamente. Cosa che non accade in nessun paese del mondo
tranne che in Israele, credo. Voleva abolire la prescrizione e adesso vuole sfiduciare il ministro
Buonafede che l’ha, in parte, abolita. Diffida l’attuale maggioranza dal cercare altre maggioranze e
poi lui, ieri, ha proposto un’altra maggioranza con il centrodestra, che non se lo è filato di pezza, per
fare il sindaco di Italia. Non si capisce neanche di che stia parlando, dovrebbe cambiare venti o trenta
articoli della Costituzione per farlo, in una situazione in cui già non si riescono a far passare le leggi
ordinarie, figurarsi se passerebbero leggi costituzionali. Bisognerebbe cominciare a trattarlo come un
caso umano e dirgli, va bene, quando fai cadere il governo avvertici, per il momento ci siamo stufati.
Perché, poi queste cose, come diceva il professor Monti, si pagano. Nel senso che lo spread si era
abbassato quando c’era una parvenza di stabilità. C’è un governo che sta cercando di fare delle cose
importanti e che tutti i giorni si ritrova di fronte ai ricatti di uno che dice sempre il contrario degli altri
a prescindere, contraddicendo tutta la sua storia quotidianamente, quindi un minimo di moratoria,
secondo me, sarebbe igienica
>>

Il punto critico , naturalmente, è laddove T. dà a R. del <mitomane> , <caso umano> e <fattori prepolitici che andrebbero studiati da specialisti clinici>. Qui infatti per il Tribunale si eccede la critica politica.   Resta però da accertare la idoneità lesiva; la quale viene negata, così motivando:

< E2) Andando, ora, al cuore del problema poc’anzi prospettato, fa d’uopo rilevare che le espressioni in esame, pur connotandosi a tratti per un sarcasmo pungente, teso a dileggiare la figura del senatore Renzi, non risultano concretamente idonee a ledere la reputazione e l’onore di quest’ultimo.
Trattasi di affermazioni e locuzioni che, a ben vedere:
– non hanno alcuna pretesa di veridicità;
– pur investendo (come si è visto) la dimensione personale del Renzi, sono disancorate da riferimenti specifici a fatti od episodi afferenti.
Di conseguenza, nessun telespettatore può, ragionevolmente, prendere sul serio le espressioni che rimandano genericamente alla “mitomania” o la proposizione dubitativa per cui “
lo prendevano in giro da bambino”.
Ed è chiaro che lo stesso convenuto non ha detto ciò con l’intento di convincere qualcuno circa il fondamento delle espressioni pronunciate, ma al solo fine di ironizzare sulle condotte e sulla figura di Renzi. Ciò si evince, non solo dal tenore complessivo del discorso, ma anche dalla circostanza che le espressioni in oggetto sono spesso formulate in forma ipotetica (“
andrebbero studiati da specialisti clinici”; “non so se lo prendevano in giro da bambino”).
Come si è già detto, peraltro, le affermazioni in esame sono decontestualizzate, scevre da qualsivoglia riferimento a vicende od esperienze concrete del vissuto personale dell’attore, per cui risulta evidente che trattasi di una sorta di invenzione scenica ovvero di un espediente comunicativo che il giornalista
ha utilizzato per attirare l’attenzione degli ascoltatori, colorendo il proprio discorso ed introducendo i predetti al nucleo del proprio intervento, che afferisce per l’appunto alla critica politica.
Detto in altri termini, il registro linguistico sin qui esaminato, pur essendo a tratti graffiante e pur colorandosi di sarcasmo, è di fatto innocuo, non avendo – come si è detto – concreta idoneità lesiva rispetto all’onore ed alla reputazione dell’attore, proprio perché trattasi di espressioni, per un verso, prive di disvalore intrinseco, quali, ad esempio, le ingiurie, le contumelie, gli epiteti scurrili o le affermazioni che aggrediscono in termini universalmente oltraggiosi il patrimonio morale del destinatario; per altro verso, anche quando investono la dimensione personale, sono affermazioni, locuzioni e proposizioni scevre da riferimenti specifici e contestualizzanti
>

Il passaggio è importante. In breve , mancando di specificità, le offese non possono cagionare danno. Il giudizio però è di assai dubbia esattezza: non sono offensive solo le espressioni riferite a fatti specifici, ma anche anche quelle generali sulla persona.

Ancora,  viene rigettata l’eccezione di satira dato che T. è giornalista e non un comico (sub E1): non è però chiaro il nesso logico sottostante, potendo la satira essere usata da chiunque e non solo da comici di professione.

Altrettanto perplessa è la compensazione integrale delle spese di lite, a fronte di un rigetto integrale delle domanda di Matteo Renzi.

Le pagine Facebook e Twitter dei Trustees di una scuola pubblica sono “public forum” e devono rispettare il Primo Emendamento

Aprofondita sentenza di appello sull’oggetto, resa dal 9° Circuito, 27 luglio 2022, Nos. 21-55118 e 21-55157, D.C. No. 3:17-cv-02215-BEN-JLB, Garnier v. O’Connor-Ratcliff  e Zane.

Alcuni Trustees del Poway Unified School District (“PUSD” or the “District”) Board of Trustees (scuola pubblica, parrebbe: non si potrebbe ravvisare public forum per una scuola privata) bannarono due genitori dalla pagina Facebook (F.) per le loro critiche continue e estese , anche se non offensive

I genitori agirono per violazione del Primo  Emendamento (libertà di parola)  in relazione al 42 U.S. Code § 1983 – Civil action for deprivation of rights.

L’appello conferma il primo grado dicendo che ricorre State Action (color of state law) e che il Primo Emendamento va rispettato anche sui social media, se usati nel dialogo con i cittadini: essi infatti diventano Designated Public Fora.

Succo: << The Garniers’ claims present an issue of first impression
in this Circuit: whether a state official violates the First
Amendment by creating a publicly accessible social media
page related to his or her official duties and then blocking
certain members of the public from that page because of the
nature of their comments. For the following reasons, we
hold that, under the circumstances presented here, the
Trustees have acted under color of state law by using their
social media pages as public fora in carrying out their official
duties. We further hold that, applying First Amendment
public forum criteria, the restrictions imposed on the
Garniers’ expression are not appropriately tailored to serve
a significant governmental interest and so are invalid. We
therefore affirm the district court judgment
>>, p. 6.

Si v. poi:

– i quattro criteri per ravvisare State Action, p. 18.

– il concetto di <designated public forum> e di <limited public forum>, p. 35.

– non è spam giustificativo della censura la continuata rieptizione di post critici, p. 39 ss

– l’usare i filtri Word, permesso da F., non fa diventare chiuso quello che altrimenti  è un public forum, p,. 15 ss

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

Il divieto di usare social media non è troppo vago in relaizone al Primo Emendamento

Circa la c.d. probation di un minore (sospensione condizionale della pena, suppergiù) , la condizione <<that he “not knowingly post, display or transmit on social media or through his cell phone any symbols or information that [he] knows to be, or that the Probation Officer informs [him] to be, gang-related.”>>  non è troppo vaga e quindi eccessiavamente limitativa del diritto di parola ex Primo Emendamento

Così L?appello della California 21 luglio 2022 H048553, H048979 (Santa Clara County Super. Ct. No. 19JV43778), in re J.T..

In particolare sul concetto di <social media>:

<< As minor acknowledges, the dictionary provides a definition of the term “social
media.” According to the Oxford English Dictionary, “social media” constitutes
“websites and applications which enable users to create and share content or to
participate in social networking.” (Oxford English Dict. Online (2022)
<https://www.oed.com/view/Entry/183739?redirectedFrom=social+media#eid272386371
> [as of July 21, 2022], archived at: <https://perma.cc/S6WV-Q3SK>.) Thus, a
practical, acceptable, and common-sense definition of the term exists, which is what a
probation condition needs to pass constitutional muster.

In determining the adequacy of the notice provided by a probation condition, we
are guided by the general principle that the condition’s language must only have
“ ‘ “
reasonable specificity,” ’ ” not “ ‘mathematical certainty.’ ” (Sheena K., supra,
40 Cal.4th at p. 890.) And, a probation condition is sufficiently specific “ ‘ “if any
reasonable and practical construction can be given its language or if its terms may be
made reasonably certain by reference to other definable sources.” ’ ” (
People v. Lopez
(1998) 66 Cal.App.4th 615, 630 (Lopez).)
Here, the term “social media” has a reasonably certain definition: websites where
users are able to share and generate content, and find and connect with other users of
common interests. Moreover, the condition’s purpose—to deter minor from engaging in
street gang activity—lends the needed clarity. A trial court’s reasons for imposing a
probation condition can cure a vagueness problem because “ ‘abstract legal commands
must be applied in a specific
context. A contextual application of otherwise unqualified
legal language may supply the clue to a law’s meaning, giving facially standardless
language a constitutionally sufficient concreteness.’ ” (
Lopez, supra, 66 Cal.App.4th at
p. 630.)
For example, in
In re Malik J. (2015) 240 Cal.App.4th 896 (Malik J.), the
appellate court considered whether a probation condition requiring the minor to
“ ‘provide all passwords to any electronic devices, including cell phones, computers or
[notepads], within [the probationer’s] custody or control’ ” was unconstitutionally vague
or overbroad. (
Id. at p. 900.) The minor argued that the phrase “ ‘any electronic
devices’ ” could be interpreted to include Kindles, PlayStations, iPods, the codes to his
car, home security system, or even his ATM card. (
Id. at p. 904.) The appellate court
observed that the search condition was imposed in response to the trial court’s concern
that the minor would use items such as his cell phone to coordinate with other offenders
and because he had previously robbed people of their iPhones. (
Id. at pp. 904-905.)
Therefore, the appellate court concluded that it was reasonably clear that the condition

was meant to encompass “similar electronic devices within [minor’s] custody and control
that might be stolen property, and not, as [minor] conjectures, to authorize a search of his
Kindle to see what books he is reading or require him to turn over his ATM password.”
(
Id. at p. 905.)
As in
Malik J., the condition’s purpose here—to deter minor from engaging in
street gang activity—provides guidance to minor and clarifies what types of “social
media” the condition intends to target. When deciding to impose gang conditions, the
juvenile court noted that the probation report disclosed that minor “wore red clothing
[and] seemed to hang out with Norte[ñ]o street gang guys,” and that there were “various
photos posted and included in the probation report as well as the Instagram issues and
tattoo issues.” The court’s statements render it “reasonably clear” that the condition was
intended to prohibit street gang-related activity on websites where users are able to share
and generate content. (
Malik J., supra, 240 Cal.App.4th at p. 905.)
Minor relies on
Packingham v. North Carolina (2017) 137 S.Ct. 1730
(
Packingham) for his vagueness claim, but that case is inapposite here. Unlike this case,
Packingham did not involve a probation condition; it involved a law that made it a felony
for registered sex offenders, including those who had completed their sentences, to
“access . . . a number of websites, including commonplace social media websites like
Facebook and Twitter.” (
Id. at p. 1733.) The Supreme Court held that the law violated
the First Amendment because it “ ‘burden[ed] substantially more speech than is necessary
to further the government’s legitimate interests’ ” in protecting children from sexual
abuse. (
Id. at p. 1736.) Packingham does not address the issue before us—whether the
term “social media,” as used in a probation condition that forbids gang-related postings,
displays, or transmissions, is unconstitutionally vague. “ ‘ ‘ “[C]ases are not authority for
propositions not considered.’ ” ’ ” (
People v. Baker (2021) 10 Cal.5th 1044, 1109.)
For all of these reasons, we do not find the term “social media” to be
unconstitutionally vague as used in the challenged probation condition
>>

Conflitto tra diritto di parola e diritto di autore : una particolare ma interessante fattispecie decisa a favore del primo

Tizio , restando anonimo con l’account @CallMeMoneyBags , critica su Twitter un tale Brian Sheth, a private-equity billionaire, postando messaggi e foto di lui.

Una società di couinicazione , però , quale sedicente titolare dei diritti sulle foto , chiede a Twitter di dargli il nome ex 17 §512.h US CODE.

Il giudice rigetta accogliendo la difesa di Twitter e facendoo prevalere il diritto di parola (di critica, di satira etc.) , anche perchè l’attore non è riuscito a fugare il sospetto di essere veicolo soceitario a disposizione del medesimo sig. Seth.

Così Il distretto nord della California21 giugno 2022, Case 4:20-mc-80214-VC , IN RE DMCA § 512(H) SUBPOENA TO TWITTER, INC.

This is where the mystery surrounding Bayside makes a difference. If the Court were assured that Bayside had no connection to Brian Sheth, a limited disclosure subject to a protective order could perhaps be appropriate. But the circumstances of this subpoena are suspicious. As far as the Court can tell, Bayside was not formed until the month that the tweets about Sheth were posted on Twitter. It appears that Bayside had never registered any copyrights until the registration of these six photographs, which happened after the tweets were posted. And there appears to be no information publicly available about Bayside’s principals, staff, physical location, formation, or purposes.

Given all the unknowns, at oral argument the Court offered Bayside an opportunity to
supplement the record with an evidentiary hearing or additional documentation. Bayside
declined, stating that it preferred the motion to be adjudicated on the current record. There would
perhaps be some benefit in insisting on an evidentiary hearing to explore the circumstances
behind this subpoena—to explore whether Bayside and its counsel are abusing the judicial
process in an effort to discover MoneyBags’s identity for reasons having nothing to do with
copyright law. Perhaps that hearing could even result in an award of attorney’s fees for Twitter.

Il rapporto tra dirito di autore e diritti fondamentali antagonisti è ormai largamentit tratto anche da noi anzi in tutto il copyright europeo.

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

Quando la pagina Facebook di pubblico funzionario è pubblica oppure solo privata?

Interessante questione decisa dal 6° circuito di appello , Lindke v. Freed 27.06.2022, No. 21-2977 .

Un pubblico funzionario aveva bannato dal suo account Faceboook un “amico” troppo critico verso di lui.

La successiva azione del’escluso , basata sul Primo Emendamento (State action doctrine) , viene però in appello respinta perchè il funzinario aveva aperto la pagine F. non nella veste, ma come prIvato.

Ciò anceh se aveva indicato il suo ruolo pubblico e se interloquiva con gli amici F. su temi istituzionali

La parte rilevante è sub C, che ci sonclude così:a< But our state-action anchors are missing here. Freed did not operate his page to fulfill any actual or apparent duty of his office. And he didn’t use his governmental authority to maintain it. Thus, he was acting in his personal capacity—and there was no state action>>

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof Eric Goldman)

Copyright, fair use, diritto di parola e diritto vs. la piattaforma di conoscere il soggetto che diffonde anonimamente post satirici

Chi carica post vagamente satirici con fotografie ritraenti un private-equity billionaire in comapgian di ragazze, compie delle stesse un fair use, quindi non rientrante nel copyright sulle foto stesse.

Ne segue che il diritto di far cadere l’anonimato non gli spetta,   perchè <<has not made out a prima facie case of copyright infringement>>, secondo l’interprteazione del § 512.h DMCA “Subpoena To Identify Infringer”.

E’ del resto chiaro che i sei tweet satirici ACCOMPAFGNATORI DELLE FOto,  erano espressione del diritto di parola/critica: << The six tweets flagged by Bayside are best interpreted as vaguely satirical commentary criticizing the opulent lifestyle of wealthy investors generally (and Brian Sheth, specifically). For example, one tweet reads: “Good morning from Mrs. Brian Sheth #2. Life is good when you’re a 44-year old private equity billionaire.” The tweet accuses Brian Sheth of having a mistress and links his infidelity to the broader class of “private equity billionaires,” suggesting that wealth (or working in private equity) corrupts. Unmasking MoneyBags thus risks exposing him to “economic or official retaliation” by Sheth or his associates. McIntyre v. Ohio Elections Commission, 514 U.S. 334, 341–42 (1995). And MoneyBags’s interest in anonymity is heightened further by his other tweets, which discuss issues of political importance such as sexual harassment, tax enforcement, and corporate regulations>> (Brian Seth è il milionario e Bayside il soggetto reclamante diritto di autore sulle foto, forse ricollegabile allo stesso Seth).

Così il distretto nord della California 21 giugno 2022, Case 4:20-mc-80214-VC , IN RE DMCA § 512(H) SUBPOENA TO TWITTER, INC., di cui dà notizia www.eef.org in un’inteessante fattispecie all’intersezione tra copyright , privacy e diritto di parola.