Perdita della non commercialità dell’ente e automatica qualifica come società di fatto

Cass.  sez. 5, n° 546 del 11.10.2023, rel. D’Aquino:

<< Nel momento in cui l’associazione non riconosciuta, quale ente non commerciale, perde la natura di ente non commerciale, essa viene assoggettata, nel caso in cui si accerti che l’attività già associativa fosse svolta da più associati tra di loro, alla  disciplina degli enti collettivi commerciali (Cass., n. 39789/2021, cit.).

Di conseguenza, stante l’assenza di un formale contratto scritto di società tra i soci, l’attività commerciale svolta tra gli stessi deve ritenersi equiparabile a quella delle società in nome collettivo irregolari (Cass., Sez. Lav., 11 giugno 2010, n. 14084). Nel qual caso, l’intenzionale esercizio in comune tra i soci di un’attività commerciale a scopo di lucro con il conferimento, a tal fine, dei necessari beni o
servizi comporta l’applicazione del regime di trasparenza, «atteso che la disciplina tributaria (artt. 5, terzo comma, lett. b, e 6, terzo comma, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917) non richiede, per la tassazione del reddito di una società di fatto, altro requisito se non la ravvisabilità nel suo oggetto dell’esercizio di un’attività commerciale, e che la costituzione di una società è ammessa anche per l’esercizio occasionale di attività economiche» (Cass., Sez. V, 11 marzo 2021, n. 6835; conf. Cass., Sez. V, 24 dicembre 2021, n. 41510).
11. Deve, pertanto, enunciarsi il seguente principio di diritto: «La perdita della natura decommercializzata dell’attività svolta dagli enti collettivi non societari costituiti nelle forme dell’associazione non riconosciuta e la conseguente qualificazione dell’attività dall’associazione svolta quale attività commerciale comporta, ove la stessa attività venga svolta da più associati in comune tra loro, la qualificazione dell’ente collettivo quale società di fatto e la conseguente applicazione del regime di trasparenza agli associati che siano qualificabili quali soci della medesima società di fatto».   La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del suddetto principio>>.

Società di fatto holding personale occulta: indici rivelatori

Qualche indicazione sul sempre complesso argomento in oggetto si trova in Cass. 14.365 del 25.05.2021, rel. Amatore.

La corte di appello aveva  ricordato la <<ricostruzione fattuale posta dal tribunale a sostegno dell’estensione del fallimento alla predetta società di fatto (s.d.f.): i) i coniugi T.C. e S.E., con i figli El. e S., avevano creato una società di fatto holding occulta la cui funzione era quella di esercitare l’attività di direzione e coordinamento rispetto alle quattro “società di famiglia”: l’impresa S. s.r.l. (il cui fallimento era il creditore istante del fallimento oggi contestato), la Costruzioni S. s.a.s. di T.C., la Essetivi s.r.l. e la Impianti sportivi s.r.l., tutte società i cui soci erano i membri della famiglia S.; ii) il fallimento istante aveva invero affermato, quale titolo legittimante la richiesta di fallimento, il credito risarcitorio ex art. 2497 c.c., nascente dai danni conseguenti dalla predetta illegittima attività di direzione e di controllo che aveva arrecato pregiudizio economico alla società controllata anch’essa fallita>>

Gli indici rivelatori della società di fatto occulta sono stati dai giudici di merito così individuati (con motivazione approvata dalla SC): <<la doglianza non è meritevole di accoglimento posto che la corte di merito ha spiegato, in modo esaustivo e con valutazioni in fatto qui non più censurabili, quali fossero gli indici rivelatori di una società di fatto svolgente funzione di direzione e di controllo delle altre società del gruppo familiare S., e ciò con particolare riferimento alle due operazioni “rivelatrici”:

1) la prima relativa all’effettuazione di prelievi, dal 2004 al 2011, da parte dei soci della impresa s. s.r.l. di liquidità senza l’effettiva produzione di utili (per un importo complessivo pari ad Euro 2.300.000), con successivo accollo dei relativi debiti dei soci da parte delle altre due società Esseviti e Costruzioni S. s.a.s., senza alcuna giustificazione economica e con l’ulteriore conseguenza che i crediti non venivano soddisfatti ma solo registrati con una operazione di “giroconto” contabile e con la successiva operazione di trasferimento immobiliare in favore della impresa S. s.r.l. da parte della Costruzioni S. s.a.s. che doveva considerarsi corrispondente ad un valore economico nullo;

2) la seconda operazione posta in essere nel 2008 che, per effetto della scissione societaria, aveva visto la impresa S. s.r.l. trasferire alla neocostituita Costruzioni S. s.a.s. alcuni immobili tra cui il capannone industriale in cui si svolgeva l’attività sociale e nel 2013 la S. s.r.l. trasferire alla neocostituita S. Impianti Sportivi s.r.l. il principale ramo d’azienda per un canone di affitto non congruo. Con la conseguente valutazione secondo cui le predette operazioni di accollo dei debiti personali dei soci da parte delle società del gruppo e la vendita dell’immobile ad un valore pari al doppio del valore di mercato evidenziano la commissione di operazioni prive di significato economico ed anzi mettevano in luce l’esistenza di una società occulta volta alla direzione e al controllo economico delle società del gruppo societario familiare.>>, § 13.3.1.

Sulla necessità della partecipazione di tutti i soci: <<Invero, è stato affermato che la mancata esteriorizzazione del rapporto societario costituisce il presupposto indispensabile perchè possa legittimamente predicarsi, da parte del giudice, l’esistenza di una società occulta, ma ciò non toglie che si richieda pur sempre la partecipazione di tutti i soci all’esercizio dell’attività societaria in vista di un risultato unitario, secondo le regole dell’ordinamento interno, e che i conferimenti siano diretti a costituire un patrimonio “comune”, sottratto alla libera disponibilità dei singoli partecipi (art. 2256 c.c.) ed alle azioni esecutive dei loro creditori personali (artt. 2270 e 2305 c.c.), l’unica particolarità della peculiare struttura collettiva “de qua” consistendo nel fatto che le operazioni sono compiute da chi agisce non già in nome della compagine sociale (vale a dire del gruppo complessivo dei soci) ma in nome proprio (cfr. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 17925 del 12/09/2016).>>, § 1.3.2.

Ci sono poi intressanti considerazioni sul profilo processuale (contraddittorio e censurabilità in cassazione della violazione del termine libero ex art .15 l.f.)