Impugnazione della delibera di revoca da parte di amministratore di s.p.a.: il caso della utility AGSM AIM spa

Trib. Venezia decr. 1644/2023 del 03.07.2023, RG 1909/2023-1, rel. Tosi, sul tema con alcuni spunti interessanti:

– l’amministratore revocato è legittimato (ed ha interesse) ad impugnare la delibera dei soci che lo revoca: corretto, poichè il vizio dedotto sta a monte della perdita della carica.

– la giusta causa conta solo ai fini del risarcimento, non della efficacia della delibera: corretto e pacifico , essendo la revoca immediata ed incondizionata.

– l’abuso nel voto da parte di in socio . E’ la parte più interessante dato che qui è fatto valere da un non socio (l’ammministratore) contro la società-

<<L’abuso del voto è figura giuridica che si impernia sulla regola per cui anche il contratto di società, come ogni altro, va eseguito in buona fede; e riguarda il caso in cui il voto sia esercitato in modo contrario alla buona fede. Il tema non riguarda pertanto l’astratto interesse della società, ma i rapporti fra i soci, parti del contratto. In linea generale ogni socio persegue, nell’esercitare i suoi diritti sociali, propri interessi ed è libero di esercitare il proprio voto come meglio crede, nell’interesse proprio [entro quelli dedotti -espicit. o implicit.  nel contratto sociale!]. Si configura abuso di maggioranza (così si intende configurato dal ricorrente il comportamento di voto del socio Verona) solo quando l’esercizio del voto da parte della maggioranza avviene al solo scopo di ledere l’interesse della minoranza [meglio: quando è difforme dallo scopo di produrre profitto sostenibile]. Diversamente, la divergenza di voto fra soci è fisiologia della vita sociale: nel caso in esame, peraltro, al dissenso fra soci in occasione della revoca dell’avv. Casali e della consigliera Vanzo, è seguita concordia nella scelta dei successori suo e della consigliera Vanzo.

In ogni caso, rispetto al requisito fondante l’abuso (l’esercizio del voto a soli fini di lesione del socio di minoranza) nulla viene allegato dal ricorrente. Egli invece chiede che il giudice si addentri nella verifica di quale sia la migliore scelta, fra le varie possibili ai soci rispetto all’ordine del giorno assembleare, rispetto alla governance sociale; il giudice dovrebbe entrare a gamba tesa nelle scelta dei soci, valutando se il voto del Comune di Verona sia conforme all’interesse sociale e addirittura apprezzando la qualità dell’operato dei consiglieri rimasti e di quelli sostituitivi, come la parte ricorrente chiede di fare nel momento in cui intende verificare i contenuti del procedimento ex art. 2409 c.p.c. che essa allega sia stato incardinato avanti a questa Sezione contro il nuovo CdA. A questo proposito, non solo non spetta al giudice operare una valutazione di opportunità della scelta della compagine sociale in punto nomina amministratori nella prospettiva ex ante, l’unica eventualmente ipotizzabile, dal punto di vista logico [punto di cvista “giuridico”, non logico!. Può poi appplicarsi la business judgment rule anche nella delibera dei soci , come per le scelte gestorie: se irrazionale -cioè in malafede- , è illegittima], rispetto alla valutazione della liceità della delibera; ma tanto meno spetta una valutazione alla luce di fatti posteriori, peraltro essi stessi sub iudice [ovvio, nemmeno andava precisato: conta solo l’ ex ante].

In realtà, nella fattispecie dell’abuso , la verifica dell’interesse sociale costituisce più che altro uno strumento di controllo, nel senso che la difficoltà di ravvisare un apprezzabile interesse sociale può costituire elemento che sorregge la verifica dello scopo lesivo; e comunque si tratta di elemento sussidiario, non principale, della fattispecie. La verifica stessa dell’interesse sociale è materia assai delicata, e tanto più lo è nel caso concreto, dove, in una prospettiva diversa da quella dell’amministratore revocato, e pur sempre riferita all’interesse sociale, va considerato che a consiglieri “divisivi” sono stati sostituiti consiglieri votati conformemente dai due soci. Questo aspetto fattuale pare peraltro rilevante anche rispetto all’apprezzamento del periculum in mora, ex  art. 2378 comma 3 c.c.>>.

Spunto finale:

<<In ogni caso, non è neppure allegato che il socio maggioritario Verona abbia votato a soli fini di lesione del socio minoritario Vicenza; e tanto basta in questa sede, non meritando addentrarsi nella verifica (che pure non appare peregrina) se all’amministratore spetti l’azione di annullamento per abuso, non essendo egli un socio>>.       Dubbio interessante posto dal giudice: ma la risposta è positiva sia qualora l’effetto si riverberi -non come mero fatto ma precisa conseguenza giuridica- sul rapporto tra società e amministratore sia per la legittimazione all’impugnazione delle delibere illegittime dei soci spettante all’amministratore.

Nullità ed annullamento di delibera societaria tra rilevabilità di ufficio da parte del giudice e potere dispositivo della parte

Cass. sez. I del 18.04.2023 n. 10.233, rel. Dongiacomo:

<<4.11. Vanno, dunque, affermati i seguenti principi:

– il giudice, se investito dell’azione di nullità di una delibera assembleare, ha sempre il potere (e il dovere), in ragione della natura autodeterminata del diritto cui tale domanda accede, di rilevare e di dichiarare in via ufficiosa, e anche in appello, la nullità della stessa per un vizio diverso da quello denunciato;

– se, invece, la domanda ha per oggetto l’esecuzione o l’annullamento della delibera, la rilevabilità d’ufficio della nullità di quest’ultima da parte del giudice nel corso del processo e fino alla precisazione delle conclusioni dev’essere coordinata con il principio della domanda per cui il giudice, da una parte, può sempre rilevare la nullità della delibera, anche in appello, trattandosi di eccezione in senso lato, in funzione del rigetto della domanda ma, dall’altra parte, non può dichiarare la nullità della delibera impugnata ove manchi una domanda in tal senso ritualmente proposta, anche nel corso del giudizio che faccia seguito della rilevazione del giudice, dalla parte interessata;

– nell’uno e nell’altro caso, tuttavia, tale potere (e dovere) di rilevazione non può essere esercitato dal giudice oltre il termine di decadenza, la cui decorrenza è rilevabile d’ufficio e può essere impedita solo dalla formale rilevazione del vizio di nullità ad opera del giudice o della parte, pari a tre anni dall’iscrizione o dal deposito della delibera stessa nel registro delle imprese ovvero dalla sua trascrizione nel libro delle adunanze dell’assemblea>>.

Si noti poi la negazione della contrattualità (parrebbe, anche se solo in relazione al processo) dei rapporti societari:

<<4.5. In effetti, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, il principio per cui il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità contrattuale deve rilevare in via ufficiosa, ove emergente dagli atti, l’esistenza di un diverso vizio di nullità, è suscettibile di applicazione estensiva anche nel sottosistema societario, e, precisamente, nell’ambito delle azioni di impugnazione delle deliberazioni assembleari, benché non assimilabili ai contratti, trattandosi, tanto nell’uno, quanto nell’altro caso, di domanda pertinente ad un diritto autodeterminato (cfr., sul primo punto, Cass. SU n. 26242 del 2014, in motiv., punti 6.13.3. e ss. e, in particolare, 6.13.6., lì dove di evidenzia che “il giudizio di nullità/non nullità del negozio… sarà, così, definit(iv)o e a tutto campo indipendentemente da quali e quanti titoli di nullità siano stati fatti valere dall’attore”, e, sul secondo punto, Cass. n. 8795 del 2016), e cioè individuata a prescindere dallo specifico vizio (rectius, titolo) dedotto in giudizio: come, in effetti, accade per la proprietà e gli altri diritti reali di godimento, individuati, appunto, sulla base della sola indicazione del relativo contenuto, con la conseguenza che, per un verso, la causa petendi delle relative azioni giudiziarie si identifica con i diritti stessi e non con il relativo titolo (contratto, successione ereditaria, usucapione, ecc.) che ne costituisce la fonte, la cui eventuale deduzione non ha, per l’effetto, alcuna funzione di specificazione della domanda, e, per altro verso, non viola il divieto dello ius novorum in appello la deduzione da parte dell’attore ovvero il rilievo ex officio iudicis di un fatto costitutivo del tutto diverso da quello prospettato in primo grado a sostegno della domanda introduttiva del giudizio (Cass. n. 23565 del 2019)>>.

Il punto andava spiegato un poco, dato che in linea di principio il rapporto di società è pienamente contrattuale: anche se l’esito non sarebbe cambiato, valorizzando i giudici il comune profilo dell’autodeterminazione.

Sulla sostituzione di deliberazione invalida con nuova deliberazione

Trib. Roma n° 17476/2022 del 25.11.2022, RG 53880/2018, rel. Goggi, sull’oggetto:

<<Secondo, infatti, l’orientamento dottrinale e giurisprudenziale maggiormente
condivisibile che si è affermato in materia (cfr. Trib. di Monza 5/3/2001), dopo la
sostituzione, l’annullamento della prima delibera è precluso, in ogni caso, per effetto della cessazione della materia del contendere, essendo riservato al giudice della impugnazione della seconda delibera, specie nell’ipotesi, come quella per cui è causa, in cui il giudizio sia tuttora pendente, ogni sindacato sulla legittimità dell’atto di rinnovo.
Tale tesi si fonda sul presupposto, di cui non sembra potersi dubitare, dell’efficacia estintiva degli effetti della deliberazione sostituita da attribuirsi alla nuova deliberazione avente lo stesso oggetto della prima: la nuova delibera, invero, priva di ogni effetto la delibera che ha sostituito e tale sua efficacia mantiene fin tanto che non venga annullata per essere, a sua volta, contraria alla legge o allo statuto. Ne consegue che la sua eventuale non conformità alla legge o allo statuto – prevista dall’art. 2377 c.c. quale condizione per l’operatività della preclusione all’annullamento della delibera impugnata – potrebbe privarla di tale efficacia estintiva degli effetti della prima delibera solo se venisse annullata a seguito di un autonomo giudizio di impugnazione, giudizio che non può essere introdotto nell’ambito del giudizio di impugnazione avente per oggetto la delibera sostituita – stante la diversità dell’oggetto e la conseguente novità dell’eventuale domanda così introdotta in tale giudizio – né essere oggetto di un accertamento incidentale, ai soli fini della verifica delle condizioni di operatività della norma contenuta nell’ottavo comma dell’art. 2377 c.c., stante la necessità, allo scopo di privare di efficacia la delibera successivamente adottata, di una pronuncia costitutiva di annullamento, per sua natura incompatibile con un accertamento incidenter tantum. Al giudice dell’impugnazione della prima delibera, pertanto, è preclusa ogni valutazione circa la validità della delibera sostitutiva, con la sola eccezione, come è stato correttamente osservato in dottrina, della possibilità di rilevare, ove ricorrano, vizi comportanti la nullità della stessa delibera a norma dell’art. 2379 c.c.; tale nullità, infatti, comportando l’improduttività di qualsiasi effetto della (seconda) delibera, rilevabile anche d’ufficio, senza necessità di alcuna pronuncia costitutiva, potrebbe essere assoggettata, indipendentemente dall’impugnazione da parte degli interessati, a sindacato incidentale in seno al processo originato dall’impugnazione della delibera originaria>>

OK, può essere sia così. Solo che  nel caso sub iudice si tratta di rapporto tra delibere di organi diversi (Cda e assemblea soci), mentre la legge regola la sostituzione tra delibere dello stesso organo: il Tribunale avrebbe dovuto motivare sul punto.

Andrebbe poi approfondito il fatto che la delibera sostiotutiva dell’assemblea dei soci era solo “ratificante” l’indicazione del CdA

Domanda di annullamneto di delibera societaria per abuso di maggioranza: altro caso di rigetto

Sono rari gli accoglimenti di domande di annullameno di delibere societarie per abuso di maggioranza, sopratutto per il requisito di un intento soggettivo pravo (ma sarebbe da esplorare se bastasse l’assenza di un -qualunque- giovamento prospettico all’attività sociale).

Il Trib. di Milano con sent. 804/2022 del 31.0’1.2022 , RG 50629/2018, rel. MaRCONI, rientra tra i rigetti.  E a ragione, se si condivide l’accertamento fattuale e delle ragini di business alla base dello stesso.

Così accerta e motiva il giudice:

<<Come noto la fattispecie di creazione giurisprudenziale dell’abuso del diritto di voto da parte del socio di maggioranza che determina l’annullabilità della deliberazione assembleare si configura allorché ilsocio eserciti consapevolmente il suo diritto di voto in modo tale da ledere le prerogative degli altri soci senza perseguire alcun interesse sociale, in violazione del dovere di comportarsi secondo buona fede nell’esecuzione del contratto sociale.

La ravvisabilità dell’interesse sociale all’adozione delle delibera esclude, quindi, in radice laconfigurabilità dell’abuso di potere dei soci di maggioranza, fermo restando che, in ogni caso, ilsindacato sull’esercizio del potere discrezionale della maggioranza, reputata dall’ordinamento migliore interprete dell’interesse sociale in considerazione dell’entità maggiore del rischio che corre nell’esercizio dell’attività imprenditoriale comune, deve arrestarsi alla legittimità della deliberazione attraverso l’esame di aspetti all’evidenza sintomatici della violazione della buona fede senza spingersi acomplesse e retrospettive valutazioni di merito in ordine all’opportunità delle scelte di gestione eprogramma dell’attività comune sottese alla delibera adottata.

Nel caso in esame come risulta dal verbale dell’assemblea del 20 luglio 2018 la deliberazione di aumento di capitale da € 400.000 a € 800.000 “ a pagamento e alla pari, nel pieno rispetto del diritto diopzione spettante ai Soci” è stata adottata allo scopo di consentire alla società di sottoscrivere e liberare azioni ordinarie ed uno strumento finanziario partecipativo della Cooperativa EditorialeLariana per consentirle a sua volta di sottoscrivere l’aumento di capitale della Editoriale s.r.l., il tutto finalizzato, previa revoca dello stato di liquidazione delle due società, allo sviluppo di nuove iniziative imprenditoriali nel mondo dell’editoria sfruttando le sinergie fra le due società ( v. doc. 2 di parteattrice a pag. 4).

Come chiaramente spiegato dalla difesa della società convenuta la delibera tendeva a realizzare l’interesse sociale alla ripresa della piena attività ed al salvataggio della società partecipata Editoriale s.r.l., che era stata posta in liquidazione ed iscritta a bilancio al valore simbolico di € 1, con uninvestimento attuato indirettamente, attraverso l’aumento di capitale nella Cooperativa EditorialeLariana, che ne era già socia di maggioranza, finalizzato ad assicurarle la possibilità di godere anche in futuro del contributo governativo riconosciuto, a partire dal 2021, alle società editrici di quotidiani eperiodici solo se integralmente partecipate da una società cooperativa.La ripresa dell’attività della Editoriale s.r.l. avrebbe, poi, consentito alla società convenuta non solo ilrecupero di valore e redditività della partecipazione che diveniva indiretta all’esito dell’operazione ma anche la migliore tutela del suo patrimonio immobiliare, costituito dalla porzione dell’edificio di prestigio in cui esercita l’attività di impresa adiacente alla porzione di proprietà di Editoriale s.r.l., scongiurando il rischio dell’impatto negativo della materiale separazione fra le due porzioni, utilizzate promiscuamente, conseguente alla vendita in sede di liquidazione della parte di proprietà di Editoriales.r.l.

La complessa operazione di finanziamento sottesa alla deliberazione di aumento di capitale era, quindi,chiaramente concepita in funzione dell’evidente interesse della società alla ripresa dell’attività della partecipata Editoriale s.r.l. e la circostanza è sufficiente ad escludere la stessa configurabilità dell’abusodella maggioranza senza che rilevi in alcun modo l’esito negativo dell’operazione, constatato ex post, corrispondente alla realizzazione del normale rischio di impresa che si è, peraltro, risolto in pregiudizioeconomico solo per i soci che hanno partecipato alla ricapitalizzazione.

La diluizione della partecipazione dei soci di minoranza, dunque, costituisce l’effetto naturale dellegittimo esercizio del potere discrezionale della maggioranza di deliberare l’aumento di capitale nell’interesse della società e della libera scelta di non sottoscriverlo degli altri soci che, del resto, neanche hanno mai dedotto in giudizio di essersi trovati nell’impossibilità nota alla maggioranza di far  fronte al relativo impegno finanziario.

Né contrariamente a quanto sostenuto dagli attori la previsione dell’aumento di capitale “alla pari” cioè senza la previsione del sovrapprezzo corrispondente al maggior valore del patrimonio sociale rispetto alcapitale nominale può costituire sintomo di abuso della maggioranza, in presenza della previsione del diritto di opzione a favore di tutti i soci ( v. Tribunale di Milano 6.8.2015 n. 9296).>>

Un caso di annullamento di delibera assembleare per abuso di maggioranza

Gli annullamenti di delibere societarie per abuso di potere da parte della maggioranza sono rari, avendo gli impugnanti un onere provatorio arduo.

Però Trib. Milano 24.3.2021 n. 2488/2021, RG 3794318, riesce in tale senso: il riporto a nuovo degli utili per il quinto ano consecutoivo e quindi l’omesa distribuzione, in assenza di motivo palusibile, è abusivo e la delbiera è anullata.

L’abuso sussiste <<se la decisione a) non trova alcuna giustificazione nell’interesse della società; b) è il risultato di una intenzionale attività dei soci di maggioranza diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza uti singuli ( Cass 27387/2005 e in questo senso anche Tribunale Torino sentenza n. 2100/2017). Ritiene il Tribunale che la delibera 24 aprile 2018 di Ser-Fid impugnata, autonoma anche se dipendente da quella di approvazione del bilancio di esercizio da cui emergono gli utili conseguiti, sia effettivamente viziata da abuso del diritto da parte della maggioranza non trovando proprio alla luce delle spiegazioni offerte in comparsa di costituzione dalla società, non contestate nei suoi presupposti di fatto dalla difesa dell’attore , giustificazione se non nel contrasto tra il gruppo dei soci che costituiscono la maggioranza e De Lillo socio di minoranza al 9,5%.    Infatti, la società ha allegato che la decisione di non distribuire gli utili si fonda sulla scelta di prudente politica societaria volta a garantirle la disponibilità liquida per far fronte alla sua ordinaria attività sociale di finanziaria esercente attività fiduciaria iscritta all’albo ex art 106 Tub e per poter anticipare ogni anno gli acconti fiscali dovuti dai clienti in relazione ai redditi di natura finanziaria provenienti dal risparmio amministrato.

Ebbene, va osservato, pur senza sindacare la descritta politica societaria, che l’esigenza di garantire alla società liquidità necessaria per far fronte ai suoi impegni quanto all’esercizio 2017, non necessitava la decisione di portare a nuovo i contenuti utili di € 81.232,00 considerando che, come segnalato dalla difesa dell’attore, la società aveva una disponibilità liquidità di € 5.123.038 a fine esercizio 2017 (doc.2 convenuta) con un incremento di circa un milione dall’esercizio precedente; si tratta di componente del patrimonio di immediata disponibilità ed utilizzabilità che garantiva il bisogno di risorse per far fronte all’anticipo fiscale per i clienti, considerando che la società ha evidenziato i valori di questi anticipi in un  importo di 4 milioni di euro nel 2015. La società era, inoltre, ben patrimonializzata (patrimonio netto ammontante a € 4.188.007, come emerge dal bilancio 2017 (doc.12 fasc.att)).

La rilevante disponibilità di liquidità è certamente anche il risultato delle pregresse e indiscutibili decisioni di non distribuire gli utili, ma la sistematica negazione della distribuzione dei dividendo diviene illegittima nel 2018 in quanto in sé non si giustifica più avendo la società raggiunto l’obiettivo che si era posta di avere adeguate risorse disponibili in via immediata che il modesto incremento di 81.000,00 non modifica nella sostanza, tanto più che la delibera è assunta in una situazione di forte conflitto tra i soci della famiglia Paganini/Pizzoccaro componenti la maggioranza da un lato e De Lillo, socio di minoranza
dall’altro.

La delibera valutata in questo contesto e dati gli elementi di fatto descritti (forte
patrimonializzazione della società, ingente somma liquida a disposizione, importo residuo degli utili portati a nuovo) risulta priva di una giustificazione causale nell’ottica del perseguimento degli interessi sociali, risulta assunta non nell’interesse dichiarato in atti della società, già conseguito alla data della delibera, ma per fini extrasociali e vessatori verso De Lillo nei cui confronti pendevano richieste volte a fargli retrocedere le azioni alla donante Pizzoccaro, essendo venuto meno il legame con Laura Paganini (figlia della Pizzoccaro) dalla quale si stava separando (doc. 13 attore).

Il vizio di abuso di potere che inficia la delibera 24 aprile 2018 dell’assemblea di Sr-Fid nella parte in cui stabilisce “di riportare a nuovo tutto l’utile netto di esercizio di euro 81.232,00” è causa di annullamento della stessa>>.

La categoria della inesistenza delle delibere societarie non è stata espunta dalla riforma del 2003 (più un cenno sulla consensuslità od obbligatorietà della cessione di titoli azionari)

Cass. 26.199 del 27.09.2021, rel. Campese, interviene sulla seguente fattis n.pecie concreta: l’assemblea, cui partecipà un solo socio -sè dicente tale- al 99,5 % poi rivelatosi privo di titolarità (e non solo di legittimazione), può dirsi esistente e dunque soggetta a nullità/annullabilità? O è invece radicalmente inesistente, con la conseguente non assoggettabilità ai termini posti per le due invalidità?

La risposta esatta è la seconda: <<ad avviso di questo Collegio si rivela preferibile, tra le descritte opinioni dottrinali, quella incline a configurare sebbene in via del tutto residuale – la categoria della inesistenza della Delibera assembleare esclusivamente allorquando lo scostamento della realtà dal modello legale risulti così marcato da impedire di ricondurre l’atto alla categoria stessa di deliberazione assembleare, e cioè in relazione alle situazioni nelle quali l’evento storico al quale si vorrebbe attribuire la qualifica di deliberazione assembleare si è realizzato con modalità non semplicemente difformi da quelle imposte dalla legge o dallo statuto sociale, ma tali da far sì che la carenza di elementi o di fasi essenziali non permetta di scorgere in esso i lineamenti tipici dai quali una deliberazione siffatta dovrebbe esser connotata nella sua materialità. E tanto in linea di sostanziale continuità con quanto già sancito, sebbene in fattispecie regolata dalla normativa ante riforma, da Cass. n. 7693 del 2006, la quale, non aveva mancato di evidenziare come le novità legislative di cui al D.Lgs. n. 6 del 2003, non valessero “comunque ad espungere del tutto dall’ordinamento societario la figura della deliberazione inesistente, quanto meno nei casi nei quali si debba parlare di inesistenza materiale, prima ancora che giuridica, di essa”. Nella fattispecie ivi esaminata, nella quale era mancata non soltanto la separata convocazione, quanto la costituzione stessa di un’assemblea degli obbligazionisti sottoscrittori del prestito convertibile emesso da una società, e nella quale la deliberazione concernente la modifica delle condizioni di tale prestito era stata assunta non già semplicemente con il concorso anche di soggetti non legittimati, bensì unicamente con il voto di estranei al prestito da modificare ed in assenza totale dei soli obbligazionisti legittimati, era stata ritenuta mancante la materialità stessa della riunione assembleare – o, quanto meno, di una riunione assembleare riferibile agli obbligazionisti sottoscrittori di quel prestito – “non diversamente da quanto accadrebbe se si pretendesse di qualificare come assemblea degli azionisti di una società un’adunanza cui partecipino soltanto soggetti che di quella società non sono invece affatto soci”>>, § 2.4.11.

Principio di diritto: <<E’ inesistente la Delibera assembleare di società di capitali assunta con la sola partecipazione di soggetti privi della qualità di socio della stessa”>, § 5.1

Poisizione condivisibile: che almeno nel caso sub iudice vada ravvisata l’inesistenza o meglio che non si possano far scattare i termini per le impugnazioni di nullità e annullabilità, mi pare sicuro.       Più difficile è capire  in quali altri casi ciò possa ravvisarsi.

La SC poi prende posizione sull’individuazione del momento traslativo nella cessione di titoli azionari e opta per la teoria consensualistica: il transfert (iscrizione a libro soci) , allora, è solo esecuzione di un  contratto già perfezionato.

Anche qui è condivisibile.

Di fronte ad una regola generale come l’art. 1376 cc, le deroghe devono essere espresse o poggiare su forti considerazioni teleologiche (da vedere se potrebbero essere pattuite nel contratto sociale). Nessuno dei due casi ricorre nel TUF (art. 83 quater spt.): per cui anche per i titoli dematerializzati continua ad operare la cit. disposizione codicistica (conf. Martorano F., Titoli di credito dematerializzati, in Tratt. dir. civ. comm. Cicu Messineo, Giuffrè, 2020, 144 ss e spt. 161 ss ).

Non vale in contrario addure le disposizioni ex art. 30/1 e 32/1 d. lgs. 213 del 1998, oggi art . 83/1 e 83 quinquies/1 TUF: non è esatto che esse o si ripetono o dicono cose diverse, al punto che ne segue ineluttabilmente  l’efficacia costitutiva dell’annotazione nei registri dell’intermediario (così invece Cian M., Titoli dematerializzati e <circolazione cartolare>, Giuffrè, 2001, 306 ss e spt. 310-314 e poi più sinteticamente in Cian , Il trasferimento dei titoli dematerializzati tra consensualismo e anticonsensualismo, nota a Cass. pen. 23.02.2009 n. 7769, Giur. com.., 2010, II, 80 ss; per Cian il consenso è ad effetto solo obbligatorio, mentre il trasferimento è prodotto dal compimento della c.d. operazione di giro e cioè dall’addebtito/accredito nei conti del venditore e risp.  dell’compratore e di eventuali intermediari). La prima disposizione si limita a dire che in generale è imprescindibile il ruolo dell’intermediario, senza specifcare per quali aspetti: non a caso la rubrica dell’articolo recita solo <Attribuzioni della societa’ di gestione e dell’intermediario)> (oggi: <dei depositari centrali e degli intermediari>). La seonda invece precisa per quali aspetti e cioè regola i diritti emergenti dall’intervento dell’intermediario (mera legirttimazione): non a caso la rubrica è “Diritti del titolare del conto” (questa è la sedes materiae della disciplina dei diritti sorgenti dalla registrazione presso l’intermediario).

Piuttosto andrebbe esaminato se fa cambiare la suggerita impostazione la odierna sosttuizione della <chartula> con la registrazione informatica (esame bencondotto da Cian, 283 ss e spt. 289 ss.). Ma allo stato non parrebbe: la seconda sostotuisce .

Esame istituzionale anche in Menti , Ex chartula. Nozioni introduttive ai titoli di credito, Giappichelli, 2011, 191 ss. Per la teoria consensualistica De Luca N., Circolazione delle azioni e legittimazione dei soci, Giappichelli, 2007, 152 (manca però esame specifico delle peculiarità caratterizzanti la dematerializzazione)

Valutazione comparativa ex art. 2378 c. 4 c.c. per la sospensione cautelare di delibera societaria impugnata: un caso recente

Nella lite ormai annosa Vivendi c. Mediaset ( su cui v. miei post del 10.09.2019 e del 16.01.2019), un recente provvedimento cautelare milanese applica il bilanciamento tra l’interesse dell’impugnante e quello della società resistente, disposto dall’art. 2378 c. 4.

Si tratta dell’ordinanza di Trib. Milano  03.02.2020, giudice : d.ssa Riva Crugnola, procc. riuniti RG 33508/2-3-4-5 del 2019.

Secondo la  disposizione appena citata, <<il giudice designato per la trattazione della causa di merito, sentiti gli amministratori e sindaci, provvede valutando comparativamente il pregiudizio che subirebbe il ricorrente dalla esecuzione e quello che subirebbe la societa’ dalla sospensione dell’esecuzione della deliberazione; puo’ disporre in ogni momento che i soci opponenti prestino idonea garanzia per l’eventuale risarcimento dei danni.>>
Il tribunale con la cit. ord. 03.02.2020, a scioglimento della riserva assunta all’udienza di due giorni prima, nega la cautela.
La domanda di merito mira a annullare due delibere dell’assemblea soci di Mediaset spa: <<procedimenti cautelari riuniti qui in esame riguardano la richiesta di sospensione ex art.2378 cc delle due delibere adottate dall’assemblea dei soci di MEDIASET SPA rispettivamente il 4.9.2019 e il 10.1.2020,
la prima recante approvazione del progetto di fusione transfrontaliera tra MEDIASET SPA (d’ora in avanti anche solo MEDIASET) e MEDIASET ESPANA COMUNICACION SA (d’ora in avanti anche solo MESPANA) con incorporazione di entrambe nella società olandese destinata ad essere ridenominata MEDIAFOREUROPE NV (d’ora in  avanti anche solo MFE),
la seconda recante approvazione di modifiche allo statuto di MFE post-fusione a seguito dei rilievi svolti dalle socie di MEDIASET impugnanti la prima delibera, VIVENDI SA e Simonfidspa>>, pp. 4-5.
Secondo Vivendi, la delibera è abusiva sostanzialmente perchè ha lo scopo di rafforzare i poteri della maggioranza (in base al più favorevole diritto olandese) senza corrispondere ad alcun progetto industriale , p. 6/7.
Secondo Mediaset invece ci sono solide ragioni di business legate soprattutto alla necessità aumentare la dimensione aziendale. Inoltre l’incoremento di potere corporativo della maggioranza è compensato da specifici diritti per le minoranza, p. 8/9.
Il Tribunale inizia a dire che le delibere vanno considerate unitariamente, p. 9.
Passa poi ad esaminare i pericula (per Mediaset dalla sospensione e per Vivendi dalla non sospenszione) per conclduere che il primo è maggiore del secondo, soprauttto perchè -a differenza da esso- non è risarcibile.
Infatti il rimedio risarcitorio per Vivendi esiste, mentre per Mediaset <<l’impossibilità di procedere alla fusione derivante dalla sospensione delle due delibere  impugnate rappresenterebbe (…) un evento senz’altro  pregiudizievole in termini non solo organizzativi ma anche industriali ed economici, in particolare impedendo uno sviluppo dimensionale ritenuto  indispensabile nel mercato di riferimento e, comunque, risolvendosi nel “blocco” di una iniziativa ampiamente illustrata ai mercati con tutte le ovvie conseguenze anche in termini di valutazione da parte degli stessi mercati; tale pregiudizio, in quanto attinente allo stesso sviluppo trans-nazionale dell’attività imprenditoriale propria della convenuta, o sviluppo la cui evoluzione secondo le linee da tempo programmate sarebbe bruscamente impedito, appare dunque al Tribunale particolarmente rilevante e non suscettibile di futura riparazione risarcitoria adeguata, incidendo sulle stesse modalità di esercizio dell’impresa, i cui risultati alternativi sarebbero -per le innumerevoli varianti da considerare- di difficilissima se non impossibile quantificazione nel caso -all’esito dei procedimenti di merito- le delibere impugnate fossero ritenute valide>>, p. 10.
In sintesi <<all’esito della comparazione dei pregiudizi ex art.2378 cc sono dunque ravvisabili: – da un lato, per la convenuta MEDIASET, un pregiudizio attinente allo stesso funzionamento dell’ente ed alle sue prospettive di sviluppo, come tale da considerare irreparabile; – dall’altro un pregiudizio per le impugnanti riconducibile al minor peso della loro partecipazione post-fusione, risolventesi in un minor valore della partecipazione suscettibile di rimedi risarcitori, con esito finale, dunque, nel senso della maggior rilevanza del pregiudizio che si verificherebbe in capo alla convenuta in caso di accoglimento delle istanze cautelari, istanze che vanno quindi rigettate>>, p. 11.
Concludo ricordando l’interessante questione posta da Vivendi: l’operazione di fusione con spostamento della sede in Olanda avrebbe il solo scopo di incrementare i poteri dei soci di maggiorenza, senza ulteriori scopi industriali. Il che attiene allo scopo della società: che di solito è individuato in quello di fare profitti e, oggi va aggiunto, di farli in modo sostenibile [precisazione densa di conseguenze giuridiche].
Sul purpose of the company v. il post <<A Fuller Sense of Corporate Purpose: A Reply to Martin Lipton’s ‘on the Purpose of the Corporation’>> di Bernard S. Sharfman del 9 giugno nel blog di Oxf. Univ.  che risponde a due post di Martin Lipton (uno dei più noti avvocati di diritto societario statunitense), ivi linkabili.

legittimazione degli amministratori ad impugnare delibera approvata alla unanimità

Anche se approvata dai soci all’unanimità, gli amministratori hanno il potere-dovere di impugnare la delibera invalida, alla luce dell’esigenza di tutela dell’interesse generale alla legalità societaria (Trib. Roma 26.06.2018, sez. specializz. in m. di i., RG 74636/2015, rel. Guido Romano).

La sentenza riguarda una s.r.l. ma il ragionamento può essere applicato pure ad una s.p.a.