Tutela dell’onore v. diritto di cronaca: sul concetto di verità nell’intervista giornalistica

Cass. n. 23.166 del 25.07.22, rell Pazzi, sez. 1, interviene nella lite tra Il Fatto Quotidiano  e Finivest circa gli allegati danni dal primo cagionati alla seconda in occasione di articoli sul presunto ricorso a finamziamenti illeciti per sopperire alla gravissima crisi finanziaria (circostanze emergenti dal merito ma poco chiaramente dalla SC).

<< 8.3 Il secondo profilo di censura sollevato dalla società ricorrente contesta la tesi della Corte palermitana secondo cui la critica, mirando a valutare soggettivamente una data informazione, non comporta l’obbligo di esporre anche argomenti di segno contrario e sostiene che un simile assunto ha finito per legittimare l’esercizio di un diritto di critica fondato su dati incompleti e superati.

Sotto questo profilo il mezzo in esame merita di essere condiviso.

Se è pur vero che il diritto di critica non si concreta, come quello di cronaca, nella narrazione veritiera di fatti, ma si esprime in un giudizio che, come tale, non può che essere soggettivo e separato rispetto ai fatti stessi, resta comunque fermo che il fatto presupposto ed oggetto della critica deve corrispondere a verità, sia pure non assoluta, ma ragionevolmente putativa per le fonti da cui proviene o per altre circostanze oggettive, così come accade per il diritto di cronaca (Cass. 7847/2011).

In altri termini, il diritto di critica non si concreta nella mera narrazione di fatti, ma si esprime in un giudizio avente carattere necessariamente soggettivo rispetto ai fatti stessi; tuttavia, per riconoscere efficacia esimente all’esercizio di tale diritto, occorre che il fatto presupposto ed oggetto della critica corrisponda a verità, sia pure non assoluta, ma – come già si è detto – ragionevolmente putativa per le fonti da cui proviene o per altre circostanze soggettive (Cass. 25420/2017).>>

Bisogna poi che i fatti siano non solo veri ma anche non ridotti alla bisogna del giornalista  e cioè che siuano esposti per intero:

<< 8.4 E’ evidente, poi, che togliendo porzioni della complessiva realtà fattuale che si intende criticare si può alterare la veridicità della descrizione fattane, nel caso in cui le parti tralasciate abbiano caratteristiche tali da compromettere il significato di quanto espressamente riferito.

La ricostruzione parziale dei fatti, ove sia avvenuta omettendo di riferire circostanze capaci di attribuire a quanto narrato un senso del tutto diverso, influisce quindi sul carattere di veridicità del fatto presupposto ed oggetto della critica.

Il che significa che la narrazione del fatto presupposto dalla critica, per corrispondere a verità, deve avvenire non solo riferendo circostanze in sé veridiche, ma anche avendo cura di non tralasciare ogni rilevante circostanza di contorno che sia, per sua natura, capace di alterare in maniera rilevante il significato della narrazione compiuta.

Non è perciò corretto il procedere a una ricostruzione volontariamente distorta della realtà fattuale, omettendo ad arte porzioni di significativo rilievo con lo scopo di attirare l’attenzione negativa dei lettori sulla persona criticata (v. Cass. 6902/2012).

8.5 La giurisprudenza penale di questa Corte in materia di diffamazione a mezzo stampa ha ritenuto che il diritto di cronaca non ricorra quando si offre il resoconto di fatti distanti nel tempo, in relazione ai quali è legittimo pretendere un’attenta verifica di tutte le fonti disponibili, con la conseguenza che, laddove si dia conto di vicende giudiziarie, incombe l’obbligo di accertare e rappresentare compiutamente lo sviluppo degli esiti processuali delle stesse (Cass. 13941/2015).

Il principio può essere mutuato rispetto alla narrazione del fatto presupposto ed oggetto del diritto di critica – che, come detto, si ispira ai medesimi principi regolatori del diritto di cronaca – con riguardo alla necessaria corrispondenza a verità della notizia di natura giudiziaria su cui l’opinione si fonda e all’obbligo di non tralasciare circostanze che possano influire in maniera rilevante sul significato di quanto narrato.

La necessaria corrispondenza a verità della notizia su cui l’opinione si fonda, laddove si dia conto di vicende giudiziarie risalenti nel tempo, comporta quindi l’obbligo di accertare e rappresentare compiutamente lo sviluppo degli esiti processuali delle stesse, ove tale sviluppo abbia un significativo rilievo nella rappresentazione della realtà fattuale, cosicché un riferimento selettivo ed incompleto delle sorti del procedimento giudiziario costituente il fatto presupposto della critica mina il fondamento del diritto esercitato e con esso la sua portata esimente.>>

Sulla diffamazione tramite opera cinematografica (fatti affermati vs. fatti solo suggeriti)

La Cassazione (sez. I civ., 19.06.2019 n. 16.506, rel. Tricomi)  decide su una domanda di risarcimento danni per diffamazione, asseritamente prodotti da un film sulla vita di Giovanni Falcone perchè lesivo dell’onore o della reputazione.

La domanda risarcitoria era stata avanzata dal magistrato Vincenzo Geraci nei confronti dei titolari del diritto d’autore.  Geraci aveva a suo tempo collaborato con Falcone, anche se poi non votò a suo favore nella delibera del CSM per l’assegnazione della carica di capo del pool antimafia, istituto dal magistrato Chinnici (prendo dai fatti storici ricordati da M. De Chiara, in nota alla sentenza, Foro it., 2019, 12, 3978, § 2).

La lunga sentenza viene qui riferita solo relativamente al profilo della conciliazione fra diritto di cronaca/di critica, da una parte, e diritto all’onore/alla reputazione, dall’altra (§ 4.2).

La Corte dapprima ribadisce che il diritto all’onore e alla reputazione cede quando viene esercitato il diritto di cronaca oppure quello di critica, entrambi gemmati dalla libertà di espressione. Illustra quindi i limiti posti all’esercizio dell’uno  e dell’altro, che non coincidono: sono meno stringenti infatti quelli posti al diritto di critica (§ 4.2.3)

La parte più interessante è quando applica questa disciplina alla fattispecie sub iudice: la quale non è collocabile in modo netto in alcuna delle due cit. categorie concettuali.

La Corte osserva infatti: <<Questa distinzione, tuttavia, tende ad essere superata, laddove l’opera artistica riguardi vicende di cronaca ancora in evoluzione, utilizzi i nomi propri delle persone coinvolte e adotti un taglio al contempo sia narrativo che giornalistico o documentaristico, come nel caso in esame, dovendosi dare allora prevalenza agli aspetti di tipo informativo/documentaristico, rispetto a quelli di tipo artistico/creativo, venendo in rilievo la pretesa di raffigurare in un’unità temporale sia pur ridotta, una vicenda che è conosciuta e di cui le cronache hanno parlato, anche con dovizia di dettagli, di modo da applicare i criteri di valutazione della verità putativa più confacenti al caso di specie >> (§ 4.2.4, primo per.).

Non è esatto allora intepretare questo passo nel senso che <<la corte premette che nell’opera in esame l’intento cronachistico è prevalente>> (così De Chiara , cit., § 4). La Corte, invece, dice che, quando ricorrono sia l’intento cronachistico che quello critico, si deve fare prevalere il primo (condivisibilmente, direi, dato che -in presenza di duplice anima dell’opera dell’ingegno- va applicata la disciplina di quella più lesiva).

Ne segue allora che in tale caso <<la valutazione della sussistenza dell’esimente della verità putativa deve attenersi ai più stringenti criteri richiesti al pari dell’esercizio del diritto di cronaca, distinguendo tra fatti oggettivamente accertati e le opinioni raccolte, sia pure da fonti attendibili, senza limitare il giudizio di liceità sull’esplicazione del diritto di critica attuato mediante la realizzazione dell’opera cinematografica ad una valutazione degli elementi formali ed estrinseci, ma estendendolo anche ad un esame dell’uso di espedienti stilistici, che possono trasmettere agli spettatori, anche al di là di una formale — ed apparente — correttezza espositiva, connotazioni negative sulle persone e sul ruolo rivestito da loro in una più ampia vicenda; per cui, in definitiva, ogni accostamento di notizie vere può considerarsi lecito se non produce un ulteriore significato che le trascenda e che abbia autonoma attitudine lesiva, considerata nel complesso della narrazione filmica e delle interrelazioni causali rappresentate in audio e video o implicitamente suggerite>> ( § 4.2.4 secondo per.).

Sintetizzerei allora così due insegnamenti traibili dal riportato (e un pò contorto) passo, relativamente alla c.d “verità putativa”:

1) in un caso (come quello sub iudice), che non è puro esercizio nè del diritto di critica né di quello di cronaca, bisogna attenersi ai limiti più rigorosi cioè a quelli posti al diritto di cronaca;

2) detti limiti riguardano non solo i fatti apertamente introdotti nella narrazione, ma anche quelli suggeriti, insinuati o evocati solo per implicito.

Sulla disciplina della “verità putativa”, va letta la recente Cass. 29.10.2019 n. 27.592, redatta con la sua consueta chiarezza dal giudice Rossetti, relativa ad una diffusione via web di notizie diffamanti a carico di un imprenditore operante nel settore della ristorazione (anche tramite servizi di buoni pasto a pubbliche amministrazioni). Riporto la sintesi finale: <<In conclusione, per la consolidata giurisprudenza di questa Corte il rispetto della verità putativa non può dirsi sussistente sol perché l’autore abbia riferito di fatti appresi da una fonte giudiziaria, poliziesca od amministrativa. Sussiste solo se l’autore riferisca donde abbia appreso quei fatti; non taccia fatti connessi o collaterali di cui sia a conoscenza; non ricorra ad insinuazioni allusive con riferimento ai fatti riferiti; si attivi con zelo e prudenza nel vagliare la verosimiglianza dei fatti riferiti>> (§ 2.5.3).