Perdita della non commercialità dell’ente e automatica qualifica come società di fatto

Cass.  sez. 5, n° 546 del 11.10.2023, rel. D’Aquino:

<< Nel momento in cui l’associazione non riconosciuta, quale ente non commerciale, perde la natura di ente non commerciale, essa viene assoggettata, nel caso in cui si accerti che l’attività già associativa fosse svolta da più associati tra di loro, alla  disciplina degli enti collettivi commerciali (Cass., n. 39789/2021, cit.).

Di conseguenza, stante l’assenza di un formale contratto scritto di società tra i soci, l’attività commerciale svolta tra gli stessi deve ritenersi equiparabile a quella delle società in nome collettivo irregolari (Cass., Sez. Lav., 11 giugno 2010, n. 14084). Nel qual caso, l’intenzionale esercizio in comune tra i soci di un’attività commerciale a scopo di lucro con il conferimento, a tal fine, dei necessari beni o
servizi comporta l’applicazione del regime di trasparenza, «atteso che la disciplina tributaria (artt. 5, terzo comma, lett. b, e 6, terzo comma, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917) non richiede, per la tassazione del reddito di una società di fatto, altro requisito se non la ravvisabilità nel suo oggetto dell’esercizio di un’attività commerciale, e che la costituzione di una società è ammessa anche per l’esercizio occasionale di attività economiche» (Cass., Sez. V, 11 marzo 2021, n. 6835; conf. Cass., Sez. V, 24 dicembre 2021, n. 41510).
11. Deve, pertanto, enunciarsi il seguente principio di diritto: «La perdita della natura decommercializzata dell’attività svolta dagli enti collettivi non societari costituiti nelle forme dell’associazione non riconosciuta e la conseguente qualificazione dell’attività dall’associazione svolta quale attività commerciale comporta, ove la stessa attività venga svolta da più associati in comune tra loro, la qualificazione dell’ente collettivo quale società di fatto e la conseguente applicazione del regime di trasparenza agli associati che siano qualificabili quali soci della medesima società di fatto».   La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del suddetto principio>>.

Il dovere degli amministratori è favorire il beneficio dei soci, secondo il § 172.1 Companies Act del 2006

Secondo la disposizione citata, <A director of a company must act in the way he considers, in good faith, would be most likely to promote the success of the company for the benefit of its members as a whole>.

Il che si determina avendo riguardo al lungo temrine, ai dipendneti etc. (ivi, lettere a-f).

Disposizione assai discussa nella sua portata: in particolare quale è il ruolo degli stakeholders diversi dai soci (soprattutto dei lavoratori)?

Ebbene, la Supreme Court inglese nella sentenza 5 ottobre 2022, BTI 2014 LLC (Appellant) v Sequana SA and others (Respondents), [2022] UKSC 25, dice che <<successo della company>> significa <<successo dei soci>>.

Almeno fino a che la società arriva vicino alla insolvenza, quando l’interesse da realizzare è anche quello dei creditori. Si v. < it is clear that, although the duty is owed to the company, the shareholders are the intended beneficiaries of that duty. To that extent, the common law approach of shareholder primacy is carried forward into the 2006 Act >, § 65

<The considerations listed in paragraphs (a) to (f) are capable of including the
treatment of certain creditors of the company. Creditors are liable to include
employees, suppliers, customers and others with whom the company has business
relationships; and their treatment may well affect the company’s reputation and its
creditworthiness, and have consequences for it in the long term. However, the primary
duty imposed by section 172(1) remains focused on promoting the success of the
company for the benefit of its members>, § 67.

E poi  : < In addition, it seems to me that acceptance that the fiduciary duty of directors to the
company is re-oriented so as to encompass the interests of creditors, when the
company is insolvent or bordering on insolvency, must result in a similar re-orientation
of related duties. The proper purposes for which powers can be exercised, in
accordance with section 171, include advancing the interests of the company, which in
those circumstances must be understood as including the interests of its creditors, as
was held in In re HLC Environmental Projects Ltd [2013] EWHC 2876 (Ch); [2014] BCC
337, para 99. Similarly, the duty under section 174 to exercise reasonable care, skill
and diligence must be directed, in those circumstances, to the interests of the
company as understood in that context, as appears to have been accepted in a number of cases>. § 73

Si tratta di sentenza molto ampia, diffusa da più fomnti : ad es. Irene-marie Esser e  Iain G MacNeil,   Shareholder Primacy and Corporate Purpose, 21 dic. 2022.

Direttiva relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità: impulso dal COREPER

Il comitato dei rappresentanti permanenti (COREPER) del Consiglio UE  ha invitato in data 30.12.2022 il Consiglio stesso ad approvare un orientamento genrale circa la proposta di direttiva relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità e che modifica la direttiva (UE) 2019/1937  .

E’ noto che la direttiva, se approvata, introdurrà significative novità nel diritto dell’impresa. Si applicherebbe alle società con più di 500 dipendneti + oltre 150 mln € di fatturato mon diale oppure più di 250 dipendenti + oltre 40 mln fatturato mondaile se incertio settori maggiormente a rischio di violazioni (art. 2.2.

La proposta di direttiva, basata sugli articoli 50 e 114 TFUE, stabilisce <<norme sugli obblighi rispetto agli impatti negativi sui diritti umani e agli impatti ambientali negativi, siano essi effettivi o potenziali, che incombono alle società nell’ambito delle loro attività, delle attività delle loro filiazioni e delle attività nella catena del valore svolte da soggetti con cui la società intrattiene un rapporto d’affari consolidato. Stabilisce inoltre norme sulla responsabilità in caso di violazione di tali obblighi>>, § 2 dell’Introoduizione.

Centrale quindi è il concetto di <catena del valore> , sostituito ora da <catena di attività> (§§ 18-19 Introduzione), definito dall’art. 3.g:

<<i) attività di un partner commerciale a monte di una società inerenti alla produzione di beni o alla prestazione di servizi da parte della società, compresi la progettazione, l’estrazione, la produzione, il trasporto, l’immagazzinamento e la fornitura di materie prime, prodotti o parti di prodotti e lo sviluppo del prodotto o del servizio e
ii) attività di un partner commerciale a valle di una società inerenti alla distribuzione, a trasporto, all’immagazzinamento e allo smaltimento del prodotto, inclusi lo smantellamento, il riciclaggio, il compostaggio o il conferimento in discarica, laddove i partner commerciali svolgano tali attività per la società o a nome della società, a eccezione dello smaltimento del prodotto da parte dei consumatori e della distribuzione, del trasporto, dell’immagazzinamento e dello smaltimento del prodotto soggetto al controllo delle esportazioni a norma del regolamento (UE) 2021/821 del Parlamento europeo e del Consiglio o al controllo delle esportazioni relativo ad armi, munizioni o materiali bellici, dopo che l’esportazione del prodotto è stata autorizzata>

La responsabilità nascente sarà di tipo contrattuale cioè da violazione di obblighi

L’interesse sociale coincide con quello dei soci (attuali)?

La risposta è sostanzialmente positiva per Trib. Milano 0.09.2021, n° 7201/2021, RG 75268/2015, ASAM – AZIENDA SVILUPPO AMBIENTALE E MOBILITA’ SPA c. amminstratori e sindaci.

la domanda è avanzata ex art. 2392 cc. da una società pubblica partecipata da Provincia Milano ( poi da Regione Lombardia) e a sua volta deteneva  partecipazioni in altre società pubbliche.

Ebbene, quanto all’oggetto:

<<La natura e i connotati pubblicistici specifici di tale gruppo impongono una valutazione dell’interesse sociale, inteso come interesse delle singole società controllate, che non può prescindere dall’interesse (comune) degli enti controllanti, che si sono avvalsi per meglio gestire i servizi di trasporto pubblico di tale forma di organizzazione. [n.d.s.: errore, conta l’interesse dei soci, non delle società partecipate]

La totalità dei soci, i titolari di tutti le azioni di ASAM, senza eccezione alcuna (e dunque in quel momento la società stessa) hanno (ha) approvato l’operazione straordinaria di diminuzione del capitale sociale. Quale danno ora può chiedere la società agli amministratori sottoposti al volere dell’unanimità dei soci?

Né può la società far valere la lesione di interessi di terzi, ovvero dei creditori (i finanziatori) di ASAM, dal momento che certo non è legittimata ad agire in sostituzione di questi, i quali peraltro – pur potendo – non hanno attivato le tutele a loro disposizione, non avendo neppure tentato di proporre opposizione ex art. 2445 c.c. all’operazione di riduzione del capitale sociale.

L’addebito svolto nei confronti degli amministratori si riduce dunque all’aver agito nell’esclusivo interesse dei soci, sacrificando l’interesse della società. Ma a ben guardare, e dovendo il giudizio necessariamente presupporre una valutazione ex ante della ragionevolezza delle decisioni degli organi sociali, non può non osservarsi che nel momento in cui il c.d.a ha autorizzato l’intera operazione non era dato distinguere interesse della società da quello dei soci che all’unisono chiedevano si procedesse nel senso indicato.>>, p. 36.

Scopo delle società, doveri degli amministratori e short-termism: prossima azione regolatoria UE?

La Commissione UE ha incaricato Ernst & Young di effettuare uno studio sulla questione del se  l’attività di impresa sia oggi  viziata da short termism (visione e progettualità a breve termine) e, in caso positivo, se ciò sia fonte di conseguenze negative.

La risposta (poco sorprendentemente) è positiva ad entrambe le domande, come emerge dal report finale <<Study on directors’ duties and sustainable corporate governance-Final report>>, 29 luglio 2020.

Short-termism (poi: s.t.) viene individuato e quantificato <<by looking at the evolution of the amount of net corporate funds being used for pay-outs to shareholders (in the form of dividends or shares buybacks) compared with the evolution of the amount used for the creation of value over the life cycle of the firm, namely through investment in infrastructure, workers training, Research and Development (R&D), and investments in sustainability>>, § 3.1.1.1, p. 9.

Le conseguenze negative sarebbero:

  • a livello ambientale: <Literature connects short-termism to unsatisfactory response to environmental issues both at individual55 (i.e. the psychological tendency of individuals to focus on the short-term and consequently neglect sustainability issues) and organisational level56 (i.e. the factors leading firms to prioritise short-term profits at the expense of long-term objectives)>>, p. 22;
  • a livello sociale: <<There is a substantial body of literature (though mainly focusing on the US context) linking shareholder primacy in corporate governance, the “financialisation”85 of the global economy, and increasing social inequalities.86 From a social perspective, short-termism exacerbates inequalities. In a context where share ownership is concentrated in the richest households (such as in the US), achieving higher share prices and larger dividend pay-out – the main objective of corporate executives focused on the short-term – is beneficial to a just small fraction of a country’s population (the share owners) and contributes to deepen the existing socio-economic cleavages>>, p. 26;
  • a livello economico: <<Short-termism has serious adverse economic effects on companies, their shareholders and their stakeholders, and undermines the macroeconomy. As discussed in section 3.2, the strength of the social norm of shareholder primacy in corporate governance theory and practice, combined with growing pressures from institutional and activist investors increasingly focused on the short-term market value of the shares, places intense pressure on corporate boards to prioritise the market valuation of the company and focus on short-term financial performance, driving down all other costs, at the expense of better employee compensation and stronger investments that are important for long-term productivity>, p. 28.

Il ruolo delle imprese è notevole per conseguire i relativi United Nations Sustainable Development Goals  : <as described in the previous sections, corporate short-termism is among the factors that hinder the achievement of environmental, social and economic sustainability. Without companies abandoning the business-as-usual and proactively embracing and promoting the sustainability transition, it will be hard to achieve such ambitious sustainability goals in the near future>, p. 30.

Le cause dello s.h. sarebbero:

  • Directors’ duties and company’s interest: <In all jurisdictions, the core duty of the board is to protect and promote the interests of the company. Numerous multijurisdictional studies underline how the prevalence of shareholder primacy in companies hinders their long-term contribution to sustainability and influences the interpretation of the concept of “company’s interest”. This has been increasingly understood as the maximisation of shareholder value in the short term. This social norm has been thought to be a legal provision, even if no jurisdictions prescribe this>, p. 32
  • Pressure from investors: <As far as investors are concerned, the growing importance of institutional investors correlates with a shortening of investor engagement in companies, in terms of shorter tenue of shares and increased frequency of portfolio turnovers, as described by economic data and findings surmised from the literature review. These developments, combined with the increased role played by activist investors – like activist hedge funds – having an explicit short-term orientation, determined an overall dynamic in which investors with a short-term focus exert pressure on boards to focus on short-term shareholder value maximisation and distribution, rather than on long-term value creation>, p. 33;
  • Sustainability strategy, sustainability targets and estimation of sustainability risks and impacts: <Embedding sustainability aspects in business strategy, or setting a sustainability strategy,124 as well as setting measurable targets, seems to be a key step for companies to reduce sustainability-related risks and negative impacts, maximise opportunities, and move their business beyond short-term focus and create value in the long term. However, as shown by the legal review, with a few exceptions, national regulatory frameworks do not enshrine an obligation for companies to adopt and disclose a sustainability strategy. This implies that the adoption of a sustainability strategy, including the identification of science-based ESG targets and their alignment with “global” goals (e.g. the SDGs), is in most cases left to the voluntary initiative and discretion of the companies thus generating a fragmented picture>, p. 34;
  • Board remuneration: <<The current structure of executive pay is also identified in part of the literature as a key driver behind short-termism. A substantial strand of literature argues that share-based remuneration of executives reinforces, rather than works against, the capital market pressure for maximisation of  returns to shareholders in the short term. Share-based remuneration schemes create incentives for executives to focus on shareholder value maximisation and manage corporate resource in a way aimed to increase share price, benefiting themselves and the shareholders, at the expense of investments that are necessary for the long-term sustainability of the company>, p. 36;
  • Board composition: <As highlighted by the findings of the literature review,  board composition is key to promote a shift towards greater business sustainability and long-term focus. A diversified board with a wide range of relevant skills and experience is important to challenge the business-as-usual, avoid group think, and raise questions in terms of the long-term sustainability and value creation. Data from the literature suggest that in most companies the board lacks competence and expertise in sustainability matters and is still largely dominated by men. Concerning sustainability expertise, although there is lack of granular data, the literature indicates that companies where the board includes at least one member with ESG, ethics or sustainability experience, or where there is a board-level committee or advisory body with ESG-related responsibilities, are a minority>, p. 36;
  • stakeholder involvement: <As highlighted by the literature, the prominence of shareholder primacy in corporate governance and the pressure it generates to pursue short-term profit maximisation leads board members not to take sufficient account of the long-term interests of stakeholders other than shareholders (such as employees, creditors, suppliers, customers and the society at large as well as the environment).     This can have negative consequences on the long-term success of a company, as it might undermine its social license to operate. As a matter of regulatory frameworks, it is argued in the literature that, to some extent, a duty for directors to take the interests of all stakeholders into account is recognised, in some form or another, in all EU jurisdictions.>, p. 37. Un maggior coinvolgimento degli stakeholders <can help companies to counterbalance pressure from financial markets and short-term investors and give “voice” – if not representation – to subjects with a strong interest in the long-term sustainability of the company>, p. 37;
  • l’enforcement, alquanto problematico: <As a consequence, enforcement of the company’s claims against its directors faces two major problems: conflict of interest (obvious in the case of one-tier board structure, where the board brings the company’s claim against its own member), and collective action (in case of derivative actions, the shareholders who bring the legal action bear all costs, while benefits from the claimant’s efforts accrue also to passive shareholders). As reported in the literature, due to these obstacles, enforcement levels are currently low in all Member States.   In the current context, stakeholders of the company (other than shareholders) lack legal standing to enforce directors’ duty of care, even when they have a legitimate interest in the long-term sustainability of the company. This means that stakeholders such as employees, local communities, etc. lack enforcement mechanisms to effectively ensure the protection of their legitimate interests in corporate activities, and therefore to exercise substantial influence over the board and board members and keep them accountable>, p. 38.

Ciò visto, è necessaria un’azione a livello europeo per i motivi spiegati a p. 44 segg.

Seguono possibili soluzioni, dalla più morbida a quella più rigida (a livello legislativo): § 4.4. segg., p 50 ss

Non mancano critiche : v. il dibattito aperto su questo Report dall’Oxford Business Law Blog e qui i post ad es. di Roe-Fried-Spamann-Wang, EC Corporate Governance Initiative Series: ‘The European Commission’s Sustainable Corporate Governance Report: A Critique’ del 20.10.2020 oppure Richter-Ohnemus-Thomsen, EC Corporate Governance Initiative Series: ‘A Response From the Copenhagen Business School’ del 26.10.2020.

Valutazione comparativa ex art. 2378 c. 4 c.c. per la sospensione cautelare di delibera societaria impugnata: un caso recente

Nella lite ormai annosa Vivendi c. Mediaset ( su cui v. miei post del 10.09.2019 e del 16.01.2019), un recente provvedimento cautelare milanese applica il bilanciamento tra l’interesse dell’impugnante e quello della società resistente, disposto dall’art. 2378 c. 4.

Si tratta dell’ordinanza di Trib. Milano  03.02.2020, giudice : d.ssa Riva Crugnola, procc. riuniti RG 33508/2-3-4-5 del 2019.

Secondo la  disposizione appena citata, <<il giudice designato per la trattazione della causa di merito, sentiti gli amministratori e sindaci, provvede valutando comparativamente il pregiudizio che subirebbe il ricorrente dalla esecuzione e quello che subirebbe la societa’ dalla sospensione dell’esecuzione della deliberazione; puo’ disporre in ogni momento che i soci opponenti prestino idonea garanzia per l’eventuale risarcimento dei danni.>>
Il tribunale con la cit. ord. 03.02.2020, a scioglimento della riserva assunta all’udienza di due giorni prima, nega la cautela.
La domanda di merito mira a annullare due delibere dell’assemblea soci di Mediaset spa: <<procedimenti cautelari riuniti qui in esame riguardano la richiesta di sospensione ex art.2378 cc delle due delibere adottate dall’assemblea dei soci di MEDIASET SPA rispettivamente il 4.9.2019 e il 10.1.2020,
la prima recante approvazione del progetto di fusione transfrontaliera tra MEDIASET SPA (d’ora in avanti anche solo MEDIASET) e MEDIASET ESPANA COMUNICACION SA (d’ora in avanti anche solo MESPANA) con incorporazione di entrambe nella società olandese destinata ad essere ridenominata MEDIAFOREUROPE NV (d’ora in  avanti anche solo MFE),
la seconda recante approvazione di modifiche allo statuto di MFE post-fusione a seguito dei rilievi svolti dalle socie di MEDIASET impugnanti la prima delibera, VIVENDI SA e Simonfidspa>>, pp. 4-5.
Secondo Vivendi, la delibera è abusiva sostanzialmente perchè ha lo scopo di rafforzare i poteri della maggioranza (in base al più favorevole diritto olandese) senza corrispondere ad alcun progetto industriale , p. 6/7.
Secondo Mediaset invece ci sono solide ragioni di business legate soprattutto alla necessità aumentare la dimensione aziendale. Inoltre l’incoremento di potere corporativo della maggioranza è compensato da specifici diritti per le minoranza, p. 8/9.
Il Tribunale inizia a dire che le delibere vanno considerate unitariamente, p. 9.
Passa poi ad esaminare i pericula (per Mediaset dalla sospensione e per Vivendi dalla non sospenszione) per conclduere che il primo è maggiore del secondo, soprauttto perchè -a differenza da esso- non è risarcibile.
Infatti il rimedio risarcitorio per Vivendi esiste, mentre per Mediaset <<l’impossibilità di procedere alla fusione derivante dalla sospensione delle due delibere  impugnate rappresenterebbe (…) un evento senz’altro  pregiudizievole in termini non solo organizzativi ma anche industriali ed economici, in particolare impedendo uno sviluppo dimensionale ritenuto  indispensabile nel mercato di riferimento e, comunque, risolvendosi nel “blocco” di una iniziativa ampiamente illustrata ai mercati con tutte le ovvie conseguenze anche in termini di valutazione da parte degli stessi mercati; tale pregiudizio, in quanto attinente allo stesso sviluppo trans-nazionale dell’attività imprenditoriale propria della convenuta, o sviluppo la cui evoluzione secondo le linee da tempo programmate sarebbe bruscamente impedito, appare dunque al Tribunale particolarmente rilevante e non suscettibile di futura riparazione risarcitoria adeguata, incidendo sulle stesse modalità di esercizio dell’impresa, i cui risultati alternativi sarebbero -per le innumerevoli varianti da considerare- di difficilissima se non impossibile quantificazione nel caso -all’esito dei procedimenti di merito- le delibere impugnate fossero ritenute valide>>, p. 10.
In sintesi <<all’esito della comparazione dei pregiudizi ex art.2378 cc sono dunque ravvisabili: – da un lato, per la convenuta MEDIASET, un pregiudizio attinente allo stesso funzionamento dell’ente ed alle sue prospettive di sviluppo, come tale da considerare irreparabile; – dall’altro un pregiudizio per le impugnanti riconducibile al minor peso della loro partecipazione post-fusione, risolventesi in un minor valore della partecipazione suscettibile di rimedi risarcitori, con esito finale, dunque, nel senso della maggior rilevanza del pregiudizio che si verificherebbe in capo alla convenuta in caso di accoglimento delle istanze cautelari, istanze che vanno quindi rigettate>>, p. 11.
Concludo ricordando l’interessante questione posta da Vivendi: l’operazione di fusione con spostamento della sede in Olanda avrebbe il solo scopo di incrementare i poteri dei soci di maggiorenza, senza ulteriori scopi industriali. Il che attiene allo scopo della società: che di solito è individuato in quello di fare profitti e, oggi va aggiunto, di farli in modo sostenibile [precisazione densa di conseguenze giuridiche].
Sul purpose of the company v. il post <<A Fuller Sense of Corporate Purpose: A Reply to Martin Lipton’s ‘on the Purpose of the Corporation’>> di Bernard S. Sharfman del 9 giugno nel blog di Oxf. Univ.  che risponde a due post di Martin Lipton (uno dei più noti avvocati di diritto societario statunitense), ivi linkabili.

Le informazioni non finanziarie, obbligatorie per le grandi imprese, non modificano la ricostruzione dell’interesse sociale

La Direttiva UE 2014/95 del 22.10.2014 aveva introdotto l’obbligo per le imprese di maggiori dimensioni (“enti di interesse pubblico” e con almeno 500 dipendenti) di fornire annualmente alcune informazioni di carattere non finanziario, essenzialmente relative agli aspetti c.d  ESG (Environmental, Social, Governance).

Tale dir. modifica la Dir. 2013/34/UE del 26 giugno 2013 , relativa ai bilanci d’esercizio, ai bilanci consolidati e alle relative relazioni di talune tipologie di imprese.

la Direttiva è stata recepita con il decreto legislativo 254 del 2016.

In particolare secondo l’art. 3 del d. lgs. 254, <<1. La dichiarazione individuale di carattere non finanziario, nella misura necessaria ad assicurare la comprensione dell’attivita’ di impresa, del suo andamento, dei suoi risultati e dell’impatto dalla stessa prodotta, copre i temi ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani, alla lotta contro la corruzione attiva e passiva, che sono rilevanti tenuto conto delle attivita’ e delle caratteristiche dell’impresa, descrivendo almeno: a) il modello aziendale di gestione ed organizzazione delle attivita’ dell’impresa, ivi inclusi i modelli di organizzazione e di gestione eventualmente adottati ai sensi  dll’articolo 6, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, anche con riferimento alla gestione dei suddetti temi;b) le politiche praticate dall’impresa, comprese quelle di dovuta diligenza, i risultati conseguiti tramite di esse ed i relativi indicatori fondamentali di prestazione di carattere non finanziario;c) i principali rischi « ivi incluse le modalità di gestione degli stessi, generati o subiti, connessi ai suddetti temi e che derivano dalle attivita’ dell’impresa, dai suoi prodotti, servizi o rapporti commerciali, incluse, ove rilevanti, le catene di fornitura e subappalto(1); 2. In merito agli ambiti di cui al comma 1, la dichiarazione di carattere non finanziario contiene almeno informazioni riguardanti: a) l’utilizzo di risorse energetiche, distinguendo fra quelle prodotte da fonti rinnovabili e non rinnovabili, e l’impiego di risorse idriche;b) le emissioni di gas ad effetto serra e le emissioni inquinanti in atmosfera;c) l’ impatto, ove possibile sulla base di ipotesi o scenari realistici anche a medio termine, sull’ambiente nonche’ sulla salute e la sicurezza, associato ai fattori di rischio di cui al comma 1, lettera c), o ad altri rilevanti fattori di rischio ambientale e sanitario;d) aspetti sociali e attinenti alla gestione del personale, incluse le azioni poste in essere per garantire la parita’ di genere, le misure volte ad attuare le convenzioni di organizzazioni internazionali e sovranazionali in materia, e le modalita’ con cui e’ realizzato il dialogo con le parti sociali;e) rispetto dei diritti umani, le misure adottate per prevenirne le violazioni, nonche’ le azioni poste in essere per impedire atteggiamenti ed azioni comunque discriminatori;f) lotta contro la corruzione sia attiva sia passiva, con indicazione degli strumenti a tal fine adottati.>>

 Alcuni hanno sostenuto che questo modificasse il concetto di <<interesse sociale>> , al centro del diritto societario: lo scopo delle attività in comune non sarebbe più solamente quello di soddisfare i soci soddisfazione (che può prendere pieghe diverse come ad esempio shareholder value e/o livello dei profitti). Si è ipotizzato infatti che potessero rientrare tra gli interessi da perseguire da parte degli amministratori (in quanto pattuiti dai soci) anche interesse riconducibili a soggetti diversi.

Così però non è.

La Direttiva e la normativa di recepimento si limitano a porre dei limiti esterni all’autonomia privato-imprenditoriale dei soci (non rileva qui appurare se coincide ha sempre con questa iniziativa del management che potrebbe anche divergere). Non emergono soggetti diversi titolari di posizioni giuridiche, che gli amministratori debbano rispettare se non addirittura promuovere

Anzi,  come un recente studio evidenzia (Maugeri M., Informazione non finanziaria e interesse sociale, Rivista delle società, 2019, 5-6, 992 ss), la normativa vuole proprio tutelare l’interesse dell’investitore “tipologicamente istituzionale”.  Dato infatti che gli interessi socio-ambientali sono percepiti come sempre più decisivi per l’andamento dell’attività, la disclosure di informazioni in tal senso è finalizzata a rendere più informata e quindi efficace la scelta di investimento degli investitori (ivi, § 5, spt. 1024-1025).

Le relative scelte, che spetteranno agli amministratori, saranno governate dalla nota business judgment rule e cioè saranno censurabili solo se irragionevoli (in un’ottiva ex ante, naturalmente, per no nessere viziate dal senno di poi, hindsight bias) o se manchevoli di base informativa adeguata.