Sulla responsabilità dei sindaci di cooperativa s.r.l.

La Cassazione interviene sul tema con sentenza condivisibile (Cass. sez. I – 11/12/2020, n. 28357, rel. Terrusi), anche se priva di spunti di reale interesse

L’addebito consisteva nel non aver curato che la somma, pur incassata dal liquidatore nel conto corr. sociale, andasse poi effettivamente “a buon fine” e cioè restasse a disposizione per l’attività sociale. Infatti il fallimento successivo non aveva più reperita  detta somma (oltre 80 mln euro),  pur transitata (versata) sul conto bancario sociale.

La corte eroga i soliti e condivisibili insegnamenti sulla responsabilità dei sindaci:

  • <<I doveri di controllo imposti ai sindaci sono certamente contraddistinti da una particolare ampiezza, poichè si estendono a tutta l’attività sociale, in funzione della tutela e dell’interesse dei soci e di quello, concorrente, dei creditori sociali>>, sub IV
  • Questo accade, in particolare, <<quando i sindaci non abbiano rilevato una macroscopica violazione o non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità (ex aliis Cass. n. 13517-14, Cass. n. 23233-13), poichè in tal caso il mantenimento di un comportamento inerte implica che non si sia vigilato adeguatamente sulla condotta degli amministratori (o dei liquidatori) pur nella esigibilità di un diligente sforzo per verificare la situazione anomala e porvi rimedio, col fine di prevenire eventuali danni (cfr. di recente Cass. n. 18770-19)>>, ivi
  • La condanna richiede la prova <<di tutti gli elementi costitutivi del giudizio di responsabilità. E quindi: (i) dell’inerzia del sindaco rispetto ai propri doveri di controllo; (ii) dell’evento da associare alla conseguenza pregiudizievole derivante dalla condotta dell’amministratore (o, come nella specie, del liquidatore); (iii) del nesso causale, da considerare esistente ove il regolare svolgimento dell’attività di controllo del sindaco avrebbe potuto impedire o limitare il danno>>, sub V.
  • Il nesso di causa , in particolare, <<va provato da chi agisce in responsabilità nello specifico senso che l’omessa vigilanza è causa del danno se, in base a un ragionamento controfattuale ipotetico, l’attivazione del controllo lo avrebbe ragionevolmente evitato (o limitato). Il sindaco non risponde, cioè, in modo automatico per ogni fatto dannoso che si sia determinato pendente societate, quasi avesse rispetto a questo una posizione generale di garanzia. Egli risponde ove sia possibile dire che, se si fosse attivato utilmente (come suo dovere) in base ai poteri di vigilanza che l’ordinamento gli conferisce e alla diligenza che l’ordinamento pretende, il danno sarebbe stato evitato>>, ivi

Nel caso , il sindaco , essendosi dimesso l’11 luglio mentre la somma era stata messa in banca a fine maggio e a fine giugno precedenti, non aveva avuto il tempoi di raccogliere camapanelli di allarme sul fatto che dalla banca poi non sia stata concretamente messa a disposizione dell’impresa sociale (ma di terzi sine titulo).

O meglio, non è stata data prova di tali negligenze. Infatti <<il difetto di consequenzialità è infatti evidente, in quanto è pacifico che la T. aveva cessato dalla carica dopo pochi giorni dalla riscossione delle somme (l’11-7-1995) e niente è indicato, in motivazione, onde potersi sostenere che, medio tempore, le somme, regolarmente versate in conto, fossero state distratte, o alternativamente che vi fossero stati pagamenti cui associare ipotetiche anomalie d’impiego suscettibili di essere rilevate dal sindaco ancora in carica.   Tutto questo mina dalle fondamenta il ragionamento della corte del merito, poichè, ai sensi dell’art. 2407, non consente di giustificare – se non in termini assolutamente apodittici – il concorso nell’illecito del liquidatore>>, sub VI.

Si notino i tempi processuali: – fatti del 1995; – notifica della citazione di primo grado del maggio 2003; – sentenza di appello del 2014; – sentenza di Cassazione del dicembre 2020.

Utili (anche se non sorprendenti) chiarimenti per i sindaci per evitare il concorso -omissivo- in bancarotta con gli amministratori

Cass. pen, V, n. 156 del 05.01.2021 (ud. 24.11.2020), rel. Scordamaglia,  fornisce qualche chiarimento ai sindaci per evitare il concorso omissivo in bancarotta con gli amministratori.

Questa la fattispoecie concreta: <<limitatamente alla condotta di distrazione avente ad oggetto il conferimento, in data 4 dicembre 2009, di tre complessi immobiliari di proprietà della fallita (quelli ubicati in (OMISSIS)) alla GPI Srl, a fronte del riconoscimento in favore della cedente di una partecipazione nel capitale sociale della cessionaria pari al 68,25 %, per un valore di circa 13 milioni di Euro a fronte di un valore dei beni ceduti non inferiore a 20 milioni di Euro, partecipazione che, in data 21 gennaio 2010, veniva ceduta alla MILLENNIUM Capital Partecipation SA, società capogruppo della “holding” G., a fronte della compensazione con crediti inesistenti vantati nei confronti della “(OMISSIS)”. Operazione complessiva, questa, che aveva luogo allorchè i tre imputati rivestivano simultaneamente il ruolo di revisori contabili della “(OMISSIS)” ed erano anche componenti del collegio sindacale di altre società del gruppo ” G.”, segnatamente la BMC e la MILLENNIUM Italia Spa>>, § 1.

Appello MIlano aveva osservato, rigettando l’impugnazione dei sindaci: <<gli imputati, per via di tale risalente osservatorio privilegiato, non potevano non accorgersi del programma illecito, ordito da G.G. e da G.I.F., domini del gruppo, per depauperare il patrimonio della “(OMISSIS)”, essendo stata l’operazione negoziale, che aveva portato a tale risultato, contrassegnata da indici di sospetto di tale conclamata evidenza da non lasciare loro alcuna discrezionalità nell’adempimento dell’obbligo di predisporre una pronta ed efficace reazione. Il conferimento (in data 4 dicembre 2009) del patrimonio immobiliare della “(OMISSIS)” in favore della GPI aveva avuto luogo, infatti, previa svalutazione del valore dello stesso nell’ordine del 31 % in assenza di giustificazioni e nonostante che il collegio sindacale avesse certificato (in data 1 dicembre 2009) una perdita di esercizio pari a circa 2 milioni di Euro; inoltre, nel verbale di assemblea del 29 novembre 2009, nel quale l’operazione era stata messa a punto, non solo non si faceva cenno alla finalità di quotazione in borsa della GPI, indicata come causa concreta del negozio, ma era anche espressamente previsto che entro poco tempo (40 giorni) il pacchetto azionario della GPI, detenuto dalla “(OMISSIS)”, sarebbe stato ceduto alla capogruppo lussemburghese MILLENNIUM Capital Partecipation SA, di modo che “(OMISSIS)” Srl. non avrebbe potuto neppure conseguire il vantaggio di “un’accresciuta capacità di reddito dell’impresa nei confronti del sistema bancario”, indicato come scopo sottostante dell’operazione.>>, § 1.1.

La difesa dei sindaci, per cui non avrebbero potuto percepure nulla circa le frodi in atto, viene così respinta: <<ai sensi dell’art. 2403 c.c. e ss., i poteri-doveri dei sindaci delle società di capitali non si esauriscono nella mera verifica contabile della documentazione messa a disposizione dagli amministratori, ma, pur non investendo in forma diretta le scelte imprenditoriali, si estendono al contenuto della gestione sociale (Sez. 5, n. 12186 del 18/02/2019, Tritto, non massimata; Sez. 5, n. 18985 del 14/01/2016, A T, Rv. 267009; Sez. 5, n. 14045 del 22/03/2016, De Cuppis, Rv. 266646; Sez. 5, n. 17393 del 13/12/2006 – dep. 08/05/2007, Martone, Rv. 236630), comprendendo, in effetti, il riscontro tra la realtà effettiva e la sua rappresentazione contabile (Sez. 5, n. 14045 del 22/03/2016, De Cuppis, Rv. 266646; Sez. 5, n. 8327 del 22/04/1998, Bagnasco, Rv. 211368). Ciò, ulteriormente, comporta che la loro responsabilità penale è stata correttamente ravvisata a titolo di concorso omissivo secondo il disposto di cui all’art. 40 c.p., comma 2, cioè sotto il profilo della violazione del dovere giuridico di controllo che, inerisce alla loro funzione, sub specie dell’equivalenza giuridica, sul piano della causalità, tra il non impedire un evento che si ha l’obbligo di impedire ed il cagionarlo. Controllo che, invero, non era circoscritto all’operato degli amministratori, ma si doveva estendere a tutta l’attività sociale, con funzione di tutela non solo dell’interesse dei soci, ma anche di quello, concorrente, dei creditori sociali, e non poteva non ricomprendere anche l’obbligo di segnalare tempestivamente tutte le situazioni suscettibili di mettere a repentaglio la prosecuzione dell’attività di impresa e l’assicurazione della garanzia dei creditori (Sez. 1 civ., n. 2772 del 24/03/1999, Rv. 524490)>>, § 1.3 (si legge 13 nella banca dati ma dovrebbe essere 1.3).

Circa le blande iniziative (mere richieste di chiarimenti agli amministratori) assunte a fronte di campaneli di allarme gravi, la SC osserva: <<ai propri compiti il Collegio sindacale avrebbe dovuto adempiere non solo con il potere di denuncia al Tribunale di cui all’art. 2409 c.c., u.c., (previsto in ipotesi di fondato sospetto di gravi irregolarità compiute dagli amministratori nella gestione della società suscettibili di arrecare danno alla società stessa), ma anche, e prim’ancora, con l’attivazione degli altri poteri d’intervento all’uopo previsti dalla legge: segnatamente, con il compimento di “atti di ispezione e controllo”, oltre che con la richiesta di informazioni agli amministratori, (art. 2403-bis c.c.) e con la convocazione dell’assemblea societaria (art. 2406 c.c.) (Sez. 5, n. 44107 del 11/05/2018, M, Rv. 274014).>>, § 2.

Infatti ricordano i giudici <<per la configurabilità della responsabilità dei sindaci ex art. 2407 c.c., comma 2, “per i fatti o le omissioni degli amministratori, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica”, non è richiesta l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tali doveri, ma è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o, comunque, non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all’assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunciando i fatti al Tribunale per consentirgli di provvedere ai sensi dell’art. 2409 c.c. (Sez. 1 civ., n. 16314 del 03/07/2017, Rv. 644767; Sez. 1 civ., n. 13517 del 13/06/2014, Rv. 631305), in quanto può ragionevolmente presumersi che il ricorso a siffatti rimedi, o anche solo la minaccia di farlo per l’ipotesi di mancato ravvedimento operoso degli amministratori, avrebbe potuto essere idoneo ad evitare (o, quanto meno, a ridurre) le conseguenze dannose della condotta gestoria.>>, § 2.

Si può però osservare che l’art. 2409 non era applicabile alle SRL all’epoca dei fatti, essendolo solo ora dopo il d. lgs. 14 del 2019, art. 379/2 (quindi tornandosi al regime ante 2003)

TUSMAR e SIC: rilevanti novità sulla lite Vivendi / Mediaset

Il TAR Lazio ha annullato la delibera AGCOM del 2017 che aveva ritenuto che Vivendi avesse superato la doppia soglia posta dal testo unico radiotelevisione 2005 n. 177 (TUSMAR), art. 43 c. 11, costringendo quindi Vivendi a trasferire/parcheggiare le azioni in Mediaset presso la fiduciaria SImon (§ 8).

Si tratta di TAR Lazio sez. III, 23.12.2020, n. 5880/2017 Reg. Ric.-13958/2020 reg. prov. coll., Vivendi c. AGCM nei confronti di Mediaset.

Sul punto però è decisiva la chiara risposta al quesito pregiudiziale data dalla Corte di Giustizia 03-.09.23030, C‑719/18: <<l’articolo 49 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa di uno Stato membro che ha l’effetto di impedire ad una società registrata in un altro Stato membro, i cui ricavi realizzati nel settore delle comunicazioni elettroniche, come definito ai fini di tale normativa, siano superiori al 40% dei ricavi complessivi di tale settore, di conseguire nel SIC ricavi superiori al 10% di quelli del sistema medesimo>> (l’art. 49 TFUE pone la libertà di stabilimento; non rileva invece la libertà di circolazione dei capitali , pur dedotta, § 8.3).

Per cui, stante la incompatibilità predetta, esperita senza successo il tentativo di interpretazione conforme alla disciplina europea, non resta che disapplicare (§ 6 e § 7.8 DIRITTO): <<Pertanto, occorre concludere che la delibera gravata poggia le proprie basi su di una norma interna di cui la sentenza della Corte di Giustizia del 3 settembre 2020 impone la disapplicazione, con conseguente applicazione dell’art. 49 del TFUE alla fattispecie>> (§ 8.5).

In breve le restrizioni posta dalla norma suv iudice non sarebbero ragionevoli e proporzionate : <L’art. 43(11) TUSMAR, come interpretato dalla Delibera, impone restrizioni alla libertà di circolazione dei capitali, prestazione dei servizi e stabilimento incompatibili con il diritto UE in quanto (i) inidonee a raggiungere gli obiettivi perseguiti e (ii) non limitate a quanto necessario a tal fine. 2> (così il ricorso Vivendi secondo quanto riporta il TAR al § 8.1).

Il TAR ha dunque annullato la delibera AGCOM impgunata; per la novità della questione, che ha richiesto la pronuncia pregiudiziale della Corte europea,  ha però compensato le spese di lite (§ 11).

Scopo delle società, doveri degli amministratori e short-termism: prossima azione regolatoria UE?

La Commissione UE ha incaricato Ernst & Young di effettuare uno studio sulla questione del se  l’attività di impresa sia oggi  viziata da short termism (visione e progettualità a breve termine) e, in caso positivo, se ciò sia fonte di conseguenze negative.

La risposta (poco sorprendentemente) è positiva ad entrambe le domande, come emerge dal report finale <<Study on directors’ duties and sustainable corporate governance-Final report>>, 29 luglio 2020.

Short-termism (poi: s.t.) viene individuato e quantificato <<by looking at the evolution of the amount of net corporate funds being used for pay-outs to shareholders (in the form of dividends or shares buybacks) compared with the evolution of the amount used for the creation of value over the life cycle of the firm, namely through investment in infrastructure, workers training, Research and Development (R&D), and investments in sustainability>>, § 3.1.1.1, p. 9.

Le conseguenze negative sarebbero:

  • a livello ambientale: <Literature connects short-termism to unsatisfactory response to environmental issues both at individual55 (i.e. the psychological tendency of individuals to focus on the short-term and consequently neglect sustainability issues) and organisational level56 (i.e. the factors leading firms to prioritise short-term profits at the expense of long-term objectives)>>, p. 22;
  • a livello sociale: <<There is a substantial body of literature (though mainly focusing on the US context) linking shareholder primacy in corporate governance, the “financialisation”85 of the global economy, and increasing social inequalities.86 From a social perspective, short-termism exacerbates inequalities. In a context where share ownership is concentrated in the richest households (such as in the US), achieving higher share prices and larger dividend pay-out – the main objective of corporate executives focused on the short-term – is beneficial to a just small fraction of a country’s population (the share owners) and contributes to deepen the existing socio-economic cleavages>>, p. 26;
  • a livello economico: <<Short-termism has serious adverse economic effects on companies, their shareholders and their stakeholders, and undermines the macroeconomy. As discussed in section 3.2, the strength of the social norm of shareholder primacy in corporate governance theory and practice, combined with growing pressures from institutional and activist investors increasingly focused on the short-term market value of the shares, places intense pressure on corporate boards to prioritise the market valuation of the company and focus on short-term financial performance, driving down all other costs, at the expense of better employee compensation and stronger investments that are important for long-term productivity>, p. 28.

Il ruolo delle imprese è notevole per conseguire i relativi United Nations Sustainable Development Goals  : <as described in the previous sections, corporate short-termism is among the factors that hinder the achievement of environmental, social and economic sustainability. Without companies abandoning the business-as-usual and proactively embracing and promoting the sustainability transition, it will be hard to achieve such ambitious sustainability goals in the near future>, p. 30.

Le cause dello s.h. sarebbero:

  • Directors’ duties and company’s interest: <In all jurisdictions, the core duty of the board is to protect and promote the interests of the company. Numerous multijurisdictional studies underline how the prevalence of shareholder primacy in companies hinders their long-term contribution to sustainability and influences the interpretation of the concept of “company’s interest”. This has been increasingly understood as the maximisation of shareholder value in the short term. This social norm has been thought to be a legal provision, even if no jurisdictions prescribe this>, p. 32
  • Pressure from investors: <As far as investors are concerned, the growing importance of institutional investors correlates with a shortening of investor engagement in companies, in terms of shorter tenue of shares and increased frequency of portfolio turnovers, as described by economic data and findings surmised from the literature review. These developments, combined with the increased role played by activist investors – like activist hedge funds – having an explicit short-term orientation, determined an overall dynamic in which investors with a short-term focus exert pressure on boards to focus on short-term shareholder value maximisation and distribution, rather than on long-term value creation>, p. 33;
  • Sustainability strategy, sustainability targets and estimation of sustainability risks and impacts: <Embedding sustainability aspects in business strategy, or setting a sustainability strategy,124 as well as setting measurable targets, seems to be a key step for companies to reduce sustainability-related risks and negative impacts, maximise opportunities, and move their business beyond short-term focus and create value in the long term. However, as shown by the legal review, with a few exceptions, national regulatory frameworks do not enshrine an obligation for companies to adopt and disclose a sustainability strategy. This implies that the adoption of a sustainability strategy, including the identification of science-based ESG targets and their alignment with “global” goals (e.g. the SDGs), is in most cases left to the voluntary initiative and discretion of the companies thus generating a fragmented picture>, p. 34;
  • Board remuneration: <<The current structure of executive pay is also identified in part of the literature as a key driver behind short-termism. A substantial strand of literature argues that share-based remuneration of executives reinforces, rather than works against, the capital market pressure for maximisation of  returns to shareholders in the short term. Share-based remuneration schemes create incentives for executives to focus on shareholder value maximisation and manage corporate resource in a way aimed to increase share price, benefiting themselves and the shareholders, at the expense of investments that are necessary for the long-term sustainability of the company>, p. 36;
  • Board composition: <As highlighted by the findings of the literature review,  board composition is key to promote a shift towards greater business sustainability and long-term focus. A diversified board with a wide range of relevant skills and experience is important to challenge the business-as-usual, avoid group think, and raise questions in terms of the long-term sustainability and value creation. Data from the literature suggest that in most companies the board lacks competence and expertise in sustainability matters and is still largely dominated by men. Concerning sustainability expertise, although there is lack of granular data, the literature indicates that companies where the board includes at least one member with ESG, ethics or sustainability experience, or where there is a board-level committee or advisory body with ESG-related responsibilities, are a minority>, p. 36;
  • stakeholder involvement: <As highlighted by the literature, the prominence of shareholder primacy in corporate governance and the pressure it generates to pursue short-term profit maximisation leads board members not to take sufficient account of the long-term interests of stakeholders other than shareholders (such as employees, creditors, suppliers, customers and the society at large as well as the environment).     This can have negative consequences on the long-term success of a company, as it might undermine its social license to operate. As a matter of regulatory frameworks, it is argued in the literature that, to some extent, a duty for directors to take the interests of all stakeholders into account is recognised, in some form or another, in all EU jurisdictions.>, p. 37. Un maggior coinvolgimento degli stakeholders <can help companies to counterbalance pressure from financial markets and short-term investors and give “voice” – if not representation – to subjects with a strong interest in the long-term sustainability of the company>, p. 37;
  • l’enforcement, alquanto problematico: <As a consequence, enforcement of the company’s claims against its directors faces two major problems: conflict of interest (obvious in the case of one-tier board structure, where the board brings the company’s claim against its own member), and collective action (in case of derivative actions, the shareholders who bring the legal action bear all costs, while benefits from the claimant’s efforts accrue also to passive shareholders). As reported in the literature, due to these obstacles, enforcement levels are currently low in all Member States.   In the current context, stakeholders of the company (other than shareholders) lack legal standing to enforce directors’ duty of care, even when they have a legitimate interest in the long-term sustainability of the company. This means that stakeholders such as employees, local communities, etc. lack enforcement mechanisms to effectively ensure the protection of their legitimate interests in corporate activities, and therefore to exercise substantial influence over the board and board members and keep them accountable>, p. 38.

Ciò visto, è necessaria un’azione a livello europeo per i motivi spiegati a p. 44 segg.

Seguono possibili soluzioni, dalla più morbida a quella più rigida (a livello legislativo): § 4.4. segg., p 50 ss

Non mancano critiche : v. il dibattito aperto su questo Report dall’Oxford Business Law Blog e qui i post ad es. di Roe-Fried-Spamann-Wang, EC Corporate Governance Initiative Series: ‘The European Commission’s Sustainable Corporate Governance Report: A Critique’ del 20.10.2020 oppure Richter-Ohnemus-Thomsen, EC Corporate Governance Initiative Series: ‘A Response From the Copenhagen Business School’ del 26.10.2020.

Corporate governance e sostenibilità: dice la sua Blackrock

Circa il tema in oggetto, sempre più importante, Blackrock (poi: B.), uno dei maggiori investitori al mondo (se non il maggiore in assoluto), ha fatto uscire il Report sui propri progetti Our approach to  sustainability-BlackRock Investment Stewardship, n° 343750-EN-JUL2020 (informazioni aggiornate a luglio 2020, si legge).

Riguarda non solo l’emergenza ambientale, ma anche altri aspetti della sostenibilità. Il succo è che B. si attiverà per promuoverla, pungolando il management delle società partecipate, ritenendo che la sostenibilità socioambientale sia anche portatrice di profitti.

Il punto è invero discusso, ma -nel lungo termine-  probabilmente è così (è solo questione di durata temporale della prospettiva di investimento adottata). Il vero punto giuridico è: alla luce del fatto che  la catastrofe ambientale, cui stiamo andando incontro, è assai probabile se non certa, la sostenibilità può essere perseguita anche se pregiudica nell’immediato i profitti, nel caso -frequentissimo, se non totaltiario- che il contratto di “ingaggio” del management e quello sociale nulla dicano in proposito? O magari anche se questi documenti contrattuali per ipotesi si esprimessero contro la sostenibilità, invocando una prospettiva di corto periodo?

Vediamo alcuni passi di queste dichiraizoni pubblicate da B..

sezione 1 sul clima:

<In our direct dialogue with company leadership, we seek to understand how a company’s strategy, operations and long-term performance would be affected by the transition to a low-carbon economy and other climate risks. Broadly, we aim to ensure that companies are effectively managing the risks and opportunities presented by climate change and that their strategies and operations are aligned with the transition to a low-carbon economy – and specifically, the Paris Agreement’s scenario of limiting warming to two degrees Celsius or less, which is laid out in the ‘Metrics and Targets’ pillar of the TCFD framework. Such engagement can help inform the approach taken by corporate leadership as they advance their sustainability practices and disclosure>, p. 7

Il processo “persuasivo” sarà graduale: <Our approach employs a natural escalation process. If we are not satisfied with a company’s disclosures, we typically put it ‘on watch’ and give the company 12 to 18 months to meet our expectations. (The complexity of many sustainability issues may necessitate detailed reviews of operations by the company if it is to make substantive disclosures that inform investors.) If a company has still failed to make progress after this timeframe, voting action against management typically follows.>, p. 8.

B. spiega il votare contro il management e l’appoggiare proposte dei soci: <When we vote against a company, we do so with a singular purpose: maximizing long-term value for shareholders. There are two main categories of our voting actions: holding directors accountable and supporting shareholder proposals. Both can be valuable tools in the stewardship toolkit. Shareholder proposals, while often non-binding and less common outside of the U.S., can garner significant attention and send a strong public signal of disapproval. Our approach typically employs votes against directors more frequently since they are a globally applicable signal of concern; additionally, significant votes against directors register strongly with both the individual director and the full board, and, importantly, failure to win a substantial majority frequently results in a director stepping down before the next annual meeting.>, p. 9

Quanto alle proposte degli azionisti, dice così: <Voting on shareholder proposals offers another way to express targeted disapproval of a company’s policies or practices. BIS may support shareholder proposals that address issues material to a company’s business model, which need to be remedied urgently and that, once remedied, would help build long-term value. We may support proposals seeking enhanced disclosure if the information requested would be useful to us as an investor and if management has not already substantively provided it. To gain our support, the requests made in a shareholder proposal should be reasonable and achievable in the time frame specified. In some cases, shareholder proposals address issues that may not be material to the company’s business operations or risk or suggest changes that are not reasonably achievable within the specified timeframe. In such instances, we generally decline to support the proposals but may vote against directors where we agree that the proposal highlights a failure (such as insufficient climate  risk disclosure).>, p. 9-10.

sezione2 : Promoting transparency on climate and broader sustainability risks:

Prosegue B dicendo che spingerà le società <to use the TCFD framework and SASB standards as the basis for their sustainability reporting. Both are practitioner-led and continue to evolve in response to feedback from stakeholders on the materiality of certain sustainability issues, on what information is most relevant to investment decision-making and on the need for globally applicable, industry-specific reporting standards. BlackRock contributes to improving market practices, as an original member of the TCFD Board and a member of the Investor Advisory Group of the SASB. We also expect that emerging regulatory standards, particularly the European Union’s Non-Financial Reporting Directive, will provide the granular, comparable metrics and targets that investors are seeking.>, p. 18.

La sostenibilità, poi, va oltre la questione climatica, involvendo altri profili tra cui la qualità dei rapporti interpersonali: <It is our investment conviction, grounded in research, that companies with sustainable business practices can deliver better long-term, risk-adjusted returns. Companies with clear purpose that build strong relationships with their employees, suppliers, and other stakeholders are more likely to meet their strategic objectives, while poor relationships can reduce productivity, harm product and service quality, and even jeopardize a company’s social license to operate. For this reason, we have long made human capital management one of our engagement priorities. Our broad approach to human capital management touches upon eight of the UN’s Sustainable Development Goals – including decent work and economic growth, gender equality, reduced inequalities, and good health and well-being. Well-supported employees, who align with the company’s purpose, are more likely to be engaged and play a central role in creating sustainable long-term value. As such, our approach focuses on the board’s effectiveness in overseeing how a company meets the expectations of its workforce.>, p. 21.

Valutazione comparativa ex art. 2378 c. 4 c.c. per la sospensione cautelare di delibera societaria impugnata: un caso recente

Nella lite ormai annosa Vivendi c. Mediaset ( su cui v. miei post del 10.09.2019 e del 16.01.2019), un recente provvedimento cautelare milanese applica il bilanciamento tra l’interesse dell’impugnante e quello della società resistente, disposto dall’art. 2378 c. 4.

Si tratta dell’ordinanza di Trib. Milano  03.02.2020, giudice : d.ssa Riva Crugnola, procc. riuniti RG 33508/2-3-4-5 del 2019.

Secondo la  disposizione appena citata, <<il giudice designato per la trattazione della causa di merito, sentiti gli amministratori e sindaci, provvede valutando comparativamente il pregiudizio che subirebbe il ricorrente dalla esecuzione e quello che subirebbe la societa’ dalla sospensione dell’esecuzione della deliberazione; puo’ disporre in ogni momento che i soci opponenti prestino idonea garanzia per l’eventuale risarcimento dei danni.>>
Il tribunale con la cit. ord. 03.02.2020, a scioglimento della riserva assunta all’udienza di due giorni prima, nega la cautela.
La domanda di merito mira a annullare due delibere dell’assemblea soci di Mediaset spa: <<procedimenti cautelari riuniti qui in esame riguardano la richiesta di sospensione ex art.2378 cc delle due delibere adottate dall’assemblea dei soci di MEDIASET SPA rispettivamente il 4.9.2019 e il 10.1.2020,
la prima recante approvazione del progetto di fusione transfrontaliera tra MEDIASET SPA (d’ora in avanti anche solo MEDIASET) e MEDIASET ESPANA COMUNICACION SA (d’ora in avanti anche solo MESPANA) con incorporazione di entrambe nella società olandese destinata ad essere ridenominata MEDIAFOREUROPE NV (d’ora in  avanti anche solo MFE),
la seconda recante approvazione di modifiche allo statuto di MFE post-fusione a seguito dei rilievi svolti dalle socie di MEDIASET impugnanti la prima delibera, VIVENDI SA e Simonfidspa>>, pp. 4-5.
Secondo Vivendi, la delibera è abusiva sostanzialmente perchè ha lo scopo di rafforzare i poteri della maggioranza (in base al più favorevole diritto olandese) senza corrispondere ad alcun progetto industriale , p. 6/7.
Secondo Mediaset invece ci sono solide ragioni di business legate soprattutto alla necessità aumentare la dimensione aziendale. Inoltre l’incoremento di potere corporativo della maggioranza è compensato da specifici diritti per le minoranza, p. 8/9.
Il Tribunale inizia a dire che le delibere vanno considerate unitariamente, p. 9.
Passa poi ad esaminare i pericula (per Mediaset dalla sospensione e per Vivendi dalla non sospenszione) per conclduere che il primo è maggiore del secondo, soprauttto perchè -a differenza da esso- non è risarcibile.
Infatti il rimedio risarcitorio per Vivendi esiste, mentre per Mediaset <<l’impossibilità di procedere alla fusione derivante dalla sospensione delle due delibere  impugnate rappresenterebbe (…) un evento senz’altro  pregiudizievole in termini non solo organizzativi ma anche industriali ed economici, in particolare impedendo uno sviluppo dimensionale ritenuto  indispensabile nel mercato di riferimento e, comunque, risolvendosi nel “blocco” di una iniziativa ampiamente illustrata ai mercati con tutte le ovvie conseguenze anche in termini di valutazione da parte degli stessi mercati; tale pregiudizio, in quanto attinente allo stesso sviluppo trans-nazionale dell’attività imprenditoriale propria della convenuta, o sviluppo la cui evoluzione secondo le linee da tempo programmate sarebbe bruscamente impedito, appare dunque al Tribunale particolarmente rilevante e non suscettibile di futura riparazione risarcitoria adeguata, incidendo sulle stesse modalità di esercizio dell’impresa, i cui risultati alternativi sarebbero -per le innumerevoli varianti da considerare- di difficilissima se non impossibile quantificazione nel caso -all’esito dei procedimenti di merito- le delibere impugnate fossero ritenute valide>>, p. 10.
In sintesi <<all’esito della comparazione dei pregiudizi ex art.2378 cc sono dunque ravvisabili: – da un lato, per la convenuta MEDIASET, un pregiudizio attinente allo stesso funzionamento dell’ente ed alle sue prospettive di sviluppo, come tale da considerare irreparabile; – dall’altro un pregiudizio per le impugnanti riconducibile al minor peso della loro partecipazione post-fusione, risolventesi in un minor valore della partecipazione suscettibile di rimedi risarcitori, con esito finale, dunque, nel senso della maggior rilevanza del pregiudizio che si verificherebbe in capo alla convenuta in caso di accoglimento delle istanze cautelari, istanze che vanno quindi rigettate>>, p. 11.
Concludo ricordando l’interessante questione posta da Vivendi: l’operazione di fusione con spostamento della sede in Olanda avrebbe il solo scopo di incrementare i poteri dei soci di maggiorenza, senza ulteriori scopi industriali. Il che attiene allo scopo della società: che di solito è individuato in quello di fare profitti e, oggi va aggiunto, di farli in modo sostenibile [precisazione densa di conseguenze giuridiche].
Sul purpose of the company v. il post <<A Fuller Sense of Corporate Purpose: A Reply to Martin Lipton’s ‘on the Purpose of the Corporation’>> di Bernard S. Sharfman del 9 giugno nel blog di Oxf. Univ.  che risponde a due post di Martin Lipton (uno dei più noti avvocati di diritto societario statunitense), ivi linkabili.

Riscaldamento globale, stabilità finanziaria e prezzi azionari : report del Fondo Monetario Internazionale

Il Fondo Monetario Internazionale (IMF) ha fatto uscire in aprile 2020 un interessante Global Financial Stability Report: Markets in the Time of COVID-19.

Qui interessa riferire del chapter 5  Climate Change: Physical Risk and Equity Prices .

Qui si leggono considerazioni interessanti sul fatto sia che le imprese e gli analisti hanno tenuto in scarsa considerazione i rischi da cambiamentoclimatico, sia che invece dovrebbero farlo (o avrebbero dovuto farlo). Ci sono anche indicazioni metodologiche allo scopo.

Il climate change può influire sulla stabilità finanziaria in due modi:

<<First, a climatic hazard can turn into a disaster if it happens in an area where the exposure is large and vulnerability is high. Such a disaster affects households, nonfinancial firms, and the government sector through the loss of physical and human capital, thereby causing economic disruptions that can possibly be significant. Financial sector firms are exposed to these shocks through their underwriting activity (insurers), lending activity (mostly banks), and the portfolio holdings of affected securities (all financial firms). Financial institutions could also be exposed to operational risk (such as in cases in which their structures, systems, and personnel are directly affected by an event) or to liquidity risk (such as if a disaster triggers sizable withdrawal of customer deposits). Insurers play a special role in absorbing shocks. The provision of insurance concentrates the impact of the shock on the insurance sector and reduces the impact on other economic agents.3 Governments also generally play an important cushioning role by providing some forms of insurance, as well as relief and support in the aftermath of a disaster. The strain on government balance sheets after a disaster could potentially have financial stability implications given the strong sovereign-bank nexus in many economies.

Second, investors form beliefs about physical risk—the result of a combination of climatic hazards, exposures, and vulnerabilities—as well as insurance coverage (and risk sharing more broadly, including through the government) at various time horizons in the future. Standard asset pricing theory suggests that investors should demand a premium for holding assets exposed to a future increase in physical risk induced by climate change. In other words, these assets should have a lower price compared with assets with similar characteristics but not exposed to this change in physical risk. However, because the nature of the risk is long term, and depends on complex interactions between climate variables and socioeconomic developments that are difficult to model, markets may not price future physical risk correctly, potentially leading to capital misallocation and economic inefficiency. Perhaps more important from a financial stability perspective, a sudden shift in investors’ perception of this future risk could lead to a drop in asset values, generating a ripple effect on investor portfolios and financial institutions’ balance sheets>>, p. 86/7

I risultati dell’indagine son così riassunti:

<< Climate change is a source of financial risk for investors that could lead to adverse consequences for financial stability. However, over the past several decades, the reactions of aggregate equity prices, bank equity prices, and insurance equity prices to large climatic disasters have generally been modest, in particular in economies with high rates of insurance penetration and sovereign financial strength. Pricing future climate risks is extremely challenging, given the large uncertainties around climate science projections and the economic cost of predicted hazards. However,  current economy-level equity valuations as of 2019 are generally not statistically significantly associated with the currently available proxies of future changes in physical risk. Furthermore, equity investors do not seem to have paid full attention to temperature, which could suggest that they do not pay full attention to climate change either. The analysis implies that, in the current baseline scenario, in which climate change mitigation policies are projected to remain weak globally, domestic financial stability will be best protected if governments preserve or enhance their financial strength, reduce barriers to non–life insurance penetration while ensuring adequate capital in the insurance sector, and encourage adaptation. Soberingly, preserving or enhancing financial strength appears challenging as public debt ratios continue to increase (see Chapter 1). In addition, better measurement and increased disclosure of exposure and vulnerability to climatic hazards would help reduce investors’ informational challenges and facilitate risk pricing>>, p. 88.

Si v. infine il § Equity Pricing of Future Climate Change Physical Risk sui metodi di pricing, p. 93 ss

L’applicabilità della business judgement rule alle scelte organizzative (più un cenno alla pretesa rinuncia al credito ravvisabile nella cancellazione della società creditrice)

Un provvedimento cautelare romano esamina i due temi in oggetto. Si tratta della odinanza cautelare 08.04.2020, RG 8159/2017-8159-1/2017, giudice Guido Romano, relativa all’azione di responsabilità contro gli amministratori di Enpam Sicura srl (di cui socio unico era Enpam, cassa di previdenzxa dei medici).

L’ordinanza  è leggibile in  www.giurisprudenzadelleimprese.it con massime di P.F. Mondini.

1°  – Circa il primo profilo il tribunale si adegua all’orientamento dominante, secondo cui la richiesta di cancellazione di una società di capitali, in presenza di posti attive, comporta tacita rinuncia ai crediti relativi.

<<dunque, la giurisprudenza distingue, nell’ambito delle posizioni attive residue, non definite o sopravvenute, a seconda che si tratti di posizioni «gestite» da parte del liquidatore prima di richiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese, oppure di mere pretese rispetto alle quali il mancato espletamento di un’attività di gestione delle medesime, da parte del liquidatore, fa presumere un disinteresse e, quindi, una tacita rinunzia da parte della società, poi estinta. Con riferimento alle prime, invece, l’effetto «rinunziativo» è impedito da una attività – «ulteriore» rispetto alla sola cancellazione della società dal registro delle imprese – del liquidatore, consistente in una «espressa» gestione della posizione, attraverso, ad es., la cessione del credito (ancorché litigioso) a terzi e l’inclusione del corrispettivo nel bilancio di liquidazione (e, dunque, nella distribuzione del ricavato) ovvero ancora nella attribuzione di un diritto già azionato ad un determinato socio (con menzione nella nota integrativa)>> p. 8/9

Nel caso specifico il giudice rigetta la domanda di accertamento di tacita rinuncia, dal momento che il giudizio introdotto da Enpam andava qualificato come rapporto giuridico “coltivato” prima di procedere a chiedere la cancellazione. Per questo il credito non  è ritenuto abbandonato e nella suta titolarità sono subentrati i soci (socio unico) della società cancellata. Tuttavia Il tribunale dichiara in generale di attenersi all’orientamento dominante.

Qui mi limito a dire che tale tesi, del tutto dominante, non persuade. Infatti l’atto di rinuncia comportante l’abdicazione ad un proprio diritto per poter essere ravvisato nella modalità tacita richiede fatti del tutto significativi, inequivocabilmente concludenti: certo tale non è una semplice condotta omissiva, quale la non menzione nel bilancio di liquidazione e/o nella delibera di assegnazione ai soci subentranti uti singuli.

La remissione del debito (art.1236 cc), che per i più è un negozio unilaterale, può sì consistere in condotte diverse dalla dichiarazione ad hoc: purchè, tuttavia, si tratti di fatti concludenti e non equivoci. La legge stessa ne ipotizza uno: restituzione volontaria del titolo originale ex art. 1237/1.

La posizione maggioritaria cennata, dunque, non trova rispondenza nell’ordinamento-.

2° – E’ invece condivisibile l’affermazione, secondo cui -in tema di responsabilità degli amministratori- la business judgment rule si applica non solo alle scelte gestionali in senso stretto ma anche a quelle (per così dire a monte) di tipo organizzativo.

La tesi è da molti contestata; a me pare invece esatta.

Il tribunale dà per scontati profili importanti come la natura contrattuale dell’azione sociale (rectius della responsabilità fatta valere con l’azione sociale), e come la natura colposa della responsabilità, trascurando che questo tema -al netto di molta confusione terminologico/concettuale- è molto controverso nella responsabilità contrattuale generale (forse proprio per la confusione).

A parte ciò però (e una certa imprecisione da dove a pagina 15 chiede la riconducibilità della lesione- invece che del danno-  al fatto dell’amministratore), le successive considerazioni in tema di business Judgement rule convincono. Vale la pena di riportarle.

Il tribunale procede dicendo che<<il principio della insindacabilità delle scelte di gestione non è assoluto, avendo la giurisprudenza elaborato due ordini di limiti alla sua operatività. La scelta di gestione è insindacabile, in primo luogo, solo se essaè stata legittimamente compiuta (sindacato sul modo in cui la scelta è stata assunta) e, sotto altro aspetto, solo se non è irrazionale (sindacato sulle ragioni per cui la scelta compiuta è stata preferita ad altre)>>Pagina 15/16.

Ricordato il dovere di curare l’adetguatezza dell’assetto ex art. 2381 cc (p. 16 in fine), il tribunale così osserva:

<<Ebbene, sebbene debba darsi atto di un orientamento dottrinario che  ritiene che  on sia possibile traslare i principi che sorreggono la regola sopra evidenziata alle scelte non gestorie, ma organizzative, ritiene il Tribunale che sia condivisibile la conclusione favorevole. In tale prospettiva, in estrema sintesi, si evidenzia che la funzione organizzativa rientra pur sempre nel più vasto ambito della gestione sociale e che essa deve necessariamente essere esercitata impiegando un insopprimibile margine di libertà, per cui le decisioni relative all’espletamento della stessa vengono incluse tra le decisioni strategiche. In altre parole, la predisposizione di un assetto organizzativo non costituisce l’oggetto di un obbligo a contenuto specifico, ma al contrario, di un obbligo non predeterminato nel suo contenuto, che acquisisce concretezza solo avuto riguardo alla specificità dell’impresa esercitata e del momento in cui quella scelta organizzativa viene posta in essere.  E va da sé che tale obbligo organizzativo può essere efficacemente assolto guardando non tanto a rigidi parametri normativi (non essendo enucleabile dal codice un modello di assetto utile per tutte le situazioni), quanto ai principi elaborati dalle scienze aziendalistiche ovvero da associazioni di categoria o dai codici di autodisciplina.  Così, come è stato efficacemente affermato, l’esistenza di un ambito discrezionale entro il quale gli amministratori possono compiere le loro scelte aventi carattere organizzativo deriva dal fatto che il legislatore ha utilizzato come criterio di condotta, a cui essi devono attenersi nella configurazione e nella verifica degli assetti societari, la clausola generale dell’adeguatezza e, dunque, una clausola elastica, al pari, della clausola di diligenza dovuta nel realizzare una scelta imprenditoriale. In definitiva, la scelta organizzativa rimane pur sempre una scelta afferente al merito gestorio, per la quale vale il criterio della insindacabilità e ciò pur sempre nella vigenza dei limiti sopra esposti e, cioè, che la scelta effettuata sia razionale (o ragionevole), non sia ab origine connotata da imprudenza tenuto conto del contesto e sia stata accompagnata dalle verifiche imposte dalla diligenza richiesta dalla natura dell’incarico>>

Nulla da aggiungere, tutto esatto (tranne, volendo sottilizzare: l’adeguatezza non è clausola elastica, al pari della diligenza: l’adeguatezza è proprio la diligenza, applicata al profilo organizzativo della prestazione gestoria).

Del resto a ben vedere non può che essere così: dovunque ci sia discrezionalità e cioè pluralità di scelte tutte ex-ante razionalmente giustificabili, non si può che lasciare libero l’amministratore. Ci si deve infatti sempre mettere nell’ottica ex ante e curando al massimo (con specifico sforzo psicologico)  di non farsi depistare dal senno di poi, c.d.  hindsight bias

Questa affermazione di applicabilità della b.i.r. alle scelte organizzative è stata successivamente condivisa da Trib. Roma sez. spec. decr. 24.09.2020, rel. Bernardo, Giuffrida e aa. c. Prandi e aa., Foro. it., 2020/12, 3965 (che richiama il precedente “concittadino” di aprile).

Questa pronuncia del 2020, però, limita il concetto di <gestione>, quando il cocnetto sia quello di cui all’art. 2409 cc (gravi irregolarità), osservando:  <<La nuova formulazione della norma, che fa riferimento all’esistenza del fondato sospetto di «gravi irregolarità nella gestione» — a differenza della precedente formulazione dell’art. 2409 c.c. che richiedeva il «fondato sospetto di gravi irregolarità nell’adempimento dei doveri degli amministratori e dei sindaci» — consente di affermare come non assuma rilievo qualsiasi violazione di doveri gravanti sull’organo amministrativo, ma soltanto la violazione di quei doveri idonei a compromettere il corretto esercizio dell’attività di gestione dell’impresa e a determinare pericolo di danno per la società amministrata o per le società controllate, con esclusione di qualsiasi rilevanza, invece, dei doveri gravanti sugli amministratori per finalità organizzative, amministrative, di corretto esercizio della vita della compagine sociale e di esercizio dei diritti dei soci e dei terzi estranei.>>

Il punto è interessante e merita approfondimento.    A prima vista però pare arbitrario restringere il concetto di gestione nell’art. 2409 mentre lo si allarga nell’art. 2392. Nè giova la differenza di dettato tra la precedente (gr. irr. nell’adempimento dei doveri) e l’attuale versione (gr. irr. nella gestione) dell’art. 2409, come opina il Tribunale: anche nell’art. 2392, infatti,  si parla indirettamente ma sicuramente di doveri <gestionali>, dato che per l’art. 2381/1 agli amministratori incombe proprio la gestione dell’impresa (è irrilevante che la disposizione, sotto il profilo letterale, non menzioni <obblighi>) (ma non cambierebbe nulla anche considerando solamente l’art. 2392 cc).

Novità per le prossime assemblee sociali (DL 18/2020 c.d. cura Italia, art. 106)

Il nuovo DL “emergenziale” per sorreggere il nostro paese in un momento difficilissimo (DL 18 del 17.03.2020, in GU n. 70 di pari data), prevede anche qualche norme di interesse civilistico e commercialistico.

Tra queste ultime c’è l’art. 106 (Norme in materia di svolgimento delle assemblee di società) di cui riporto il testo (non esamino l’ottavo ed ultimo, relativo al finanziamento):

<<1. In deroga a quanto previsto dagli articoli 2364, secondo comma, e 2478-bis, del codice civile o alle diverse disposizioni statutarie, l’assemblea ordinaria è convocata entro centottanta giorni dalla chiusura dell’esercizio.>>

c. 1: secondo i due articoli citati, “L’assemblea ordinaria deve essere convocata almeno una volta l’anno, entro il termine stabilito dallo statuto e comunque non superiore a centoventi giorni dalla chiusura dell’esercizio sociale.” (cit testuale dal primo).  Il DL dunque allunga il termine da 120 a 180 gg.

Sembra però dire qualcosa in più e cioè abrogare la vincolatività dell’eventuale termine statutario. A prima vista parrebbe dire infatti d’imperio che l’ass. ordinaria può essere sempre e comunque convocata entro 180 gg.: cioè non parrebbe esservi spazio per un diverso (minor) termine statutario. Conseguenza tuttavia incongrua: non si vede perchè quest’ultimo in epoca di pandemia debba perdere efficacia giuridica.

La fruizione del termine allungato naturalmente non è obbligatoria. Una scelta in tale senso in ogni caso comporterà una delibera del CdA.

<<2. Con l’avviso di convocazione delle assemblee ordinarie o straordinarie le società per azioni, le società in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata, e le società cooperative e le mutue assicuratrici possono prevedere, anche in deroga alle diverse disposizioni statutarie, l’espressione del voto in via elettronica o per corrispondenza e l’intervento all’assemblea mediante mezzi di telecomunicazione; le predette società possono altresì prevedere che l’assemblea si svolga, anche esclusivamente, mediante mezzi di telecomunicazione che garantiscano l’identificazione dei partecipanti, la loro partecipazione e l’esercizio del diritto di voto, ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli 2370, quarto comma, 2479-bis, quarto comma, e 2538, sesto comma, codice civile senza in ogni caso la necessità che si trovino nel medesimo luogo, ove previsti, il presidente, il segretario o il notaio.>>

c. 2 : è possibile intervenire in assemblea per via telematica e votare elettronicamente o per corrispondenza (nulla si dice sul consiglio di amministrazione e collegio sindacale, ai quali non sarà applicabile: conf. Irrera,  Le assemblee (e gli altri organi collegiali) delle societa’ ai tempi del coronavirus (con una postilla in tema di associazioni e fondazioni), in ilcaso.it, 22.02.2020, § 8), anche in presenza di contraria regola statutaria: basta che il CdA lo indichi nell’avviso.

E’ anche possibile effettuare un’assemblea totalmente telematica (sempre in deroga ad eventuali regole di statuto), pure su scelta del CdA, direi: purchè siano identificabili e vengano identificati i partecipanti.

Nemmeno è richiesta la riunione fisica dei componenti dell’ufficio di presidenza.

<<3. Le società a responsabilità limitata possono, inoltre, consentire, anche in deroga a quanto previsto dall’articolo 2479, quarto comma, del codice civile e alle diverse disposizioni statutarie, che l’espressione del voto avvenga mediante consultazione scritta o per consenso espresso per iscritto.>>

c. 3 : è generalizzata la ricorribilità al metodo della consultazione scritta o del consenso espresso scritto, anche nei casi dell’art. 2479/4 e anche in presenza di statuto contrario. La disposizione lascia aperti diversi interrogativi e non modesti.

Ad es. , a chi compete la scelta in tale senso? Agli amministratori, direi: in generale, quando il potere è attribuito <<alla società>>, in mancanza di altra regola, spetta a chi la governa e cioè -nel sistema tradizionale- al CdA (non può spettare ai soci decidere come essere convocati per una successiva delibera: come prenderebbero la “predecisione”?). Però nella srl questo profilo è complesso, poichè l’art. 2479 c.1 attribuisce il potere di mettere in moto l’iter decisionale anche  ad un terzo dei soci.

Inoltre: rimane il potere di chiedere la forma piena di delbierazione in capo uno o più ammnistratori o ad un terzo dei soci, ex art. 2479 c.4 ? Direi di no.

Da ultimo: quale è l’area di derogabilità all’art. 2479 c. 4 (che esclude in certi casi la collegialità attenuata del c.3), delineata dalla disposizione in commento? Qualunque tipo di delibera? Ad es. anche modifiche statutarie, che richiedono la presenza di un notaio (art. 2480 cc)? Letteralmente si, dato che non ci sono limiti: ma ciò nonostante su quest’ultimo punto la risposta positiva pare azzardata e dunque da respingere.

<<4. Le società con azioni quotate possono designare per  le assemblee ordinarie o straordinarie il rappresentante previsto dall’articolo 135-undecies del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, anche ove lo statuto disponga diversamente. Le medesime società possono altresì prevedere nell’avviso di convocazione che l’intervento in assemblea si svolga esclusivamente tramite il rappresentante designato ai sensi dell’articolo 135-undecies del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58; al predetto rappresentante designato possono essere conferite anche deleghe o subdeleghe ai sensi dell’articolo 135-novies del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, in deroga all’art. 135-undecies, comma 4, del medesimo decreto. >>

c. 4: il rappresentato ex art. 135 undecies TUF per le quotate è designabile anche in presenza di contraria regola statutaria; addirittura l’assemblea può svolgersi anche solamente tramite questa figura (per evitare assembramenti, natrualmetne).

Curioso è il riferimento alla deroga al c. 4 del 135 undecies, il quale pone: i) un obbligo di comucazione di conflitti di interesse; ii) un obbligo di riservatezza; iii) l’impossibilità di derogare alla disciplina posta dal 135 undecies medesimo. Quale è allora il significato del c.4 del DL 18 qui esaminato? forse che che il rappresentante è sciolto dagli obblighi sub i-ii? non credo. Allora la deroga sarà alla regola sub iii) : cioè sarà possibile dare deleghe e subdeleghe anche in deroga ai commi 1-3 del medesimo 135 undecies: infatti la loro inderogabilità, posta dal c. 4 ult. periodo, è a sua volta derogata  dalla norma qui esaminata.

Questo comma -sulle quotate- va coordinato col c. 2 -disciplina generale-. L’eventuale rappresentante unico può partecipare in remoto e cioè a distanza? Direi senz’altro di si, anche se è già stata data un’interpretazione contraria (riferisce Olivieri sul Sole 24 ore del 20 marzo 2020).

Irrera, cit., p. 14, si interroga sulla invocabilità di queste disposizioni da parte di società che abbiano già convocato l’assemblea: la sua risposta è positiva.

Lo stesso a. rileva che disposizione analoga è stata inserita per <<le associazioni private anche non riconosciute e le fondazioni >>: solo che si trova in altro articolo del DL 18, precisamente nell’art. 73 c. 4. Cosa assai strana, dato che l’art. 73 disciplina le riunioni degli organi collegiali di enti pubblici e verosimilmente costituente una svista dettata dalla grave urgenza.

<<5. Il comma 4 si applica anche alle società ammesse alla negoziazione su un sistema multilaterale di negoziazione e alle società con azioni diffuse fra il pubblico in misura rilevante.>>

Estende la disciplina del c. precedente anche oltre l’area delle quotate.

<<6. Le banche popolari, e le banche di credito cooperativo, le società cooperative e le mutue assicuratrici, anche in deroga all’articolo 150-bis, comma 2-bis, del decreto legislativo 1° settembre 1993 n. 385, all’art. 135-duodecies del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 e all’articolo 2539, primo comma, del codice civile e alle disposizioni statutarie che prevedono limiti al numero di deleghe conferibili ad uno stesso soggetto, possono designare per le assemblee ordinarie o straordinarie il rappresentante previsto dall’articolo 135-undecies del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. Le medesime società possono altresì prevedere nell’avviso di convocazione che l’intervento in assemblea si svolga esclusivamente tramite il predetto rappresentante designato. Non si applica l’articolo 135-undecies, comma 5, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. Il termine per il conferimento della delega di cui all’art. 135-undecies, comma 1, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, è fissato al secondo giorno precedente la data di prima convocazione dell’assemblea.>>

c. 6: la disciplina generale delle quotate del c. 4 viene sostanzialmente estesa alle banche ivi indicate (ambiguo il riferimento alle <<società cooperative>>: solo se banche o in generale?)

<<7. Le disposizioni del presente articolo si applicano alle assemblee convocate entro il 31 luglio 2020 ovvero entro la data, se successiva, fino alla quale è in vigore lo stato di emergenza sul territorio nazionale relativo al rischio sanitario connesso all’insorgenza della epidemia da COVID-19>>

c. 7: La disposizione disciplina ratione temporis l’ambito applicativo della novella: solo per le assemblee convocate entro il 31 luglio p.v. o entro la successiva (non anteriore: ipotesi allo stato comunque improbabile)  data di cessazione dell’emergenza . Ciò a prescindere dalla data di invio o ricevimento dell’avviso di convocazine (o altro mezzo pubblicitario) (tanto più a prescidnere dalla data di delibra del CdA): conta solo un elemento e cioè che la data fissata per l’assemblea sia anteriore a quella qui indicata.

Si dovrebbe individuare la fonte normativa che ha dichiarato lo stato di emergenza: pare la delibera del Consiglio dei ministri 31.01.2020, che lo dichiara per sei mesi (così si legge nelle premesse del DPCM 1 marzo 2020, Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, GU Serie Generale n.52 del 01-03-2020).

Effettivamente la delibera CdM 31.01.2020, Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili ((GU Serie Generale n.26 del 01-02-2020),  così dice: << 1) In considerazione di quanto esposto in premessa, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 7, comma 1, lettera c), e dell’articolo 24, comma 1, del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1, e’ dichiarato, per 6 mesi dalla data del presente provvedimento, lo stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili.  2) Per l’attuazione degli interventi di cui dell’articolo 25, comma 2, lettere a) e b) del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1, da effettuare nella vigenza dello stato di emergenza, si provvede con ordinanze, emanate dal Capo del Dipartimento della protezione civile in deroga a ogni disposizione vigente e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico, nei limiti delle risorse di cui al comma 3.  3) Per l’attuazione dei primi interventi, nelle more della valutazione dell’effettivo impatto dell’evento in rassegna, si provvede nel limite di euro 5.000.000,00 a valere sul Fondo per le emergenze nazionali di cui all’articolo 44, comma 1, del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1>>.

( il c. 8 dell’art. 106 così dispone:  <<8. Per le società a controllo pubblico di cui all’articolo 2, comma 1, lettera m), del decreto legislativo 19 agosto 2016, n.175, l’applicazione delle disposizioni di cui al presente articolo ha luogo nell’ambito delle risorse finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente e non comporta nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.>>)

Forse era il caso di allentare la tempistica anche per altre situazioni societarie: ad es. per quelle regolate dagli artt. 2446 e 2447 sui provvedimenti da prendere in caso di riduzione del capitale per perdite. L’urgenza estrema per un provvedimento così imponente giustifica l’omissione: magari lo si farà in sede di conversione (se il Parlamento riuscirà a riunirsi, avendo anch’esso il rischio di incremento dei contagi, tranne che opti per le stesse modalità procedimentali telematiche qui permesse: ma non potrà omettere di riunirsi in qualche modo, come pure osserva C. Blengino nel suo interessante intervento odierno in ilpost.it, in fine).

Il DL è entrato in vigore il giorno della pubblicazione in GU e dunque il 17 marzo 2020 (art. 127).

Incoraggiamento dell’impegno a lungo termine degli azionisti (attuzione dir. 2017/828)

l’art. 7 della l. 117/2019 aveva posto i seguenti principoi e criteri direttivi specificiper l’attuazione della dir. 2017/828, che modifica la direttiva 2007/36/CE per quanto riguarda l’incoraggiamento dell’impegno a lungo termine degli azionisti :

<<a) apportare al codice delle assicurazioni private, di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, le integrazioni alla disciplina del sistema di Governo societario per i profili attinenti alla remunerazione, ai requisiti e ai criteri di idoneita’ degli esponenti aziendali, dei soggetti che svolgono funzioni fondamentali e dei partecipanti al capitale, al fine di assicurarne la conformita’ alle disposizioni della direttiva 2009/138/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, in materia di accesso ed esercizio delle attivita’ di assicurazione e di riassicurazione, alle disposizioni direttamente applicabili dell’Unione europea, nonche’ alle raccomandazioni, alle linee guida e alle altre disposizioni emanate dalle autorita’ di vigilanza europee in materia;

b) prevedere sanzioni amministrative efficaci, proporzionate e dissuasive ai sensi delle disposizioni di cui all’articolo 1, numero 5), della direttiva (UE) 2017/828, nel rispetto dei criteri e delle procedure previsti dalle disposizioni nazionali vigenti che disciplinano l’esercizio del potere sanzionatorio da parte delle autorita’ nazionali competenti a irrogarle. Le sanzioni amministrative pecuniarie non devono essere inferiori nel minimo a 2.500 euro e non devono essere superiori nel massimo a 10 milioni di euro.>>

Ora è data notizia dello schema di decreto legislativo di recepimento nel sito della Camera, atto del Governo 155 (ove il testo e la Relazione Illustrativa con tabella di concordanza)