Esecuzione del contratto sociale secondo correttezza e buona fede

Trib. Roma n. 1370/2023 del 27.01.2023,  RG 6118/2018, rel. goggi (segnalata da giurisprudenzadelleimprese.it):

<<Se è vero, infatti, secondo quanto previsto dall’art. 1375 c.c., che il contratto sociale deve essere eseguito in buona fede e che, dunque, tutte le determinazioni e decisioni dei soci, assunte formalmente o informalmente durante lo svolgimento del rapporto associativo, debbono essere considerate come veri e propri atti di esecuzione e devono conseguentemente essere valutate nell’ottica della tendenziale migliore attuazione del contratto sociale, dovendosi, dunque, ai fini che qui rilevano, considerare antigiuridico anche un atto che in concreto si presenti espressione dell’inosservanza dell’obbligo di fedeltà allo scopo sociale e/o del dovere di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto sociale, occorre tuttavia che in concreto venga fornita la prova del pregiudizio patrimoniale effettivamente subito e della correlazione eziologica tra la condotta inadempiente del socio ed il danno al patrimonio sociale che viene ritenuto imputabile a tale condotta>>

Chiaro, conciso ed esatto. Il rapporto sociale è contrattuale e ad esso si applica la disciplina del contratto.

Poi sull’onere della prova:

<<Invero, dall’art. 2697 c.c. – che richiede all’attore la prova del diritto fatto valere ed al convenuto la prova della modificazione o dell’estinzione dello stesso – si desume il principio della presunzione di persistenza del diritto: in forza di tale principio, pacificamente applicabile all’ipotesi della domanda di adempimento, ove il creditore dia la prova della fonte negoziale o legale della propria pretesa, la persistenza del credito si presume ed è, dunque, sul debitore che grava l’onere di
provare di aver provveduto alla relativa estinzione ovvero di dimostrare gli altri atti o fatti allegati come eventi modificativi o estintivi del credito di parte avversa (in tal senso, Cass. Sezioni Unite, 30 ottobre 2001, n. 13533; conf., ex plurimis, Cass., 21 maggio 2019, n. 13685; Cass., 13 giugno 2006, n. 13674; Cass., 12 aprile 2006, n. 8615)>>.

Supersocietà di fatto è figura diversa da holding di fatto: nella prima serve anche la c.d. “economia aggiuntiva”

Cass. sez 1 del 15.02.2023 n. 4784, rel. Campese, sull’oggetto.

Sulla presunto requisito della “economia aggiuntiva” per la supersocietà di fatto:

<<5.2. Neppure convince l’assunto per cui (cfr. in particolare, il secondo motivo), nel ritenere configurabile una supersocietà di fatto tra la (Omissis) s.r.l., il G., la (Omissis) s.r.l. e la (Omissis) s.r.l., la corte di appello non avrebbe verificato e riscontrato rigorosamente l’esistenza di un elemento imprescindibile per la configurazione della fattispecie, come richiesto dalla giurisprudenza, ossia il presupposto dell’economicità aggiuntiva derivante dalla società di fatto.

5.2.1. Di economia aggiuntiva, invero, può discutersi – in thesi – in presenza di una holding di tipo personale (che abbia assunto la veste di società di fatto), costituente impresa commerciale suscettibile di fallimento in quanto fonte di responsabilità diretta dell’imprenditore, quando questa agisca in nome proprio per il perseguimento di un risultato economico ottenuto attraverso l’attività svolta, professionalmente, con l’organizzazione ed il coordinamento dei fattori produttivi relativi al proprio gruppo d’imprese.  Deve trattarsi, cioè, di una stabile organizzazione volta a determinare l’indirizzo, il controllo ed il coordinamento di altre società (non limitandosi al mero esercizio dei poteri inerenti alla qualità di socio): il che, appunto, ne consente la configurabilità come un’autonoma impresa assoggettabile a fallimento sia quando la suddetta attività si esplichi nella sola gestione del gruppo, sia quando abbia di natura ausiliaria o finanziaria (cfr. sostanzialmente, in tal senso, Cass. n. 5520 del 2017; Cass. n. 23334 del 2010; Cass. n. 3724 del 2003, Cass. n. 12113 del 2002).   In quest’ottica, allora, le società coordinate devono risultare destinate a realizzare un medesimo scopo economico non corrispondente con quello proprio ed autonomo di ciascuna di queste esse, né coincidente con un mero godimento degli utili eventualmente prodotti dalle medesime.   Peraltro, se è pacifico che, in caso di attività di direzione e coordinamento abusiva, l’holder miri a realizzare un fine di lucro tendenzialmente distinto da quello perseguito dalle singole società eterodirette, esso può, tuttavia, anche coincidere con quest’ultimo, allorquando il profitto conseguito rifluisce nel patrimonio dell’imprenditore capogruppo.   Non occorre, per converso, che l’attività di direzione risulti idonea a far conseguire al gruppo vantaggi economici diversi ed ulteriori rispetto a quelli realizzabili in mancanza dell’opera di coordinamento, né che le attività di servizi realizzate dall’holder disvelino un’economicità autonoma rispetto a quella propria delle attività svolte dalle società controllate.

5.2.2. La corte di appello, tuttavia, condividendo gli assunti del giudice di prime cure, ha chiaramente inteso escludere che, nella specie, si fosse al cospetto di una holding di tipo personale che abbia assunto la veste della società di fatto, sicché nemmeno è utile indugiare ulteriormente sul punto>>.

Perdita della non commercialità dell’ente e automatica qualifica come società di fatto

Cass.  sez. 5, n° 546 del 11.10.2023, rel. D’Aquino:

<< Nel momento in cui l’associazione non riconosciuta, quale ente non commerciale, perde la natura di ente non commerciale, essa viene assoggettata, nel caso in cui si accerti che l’attività già associativa fosse svolta da più associati tra di loro, alla  disciplina degli enti collettivi commerciali (Cass., n. 39789/2021, cit.).

Di conseguenza, stante l’assenza di un formale contratto scritto di società tra i soci, l’attività commerciale svolta tra gli stessi deve ritenersi equiparabile a quella delle società in nome collettivo irregolari (Cass., Sez. Lav., 11 giugno 2010, n. 14084). Nel qual caso, l’intenzionale esercizio in comune tra i soci di un’attività commerciale a scopo di lucro con il conferimento, a tal fine, dei necessari beni o
servizi comporta l’applicazione del regime di trasparenza, «atteso che la disciplina tributaria (artt. 5, terzo comma, lett. b, e 6, terzo comma, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917) non richiede, per la tassazione del reddito di una società di fatto, altro requisito se non la ravvisabilità nel suo oggetto dell’esercizio di un’attività commerciale, e che la costituzione di una società è ammessa anche per l’esercizio occasionale di attività economiche» (Cass., Sez. V, 11 marzo 2021, n. 6835; conf. Cass., Sez. V, 24 dicembre 2021, n. 41510).
11. Deve, pertanto, enunciarsi il seguente principio di diritto: «La perdita della natura decommercializzata dell’attività svolta dagli enti collettivi non societari costituiti nelle forme dell’associazione non riconosciuta e la conseguente qualificazione dell’attività dall’associazione svolta quale attività commerciale comporta, ove la stessa attività venga svolta da più associati in comune tra loro, la qualificazione dell’ente collettivo quale società di fatto e la conseguente applicazione del regime di trasparenza agli associati che siano qualificabili quali soci della medesima società di fatto».   La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del suddetto principio>>.

Il dovere degli amministratori è favorire il beneficio dei soci, secondo il § 172.1 Companies Act del 2006

Secondo la disposizione citata, <A director of a company must act in the way he considers, in good faith, would be most likely to promote the success of the company for the benefit of its members as a whole>.

Il che si determina avendo riguardo al lungo temrine, ai dipendneti etc. (ivi, lettere a-f).

Disposizione assai discussa nella sua portata: in particolare quale è il ruolo degli stakeholders diversi dai soci (soprattutto dei lavoratori)?

Ebbene, la Supreme Court inglese nella sentenza 5 ottobre 2022, BTI 2014 LLC (Appellant) v Sequana SA and others (Respondents), [2022] UKSC 25, dice che <<successo della company>> significa <<successo dei soci>>.

Almeno fino a che la società arriva vicino alla insolvenza, quando l’interesse da realizzare è anche quello dei creditori. Si v. < it is clear that, although the duty is owed to the company, the shareholders are the intended beneficiaries of that duty. To that extent, the common law approach of shareholder primacy is carried forward into the 2006 Act >, § 65

<The considerations listed in paragraphs (a) to (f) are capable of including the
treatment of certain creditors of the company. Creditors are liable to include
employees, suppliers, customers and others with whom the company has business
relationships; and their treatment may well affect the company’s reputation and its
creditworthiness, and have consequences for it in the long term. However, the primary
duty imposed by section 172(1) remains focused on promoting the success of the
company for the benefit of its members>, § 67.

E poi  : < In addition, it seems to me that acceptance that the fiduciary duty of directors to the
company is re-oriented so as to encompass the interests of creditors, when the
company is insolvent or bordering on insolvency, must result in a similar re-orientation
of related duties. The proper purposes for which powers can be exercised, in
accordance with section 171, include advancing the interests of the company, which in
those circumstances must be understood as including the interests of its creditors, as
was held in In re HLC Environmental Projects Ltd [2013] EWHC 2876 (Ch); [2014] BCC
337, para 99. Similarly, the duty under section 174 to exercise reasonable care, skill
and diligence must be directed, in those circumstances, to the interests of the
company as understood in that context, as appears to have been accepted in a number of cases>. § 73

Si tratta di sentenza molto ampia, diffusa da più fomnti : ad es. Irene-marie Esser e  Iain G MacNeil,   Shareholder Primacy and Corporate Purpose, 21 dic. 2022.

Direttiva relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità: impulso dal COREPER

Il comitato dei rappresentanti permanenti (COREPER) del Consiglio UE  ha invitato in data 30.12.2022 il Consiglio stesso ad approvare un orientamento genrale circa la proposta di direttiva relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità e che modifica la direttiva (UE) 2019/1937  .

E’ noto che la direttiva, se approvata, introdurrà significative novità nel diritto dell’impresa. Si applicherebbe alle società con più di 500 dipendneti + oltre 150 mln € di fatturato mon diale oppure più di 250 dipendenti + oltre 40 mln fatturato mondaile se incertio settori maggiormente a rischio di violazioni (art. 2.2.

La proposta di direttiva, basata sugli articoli 50 e 114 TFUE, stabilisce <<norme sugli obblighi rispetto agli impatti negativi sui diritti umani e agli impatti ambientali negativi, siano essi effettivi o potenziali, che incombono alle società nell’ambito delle loro attività, delle attività delle loro filiazioni e delle attività nella catena del valore svolte da soggetti con cui la società intrattiene un rapporto d’affari consolidato. Stabilisce inoltre norme sulla responsabilità in caso di violazione di tali obblighi>>, § 2 dell’Introoduizione.

Centrale quindi è il concetto di <catena del valore> , sostituito ora da <catena di attività> (§§ 18-19 Introduzione), definito dall’art. 3.g:

<<i) attività di un partner commerciale a monte di una società inerenti alla produzione di beni o alla prestazione di servizi da parte della società, compresi la progettazione, l’estrazione, la produzione, il trasporto, l’immagazzinamento e la fornitura di materie prime, prodotti o parti di prodotti e lo sviluppo del prodotto o del servizio e
ii) attività di un partner commerciale a valle di una società inerenti alla distribuzione, a trasporto, all’immagazzinamento e allo smaltimento del prodotto, inclusi lo smantellamento, il riciclaggio, il compostaggio o il conferimento in discarica, laddove i partner commerciali svolgano tali attività per la società o a nome della società, a eccezione dello smaltimento del prodotto da parte dei consumatori e della distribuzione, del trasporto, dell’immagazzinamento e dello smaltimento del prodotto soggetto al controllo delle esportazioni a norma del regolamento (UE) 2021/821 del Parlamento europeo e del Consiglio o al controllo delle esportazioni relativo ad armi, munizioni o materiali bellici, dopo che l’esportazione del prodotto è stata autorizzata>

La responsabilità nascente sarà di tipo contrattuale cioè da violazione di obblighi

L’interesse sociale coincide con quello dei soci (attuali)?

La risposta è sostanzialmente positiva per Trib. Milano 0.09.2021, n° 7201/2021, RG 75268/2015, ASAM – AZIENDA SVILUPPO AMBIENTALE E MOBILITA’ SPA c. amminstratori e sindaci.

la domanda è avanzata ex art. 2392 cc. da una società pubblica partecipata da Provincia Milano ( poi da Regione Lombardia) e a sua volta deteneva  partecipazioni in altre società pubbliche.

Ebbene, quanto all’oggetto:

<<La natura e i connotati pubblicistici specifici di tale gruppo impongono una valutazione dell’interesse sociale, inteso come interesse delle singole società controllate, che non può prescindere dall’interesse (comune) degli enti controllanti, che si sono avvalsi per meglio gestire i servizi di trasporto pubblico di tale forma di organizzazione. [n.d.s.: errore, conta l’interesse dei soci, non delle società partecipate]

La totalità dei soci, i titolari di tutti le azioni di ASAM, senza eccezione alcuna (e dunque in quel momento la società stessa) hanno (ha) approvato l’operazione straordinaria di diminuzione del capitale sociale. Quale danno ora può chiedere la società agli amministratori sottoposti al volere dell’unanimità dei soci?

Né può la società far valere la lesione di interessi di terzi, ovvero dei creditori (i finanziatori) di ASAM, dal momento che certo non è legittimata ad agire in sostituzione di questi, i quali peraltro – pur potendo – non hanno attivato le tutele a loro disposizione, non avendo neppure tentato di proporre opposizione ex art. 2445 c.c. all’operazione di riduzione del capitale sociale.

L’addebito svolto nei confronti degli amministratori si riduce dunque all’aver agito nell’esclusivo interesse dei soci, sacrificando l’interesse della società. Ma a ben guardare, e dovendo il giudizio necessariamente presupporre una valutazione ex ante della ragionevolezza delle decisioni degli organi sociali, non può non osservarsi che nel momento in cui il c.d.a ha autorizzato l’intera operazione non era dato distinguere interesse della società da quello dei soci che all’unisono chiedevano si procedesse nel senso indicato.>>, p. 36.

Le opzioni put e call per l’acquisto di una società non sono prive di causa nè costituiscono patto leonino

Lo insegna Cass. 27.227 de.l 07.10.2021, rel. Nazzicone, basandosi (sul primo punto) su Cass. 2016 n° 763: <<La motivazione esposta nel menzionato precedente, che per la prima volta in sede di legittimità ha offerto la definizione di contratto call e put option – sopra ampiamente richiamata a fini di chiarezza dei contorni della diversa fattispecie giuridica, nonché la stessa vicenda in fatto ivi decisa – palesano come il meccanismo tecnico-giuridico delle opzioni non sia delimitabile solo all’interno dei derivati finanziari in ambito borsistico, ben potendo i patti parasociali contenere il medesimo meccanismo dell’opzione, ma limitati ai soci di una società, dei quali, in particolare come nella specie, l’uno funga da socio finanziatore garantito dal patto in questione.

La stessa causa concreta del patto parasociale oggetto di causa, evocata dalla ricorrente sin dal proprio atto introduttivo, si palesa diversa da quella di uno strumento finanziario del mercato borsistico (cfr. D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 1, commi 2 e segg., T.U. dell’intermediazione finanziaria), avendo il fine pratico, sia pure mediante il meccanismo dell’opzione di rivendita o di riacquisto a prezzo fisso, di assecondare iniziative imprenditoriali specifiche, tutelate quali espressioni dell’autonomia negoziale privata ex art. 41 Cost. e art. 1322 c.c., con il sorgere di reciproci diritti ed obblighi delle parti: al cui adempimento un contraente non può strumentalmente sottrarsi invocando ex post e secundum eventum un preteso insussistente contrasto con norme imperative.

In definitiva, se è pur vero che l’allegata ragione di nullità per difetto di causa è rilevabile anche in grado di appello, l’assunto difetta, tuttavia, della premessa minore posta a suo fondamento, in quanto non manca la causa in concreto della opzione put e call, conclusa tra le parti.>>

Quanto all’allegata violazione del divieto di patto leonino (art. 2265 cc), la SC la esclude: <<la ratio del divieto va, pertanto, ricondotta ad una necessaria suddivisione dei risultati dell’impresa economica, tuttavia quale tipicamente propria dell’intera compagine sociale e con rilievo reale verso l’ente collettivo; mentre nessun significato in tal senso potrà assumere il trasferimento del rischio puramente interno fra un socio e un altro socio o un terzo, allorché non alteri la struttura e la funzione del contratto sociale, né modifichi la posizione del socio in società, e dunque non abbia nessun effetto verso la società stessa.

Nulla, dunque, di ciò nella specie, come accertato dal giudice del merito, essendo ogni elemento dell’accordo tra i soci determinato e rispettati ampiamente i requisiti di validità elaborati dalla giurisprudenza.

Ne’ tale principio è suscettibile di essere sovvertito dalle peculiarità della vicenda, che la ricorrente ha inteso sottolineare nella sua memoria, consistenti nella partecipazione maggioritaria della socia c.d. finanziatrice (evenienza che, semmai, rafforza la funzione svolta dal patto), la natura di societas unius negotii della società partecipata (palesante la meritevolezza del fine di concorrere a quella condivisa operazione economica) ed il collegamento con il valore del bene immobile in proprietà della società partecipata (che non muta la funzione del patto stesso).

La incontestata sinallagmaticità del patto, il quale permetteva all’una parte di rientrare del finanziamento ed all’altra di lucrare i maggiori profitti dell’investimento,e la natura temporanea del diritto di opzione confermano tali conclusioni, attesa la funzione pratica svolta dal patto, di rendere possibile l’affare economico auspicato e regolare efficacemente gli interessi rispettivi dei soci>>.

Società di fatto holding personale occulta: indici rivelatori

Qualche indicazione sul sempre complesso argomento in oggetto si trova in Cass. 14.365 del 25.05.2021, rel. Amatore.

La corte di appello aveva  ricordato la <<ricostruzione fattuale posta dal tribunale a sostegno dell’estensione del fallimento alla predetta società di fatto (s.d.f.): i) i coniugi T.C. e S.E., con i figli El. e S., avevano creato una società di fatto holding occulta la cui funzione era quella di esercitare l’attività di direzione e coordinamento rispetto alle quattro “società di famiglia”: l’impresa S. s.r.l. (il cui fallimento era il creditore istante del fallimento oggi contestato), la Costruzioni S. s.a.s. di T.C., la Essetivi s.r.l. e la Impianti sportivi s.r.l., tutte società i cui soci erano i membri della famiglia S.; ii) il fallimento istante aveva invero affermato, quale titolo legittimante la richiesta di fallimento, il credito risarcitorio ex art. 2497 c.c., nascente dai danni conseguenti dalla predetta illegittima attività di direzione e di controllo che aveva arrecato pregiudizio economico alla società controllata anch’essa fallita>>

Gli indici rivelatori della società di fatto occulta sono stati dai giudici di merito così individuati (con motivazione approvata dalla SC): <<la doglianza non è meritevole di accoglimento posto che la corte di merito ha spiegato, in modo esaustivo e con valutazioni in fatto qui non più censurabili, quali fossero gli indici rivelatori di una società di fatto svolgente funzione di direzione e di controllo delle altre società del gruppo familiare S., e ciò con particolare riferimento alle due operazioni “rivelatrici”:

1) la prima relativa all’effettuazione di prelievi, dal 2004 al 2011, da parte dei soci della impresa s. s.r.l. di liquidità senza l’effettiva produzione di utili (per un importo complessivo pari ad Euro 2.300.000), con successivo accollo dei relativi debiti dei soci da parte delle altre due società Esseviti e Costruzioni S. s.a.s., senza alcuna giustificazione economica e con l’ulteriore conseguenza che i crediti non venivano soddisfatti ma solo registrati con una operazione di “giroconto” contabile e con la successiva operazione di trasferimento immobiliare in favore della impresa S. s.r.l. da parte della Costruzioni S. s.a.s. che doveva considerarsi corrispondente ad un valore economico nullo;

2) la seconda operazione posta in essere nel 2008 che, per effetto della scissione societaria, aveva visto la impresa S. s.r.l. trasferire alla neocostituita Costruzioni S. s.a.s. alcuni immobili tra cui il capannone industriale in cui si svolgeva l’attività sociale e nel 2013 la S. s.r.l. trasferire alla neocostituita S. Impianti Sportivi s.r.l. il principale ramo d’azienda per un canone di affitto non congruo. Con la conseguente valutazione secondo cui le predette operazioni di accollo dei debiti personali dei soci da parte delle società del gruppo e la vendita dell’immobile ad un valore pari al doppio del valore di mercato evidenziano la commissione di operazioni prive di significato economico ed anzi mettevano in luce l’esistenza di una società occulta volta alla direzione e al controllo economico delle società del gruppo societario familiare.>>, § 13.3.1.

Sulla necessità della partecipazione di tutti i soci: <<Invero, è stato affermato che la mancata esteriorizzazione del rapporto societario costituisce il presupposto indispensabile perchè possa legittimamente predicarsi, da parte del giudice, l’esistenza di una società occulta, ma ciò non toglie che si richieda pur sempre la partecipazione di tutti i soci all’esercizio dell’attività societaria in vista di un risultato unitario, secondo le regole dell’ordinamento interno, e che i conferimenti siano diretti a costituire un patrimonio “comune”, sottratto alla libera disponibilità dei singoli partecipi (art. 2256 c.c.) ed alle azioni esecutive dei loro creditori personali (artt. 2270 e 2305 c.c.), l’unica particolarità della peculiare struttura collettiva “de qua” consistendo nel fatto che le operazioni sono compiute da chi agisce non già in nome della compagine sociale (vale a dire del gruppo complessivo dei soci) ma in nome proprio (cfr. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 17925 del 12/09/2016).>>, § 1.3.2.

Ci sono poi intressanti considerazioni sul profilo processuale (contraddittorio e censurabilità in cassazione della violazione del termine libero ex art .15 l.f.)

Vivendi/Telecom: interviene il Consiglio di Stato sull’accertamento del “controllo di fatto”

Nella saga Vivendi/Telecom (una delle due della campagna d’Italia dell’impresa francese, l’altra essendo quella con Mediaset)  si è pronunciato il Consiglio di Stato a chiudere una lite un po’ particolare

E’ intervenuto in appello sulla decisione TAR , la quale esaminava la legittimità del provvedimento Consob 13 settembre 2017, in cui il rapporto partecipativo di Vivendi in Telecom veniva accertato costituire un controllo di fatto: ciò sia ai sensi dell’art. 2359 codice civile che dell’articolo 93 TUF che infine della disciplina in materia di operazioni con parti correlate ex  reg. Consob 17221/2010

Si tratta di  Cons. St. 14.12.2020, RG 6507/2019,  numero 7972/2020 Reg. prov. coll.

L’impugnativa di Telecom e Vivendi deduceva l’illegittimità per violazione del principio di legalità (Consob avrebbe eseguito tale accertamento senza averne alcun potere) e delle regole di partecipazione nel procedimento,  pagina 8/9 (più analiticamente all’inizio del § 6)

Quanto al primo punto, il collegio dice che, tramite la teoria dei poteri impliciti, la base legale per l’accertamento inerente a Vivendi/Telecom può essere ravvisata,  pagina 21. Precisa però, quasi sentisse di aver per qualche motivo osato troppo: <<nondimeno, tale base rimane debole, in quanto, nella specie, non risultano espressi né il corollario della nominatività né quello della tipicità>>. Trattasi di correzione assai strana, a conclusione della precedente affermazione , che complessivamente rende il giudizio perplesso e non chiaro.

Lascia molto perplessi anche tecnicamente, perché la base legale o c’è o non c’è in sede giudiziale; potrà discorrersi di <tesi debole> in sede dottrinale ma non in sede giudiziale in cui , se la questione è rilevante per il decidere, la base legale o c’è o non c’è.

In ogni caso è vero che la base normativa del potere, per l’emissione di provvedimenti accertativi in situaizoni come qualla de qua, non è affatto chiara.

Quanto al secondo punto , il collegio ritiene violato il dovere di far partecipare i soggetti interessati, per cui annulla il provvedimento impugnato , pagina 24 informatico

Scopo delle società, doveri degli amministratori e short-termism: prossima azione regolatoria UE?

La Commissione UE ha incaricato Ernst & Young di effettuare uno studio sulla questione del se  l’attività di impresa sia oggi  viziata da short termism (visione e progettualità a breve termine) e, in caso positivo, se ciò sia fonte di conseguenze negative.

La risposta (poco sorprendentemente) è positiva ad entrambe le domande, come emerge dal report finale <<Study on directors’ duties and sustainable corporate governance-Final report>>, 29 luglio 2020.

Short-termism (poi: s.t.) viene individuato e quantificato <<by looking at the evolution of the amount of net corporate funds being used for pay-outs to shareholders (in the form of dividends or shares buybacks) compared with the evolution of the amount used for the creation of value over the life cycle of the firm, namely through investment in infrastructure, workers training, Research and Development (R&D), and investments in sustainability>>, § 3.1.1.1, p. 9.

Le conseguenze negative sarebbero:

  • a livello ambientale: <Literature connects short-termism to unsatisfactory response to environmental issues both at individual55 (i.e. the psychological tendency of individuals to focus on the short-term and consequently neglect sustainability issues) and organisational level56 (i.e. the factors leading firms to prioritise short-term profits at the expense of long-term objectives)>>, p. 22;
  • a livello sociale: <<There is a substantial body of literature (though mainly focusing on the US context) linking shareholder primacy in corporate governance, the “financialisation”85 of the global economy, and increasing social inequalities.86 From a social perspective, short-termism exacerbates inequalities. In a context where share ownership is concentrated in the richest households (such as in the US), achieving higher share prices and larger dividend pay-out – the main objective of corporate executives focused on the short-term – is beneficial to a just small fraction of a country’s population (the share owners) and contributes to deepen the existing socio-economic cleavages>>, p. 26;
  • a livello economico: <<Short-termism has serious adverse economic effects on companies, their shareholders and their stakeholders, and undermines the macroeconomy. As discussed in section 3.2, the strength of the social norm of shareholder primacy in corporate governance theory and practice, combined with growing pressures from institutional and activist investors increasingly focused on the short-term market value of the shares, places intense pressure on corporate boards to prioritise the market valuation of the company and focus on short-term financial performance, driving down all other costs, at the expense of better employee compensation and stronger investments that are important for long-term productivity>, p. 28.

Il ruolo delle imprese è notevole per conseguire i relativi United Nations Sustainable Development Goals  : <as described in the previous sections, corporate short-termism is among the factors that hinder the achievement of environmental, social and economic sustainability. Without companies abandoning the business-as-usual and proactively embracing and promoting the sustainability transition, it will be hard to achieve such ambitious sustainability goals in the near future>, p. 30.

Le cause dello s.h. sarebbero:

  • Directors’ duties and company’s interest: <In all jurisdictions, the core duty of the board is to protect and promote the interests of the company. Numerous multijurisdictional studies underline how the prevalence of shareholder primacy in companies hinders their long-term contribution to sustainability and influences the interpretation of the concept of “company’s interest”. This has been increasingly understood as the maximisation of shareholder value in the short term. This social norm has been thought to be a legal provision, even if no jurisdictions prescribe this>, p. 32
  • Pressure from investors: <As far as investors are concerned, the growing importance of institutional investors correlates with a shortening of investor engagement in companies, in terms of shorter tenue of shares and increased frequency of portfolio turnovers, as described by economic data and findings surmised from the literature review. These developments, combined with the increased role played by activist investors – like activist hedge funds – having an explicit short-term orientation, determined an overall dynamic in which investors with a short-term focus exert pressure on boards to focus on short-term shareholder value maximisation and distribution, rather than on long-term value creation>, p. 33;
  • Sustainability strategy, sustainability targets and estimation of sustainability risks and impacts: <Embedding sustainability aspects in business strategy, or setting a sustainability strategy,124 as well as setting measurable targets, seems to be a key step for companies to reduce sustainability-related risks and negative impacts, maximise opportunities, and move their business beyond short-term focus and create value in the long term. However, as shown by the legal review, with a few exceptions, national regulatory frameworks do not enshrine an obligation for companies to adopt and disclose a sustainability strategy. This implies that the adoption of a sustainability strategy, including the identification of science-based ESG targets and their alignment with “global” goals (e.g. the SDGs), is in most cases left to the voluntary initiative and discretion of the companies thus generating a fragmented picture>, p. 34;
  • Board remuneration: <<The current structure of executive pay is also identified in part of the literature as a key driver behind short-termism. A substantial strand of literature argues that share-based remuneration of executives reinforces, rather than works against, the capital market pressure for maximisation of  returns to shareholders in the short term. Share-based remuneration schemes create incentives for executives to focus on shareholder value maximisation and manage corporate resource in a way aimed to increase share price, benefiting themselves and the shareholders, at the expense of investments that are necessary for the long-term sustainability of the company>, p. 36;
  • Board composition: <As highlighted by the findings of the literature review,  board composition is key to promote a shift towards greater business sustainability and long-term focus. A diversified board with a wide range of relevant skills and experience is important to challenge the business-as-usual, avoid group think, and raise questions in terms of the long-term sustainability and value creation. Data from the literature suggest that in most companies the board lacks competence and expertise in sustainability matters and is still largely dominated by men. Concerning sustainability expertise, although there is lack of granular data, the literature indicates that companies where the board includes at least one member with ESG, ethics or sustainability experience, or where there is a board-level committee or advisory body with ESG-related responsibilities, are a minority>, p. 36;
  • stakeholder involvement: <As highlighted by the literature, the prominence of shareholder primacy in corporate governance and the pressure it generates to pursue short-term profit maximisation leads board members not to take sufficient account of the long-term interests of stakeholders other than shareholders (such as employees, creditors, suppliers, customers and the society at large as well as the environment).     This can have negative consequences on the long-term success of a company, as it might undermine its social license to operate. As a matter of regulatory frameworks, it is argued in the literature that, to some extent, a duty for directors to take the interests of all stakeholders into account is recognised, in some form or another, in all EU jurisdictions.>, p. 37. Un maggior coinvolgimento degli stakeholders <can help companies to counterbalance pressure from financial markets and short-term investors and give “voice” – if not representation – to subjects with a strong interest in the long-term sustainability of the company>, p. 37;
  • l’enforcement, alquanto problematico: <As a consequence, enforcement of the company’s claims against its directors faces two major problems: conflict of interest (obvious in the case of one-tier board structure, where the board brings the company’s claim against its own member), and collective action (in case of derivative actions, the shareholders who bring the legal action bear all costs, while benefits from the claimant’s efforts accrue also to passive shareholders). As reported in the literature, due to these obstacles, enforcement levels are currently low in all Member States.   In the current context, stakeholders of the company (other than shareholders) lack legal standing to enforce directors’ duty of care, even when they have a legitimate interest in the long-term sustainability of the company. This means that stakeholders such as employees, local communities, etc. lack enforcement mechanisms to effectively ensure the protection of their legitimate interests in corporate activities, and therefore to exercise substantial influence over the board and board members and keep them accountable>, p. 38.

Ciò visto, è necessaria un’azione a livello europeo per i motivi spiegati a p. 44 segg.

Seguono possibili soluzioni, dalla più morbida a quella più rigida (a livello legislativo): § 4.4. segg., p 50 ss

Non mancano critiche : v. il dibattito aperto su questo Report dall’Oxford Business Law Blog e qui i post ad es. di Roe-Fried-Spamann-Wang, EC Corporate Governance Initiative Series: ‘The European Commission’s Sustainable Corporate Governance Report: A Critique’ del 20.10.2020 oppure Richter-Ohnemus-Thomsen, EC Corporate Governance Initiative Series: ‘A Response From the Copenhagen Business School’ del 26.10.2020.