Sfasatura temporale tra atto di malagestio degli amministratori e omissiva negligenza dei sindaci, unità temporale dell’incarico affidato a questi ultimi e cenno all’onere della prova

Cass. sez. I, ord. 13/02/2024 n. 3.922, rel. Crolla, affronta un caso di malagestio degli anni 2013-2014 rispetto a compensi chiesti dal sindaco per gli anni 2018-2019 (incarico triennnale 2017-2019).

<<4.1 Il motivo è fondato. 4.2 I giudici circondariali hanno accertato che i rilievi relativi alla carente vigilanza dei sindaci si riferiscono agli esercizi 2013 e 2014; ciò nondimeno, secondo Tribunale, l’eccezione di inadempimento del collegio sindacale paralizzerebbe il diritto al compenso per l’intero triennio della durata del mandato atteso che, secondo quanto previsto dall’art 2402 c.c., il corrispettivo per l’opera prestata dal sindaco, seppur corrisposto annualmente, deve essere determinato all’atto di nomina per l’intero periodo di durata dell’ufficio.

4.3 Le conclusioni raggiunte dal Tribunale non sono in linea con l’orientamento di questa Corte che ha affermato il principio secondo il quale “in tema di società di capitali, l’adempimento dei doveri di controllo, gravanti sui sindaci per l’intera durata del loro ufficio, può essere valutato non solo in modo globale e unitario ma anche per periodi distinti e separati, come si desume dalla disciplina generale, contenuta nell’art. 1458, comma 1, c.c., riferita a tutti i contratti ad esecuzione continuata, pertanto, poiché l’art. 2402 c.c. prevede una retribuzione annuale in favore dei sindaci, è in base a questa unità di misura che l’inadempimento degli obblighi di controllo deve essere confrontato con il diritto al compenso” (cfr. Cass. 6027/2021). Ciò in quanto il testo della norma dell’art. 2402 c.c. risulta univoco nell’indicare che quella spettante ai sindaci è, propriamente, una “retribuzione annuale”, secondo quanto è coerente, del resto, con la durata che connota, come scansione dell’attività di impresa, l'”esercizio sociale” (così, sulla base di questa constatazione, la giurisprudenza di questa Corte ritiene che il credito del sindaco goda del privilegio ex art. 2751-bis c.c. non già in relazione agli ultimi due mandati, ma unicamente per le due ultime annualità del più recente incarico: cfr. Cass., 4 dicembre 1972, n. 3496; Cass., 9 aprile 2019, n. 15828, che appunto discorrono di “distinti crediti annuali”). Ne segue, allora, che è con questa unità di misura (della singola annualità) che l’inadempimento degli obblighi di controllo deve venire a confrontarsi in relazione al riconoscimento del diritto al compenso del sindaco.

4.4 Hanno, quindi, errato i giudici lariani nel non aver riconosciuto il carattere sinallagmatico delle prestazioni sull’unità temporale dell’annualità, ferme restando le considerazioni sopra svolte in ordine alla configurazione delle condotte inerti antidoverose dei sindaci anche per i periodi successivi agli atti di mala gestio degli amministratori sino al Fallimento, nell’ipotesi di permanenza dei loro effetti dannosi, che sarà accertata in sede di giudizio di rinvio per effetto dunque dell’accoglimento dei primi due motivi del Fallimento.>>

Non concordo. L?ary. 2402 regola solo la scadenza del pagAMENTO (rateale); ma l’incarico è unitariamente determinato in tre anni.

CEnno sull’onere della prova:

<<

5.2 In ogni caso la censura è inammissibile ex art. 360 bis nr 1 c.p.c. in quanto, per consolidata giurisprudenza, il curatore che solleva nel giudizio di verifica l’eccezione d’inadempimento, secondo i canoni diretti a far valere la responsabilità contrattuale, ha (solo) l’onere di allegare e provare l’esistenza del titolo negoziale, contestando, in relazione alle circostanze del singolo caso, la non corretta (e cioè negligente) esecuzione della prestazione o l’incompleto adempimento, restando, per contro , a carico del professionista (al di fuori di una obbligazione di risultato, pari al successo pieno della procedura) l’onere di dimostrare l’esattezza del suo adempimento per la rispondenza della sua condotta al modello professionale e deontologico richiesto in concreto dalla situazione su cui è intervenuto con la propria opera ovvero l’imputazione a fattori esogeni, imprevisti e imprevedibili, dell’evoluzione negativa della procedura, culminata nella sua cessazione (anticipata o non approvata giudizialmente) e nel conseguente fallimento (Cass. 18705/2016, 25584/2018 con riferimento alle prestazioni professionali del sindaco; Cass. S.U. n. 42093 del 2021, in motiv. e 35489/2023).

4.2 In verità tale orientamento va specificato con riferimento alla ipotesi, prevista dall’art 24072 ° comma c.c., di responsabilità concorrente e solidale dei sindaci con quella degli amministratori, per omessa vigilanza sui comportamenti di questi.

4.3 In tale evenienza, secondo il recente insegnamento di questa Corte (cfr. Cass. 2343/2024), l’eccipiente deve fornire “la prova di quei fatti storici, attinenti alla gestione ovvero al concreto assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, sui quali si innesta la deviazione della condotta di vigilanza esigibile dal sindaco; quella condotta, cioè, che il sindaco, che poi agisce in sede concorsuale per l’adempimento del proprio credito stante il pregresso inadempimento del corrispettivo, avrebbe dovuto tenere – e non ha tenuto – in relazione al suo mandato. Solo, dunque, per essa appare sufficiente, nella ripartizione dell’onere della prova, che il creditore della prestazione di vigilanza (nella fattispecie, e per la società, il curatore fallimentare) possa anche limitarsi a eccepire, nei segnalati termini di specificità, l’inesatto adempimento, allegato come difetto di vigilanza rispetto a fatti specifici invece non solo descritti ma anche provati”  >>.

Legittimo il recesso statutario ad nutum nelle soc. (non quotate) a tempo determinato

Cass. sez. I, sent. 29/01/2024 n. 2.629, rel. Nazzicone, dopo una premessa/trattatello di eccessiva lunghezza sul recesso societario, così  motiva sul punto:

<<Ragionamenti, dunque, estranei alla questione ora all’esame, in cui al creditore non si richiede nessuna previa valutazione circa l’esistenza del diritto di recesso in quanto ancorata alla “vita del socio” o ad un “progetto imprenditoriale” più o meno specifico.

Ed invero, nell’intento di favorire l’accesso della società ai finanziamenti, il legislatore ha assicurato ai potenziali investitori la possibilità di uscire dalla società stessa con facilita e senza dover temere “sorprese”.

Nel ripercorrere le fattispecie dell’art. 2437 c.c., sopra ricordate, si nota che il legislatore, accanto alle ipotesi tipiche di attribuzione della facoltà di recesso di cui al primo, secondo e quinto comma, si è preoccupato – piuttosto – di slegare il socio dai vincoli e di preservarne l’autonomia negoziale, con il prevedere ad esempio il diritto di recesso nelle società contratte a tempo indeterminato.

Una logica non diversa, nella medesima prospettiva di autonomia negoziale dei soci e della società, connota il quarto comma della disposizione.

Come il legislatore, attuando la legge delega, ha mirato più in generale ad ampliare l’autonomia statutaria, cosi specificamente in materia di recesso, accanto all’aumento delle ipotesi legali inderogabili perché caratterizzate da esigenze di ordine pubblico, ha anche previsto la novità, consistente nel fatto che lo statuto possa prendere in considerazione ulteriori cause di recesso o non prevederne altre, pur indicate dalla legge, ma considerate derogabili.

La riforma del 2003 ha, quindi, a fronte dell’aumento dell’autonomia statutaria delle società e del rafforzamento dei poteri anche degli amministratori, attribuito alle minoranze tutela risarcitoria o, nella specie, un diritto di recesso di maggiore ampiezza. Dunque, come si rileva da molti, il recesso costituisce anche uno strumento di organizzazione dei rapporti endosocietari, spettando non più soltanto in presenza di decisioni assembleari non assentite dal socio, ma potendo le società che non fanno ricorso al mercato dei capitali di rischio liberamente introdurre ulteriori cause di recesso per via statutaria, onde esso funge anche da strumento di negoziazione.

Sebbene, poi, proprio il procedimento di liquidazione previsto per legge, con il consegnare ai soci il valore tendenziale di mercato delle azioni, non escluda affatto che essi debbano accontentarsi di una perdita di valore del loro investimento e patirne un pregiudizio.

Per la maggioranza, vale la considerazione che, ove fosse non conveniente operare alla fine il rimborso della partecipazione al socio recedente, la società potrà decidere lo scioglimento.

Gli interessi che si fronteggiano in materia, pertanto, sono, da un lato, l’interesse della società a mantenere il conferimento conseguito, e, dall’altro lato, l’interesse del socio ad uscire dalla compagine societaria, una volta che abbia maturato tale intenzione.

Tuttavia, se è vero che il legislatore ha “bilanciato” egli stesso tali interessi – laddove ha attribuito al socio, con norme a volte derogabili ed a volte no, la facoltà di recedere a fronte di situazioni date (assunzione di deliberazioni non condivise, vicende di potere o di abuso nel gruppo con alterazione notevole delle condizioni economiche e patrimoniali dell’investimento) – e pur vero che egli ha, poi, espressamente riconosciuto all’autonomia statutaria la possibilità di contemplare “ulteriori cause di recesso”, con il solo limite che non si tratti di società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.

È allora ragionevole ritenere che, anche in tal caso, il “bilanciamento” degli interessi sia stato compiuto dal legislatore, proprio rimettendo alla libertà statutaria la scelta di contemplare altre vicende, ivi compreso il caso che i soci, nell’esercizio della loro autonomia negoziale privata, abbiano ritenuto conforme al proprio programma imprenditoriale consentire a ciascuno, od anche solo a taluno di essi, di uscire dalla compagine societaria, e ciò non, necessariamente, soltanto in presenza dell’assunzione di deliberazioni assembleari, ma anche, come nella specie, semplicemente per volere del socio.

Mentre nel recesso per giusta causa l’accento è posto nella permanenza del c.d. rapporto fiduciario fra i soci, il recesso ad nutum non coinvolge necessariamente il rapporto fiduciario, potendo discendere anche semplicemente da una diversa valutazione circa le prospettive e scelte imprenditoriali.

Va pur detto che, peraltro, nel recesso ad nutum resta possibile – su eccezione della controparte – un controllo generale di buona fede, non diversamente che in tutti i negozi, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c., trattandosi di clausole generali che regolano i rapporti interprivati (sulla sussistenza del controllo giudiziale alla stregua di tale clausole, si vedano, ad es.: Cass., sez. I, 21 settembre 2023, n. 27014; Cass., sez. I, 21 febbraio 2023, n. 5396; Cass., sez. I, 22 dicembre 2020, n. 29317 e Cass., sez. I, 24 agosto 2016, n. 17291, in materia di apertura di credito in conto corrente a tempo indeterminato; Cass., sez. III, 29 settembre 2022, n. 28395, sul contratto preliminare di vendita di quote societarie; Cass., sez. III, 3 giugno 2020, n. 10549 e Cass., sez. I, 12 ottobre 2018, n. 25606, in tema di recesso da parte della società concedente nella concessione di vendita di autoveicoli; Cass., sez. II, 29 maggio 2020, n. 10324); in particolare, questa Corte ha già avuto occasione di richiamare l’applicazione della clausola generale di buona fede all’esercizio del diritto di recesso nelle società (Cass., sez. I, 12 novembre 2018, n. 28987, in tema di recesso del socio di s.r.l.)>>.

E poi:

<>Resta fermo che le scelte statutarie potranno ricercare l’equilibrio tra queste esigenze e la preservazione del capitale sociale, ad esempio prevedendo un termine di preavviso anche superiore ai centottanta giorni ed il suo possibile allungamento statutario fino ad un anno, o un termine iniziale di preclusione dell’esercizio del diritto di recesso, sulla falsariga di quanto dispone l’art. 2328, comma 2, n. 13, c.c.>>

Insomma il principioo di diritto è:

“È lecita la clausola statutaria di una società per azioni che non fa ricorso al mercato del capitale di rischio, la quale, ai sensi dell’art. 2437, comma 4, c.c., preveda, quale ulteriore causa di recesso, la facoltà dei soci di recedere dalla società ad nutum con un termine congruo di preavviso”.

Avrebbe giovato per chiarezza precisare che ciò vale per le soc. a tempo determinato (pur se implicito visto il c. 3 del 2437 cc)

Motivazione comunque troppo lunga, bastando ad es. la parte in rosso, alla luce del disposto di legge,  che non permette rettrizioni applicative in sede ermeneutica

Doveri del sindaco di società ed eccezione di inadempimento sollevata dalla società fallita di fronte alla sua richiesta di ammissione al passivo per il compenso

Cass. ord. Sez. 1 n. 3459 del 07.02.2024, rel. DONGIACOMO GIUSEPPE:

Il giudice a quo:

<<Il tribunale, infatti, ha ritenuto la fondatezza
dell’eccezione d’inadempimento sollevata dal Fallimento sul
duplice rilievo per cui, da un lato, gli addebiti posti a fondamento
della stessa, vale a dire l’“omessa vigilanza della rilevazione
della causa di scioglimento della società amministrata, a causa
della perdita del capitale sociale … occultata tramite la falsa
esposizione nei bilanci … di valori fittizi degli assets immobiliari
…”, “risultano compiutamente descritti e trovano riscontro nella
abbondante documentazione prodotta in atti” e, dall’altro lato,
che l’opponente, a fronte di tale eccezione, non aveva
adempiuto all’onere di provare “l’esatto e completo
adempimento delle prestazioni contrattualmente dedotte”>>.

La SC:
<<4.3. Il tribunale, così ragionando, si è attenuto ai principi
ripetutamente esposti da questa Corte, e cioè che il curatore del
fallimento della società committente, nel giudizio di
verificazione conseguente alla domanda di ammissione del
credito vantato dal professionista (come il sindaco della società
poi fallita) al compenso asseritamente maturato nei confronti
della stessa, è legittimato a sollevare l’eccezione
d’inadempimento (anche nel caso in cui si fosse prescritta la
corrispondente azione: art. 95, comma 1°, l.fall.) secondo i
canoni diretti a far valere la responsabilità contrattuale: vale a
dire con il (solo) onere di contestare, in relazione alle
circostanze del caso (come “la falsa esposizione nei bilanci … di
valori fittizi degli assets immobiliari …” e il conseguente
l’occultamento “della perdita del capitale sociale”, che ha
specificamente dedotto e altrettanto doverosamente
documentato in giudizio quali fatti storici che avrebbero imposto
al sindaco la condotta che, in relazione al mandato ricevuto,
avrebbe dovuto tenere e non ha, invece, tenuto, e cioè la
tempestiva “rilevazione della causa di scioglimento della società
amministrata”), la negligente o incompleta esecuzione, ad
opera del professionista istante, della prestazione di vigilanza
dovuta, restando, per contro, a carico di quest’ultimo l’onere di
dimostrare, a fronte delle circostanze dedotte e provate dal
curatore, di aver, invece, esattamente adempiuto per la
rispondenza della sua condotta al modello professionale e
deontologico richiesto in concreto dalla situazione su cui è
intervenuto con la propria opera (cfr. Cass. SU n. 42093 del
2021).
4.4. In tema di prova dell’inadempimento di
un’obbligazione, infatti, il creditore che agisca per
l’adempimento (oltre che per la risoluzione contrattuale ovvero
per il risarcimento del danno) deve soltanto provare la fonte del
suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla
mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della
controparte [incongfruenza: poche righe sopra aveva detto “dedotte e provate”], mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere
della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito
dall’avvenuto adempimento (Cass. SU n. 13533 del 2001).
4.5. Si tratta, peraltro, di un criterio di riparto dell’onere
della prova applicabile anche al caso in cui il debitore convenuto
si avvalga, com’è accaduto nel caso in esame, dell’eccezione
d’inadempimento di cui all’art. 1460 c.c. poiché il debitore
eccipiente può limitarsi ad allegare l’altrui inadempimento o
l’inesatto adempimento alle obbligazioni assunte dal creditore
(di cui deve dedurre e dimostrare il fatto costitutivo), spettando,
per contro, a chi ha agito in giudizio l’onere di provare di aver
esattamente adempiuto alle stesse (Cass. SU n. 13533 del
2001; Cass. n. 3373 del 2010; Cass. n. 826 del 2015; Cass. n.
3527 del 2021).
4.6. Pertanto, ove il preteso creditore (come il sindaco
della società fallita) proponga opposizione allo stato passivo,
dolendosi dell’esclusione di un credito (al compenso maturato)
del quale aveva chiesto l’ammissione, il Fallimento, dinanzi alla
pretesa creditoria azionata nei suoi confronti, può sollevare, per
paralizzarne l’accoglimento in tutto o in parte, l’eccezione di
totale o parziale inadempimento o d’inesatto adempimento da
parte dello stesso ai propri obblighi contrattuali (e cioè, com’è
accaduto nel caso in esame, l’“omessa vigilanza della
rilevazione della causa di scioglimento della società
amministrata, a causa della perdita del capitale sociale …
occultata tramite la falsa esposizione nei bilanci … di valori fittizi
degli assets immobiliari …”), con, appunto, il solo onere di
allegare, in relazione alle circostanze di fatto del caso (che ha
l’onere di provare), l’inadempimento del sindaco istante (al suo
dovere di vigilanza sull’attività di gestione della società: art.
2403, comma 1°, c.c.); spetta poi a quest’ultimo il compito di
provare il fatto estintivo di tale dovere, costituito dall’avvenuto
esatto adempimento, e cioè di aver adeguatamente vigilato
sulla condotta degli amministratori, attivando, con la diligenza
professionale dallo stesso esigibile in relazione alla situazione
concreta, i poteri-doveri inerenti alla carica (art. 2407, comma
1°, c.c.)>>.

Prosegue la SC:

<<4.7. I sindaci, in effetti, non esauriscono l’adempimento
dei proprio compiti con il mero e burocratico espletamento delle
attività specificamente indicate dalla legge avendo, piuttosto,
l’obbligo di adottare (ed, anzi, di ricercare lo strumento di volta
in volta più consono ed opportuno di reazione, vale a dire) ogni
altro atto (del quale il sindaco deve fornire la dimostrazione)
che, in relazione alle circostanze del caso (ed, in particolare,
degli atti o delle omissioni degli amministratori che, in ipotesi,
non siano stati rispettosi della legge, dello statuto o dei principi
di corretta amministrazione) fosse utile e necessario ai fini di
un’effettiva ed efficace (e non meramente formale) vigilanza
sull’amministrazione della società e le relative operazioni
gestorie (cfr., al riguardo, Cass. n. 18770 del 2019, in motiv.,
per cui “l’onere di allegazione e di prova nelle azioni di
responsabilità avverso l’organo sindacale si atteggia nel senso
che spetta all’attore allegare l’inerzia del sindaco e provare il
fatto illecito gestorio, accanto all’esistenza di segnali d’allarme
che avrebbero dovuto porre i sindaci sull’avviso; assolto tale
onere, l’inerzia del sindaco integra di per sé la responsabilità,
restando a carico del medesimo l’onere di provare di non aver
avuto nessuna possibilità di attivarsi utilmente, ponendo in
essere tutta la gamma di atti, sollecitazioni, richieste, richiami,
indagini, sino alle denunce alle autorità civile e penale”)>>

E subito dopo:

<<.Il decreto impugnato ha fatto corretta applicazione
degli esposti principi, dal momento che il Fallimento ha dedotto
un circostanziato inesatto adempimento (e cioè la mancata
“rilevazione della causa di scioglimento della società
amministrata, a causa della perdita del capitale sociale …
occultata tramite la falsa esposizione nei bilanci … di valori fittizi
degli assets immobiliari …”) ai compiti della carica, laddove, per
contro, il sindaco opponente (senza contestare l’insussistenza
di tali presupposti e i doveri giuridici che se conseguono), come
accertato in fatto dal tribunale, non ha, a sua volta, fornito la
prova di aver correttamente adempiuto.
4.9. Non può, in effetti, seriamente dubitarsi che i
sindaci (i quali, infatti, in caso d’inadempimento da parte degli
amministratori, sono legittimati ad agire in giudizio innanzi al
tribunale: artt. 2485, comma 2°, e 2487, comma 2°, c.c.)
abbiano (anche se si tratta di società quotate: cfr. l’art. 154,
comma 1, del d.lgs. n. 58/1998) il dovere di vigilare sul corretto
e tempestivo adempimento da parte degli amministratori
all’obbligo di rilevare tempestivamente la verificazione di una
causa di scioglimento della società, come la perdita del capitale
sociale (art. 2484, n. 4, c.c.), e di procedere alla relativa
iscrizione nel registro delle imprese (art. 2485, comma 1°, c.c.),
e che, in difetto, a prescindersi dalla dannosità o meno di tale
inosservanza, la società (o, in caso di fallimento, il suo curatore)
sia legittimata ad eccepire l’inadempimento a tale dovere per
escludere l’obbligo (e l’insinuazione al passivo del relativo
credito) al pagamento del compenso, in ipotesi, maturato.
4.10. Nelle società quotate, anzi, il dovere di vigilanza
sancito dall’art. 2403 c.c. non è circoscritto all’operato degli
amministratori ma si estende al regolare svolgimento dell’intera
gestione dell’ente in modo ancora più stringente, considerata
l’esigenza di garantire l’equilibrio del mercato (Cass. n. 1601 del
2021).
4.11. L’eccezione d’inadempimento, che può essere
dedotta anche in caso di adempimento solo inesatto, (salvo il
limite della buona fede: Cass. n. 1690 del 2006) non è, del
resto, subordinata alla presenza degli stessi presupposti
richiesti per la risoluzione del contratto e l’azione di risarcimento
dei danni conseguentemente arrecati, e cioè, rispettivamente la gravità e la dannosità dell’inadempimento dedotto (cfr. Cass.
n. 12719 del 2021).
4.12. Quanto al resto, non può che ribadirsi come la
violazione dell’art. 2697 c.c. si configura solo nell’ipotesi in cui
il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte
diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta
norma e non anche quando la censura abbia avuto ad oggetto,
com’è accaduto nel caso in esame, la valutazione che il giudice
abbia svolto delle prove proposte dalle parti lì dove ha ritenuto
(in ipotesi erroneamente) assolto (o non assolto) tale onere ad
opera della parte (e cioè, nel caso in esame, il creditore
opponente) che ne era gravata in forza della predetta norma,
che è sindacabile, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti
previsti dall’art. 360 n. 5 c.p.c. (cfr. Cass. n. 17313 del 2020;
Cass. n. 13395 del 2018)>>.

REsponsabilità dei sindaci di spa

Cass.  sez. I, Ord.  21/02/2024, n. 4.617, rel. Amatore:

<<2.7 Del resto, la motivazione impugnata risulta in linea con quanto affermato
dalla giurisprudenza di questa Corte, così non prospettandosi alcuna falsa
applicazione delle disposizioni normative sopra ricordate. Ed invero, in tema
di responsabilità degli organi sociali, la configurabilità dell’inosservanza del
dovere di vigilanza imposto ai sindaci dall’art. 2407, comma 2, c.c. non
richiede l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano
espressamente in contrasto con tale dovere, ma reputa sufficiente che essi
non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano
in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così
da non assolvere l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede,
eventualmente anche segnalando all’assemblea le irregolarità di gestione
riscontrate o denunciando i fatti al Pubblico Ministero per consentirgli di
provvedere ai sensi dell’art. 2409 c.c. (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 16314 del
03/07/2017; n. 13517 del 2014; Sez. 1, Sentenza n. 20651 del 31/07/2019;
Sez. 1, Sentenza n. 20651 del 31/07/2019; Sez. 1, Sentenza n. 32397 del
11/12/2019)>>

Affermazione generica e comunque inesatta: non rilevare una macroscopica violazione e non  reagire di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità costiutiscono esattamente “specifici compoprtamenti in contrasto col dovere di vigilanza.

Piuttosto sarebbe stato ineressante leggere il decr del Tribunale d quo (Verona), parendo assai analitico nell’esame dei fatti, secondo quanto riferisce la SC

I doveri del sindaco di società e l’onere probatorio della loro violazione da parte della curatela fallimentare (anche solo come eccezione di inadempimento alla richiesta di pagamento del compenso)

Cass.  Sez. I del 24/01/2024, n. 2.350, rel. Dongiacomo, con passaggi di un certo interesse:

sul secondo punto:

<<4.2. Il tribunale, infatti, pur avendo (correttamente) affermato che la vigilanza dei sindaci non si estende alla verifica della convenienza delle scelte gestionali degli amministratori, dovendo, piuttosto, riguardare la legittimità delle scelte e la correttezza dei procedimenti decisionali seguiti dagli stessi, ha ritenuto l’infondatezza dell’eccezione d’inadempimento con la quale il Fallimento aveva dedotto la “carenza di vigilanza” da parte del sindaco opponente in ordine ad alcune operazioni gestorie compiute dagli organi di gestione, limitandosi a rilevare, per un verso, che non era emersa la necessaria incidenza causale tra le omissioni imputate allo stesso e l’evento lesivo consistito nell’aumento indebito della massa passiva, e, per altro verso, che il collegio sindacale, come si evince dal contenuto delle verifiche svolte e dalle relazioni periodiche predisposte dagli stessi, aveva preso effettivamente atto dell’incremento dell’indebitamento e degli insoluti via via maturati, invitando il consiglio di amministrazione ed il socio di maggioranza ad effettuare concreti interventi finanziari e manifestando sempre la propria preoccupazione per l’equilibrio finanziario della società.

4.3. Il tribunale, tuttavia, ha, in tal modo, illegittimamente omesso di considerare, così cadendo nel vizio di falsa applicazione delle norme invocate dal ricorrente, come in precedenza indicate, il principio, che questa Corte ha ripetutamente affermato, secondo il quale il curatore del fallimento della società committente, nel giudizio di verificazione conseguente alla domanda di ammissione del credito vantato dal professionista (come il sindaco della società poi fallita) al compenso asseritamente maturato nei confronti della stessa, è legittimato a sollevare l’eccezione d’inadempimento (anche nel caso in cui si fosse prescritta la corrispondente azione: art. 95, comma 1°, l.fall.) secondo i canoni diretti a far valere la responsabilità contrattuale: vale a dire con il (solo) onere di contestare, in relazione alle circostanze del caso (come le operazioni gestorie, asseritamente contrarie ai principi di corretta amministrazione, che ha specificamente dedotto e altrettanto doverosamente documentato in giudizio quali fatti storici che avrebbero imposto al sindaco la condotta che, in relazione al mandato ricevuto, avrebbe dovuto tenere e non ha, invece, tenuto), la negligente o incompleta esecuzione, ad opera del professionista istante, della prestazione di vigilanza dovuta, restando, per contro, a carico di quest’ultimo l’onere di dimostrare, a fronte delle circostanze dedotte e provate dal curatore, di aver, invece, esattamente adempiuto per la rispondenza della sua condotta al modello professionale e deontologico richiesto in concreto dalla situazione su cui è intervenuto con la propria opera (cfr. Cass. SU n. 42093 del 2021).

4.4. In tema di prova dell’inadempimento di un’obbligazione, infatti, il creditore che agisca per l’adempimento (oltre che per la risoluzione contrattuale ovvero per il risarcimento del danno) deve soltanto provare la fonte del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento (Cass. SU n. 13533 del 2001)

4.5. Si tratta, peraltro, di un criterio di riparto dell’onere della prova applicabile anche al caso in cui il debitore convenuto si avvalga, com’è accaduto nel caso in esame, dell’eccezione d’inadempimento di cui all’art. 1460 c.c. poiché il debitore eccipiente può limitarsi ad allegare l’altrui inadempimento o l’inesatto adempimento alle obbligazioni assunte dal creditore (di cui deve dedurre e dimostrare il fatto costitutivo), spettando, per contro, a chi ha agito in giudizio l’onere di provare di aver esattamente adempiuto alle stesse (Cass. SU n. 13533 del 2001; Cass. n. 3373 del 2010; Cass. n. 826 del 2015; Cass. n. 3527 del 2021).

4.6. Pertanto, ove il preteso creditore (come il sindaco della società fallita) proponga opposizione allo stato passivo, dolendosi dell’esclusione di un credito (al compenso maturato) del quale aveva chiesto l’ammissione, il Fallimento, dinanzi alla pretesa creditoria azionata nei suoi confronti, può sollevare, per paralizzarne l’accoglimento in tutto o in parte, l’eccezione di totale o parziale inadempimento o d’inesatto adempimento da parte dello stesso ai propri obblighi contrattuali (e cioè, com’è accaduto nel caso in esame, la “carenza di vigilanza” da parte del sindaco opponente in ordine ad alcune operazioni compiute dagli amministratori, dal curatore eccipiente dedotte e documentate, in quanto, a suo dire, “contrarie al principio di corretta amministrazione”), con, appunto, il solo onere di allegare, in relazione alle circostanze di fatto del caso (che ha l’onere di provare), l’inadempimento del sindaco istante (al suo dovere di vigilanza sull’attività di gestione della società: art. 2403, comma 1°, c.c.); spetta poi a quest’ultimo il compito di provare il fatto estintivo di tale dovere, costituito dall’avvenuto esatto adempimento, e cioè di aver adeguatamente vigilato sulla condotta degli amministratori, attivando, con la diligenza professionale dallo stesso esigibile in relazione alla situazione concreta, i poteri-doveri inerenti alla carica (art. 2407, comma 1°, c.c.)>>.

sul primo punto:

<4.7. I sindaci, in effetti, non esauriscono l’adempimento dei proprio compiti con il mero e burocratico espletamento delle attività specificamente indicate dalla legge avendo, piuttosto, l’obbligo di adottare (ed, anzi, di ricercare lo strumento di volta in volta più consono ed opportuno di reazione, vale a dire) ogni altro atto (del quale il sindaco deve fornire la dimostrazione) che, in relazione alle circostanze del caso (ed, in particolare, degli atti o delle omissioni degli amministratori che, in ipotesi, non siano stati rispettosi della legge, dello statuto o dei principi di corretta amministrazione) fosse utile e necessario ai fini di un’effettiva ed efficace (e non meramente formale) vigilanza sull’amministrazione della società e le relative operazioni gestorie (cfr., al riguardo, Cass. n. 18770 del 2019, in motiv., per cui “l’onere di allegazione e di prova nelle azioni di responsabilità avverso l’organo sindacale si atteggia nel senso che spetta all’attore allegare l’inerzia del sindaco e provare il fatto illecito gestorio, accanto all’esistenza di segnali d’allarme che avrebbero dovuto porre i sindaci sull’avviso; assolto tale onere, l’inerzia del sindaco integra di per sé la responsabilità, restando a carico del medesimo l’onere di provare di non aver avuto nessuna possibilità di attivarsi utilmente, ponendo in essere tutta la gamma di atti, sollecitazioni, richieste, richiami, indagini, sino alle denunce alle autorità civile e penale”).

4.8. Né, d’altra parte, può rilevare il fatto il fatto che le obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, come quelle che gravano sui componenti del collegio sindacale, sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato.

4.9. È senz’altro vero, infatti, che il professionista, assumendo l’incarico, s’impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato (come, nel caso del sindaco, la legittimità e la correttezza dell’intera gestione sociale) ma non anche a conseguirlo e che l’inadempimento del professionista non può essere, pertanto, desunto dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dalla società committente, dovendo essere, piuttosto, valutato alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento dell’attività professionale ed, in particolare, al dovere di diligenza professionale fissato dall’art. 1176, comma 2°, c.c. (e, nel caso del sindaci, dall’art. 2407, comma 1°, c.c.).

4.10. È anche vero, tuttavia, che il diritto del professionista al compenso (che nel caso dei sindaci è previsto dall’art. 2402 c.c. e dev’essere corrisposto anno per anno: Cass. n. 6027 del 2021), se non implica il raggiungimento del risultato programmato con il conferimento del relativo incarico (e cioè la legittimità dell’intera gestione sociale e la sua conformità ai principi di corretta amministrazione: art. 2403, comma 1°, c.c.), richiede, nondimeno, che il giudice di merito accerti, in fatto, la concreta ed effettiva idoneità funzionale delle prestazioni svolte a conseguire tale risultato, essendo, in effetti, evidente che, in difetto, pur in difetto di una responsabilità contrattuale del professionista a tal fine incaricato (per la mancanza, ad esempio, di danno che ne sia conseguito), non potrebbe neppure parlarsi di atto di adempimento degli obblighi contrattualmente assunti dallo stesso (cfr. Cass. n. 36071 del 2022, in motiv.) e giustifica, quindi, il rifiuto del committente, a norma dell’art. 1460 c.c., al pagamento, in tutto o in parte, del compenso (in ipotesi) maturato.

4.11. L’eccezione d’inadempimento di cui all’art. 1460 c.c. può essere, di conseguenza, opposta dal cliente (o dal curatore del relativo fallimento) al professionista (come il sindaco) che abbia violato l’obbligo di diligenza professionale quando le prestazioni svolte dallo stesso, a prescindere dal mancato conseguimento del risultato perseguito, non sono state, per la negligenza con cui sono state eseguite, oggettivamente funzionali, in tutto o in parte, alla soddisfazione degli interessi del primo, così come dedotti, per volontà delle parti o (come nel caso dei sindaci) della legge, nel contratto di prestazione d’opera professionale tra loro intercorso ed abbiano, di conseguenza, negativamente inciso sulla effettiva realizzazione(o possibilità di realizzazione) degli stessi (cfr. Cass. n. 13207 del 2021).

4.12. Il dovere di vigilanza imposto ai sindaci dall’art. 2403 c.c. è, in effetti, configurato dalla legge con particolare ampiezza poiché non è circoscritto all’operato degli amministratori ma si estende al regolare svolgimento dell’intera gestione sociale in funzione della tutela non solo dell’interesse dei soci ma anche di quello concorrente dei creditori sociali (Cass. n. 2772 del 1999; Cass. n. 5287 del 1998; più di recente, in tema di sanzioni amministrative, Cass. n. 1601 del 2021): né, d’altra parte, riguarda solo il mero e formale controllo sulla documentazione messa a disposizione dagli amministratori, essendo conferito ai componenti del relativo collegio il potere-dovere di chiedere notizie sull’andamento generale e su specifiche operazioni quando queste possono suscitare perplessità, per le modalità delle loro scelte o della loro esecuzione.

4.13. Il compito essenziale dei sindaci, infatti, è di verificare il rispetto dei principi di corretta amministrazione, che la riforma del diritto societario ha esplicitato e che già in precedenza potevano ricondursi all’obbligo di vigilare sul rispetto della legge e dell’atto costitutivo, secondo la diligenza professionale prevista dall’art. 1176, comma 2°, c.c., e cioè di controllare in ogni tempo che gli amministratori, alla stregua delle circostanze del caso concreto, compiano la scelta gestoria nel rispetto di tutte le regole che disciplinano il corretto procedimento decisionale.

4.14. Se è pur vero, pertanto, che il sindaco non risponde automaticamente, in termini d’inadempimento ai propri doveri giuridici, per ogni fatto gestorio aziendale non conforme alla legge o allo statuto ovvero ai principi di corretta amministrazione, è, tuttavia, necessario, a fini del corretto adempimento dei propri obblighi, che abbia esercitato (o, quanto meno, tentato, con la dovuta diligenza professionale, di esercitare) l’intera gamma dei poteri istruttori ed impeditivi affidatigli dalla legge.

4.15. Come questa Corte ha di recente ribadito, infatti, da un lato, solo un più penetrante controllo, attuato mediante attività informative e valutative, a partire dalla richiesta di informazioni o di ispezione ai sensi dell’art. 2403-bis c.c., può dare concreto contenuto all’obbligo di tutela degli essenziali interessi affidati al collegio sindacale, cui non è consentito di rimanere acriticamente legato e dipendente dalle scelte dell’amministratore, quando queste collidano con i doveri imposti dalla legge, avendo, piuttosto, il dovere di individuarle e di segnalarle ad amministratori e soci, non potendo assistere nell’inerzia alle altrui condotte dannose: senza neppure potersi limitare alla richiesta di chiarimenti all’organo gestorio ma dovendosi spingere a pretendere dal medesimo le cd. azioni correttive necessarie. Così come, dall’altro lato, il sindaco dovrà fare ricorso agli altri strumenti previsti dall’ordinamento, come i reiterati inviti a desistere dall’attività dannosa, la convocazione dell’assemblea ai sensi dell’art. 2406 c.c. (ove omessa dagli amministratori, o per la segnalazione all’assemblea delle irregolarità di gestione riscontrate, dunque anche ex artt. 2446 e 2447 c.c.), il ricorso al tribunale per la riduzione del capitale per perdite (ai sensi di tali disposizioni), i solleciti alla revoca delle deliberazioni assembleari o sindacali illegittime, l’impugnazione delle deliberazioni viziate, il ricorso al tribunale per la nomina dei liquidatori ex art. 2487 c.c., la denunzia (ove proponibile) al tribunale ex art. 2409 c.c. o all’autorità giudiziaria penale ed altre simili iniziative (Cass. n. 18770 del 2019, in motiv.).

4.16. La configurabilità dell’inosservanza del dovere di vigilanza imposto ai sindaci dall’art. 2407, comma 2°, c.c. non richiede, del resto, l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere [invece si!!!, nds], essendo, piuttosto, sufficiente che gli stessi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o, comunque, non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all’assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunciando i fatti al pubblico ministero per consentirgli di provvedere, ove possibile, ai sensi dell’art. 2409 c.c. (cfr. Cass. n. 32397 del 2019; Cass. n. 16314 del 2017; Cass. n. 13517 del 2014).

4.17. D’altra parte, anche la semplice minaccia di ricorrere ad un’autorità esterna può costituire deterrente, sotto il profilo psicologico, al proseguimento di attività antidoverose da parte dei delegati: e senza trascurare, altresì, che la condotta impediente omessa va valutata nel contesto complessivo delle concrete circostanze in quanto l’inerzia del singolo nell’unirsi all’identico atteggiamento omissivo degli altri acquista efficacia causale dato che, all’opposto, una condotta attiva giova a “rompere il silenzio” sollecitando, con il richiamo agli obblighi imposti dalla legge e ai principi di corretta amministrazione, un analogo atteggiamento degli altri (Cass. n. 18770 del 2019, in motiv.).

4.18. A fronte di iniziative anomale da parte dell’organo amministrativo, i sindaci hanno, dunque, l’obbligo di porre in essere, con debita tempestività, tutti gli atti necessari all’assolvimento dell’incarico con la dovuta diligenza, correttezza e buona fede, attivando ogni loro potere (se non di intervento sulla gestione, che non compete se non in casi eccezionali) di sollecitazione e denuncia, diretta, interna ed esterna, doveroso per un organo di controllo (Cass. n. 18770 del 2019, in motiv.).

4.19. Né del resto può rilevare il fatto che il collegio sindacale abbia in tutto o in parte ignorato le operazioni gestorie compiute dagli amministratori; la colpa, infatti, può consistere tanto in un difetto di conoscenza, quanto in un difetto di attivazione: – sotto il primo profilo, il sindaco è in colpa per non aver colposamente rilevato l’altrui illecita gestione: dove, però, non è affatto decisivo che nulla traSpaia da formali relazioni degli amministratori, perché l’obbligo di vigilanza impone, ancor prima, la ricerca di adeguate informazioni; – sotto il secondo profilo, il sindaco è tenuto a conoscere i doveri specifici posti dalla legge e ad attivarsi perché l’organo amministrativo compia al meglio il proprio dovere gestorio, vigilando per impedire il verificarsi ed il protrarsi della situazione illecita: l’inerzia, a fronte dell’illecito altrui, è dunque in sé colpevole: e il disinteresse è già indice di colpa [vero ma scontato, nds] (Cass. n. 18770 del 2019, in motiv.; Cass. n. 24170 del 2022, la quale, in materia di sanzioni amministrative, ha osservato come il comportamento inerte dei sindaci integra la mancata adeguata vigilanza da parte degli stessi sulla condotta degli amministratori tutte le volte in cui fosse esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e porvi rimedio, di modo che l’attivazione dei poteri sindacali, conformemente ai doveri della carica, avrebbe potuto permettere di scoprire le condotte illecite e reagire ad esse).

4.20. E neppure è sufficiente per escludere l’inadempimento dei sindaci il fatto di essere stati tenuti all’oscuro o di avere assunto la carica dopo l’effettiva realizzazione di alcuni dei fatti dannosi ove gli stessi abbiano mantenuto un comportamento inerte, non vigilando adeguatamente sulla condotta degli amministratori, sebbene fosse da essi esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e porvi rimedio, di modo che l’attivazione dei poteri sindacali, conformemente ai doveri della carica, avrebbe potuto permettere di scoprire le condotte illecite e reagire ad esse, prevenendo danni ulteriori: nello stesso modo in cui le dimissioni presentate, ove non fossero accompagnate anche da concreti atti volti a contrastare, porre rimedio o impedire il protrarsi degli illeciti gestori, non escludono l’inadempimento del sindaco posto che, per la pregnanza degli obblighi assunti proprio nell’ambito della vigilanza sull’operato, la diligenza richiesta al sindaco impone, piuttosto, un comportamento alternativo e le dimissioni diventano, anzi, sotto questo profilo, esemplari della condotta colposa tenuta dal sindaco, rimasto indifferente ed inerte nel rilevare una situazione di reiterata illegalità (Cass. n. 18770 del 2019).

4.21. E neppure, infine, può rilevare il fatto che, come invece affermato dal tribunale, l’inadempimento contestato al sindaco non abbia arrecato un danno alla società committente: l’eccezione d’inadempimento, che può essere dedotta anche in caso di adempimento solo inesatto, si limita, infatti, a consentire alla parte che la solleva il legittimo rifiuto di adempiere (in tutto o in parte) in favore dell’altro contraente che a sua volta non ha adempiuto (o ha adempiuto inesattamente) la propria obbligazione e, dunque, (salvo il limite della buona fede: Cass. n. 1690 del 2006) non è subordinata alla presenza degli stessi presupposti richiesti per la risoluzione del contratto e l’azione di risarcimento dei danni conseguentemente arrecati, e cioè, rispettivamente, la gravità e la dannosità dell’inadempimento dedotto (cfr. Cass. n. 12719 del 2021)>>.

Sfasatura temporale tra la negligenza del sindaco di SRL e il suo diritto al compenso: è legittimo sollevare eccezione di inadempimento da parte della società?

Cass. Sez. I, Ord. 15/02/2024, n. 4.168, rel. Crolla, esamina l’interessante caso in oggetto.

In breve se l’inadempimento attiene ad esercizi precedenti quello di cui il sindco chiede il compenso (il presupposto è ovviamente che sia stato medio rinnovato nell’incarico), può essergli sollevata exceptio inadimplenti non est adimplendum (nella modalità di rigetto della domanda di ammissione al passivo fallimentare)? Risponde di sì  la SC.

<<2.1 Secondo quanto affermato da questa Corte “in tema di società di capitali, l’adempimento dei doveri di controllo, gravanti sui sindaci per l’intera durata del loro ufficio, può essere valutato non solo in modo globale e unitario ma anche per periodi distinti e separati, come si desume dalla disciplina generale, contenuta nell’art. 1458, comma 1, c.c., riferita a tutti i contratti ad esecuzione continuata, pertanto, poiché l’art. 2402 c.c. prevede una retribuzione annuale in favore dei sindaci, è in base a questa unità di misura che l’inadempimento degli obblighi di controllo deve essere confrontato con il diritto al compenso” (Cass. 6027/2021).

2.2 Ciò in quanto il testo della norma dell’art. 2402 c.c. risulta univoco nell’indicare che quella spettante ai sindaci è, propriamente, una “retribuzione annuale”, secondo quanto è coerente, del resto, con la durata che connota, come scansione dell’attività di impresa, l'”esercizio sociale” (così, sulla base di questa constatazione, la giurisprudenza di questa Corte ritiene che il credito del sindaco goda del privilegio ex art. 2751-bis c.c. non già in relazione agli ultimi due mandati, ma unicamente per le due ultime annualità del più recente incarico: cfr. Cass., 4 dicembre 1972, n. 3496; Cass., 9 aprile 2019, n. 15828, che appunto discorrono di “distinti crediti annuali”). Ne segue, allora, che è con questa unità di misura (della singola annualità) che l’inadempimento degli obblighi di controllo deve venire a confrontarsi in relazione al riconoscimento del diritto al compenso del sindaco.

2.3 Nel caso in esame il Tribunale fiorentino ha accertato che la nomina avvenuta il 27 luglio 2018 del nuovo Collegio sindacale, che confermava quale componente la A.A., aveva riguardato gli esercizi relativi agli anni 2018, 2019 e 2020, con la conseguenza che la responsabilità dell’opponente, a fronte del rinnovo della nomina, concerneva tutte le vicende societarie occorse nell’anno solare 2018 e quindi vi rientravano anche i profili di carente vigilanza sui fatti inerenti all’operazione di fusione conclusasi il 15 marzo 2018.

2.4 L’impugnato decreto ha, inoltre, soggiunto che le conseguenze pregiudizievoli scaturite dalla suddetta operazione straordinaria di fusione, correlate alle gravose passività accumulate dalla società incorporanda, la cui effettiva situazione economico-patrimoniale i sindaci avrebbero dovuto disvelare e denunciare con una più accorta e diligente condotta professionale, si sono palesate solo in sede di elaborazione del bilancio relativo all’anno 2018, e dunque nel corso dell’anno 2019.

2.5 La consapevolezza, grazie all’avvertimento del danno-conseguenza, della presenza dell’inadempimento a monte e della correlata responsabilità dell’organo societario ha indotto il Tribunale a riconoscere il carattere sinallagmatico dell’eccezione di inadempimento anche sull’unità temporale dell’annualità 2019.

2.6 Tali conclusioni vanno condivise, in quanto proprio il precedente giurisprudenziale sopra richiamato, nell’affermare che l’inadempimento di un componente del collegio sindacale “può essere apprezzato non solo in modo globale e unitario ma anche per periodi distinti e separati”, fa salva la possibilità che l’eccezione di inadempimento si ponga in rapporto di corrispettività con le richieste di compensi avanzate dal professionista per l’attività riferite al periodo, da considerarsi unitariamente, comprensivo dell’annualità nel corso del quale si è realizzata la condotta antigiuridica del professionista e della successiva annualità in cui si sono palesate le conseguenze dannose>>.

Come si nota , però, nel caso specifico la risposta positiva si è basata sul fatto che la sfasatura temporale non era totale , essendoci invece una sovrapposizione parziale di tre mesi.

Eventi di questo tipo non sono semplicissimi da governare. Sorgono dei dubbi:

1) se la sovrapposizione fosse stata solo di pochissimi giorni, sarebbe cambiato qualcosa?

2) l’incarico rinnovato ogni tre annni è un incarico unico oppure son tanti incarichi quante le delibere di incarico?

3) se la sfasatura fosse stata assoluta (ad es. fusione negligentemente non ostacolata nel 2017 e rinnovo nel 2018), sarebbe cambiato qualcosa?

Sub 2, direi che ogni delibera dà luogo ad un nuovo incarico.

Ma da ciò, circa sub 3) , non ne segue necessariamente  un dovere di pagare il compenso per il nuovo incarico in presenza di danni cagionati nel precedente. Solo che non si potrà adoperare l’exceptio, bensì la -più ardua, per la stima del danno- via della compensazione tra crediti (al compenso vs. risarcitorio).

Dichiarato nullo l’accordo per il compenso di Musk in Tesla e il conseguente acquisto di quote

La Court of Chancery del Delaware 30.01.2024 , Tornetta v. Musk ed altri, C.A. No. 2018-0408-KSJM, dichiara nullo (rescission) l’accordo 2018 sul compenso di Musk  perchè eccessivo : o meglio M. non ha provato che era fair: <Defendants bore the burden of proving fair price. Given the conflicting testimony concerning the projections, Defendants failed to prove the factual predicate for their argument that all the milestones were “ambitious” and difficult to achieve. This argument does not support a finding of fair price>, p. 187.

Irrilevante il consenso degli azionisti, non essendo stati adeguatamente informati: <<Defendants argue that disinterested stockholder approval is “compelling evidence” that the price was fair.899 The stockholder vote is one component of the fair price analysis, but whether the vote represents a form of market evidence that can support a certain price depends on the sufficiency of the disclosure. Generally, a stockholder vote is only “compelling evidence” of fairness absent a disclosure violation.900 The Delaware Supreme Court in Weinberger held that an uninformed stockholder vote is totally “meaningless.”901 Under Weinberger, therefore, the stockholder vote is a meaningless indicator as to fair price. In SolarCity III, the high court took a more nuanced approach, affording a stockholder vote some weight despite a deficient proxy statement where the key issue was SolarCity’s value. The high court noted that there was significant public information available concerning that issue, “SolarCity traded in an efficient market,” and a strong independent fiduciary positively affected the process.902 Defendants did not establish those facts here.   Because the stockholder vote was not fully informed, it does not support a finding of fair price“, p. 190-191.

Rigettata l’eccezione di -in sostanza- arricchimento senza causa: le azioni già detenute son più che sufficienti. “Defendants argue that rescission is a harsh consequence that would leave Musk uncompensated. But Musk’s preexisting equity stake provided him tens of billions of dollars for his efforts. And Defendants have not offered a viable alternative short of leaving the Grant intact

Il punto più interessante è quello degli aspetti pratici di corporate governance e cioè della supremazia di Musk nel Board: nessuno ha seriamente negoziato il compenso da vera controparte, limitandosi invece a supinamente ratificarlo. V. il § “2.Boardroom And Managerial Supremacy” a p. . 115 ss.

Ad es. <<Based on this list alone, it could be said that Musk wields unusually expansive managerial authority, equaling or even exceeding the imperial CEOs of the 1960s>>, p. 121 (v. il rif. ai SuperstarCEOs p. 121 ss).

Oppure: <<The references to “supine servants” and “an overweening master” is hyperbolic, and no doubt deliberately so to give emphasis to the difficulty of the standard. But it hits home here. There is no greater evidence of Musk’s status as a transaction-specific controller than the Board’s posture toward Musk during the process that led to the Grant. Put simply, neither the Compensation Committee nor the Board acted in the best interests of the Company when negotiating Musk’s compensation plan. In fact, there is barely any evidence of negotiations at all. Rather than negotiate against Musk with the mindset of a third party, the Compensation Committee worked alongside him, almost as an advisory body.   Multiple aspects of the process reveal Musk’s control over it, including the timeline, the absence of negotiations over the magnitude of the Grant or its other terms, and the committee’s failure to conduct a benchmarking analysis. In the end, the key witnesses said it all by effectively admitting that they did not view the process as an arm’s length negotiation>>, 128-129.

Versamenti in conto futuro aumento di capitale e termine per deliberare l’aumento medesimo: quando ricorre la bancarotta da distrazione?

Considerazioni di interesse anche per il giuscommercialista in Cass. pen., Sez. V, Sent., (data ud. 23/06/2023) 26/09/2023, n. 39139, rel. Belmonte, circa i versamenti eseguiti senza (previa, direi) determinazione del termine entro cui l’aumento va deliberato.

Riporto i passaggi finali:

<<1.7. Tirando le fila del ragionamento e alla luce dei richiamati approdi giurisprudenziali, quel che emerge con chiarezza è che, in caso di crisi aziendale, il salvataggio attuato dai soci attraverso integrazioni del patrimonio, che possono avere diverse gradazioni, non può prescindere dalla garanzia di una informazione simmetrica tra soci e terzi sulle condizioni finanziarie della società. La ragione per la quale il conferimento destinato a coprire futuri aumenti di capitali deve essere assoggettato a un termine finale conoscibile anche dal ceto creditorio sta nella considerazione che i creditori confidano nel patrimonio dell’impresa per l’adempimento delle obbligazioni sociali. Diversamente ragionando, si trasferirebbe il rischio di impresa dalla società sui creditori, oltre a consentirsi la restituzione sine causa di somme conferite per altra ragione. 1.8. Il principio che deve essere affermato è quello che, in caso di un conferimento in conto di aumento futuro di capitale, esigenza di garanzie del ceto creditorio impongono l’individuazione di un termine finale a cui è correlato, in caso di mancata deliberazione dell’aumento, l’insorgenza del diritto di restituzione del conferimento; laddove la restituzione avvenga prima del termine (pattuito o fissato dal giudice), si realizza una distrazione da bancarotta societaria; nel caso in cui non sia stato concordato un termine a garanzia dei creditori, nè esso venga sollecitato al giudice, le somme non potranno essere restituite, in quanto destinate a coprire l’aumento di capitale (c.d. riserva targata). Diversamente, si avrebbe un rimborso sine causa, essendo correlata la relativa obbligazione alla mancata adozione della delibera entro un determinato termine.

E’ corretto, dunque, affermare che il socio conferente ha diritto alla restituzione, ove non segua la delibera dell’aumento di capitale, anche durante la vita della società, in quanto si tratta in questi casi di apporti destinati alla copertura anticipata di un determinato aumento di capitale non ancora deliberato, così da sostanziarsi in un’anticipazione della sottoscrizione del capitale destinata a perfezionarsi solo con la deliberazione societaria successiva (Cass. civ. Sez. 1 n. 31186 del 03/12/2018, Rv. 652065 – 01), ma il principio deve essere inteso nel senso che la somma anticipata resta vincolata fin quando non si verifica la condizione, sospensiva o risolutiva, della mancata delibera entro un termine che deve essere necessariamente determinato>>.

Applicato al caso de quo: <<1.9. La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di tali principi: i giudici di merito hanno plausibilmente argomentato che nessun termine era stato stabilito; che neppure risulta sollecitata la fissazione giudiziaria di un termine per la restituzione; che non erano venuti meni i programmi legati all’aumento di capitale. Correttamente la Corte territoriale ha ritenuto integrata la bancarotta fraudolenta patrimoniale, contestualmente escludendo la configurabilità della bancarotta preferenziale, in coerenza con il principio affermato già dalla sentenza ‘Vesprinì, secondo cui “in tema di reati fallimentari, il prelievo di somme a titolo di restituzione di versamenti operati dai soci in conto capitale (o indicati con analoga dizione) integra la fattispecie della bancarotta fraudolenta per distrazione, non dando luogo tali versamenti ad un credito esigibile nel corso della vita della società; al contrario, il prelievo di somme quale restituzione di versamenti operati dai soci a titolo di mutuo integra la fattispecie di bancarotta preferenziale.”(Sez. 5 n. 8431/2019).

“Checklist di sostenibilità per le piccole imprese”

Il CNDEC ha curato la traduzione (eseguita da Elena Florimo) del documento “Small Business Sustainability Checklist” predisposto nel novembre 2023 dalla International Federation of Accountants.

Qui la pagine dell’originale e qui quella della traduzine nel sito CNDEC.

Documento interessante per l’analiticità e la concretezza delle proposte, divise -secondo l’acronimo ESG- in

i) ENVIRONMENTAL INITIATIVES

ii) SOCIAL RESPONSIBILITY INITIATIVES

iii) GOVERNANCE INITIATIVES

Significativo pure la “Small Business Continuity Checklist” ricordata nel documento (pur se non direttamente legata a temi ESG ma piuttoisto alla sostenibilità cd “interna” e cioè alla “continuità aziendale”

Regole di comportamento per i sindaci di società non quotate

I commercialisti presentano le <Norme di comportamento del collegio sindacale di società non quotate> 20.12.2023 (segnalazione di Ristrutturazioni Aziendali 21.12.2023)

Documento analitico ed interessante: sarà un riferimento nelle liti in materia ed anzi pure in quelle sulla diligenza dei soli amministratori (cioè senza interessamento dei sindaci).

Riporto solo dei passi su tre punti della parte “3.Doveri del collegio sindacale”.

  • “Norma 3.3. Vigilanza sul rispetto dei principi di corretta amministrazione:… La vigilanza sul rispetto dei principi di corretta amministrazione consiste nella verifica della conformità delle scelte di gestione ai generali criteri di razionalità economica”

e poi: <<La verifica in ordine alla ragionevolezza delle operazioni poste in essere dagli amministratori deve essere attuata ex ante, secondo i parametri propri della diligenza professionale, tenendo altresì in considerazione l’eventuale mancata adozione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni
preventive che l’operazione da intraprendere richiede, specie in termini di margini di rischio>>

  • <<Norma 3.5. Vigilanza sull’adeguatezza e sul funzionamento dell’assetto organizzativo: … Per assetto organizzativo si intende: (i) il sistema di funzionigramma e di organigramma e, in particolare, il complesso delle direttive e delle procedure stabilite per garantire che il potere decisionale sia assegnato ed effettivamente esercitato a un appropriato livello di competenza e responsabilità, (ii) il complesso procedurale di controllo.
    Un assetto organizzativo è adeguato se presenta una struttura compatibile alle dimensioni della società, nonché alla natura e alle modalità di perseguimento dell’oggetto sociale, nonché alla rilevazione tempestiva degli indizi di crisi e di perdita della continuità aziendale e possa quindi consentire, agli amministratori preposti, una sollecita adozione delle misure più idonee alla sua rilevazione e alla sua composizione>>
  • <<Norma 3.7. Vigilanza sull’adeguatezza e sul funzionamento del sistema amministrativo-contabile: …. Il sistema amministrativo-contabile può definirsi come l’insieme delle direttive, delle procedure e delle prassi operative dirette a garantire la completezza, la correttezza e la tempestività di una informativa societaria attendibile, in accordo con i principi contabili adottati dall’impresa.
    Un sistema amministrativo-contabile risulta adeguato se permette: – la completa, tempestiva e attendibile rilevazione contabile e rappresentazione dei fatti di gestione; – la produzione di informazioni valide e utili per le scelte di gestione e per la salvaguardia del patrimonio aziendale; – la produzione di dati attendibili per la formazione dell’informativa societaria>