Il vizio del conflitto di interessi del socio non diventa irrilevante per il mero fatto che la sua quota era necessaria per raggiungere il quorum richiesto

Cass. 19.06.2023 n. 17.461, 1 sez., rel. Catallozzi,  relativa ad impugnazione di delibera che aveva negato l’autorizzazione ad agire in responsabilità verso amministratore e socio di riferimento:

<<l’interesse a impugnare la delibera societaria sorge per il mero fatto che la stessa è stata adottata con la partecipazione determinante del socio in conflitto di interessi e si presenta idonea ad arrecare un danno alla società, per cui prescinde dall’ipotizzata impossibilità per l’assemblea di approvare una delibera di diverso contenuto – corrispondente alla volontà del socio impugnante – per mancanza del quorum costitutivo laddove il socio in conflitto si fosse astenuto;
– infatti, la possibilità di adottare una delibera dal contenuto diverso è estranea alla fattispecie impugnatoria in esame e alla sua ratio, non incidendo sull’interesse del socio alla caducazione della delibera, che è strumentale a evitare l’adozione di una decisione pregiudizievole per la società in ragione del conflitto di interessi in cui versa il socio che con la sua partecipazione ha determinato l’approvazione della delibera medesima e che è un interesse distinto rispetto a quello che lo stesso può vantare all’adozione di una delibera di contenuto diverso rispetto a quella ritenuta invalida>>;

(notizia della sentenza da dirittodellacrisi.it)

Trib. Milano su dovere di diligenza degli amministratori e business judgment rule

Trib. Milano n. 6387/2022 del 19 luglio 2022, RG 24718/2019, rel. Mambriani :

<<Così compiutamente ricostruita la vicenda, ritiene il Tribunale che la regola di giudizio alla quale è necessario riferirsi nel caso di specie è la c.d. business judgement rule, la quale, come noto, sancisce il principio dell’insindacabilità nel merito – cioè attinente all’opportunità, dunque al grado di rischio economico assunto con esse – delle scelte gestionali compiute dagli amministratori nell’espletamento del loro incarico.
In altri termini, il giudizio sulla diligenza dell’amministratore, nello svolgimento delle mansioni al medesimo affidate, non può investire le scelte di gestione ovvero le relative modalità di attuazione,  ancorché esse presentino profili di rilevante alea economica, bensì anzitutto la diligenza mostrata dall’amministratore nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere, potendo pertanto avere ad oggetto, ad esempio, l’eventuale omissione di quelle cautele, verifiche ed informazioni normalmente richieste per operazioni della stessa natura e tipologia e nelle  medesime circostanze (regola c.d. “procedurale”; cfr. art. 2381 comma 6 c.c.).
Occorre altresì considerare che la natura dell’obbligazione che incombe sugli amministratori per legge e per statuto – in relazione alla quale è commisurato, in chiave di adempimento, l’obbligo di agire con diligenza – è un’obbligazione che è di mezzi e non di risultato – attuare l’oggetto sociale nell’interesse della società, non meccanicamente identificabile con quello del socio maggioritario – e che è così configurata (non solo ma) anche perché conforme al principio fondante secondo cui del rischio d’impresa rispondono solo i soci e non gli amministratori. Se di quel rischio non si può far carico agli amministratori, allora ben si comprende il fondamento dell’altro aspetto della regola della c.d. business judgement rule ovvero che gli amministratori rispondono soltanto per scelte del tutto arbitrarie, manifestamente irrazionali (regola c.d. “sostanziale”). Ne consegue che l’adempimento della “regola procedurale” non ha effetti totalmente scriminanti – ben potendo l’amministratore proceduralmente diligente compiere poi scelte del tutto arbitrarie – e, per converso, il suo inadempimento non essendo di per sé foriero di responsabilità, quando, pur disinformato, l’amministratore non abbia compiuto una scelta gestoria irrazionale o arbitraria.

Il rapporto tra regola sostanziale e regola procedurale può dunque combinarsi, in relazione alla natura contrattuale della responsabilità degli amministratori, in questo modo:
(i) l’onere di provare la correttezza procedurale incombe sugli amministratori chiamati in responsabilità, pur trattandosi di un “onere temperato” in relazione all’onore di allegazione specifica che grava sull’attore; l’adempimento della regola procedurale comporta una presunzione iuris tantum di correttezza sostanziale della decisione assunta dagli amministratori; tuttavia non è consentito, a livello interpretativo, di parlare di presunzione iuris et de iure, dunque invalicabile, sia perché, come detto, in fase decisionale ed in fase esecutiva ben possono scaturire decisioni ed esecuzioni assolutamente irrazionali o arbitratrie, sia perchè si costruirebbe, in via interpretativa, un
inesistente limite positivo alla responsabilità degli amministratori ex art. 2392;
(ii) Se invece quella prova è stata raggiunta ma l’attore (la società che agisce in
responsabilità) intende provare comunque l’irrazionalità od arbitrarietà della scelta, l’onere di allegazione e prova incomberanno integralmente su di lui.
(iii) Se manca allegazione o prova di correttezza procedurale, la prova della non irrazionalità dell’operazione dovrà essere data dall’amministratore convenuto>>.

si noti la distinzione conettiuale regola procedurale/regola sostanziale

(da giurisprudenzadelleimprese.it)

Azione di responsabilità verso l’amministratore di SRL e azione per conflitto di interessi: non sono uguali

Non c’è sempre chiarezza concettuale sul rapporto tra le due azioni.

Cass. sez. I del 13.03.2023 n. 7279, rel. Nazzicone, prima pare far confusione:

<<La facoltà per la società di agire, ai sensi dell’art. 2475-ter c.c., per l’annullamento dei contratti conclusi dagli amministratori in conflitto di interessi, per conto proprio o di terzi, ove il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo, non esclude, invero, che la medesima condotta sia posta a fondamento non di un’azione caducatoria – qual è quella prevista nella norma menzionata – ma dell’azione di risarcimento del danno patito dalla società>>.

Ovvio che <non esclude>: l0azione diannullamento exc art. 2475 ter ha presupposti ed efetto diversi da quella di danno exc art. 2476 c.1 cc. Quindi pià che non esclude avrebbe dovuto diure “è altro da”.

Seguono precisazioni (ma solo teoriche e quindi vaghe) sul concetto di conflitto.

Poi ne giungono altre sull’azione di danno, un pò più centrate:

<<Più in generale, l’azione di responsabilità sociale è esperibile nei confronti dell’amministratore ogni qualvolta le sue condotte, valutate ex ante, risultino manifestamente avventate e imprudenti, né assumendo rilievo il principio di insindacabilità degli atti di gestione in presenza di scelte di natura palesemente arbitraria (Cass. 16 dicembre 2020, n. 28718).

Pertanto, nel caso di conflitto di interessi con la società rappresentata, la sfera dei poteri di indagine del giudice si amplia, potendo essere considerato il merito di quella scelta, nel senso che il giudice è chiamato a valutare la ragionevolezza della stessa, secondo un giudizio ex ante, tenendo conto della mancata adozione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive, normalmente richieste per una scelta di quel tipo nonché della diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione (cfr., fra le altre, Cass. 22 giugno 2020, n. 12108; Cass. 22 giugno 2017, n. 15470). [No, mai si entra nel merito: solo chje la negligenza qui comprende il conflitto]

L’amministratore, dunque, risponde dei danni causati alla società, qualora abbia fatto prevalere l’interesse extrasociale, come dovrà accertarsi da parte del giudice di merito, allorché verifichi che egli abbia agito senza che la scelta abbia un fondamento razionale o se non sia accompagnata dalle verifiche imposte dalla diligenza richiesta, ma sia, al contrario, connotata da imprudenza (o, addirittura, da dolo).

In particolare, ove si deduca la conclusione di un contratto in conflitto di interessi, non basta che il terzo abbia un interesse diverso o anche contrario a quello della società – situazione che può porsi, di regola, per i contratti sinallagmatici, ove al vantaggio economico prodotto da una condizione contrattuale per una parte corrisponde specularmente una minore convenienza per l’altra – dovendo essere interessi fra loro incompatibili e fare difetto i presupposti per addivenire a quel regolamento contrattuale, in quanto l’accordo non risponda a nessun interesse della società e sia per essa pregiudizievole>>.

Compensatio lucri cum damno in azione di responsabilità verso amministratore di srl

Trib. Milano sent. 3994/2021 del 12.05.2021 , RG 32783/2018, rel. Vannicelli, esamina il tema.

Il punto qui di interesse è spt. la compensatio lucri cum damno (clcd) tra l’aver stitulato un’intesa vietata pesantemente sanzionata dallAGCM e il profitto che l’intesa stessa avrebbe però generato.

La clcd è rigettata:

<<Sennonché la compensatio lucri cum damno non è, nella specie, utilmente invocabile.
Ciò per la dirimente ragione che la perdita subita dalla società a causa dell’adesione delle amministratrici pro tempore in carica all’intesa illecita, riviene appunto dalla sanzione amministrativa irrogata a WN dall’AGCM in funzione eminentemente repressiva dell’illecito (anti)concorrenziale da essa commesso.
Non solo quindi la funzione sanzionatoria di tale pagamento sarebbe inammissibilmente frustrata ove i soggetti responsabili delle relative scelte gestionali potessero invocare l’illecito beneficio da esse perseguito in pro della società rappresentata; ma la stessa determinazione della sanzione all’interno dei parametri di legge -come del resto evidente dai criteri presuntivi utilizzati per la sua quantificazione- tiene appunto già conto del lucro ricavato da WN con l’intesa sanzionata.
Ammettere che esso possa esser nuovamente valutato sub specie di mitigazione del risarcimento per la perdita così inferta al patrimonio sociale, varrebbe in ultima analisi a duplicare la compensazione dei suoi effetti vantaggiosi: una volta nel patrimonio della autrice / danneggiata, e una seconda in quello delle persone fisiche che per essa hanno agito, e della cui condotta si chiede conto in questa sede>>.

A prescindere da ciò, poi, per il Tribunale non è accertabile alcun profitto direttamente collegabile alla  intesa vietata: dettagliata perizia contabile infatti non permette di opinare in tale senso, in mancanza di una analisi controfattuale probatoriamente sostenuta.

Interessante , ancora,  è l’affermaizone per cui la determinazione equitativa  (art. 1226 e 2056 c) opera solo quando è il danneggiato a chiederla per provare il danno subito ma non quando è il danneggiante a chiedere l’accertamento equitativo del lucro in una domanda basata sulla clcd .

La spese legali per difendersi dall’AGCm , però, non sono danno risarcibile ai soci (alla società).

Infine, ex art. 2476/4 cc, <<secondo l’insegnamento sul punto della giurisprudenza di legittimità, secondo cui non osta alla condanna alle spese (addirittura) il difetto di domanda sul punto in presenza di previsione di legge al riguardo, viene in rilievo la regola speciale di legge dettata dall’art. 2476 ult. co. 4° c.c., secondo cui in caso di accoglimento -sia pur parziale- della domanda proposta dal socio in favore della società danneggiata, è (anche) quest’ultima che deve rimborsare all’attore le spese giudiziali sostenute (salvo il suo successivo regresso nei confronti degli amministratori condannati); tale per cui la condanna alla refusione dell(a metà dell)e spese sostenute dallo ZEVIANI va pronunciata in solido nei confronti non solo delle convenute, ma anche della WHY NOT s.r.l.>>

Stipula di transazione, diligenza gestoria del liquidatore di s.r.l. e limiti di sindacabilità giudiziale

Trib. Milano 28.06.2021, sent. n. 5546/2021, rg 54438/2017, rel. Marconi, decide sulla diligenza o meno del liquidatore nell’aver stipulato due transazioni: la prima con un debitore, la seconda con il locatore , che contestava il recesso da un  rapporto locatizio immobiliare.

La censura delle transazioni è sempre difficile, caratterizzando il contratto lo scambio tra aliquid datum e aliquid retentu per por fine alla lite ( si pensi alla nota questione della sua revocabilità).

Ebbene, così motiva:

<<Con riferimento alla valutazione giudiziale dell’opportunità della conclusione da parte della liquidatrice delle transazioni  che la società attrice  considera  fonte di danno, vengono in rilievo i principi espressi dalla giurisprudenza in materia di limiti al sindacato del merito delle scelte di gestione degli amministratori, essendo, analogamente, riservata in linea generale alla discrezionalità del liquidatore la valutazione  della  convenienza  delle  scelte  relative  alla  liquidazione  dell’attivo  patrimoniale  o  alle modalità di estinzione dei debiti sociali.  Come è noto, il merito delle scelte di gestione adottate dagli amministratori di società è tendenzialmente  insindacabile  in  sede giudiziale (c.d. “business  judgment  rule”), salvo il limite della palese irragionevolezza di tali scelte, desumibile dal fatto che l’amministratore non abbia usato le necessarie cautele e assunto le informazioni rilevanti (Cass. 12 febbraio 2013, n. 3409; Cass. 22 giugno 2017,  n.  15470).  Si  tratta  di  una  valutazione  da  condurre  necessariamente  ex  ante,  non  potendosi affermare  l’irragionevolezza  di  una  decisione  dell’amministratore  per  il  solo  fatto  che  essa  si  sia rivelata  ex  post  economicamente  svantaggiosa  per  la  società>>

Tutto bene, nessuna novità. Segnalo l’importanza della prospettiva ex ante (prognosi postuma, potremmo dire).

<< In  particolare,  non  può  essere  ritenuto responsabile l’amministratore che, prima di adottare la scelta gestoria contestata, si sia legittimamente affidato  alla  competenza  di  figure  professionali  specializzate  (Trib.  Milano,  15  novembre  2018,  n. 11476)>>: precisazione interessante per gli operatori.

<<  Applicando  tali  principi  anche  alle  scelte  di  convenienza  economica  a  cui  è  chiamato  il  liquidatore nell’assolvimento del suo incarico, l’accertamento di una responsabilità della Lobova nei confronti della  Mechel  Service presuppone, dunque, che siano provate tanto l’irragionevolezza ex  ante  delle transazioni  concluse  dalla  liquidatrice,  quanto  il  danno  patito  ex  post  dalla  società  per  effetto  di  tali accordi.>> : ancora sulla prospettiva ex ante.

<<Quanto alla prima transazione, non vi è prova dell’asserito danno. Non solo non è stato dimostrato che la società debitrice Sifer fosse in grado di pagare l’intero credito nel momento in cui, il 5 dicembre 2014, la liquidatrice con l’assistenza del legale della società ha concluso  la  transazione,  ma  è  emerso dalla documentazione prodotta dalla convenuta che la società debitrice aveva chiuso l’ esercizio  2015 con un patrimonio netto negativo per € 5.420.415 (doc. 20 convenuta, p. 23) e che in data 29 luglio 2016 era stata messa in liquidazione (doc. 21 convenuta, p. 4).  Non  emerge,  quindi,  ex  post  [ex post? che c’entra se la prospettiva  è ex ante?] alcun  danno  subito  dalla  società  Mechel  per  effetto  della  transazione conclusa  con  la  Sifer,  il  cui  dissesto  finanziario  avrebbe  con  ogni  probabilità  impedito  alla  società attrice  di ottenere,  all’esito del  giudizio di opposizione, il pagamento  anche solo parziale del suo credito.  Né  si  può  ritenere  ex  ante  irragionevole  la  stipulazione  della  transazione:  una  simile  conclusione potrebbe essere raggiunta solo qualora fosse praticamente inesistente il rischio di perdere la causa. Nel caso  di  specie,  invece,  l’esecutorietà  del  decreto  ingiuntivo  era  stata  sospesa  dal  giudice dell’opposizione; circostanza questa che faceva apparire tutt’altro che scontato un esito del contenzioso favorevole a Mechel Service (v. doc. 19 di parte convenuta a pag. 2). Anche  la  stipulazione  della  seconda  transazione  non  può  ritenersi  irragionevole  ex  ante.  La  natura tombale  della  precedente  transazione  con  21ABB  era  opinabile  in  relazione  ai  nuovi  vizi  occulti lamentati in un momento successivo al precedente accordo transattivo e riconosciuti dallo stesso perito  consultato  dalla  liquidatrice  (  v.  doc.  3  convenuta).  In  ogni  caso,  poi,  sarebbe  stato  necessario  un giudizio, potenzialmente di lunga durata e in ogni caso dall’esito incerto, perché fosse accertato il fatto che la precedente transazione impediva la proposizione delle nuove richieste risarcitorie.  L’ammontare della pretesa risarcitoria riconosciuto con la transazione (€ 294.000), poi, è sensibilmente inferiore sia ai danni lamentati da 21ABB (€ 580.000, v. doc. 12 convenuta), sia alla somma indicata dallo stesso perito incaricato di stimare i danni dalla Mechel  (€ 414.000, v. doc. 3 convenuta).  Comunque,  la  decisione  di  transigere  è stata presa dalla Lobova all’esito della consultazione con un avvocato,  come  emerge  da  una  comunicazione  tra  lei  e  Denis  Shamne  (amministratore  della  società controllante  dell’attrice)  a  cui  riferisce  che  «L’avvocato italiano consiglia di transigere»  (doc.  12 attrice).  Come precedentemente ricordato, non può essere ritenuta negligente la condotta dell’amministratore o del  liquidatore  che,  nell’adozione  delle  scelte  di  gestione,  acquisisca  prudentemente  il  giudizio  di esperti del settore prima di decidere.  La liquidatrice convenuta, nel caso in esame, commissionando la perizia sul danno e consultandosi con un  avvocato  esperto  dell’ordinamento  giuridico  italiano,  ha  adottato  tutte  le  cautele  necessarie  a prendere  una  decisione  informata  e  consapevole  così  che  la  convenienza  economica  della  scelta adottata non è sindacabile in sede giudiziale>>.

Spunti molto interessanti per i consulenti in caso di ipotesi transattive.

Patto parasociale, patto di gestione e delibere attuative del CdA nelle s.r.l.

Mentre il patto parasociale è ammesso e disciplinato dall’. 2341 bis cc  per le SPA e nessuna disciplina invece per le SRL, il c.d patto di gestione è di assai più dubbia liceità-

L’attore aveva censurato di nullità tre delibere del CdA (e una dell’assemblea sociale) perchè esecutive di patto di gestione illecito: <<l’attore incentra la propria allegazione di invalidità delle delibere sull’essere le stesse state adottate in pedissequa esecuzione del patto parasociale firmato l’8.7.2020 dalle altre due socie in contrasto con l’interesse sociale e con le norme inderogabili regolanti le prerogative degli amministratori nonché in odio del fratello, come tale illecito, mentre la convenuta sottolinea il carattere corrispondente all’interesse sociale sia delle previsioni del patto sia delle delibere applicative e, quindi, la liceità di entrambi>>

Secondo Trib. Milano decr. 17.12.2020 n. cron. 3106/2020, RG 40994 / 2020 (di cui ha dato notizia Busani su il Sole 24 ore il 26 luglio u.s.),  non serve distinguere tra patto parasociale/sindacato di voto , lecito, e patto/sindacato di gestione , probabilmente illecito, patto di gestione da intendersi così: <<sindacato di gestione, come in sostanza afferma l’attore, patto stipulato al fine di delineare le linee di sviluppo dell’attività sociale impegnando al riguardo o direttamente i soci amministratori ovvero i soci non  amministratori perché influiscano sull’organo gestorio ovvero ancora anche direttamente gli amministratori non soci, o patto questo di ben più dubbia liceità, da un lato non essendo riconducibile alle figure tipizzate dall’art.2341bis cc e d’altro lato incidendo “su comportamenti di soggetti che, a differenza dei soci, sono investiti inderogabilmente di una funzione, hanno cioè l’intera ed esclusiva responsabilità della gestione dell’impresa sociale, nell’interesse della società ed anche dei terzi” venendosi così a creare “una situazione di potenziale quanto immanente conflitto di interessi”>> (in nota invoca Cass. 8221/2012 sull’esclusività della competenza gestoria degli amministratori).

Non serve coltivare tale distinzione, perchè <<oggetto della causa di merito è di per sé la impugnazione delle delibere delle quali è qui chiesta la sospensione cautelare e non già la illiceità del patto parasociale sulla base del quale le delibere sono state modellate: da tale precisazione discende che i profili di illiceità del patto parasociale attinenti per così dire alla struttura generale dello stesso risultano qui irrilevanti, mentre i profili di conflitto tra le specifiche previsioni di tale patto in ordine agli sviluppi assembleari nonché gestori e l’interesse sociale si risolvono in profili di illiceità delle delibere applicative e come tali vanno riguardati.>>

Interessante ma non chiara è la distinzione tra illiceità strutturale del patto e conflitto tra singole sue determinazioni (cioè per specifici affari, parrebbe) e successive delibere esecutive delle stesse.

Non pare, infine, il Tribunale si curi (salvo errore) della validità e disciplina dei patti parasociali nelle SRL, ove manca una disposizine come l’art. 2341 bis.

Responsabilità dell’amministratore di fatto e onere della prova per fatti di distrazione

Trib. Milano 01.02.2021 n. 711/2021, Rg 57943/2017, Fallimento P.G.P. srl c. Pecchioli ed altri, decide una causa in tema di responsabilità.

Non ci sono principi di diritto sconvolgenti: si tratta però di condotte frequentemente incontrate nella pratica,

Qui ricordo solo due questioni

1 – onere della prova per ammanchi e fatti distrattivi :

<<Con riferimento alla responsabilità dell’organo gestorio per le operazioni distrattive la violazione degli obblighi inerenti la conservazione dell’integrità del patrimonio sociale compromessa da prelievi di cassa o pagamenti a favore di terzi ingiustificati per la mancanza di idoneo riscontro nella contabilità e documentazione sociale della loro causa deve ritenersi dimostrata per presunzioni, ove l’ amministratore convenuto non provi la riferibilità all’attività sociale delle spese o la destinazione dei pagamenti all’estinzione di debiti sociali ( v. fra le molte Cass. 18.6.2014 n. 13907 in motivazione). ….  In mancanza della documentazione contabile che l’amministratore convenuto non ha tenuto o, comunque, non ha consegnato al Curatore, deve, dunque, presumersi l’avvenuta distrazione delle somme in questione dalpatrimonio sociale non avendo i convenuti, rimasti tutti contumaci, assolto all’onere di dimostrare che i prelievi fossero destinati ad estinguere debiti sociali fondati su comprovati titoli contrattuali>>p 10/11.

2  – amministratore di fatto.

<<Del danno derivato da tutte le distrazioni in questione devono rispondere, sotto il profilo soggettivo, l’amministratore di diritto Pecchioli ed il socio Poltronieri che, per quanto emerge dalla documentazione acquisita, ha assunto il ruolo di amministratore di fatto.   Con riguardo alla “ ripartizione” dei ruoli di gestione ed amministrazione fra i due è lo stesso amministratore Pecchioli a riferire al curatore nel corso della sua audizione che mentre lui si occupava della parte tecnica e operativa relativa allo smaltimento di farine: valutare i prezzi, stipulare i contratti, trasportare le farine” il socio Poltronieri si occupava di “ quella legale e amministrativa,  aveva la firma sui conti correnti della società..” ospitava la sede legale della società presso il suo studio ove “ arrivava tutta la documentazione fiscale e contabile, per cui era compito di Poltronieri occuparsi degli adempimenti ” relativi alla redazione dei bilanci ( v. doc. 11 a pag. 1,2,6).  Il fatto che il socio Poltronieri avesse la delega ad operare sui conti correnti sociali e che se ne avvalesse per gestire il denaro sociale anche attraverso l’emissione di assegni bancari trova conferma nella documentazione prodotta dal fallimento ( doc. 40 e doc. da 35 a 38) così come il ruolo cardine assunto nella gestione dei rapporti con gli istituti di credito ed in particolare con la banca Unicredit nell’operazione di finanziamento indiretto alla Via Lattea che va ben oltre la prestazione di assistenza legale per andare ad involgere l’assunzione stessa delle scelte gestorie come risulta dal tenore delle missive all’istituto di credito e ai soci ( v. doc. 23 e 25),  ove addirittura il Poltronieri consiglia all’amministratore di far difendere in giudizio la società da un altro legale per consentire a lui di testimoniare nel processo sulla vicenda.  Le dichiarazioni confessorie rese dal Pecchioli in ordine al fatto di aver irresponsabilmente demandato la funzione amministrativa al Poltronieri e le risultanze documentali evidenziate consentono di ritenere accertata l’assunzione da parte del Poltronieri del ruolo di amministratore di fatto della società fallita>>, p. 15-16.

Infatti <<non costituiscono circostanze di esonero dalla responsabilità civile dell’amministratore peril danno derivato alla società ed ai creditori dalla violazione degli obblighi imposti dalla carica, né l’essersi prestato ad assumere solo formalmente la carica di amministratore fungendo da prestanome del soggetto a cui è demandata di fatto la gestione né lo svolgimento del mandato nella completa ignoranza dell’operato del terzo incaricato dell’esecuzione delle attività proprie dell’amministratore>>, p. 16-17.

Questioni in tema di azione di responsabilità promossa dal fallimento

Tribunale Milano 8 ottobre 2020, sentenza numero 6005/2020,  g. rel. Simonetti, decide una lite promossa dal Fallimento nei confronti di amministratori e sindaci di una società a responsabilità limitata. Il quantum richiesto è elevato.

Il collegio affronta alcune questioni importanti nella pratica ed altre invece infrequenti . Ricordo qui le più interessanti

1 – rinuncia alla domanda circa il quantum – Era stato proposta domanda di accertamento di responsabilità per fatturazione di operazioni inesistenti e per indebite compensazioni . Successivamente il fallimento rinuncia alla domanda risarcitoria per  l’eccessivo peso economico della tassa di registro in caso di eventuale sentenza di accoglimento. Il Tribunale conclude che mantenere la domanda di accertamento, rinunciando a quella di condanna, non è ammissibile perché manca un interesse giuridico attuale ex articolo 100 CPC : infatti <<considerando le ragioni con cui la difesa della curatela ha supportato la sua scelta di non più chiedere la   condanna   risarcitoria   derivante   dalle   operazioni   di   emissione   di   … ,   ragioni   chepossono riassumersi nella necessità di evitare un pregiudizio economico alla massa dei creditori stante il rischio di dover anticipare una tassa di registro commisurata all’abnormità del danno come risultante dalla Ctu e l’incapienza per tali importi dei patrimoni dei debitori, deve ritenersi che il fallimento non abbia più alcun interesse giuridico non solo all’azione di condanna (da cui si ritiene non potrebbe conseguire un’utile  esecuzione)  ma  anche  alla  mera  dichiarazione  di  responsabilità  dei  convenuti.  A  questa conclusione si perviene sia in concreto, valutando le allegazioni sul punto della curatela, sia sulla base della  più  generale  considerazione per  cui  la  curatela  di  un  fallimento  agisce  per  recuperare  attivo  alla massa al fine di meglio realizzare, attraverso la liquidazione concorsuale secondo il programma ex art 104  ter  l.f.,  il  soddisfacimento  dei  creditori  insinuati.  Rispetto  a  questo  obiettivo  della  curatela  posto dalla  legge,  le  mere  dichiarazioni  di  responsabilità  senza  domanda  di  condannaal  pagamento  sono assolutamente irrilevanti; non a caso l’art 104 ter l.f. comma  2 lett c)  dispone che il curatore nel programma  di  liquidazione  deve  specificare “le azioni risarcitorie, recuperatorie o revocatorie da esercitare”,  perché  sono  queste  le azioni che possono concorrere alla realizzazione dell’attivo del fallimento, non le azioni meramente dichiarative di responsabilità….L’interesse ad agire ex art 100 cpc come condizione dell’azione è posto a tutela diun uso responsabile del  processo  ed  è  manifestazione  del  principio  di  economia  processuale,  ovvero  della  possibilità  di conseguire un risultato concretamente rilevante in vista di una lesione non meramente potenziale (Cass sent. n. 18819/2018) …Consegue che  la  domanda  di  accertamento  della  responsabilità  dei  convenuti  per  le  operazioni collegate alle … va rigettata per difetto della condizione dell’azione dell’interesse ad agire ex art 100 cpc>>, pagina 16/7

2 – Un convenuto aveva eccepito il difetto di autorizzazione del curatore perchè non risultava il paree del  comitato creditori.  L’eccezione è infondata, <<posto che si tratta di parere consultivo il cui difetto non inficia la validità del decreto  di  autorizzazione  del  GD,  parere  che  può  ritenersi  già  espresso  e  quindi  non  va  richiesto  se  il Programma  di  liquidazione  ex  art  104  ter  l.f.,  approvato  dal  comitato  dei  creditori,  già  contenga l’indicazione delle azioni ex art 146 l.f., situazione che deve ritenersi ricorra nel caso di specie atteso che nell’istanza di autorizzazione al GD  (All A) il curatoreeffettivamente nelle premesse deduce che “ la proposizione dell’azione ex art 146 l.f. nei confronti di tutti i soggetti sopra indicati (gli  attuali convenuti)è stata debitamente prevista nel programma di liquidazione ex art 104 ter l.f. approvato dal comitato dei creditori ed è stata autorizzata così come il relativo preventivo di spesa con le specifiche autorizzazioni qui espresse dalla maggioranza dei membri>>, pagina 18

3 – il medesimo convenuto aveva eccepito la mancanza di prova di identità tra l’azione chiesta in autorizzazione e quella poi esercitata: precisamente perchè mancavano in atti i documenti allegati alla istanza al GD. La  contestazione  è  assolutamente  infondata  <<in  quanto,  da  un  lato,  il  curatore  non  è  affatto tenuto  a disvelare  ai  terzi  e  soprattutto  alle  controparti  processuali  atti  della  procedura  su  cui  fondi  la  sua richiesta di autorizzazione ex art 25 lett 6) l.f., ciò che rileva è che sia chiaro che l’azione esercitata sia quella  autorizzata  persoggetti, causa  petendi,  petitum; dall’altro, una volta ricevuta autorizzazione all’azione,  rientra  nell’ambito  della  autonomia  del  difensore  configurare  in  concreto  lo  specifico contenuto  dell’atto  di  citazione  e  scegliere  di  assumere  le  posizioni  processuali  che ritenga  più vantaggiose  per  la  difesa  della  sua  parte  senza  che  ogni  decisione  difensiva  debba  essere  oggetto  di autorizzazione del GD o limitata entro binari predeterminati>>pagina 18

4  – sulla decorrenza della prescrizione dell’azione, essendo stato proposto prima concordato con riserva. Secondo il tribunale <<il  termine   di   prescrizione   dell’azione   di   responsabilità   (extracontrattuale)   nei   confronti   degli amministratori  e  dei  sindaci  di  una  società  di  capitali  che  abbiano  compromesso  l’integrità  delpatrimonio  sociale, spettante  ai  creditori  sociali,  ai  sensi  degli  artt.  2394  e  2407  c.c.,ed  altresì esercitabile  dal  curatore  fallimentare  ex  art.  146  l.fall.,  decorre  dal  momento  in  cui  l’insufficienza  del patrimonio  sociale  al  soddisfacimento  dei  crediti risulti oggettivamente conoscibile all’esterno della società, dai creditori sociali (Cass. 21662/2018 e Cass 25178/2015); l’azione può in concreto essere proposta  dai  creditori  quando  il  patrimonio  risulta  insufficiente  al  soddisfacimento  dei  loro  crediti, situazione  che  ricorre    allorché  la  società  presenta  un  attivo  che,  raffrontato  ai  debiti,  non  consente  il loro  integrale  soddisfacimento,  ovvero  quando  l’attivo  si  sia  palesato  in  modo  oggettivamente percepibile  dai  creditori  come  inidoneo  a  soddisfare  i  creditori  sociali  (Cass  24715/2015,  Cass 21662/2018). Tale momento si può collocare nel caso di specie, trattandosi di azione proposta dal curatore ex art 146 l.f.,  ,  alla  data  del  ……  in  cui  è  stato    presentato  e  contestualmente  pubblicato nel  Registro delle  Imprese  (doc.1  fall.  Visura  storica  della  società)  il  ricorso,  già  pendente  il  procedimento  prefallimentare  azionato  da  Agenzia  delle  Entrate,  di  concordato  preventivo  con  riserva.  Nel  ricorso  la società dava atto di versare in condizione di crisi e di non essere in grado di fare fronte con regolarità e tempestività alle proprie obbligazioni con particolare riferimento  ai debiti verso l’erario e  gli enti previdenziali, quindi, sostanzialmente della sua illiquidità e del suo stato di insolvenza.>>pagina 21 / 22

5 – la transazione conclusa con un sindaco. La corte ricorda che il diritto di profittare ex art. 1304 cc esiste solo nel caso di transazione sull’intero e non in quello di trasnazione pro quota (come nel caso sub iudice), p. 23. Quest’ultima transazione può portare invece alla riduzione dell’intero debito.  In altre parole, della transazione <<deve … tenersi conto al fine di riduzione dell’ammontare dell’intero debito. Invero, va detto che il fallimento in conseguenza della transazione ha già definito il danno corrispondente alla quotadi responsabilità attribuibile al sindaco AA… , ciò impone di procedere quantificando il danno  complessivo  (nei  limiti  del petitum)  e  sottraendo  la  percentuale  corrispondente  alla  quota  di  chi  ha transatto fino all’importo già ricevuto dal fallimento a titolo di transazione se superiore in applicazione di quanto stabilito dalla corte di legittimità per cui:” “la transazione pro quota[è] tesa a determinare lo scioglimento della solidarietà passiva rispetto al debitore che vi aderisce”e, tenuto conto del fatto che essa “non  può  né  condurre  ad  un  incasso superiore  rispetto  all’ammontare  complessivo  del  credito originario,  né  determinare  un  aggravamento  della  posizione  dei  condebitori  rimasti  ad  essa  estranei, neppure  in  vista  del  successivo  regresso  nei  rapporti  interni,  è  giocoforza  pervenire  alla  conclusione che  il  debito  residuo  dei  debitori  non  transigenti  è  destinato  a  ridursi  in  misura  corrispondente all’ammontare di quanto pagato dal condebitore che ha transatto solo se costui ha versato una somma pari  o  superiorealla  sua  quota  ideale  di  debito.    Incaso  contrario,  secioè il  pagamento  è  stato inferiore  alla  quotache  faceva  idealmente  capo  al  transigente,  il  debito  residuo  che  resta  tuttora  a carico  solidale  degli  altri  obbligati dovrà  essere  necessariamente  ridotto(non  già  di  un  ammontare pari a quanto pagato, bensì) in misura proporzionale alla quota di chi ha transatto, giacché altrimenti la  transazione  provocherebbe  un  ingiustificato  aggravamento  per  soggetti  rimasti  ad  essa  estranei” (Cass. SS.UU. 30 dicembre 2011 n. 30174 e nel medesimo senso si vedano anche: Cass. 19 dicembre 2016 n. 26113; Cass. 17 gennaio 2013 n. 1025 e da ultimo Cass. 18 giugno 2018 n. 16087 >>, p. 22/23.

Successivamente su questo punto (p. 37/8), la corte  ricorda il medesimo concetto e, visto che la somma versata transattivamente dal sindaco transigente è inferiore a quella corrispondente alla sua quota interna, il totale va ridotto in misura pari alla quota del transigente stesso.

Ebbene, tale quota del sindaco viene fissata in un nono (1/9), p. 38. Purtroppo non è motivato questo passaggio quantificatorio, pur assai importante:  dunque la sentenza sul punto è viziata e appellabile (si badi che il fallimento aveva citato in giudizio sette persone: quattro amministratori e tre sindaci).

6  – Il danno per interessi e sanzioni derivanti dal protratto omesso versamento di tributi e contributi: è causalmente riconducibile anche al concorso omissivo colposo dei sindaci: <<All’ampiezza dei doveri di controllo dei sindaci fa riscontro una vasta gamma di strumenti di reazione previsti dalla legge,nessuno dei quali è stato attivato dal collegio sindacale di A… srl; non risulta l’esercizio di attività ispettive ex art 2403 bis c.c., né la convocazione dell’assemblea ex art 2406 c.c.  e, soprattutto, l’attivazione  del  procedimento  ex  art  2409  c.c.  doveroso date  legravissime irregolarità nella gestione (il protratto omesso adempimento degli obblighi fiscali e tributari). Il mero reiterato rilievo nei controlli trimestrali sull’omesso adempimento delle obbligazioni tributarie e  l’incremento  della  posizione  debitoria per  tributi  e  contributi della  società  dimostrano, invero, l’esercizio da parte dell’organo di un controllo meramente burocratico e tale da risultare asservito alla condotta illegittima dell’organo gestorio. Un  intervento  attivo  del  Collegio  fin  dall’esercizio  2008  avrebbe  potuto evitare  il  protrarsi  delle omissioni degli amministratori in punto di adempimento delle obbligazioni tributarie e fiscali. I sindaci, in solido tra loro, vanno pertanto ritenuti responsabili, in concorso con gli amministratori, del danno  per  sanzioni  ed  interessi  addebitati  alla  società  dall’esercizio  2008  al  2013  (il  totale  degli interessi e sanzioni addebitati ad A… srl dal 2008 al 2013 ammonta complessivamente ad € 8.657.642>> , pagina 33/4.

Anche qui motivazione leggera, quasi apparente in quanto apodittica. La corte doveva spiegare che il danno non si sarebbe prodotto con il dovuto intervento (art. 2407/2 cc): allo scopo non può bastare il dichiarare che l’omissione sarebbe cessata, ma semmai nello spiegare come concretamente ciò (verosimilmente) sarebbe potuto avvenire.

7 – l’addebito consistenti in distrazione di somme a favore di altra società del gruppo. Qui ribasdisce l’orientamento (condivisibile) per cui, in caso di uscite di cassa, tocca agli amministratori provare che erano giustificate.

Una sentenza milanese dello scorso anno appoggia questa conclusione all’art. 1218 cc , secondo la storica interpretazione fornitane da Cass. sez. un. 13533/2001: <<in particolare nulla di specifico avendo dedotto quanto alla ricorrenza di adeguata causa giustificatrice di tale utilizzo dei fondi sociali, deduzione della quale erano onerati secondo le regole di cui al consolidato e condivisibile orientamento in tema di azione risarcitoria contrattuale da inadempimento (cfr. Cass. s.u. n.13533/2001, richiamata da Cass. s.u. n.9100/2015 anche in ordine all’azione ex art.146 LF)>> (Trib. MI n. 2383/2019 del 11/03/2019, rel. Riva Crugnola).

La responsabilità è affermata come solidale a carico di tutti, tranne che di un amministratore rimasto in carica per venti mesi e senza deleghe.

8  – responsabilità interna tra amministratori , stimata pari al 30% : <<AG [presidente del cda per 20 mesi circa] ha  chiesto  di  determinare  la  specifica  quota  di  danno  imputabile  a  ciascuno  dei convenuti; tale domanda di accertamento della quota di responsabilità nell’ambito del rapporto interno di solidarietà va presa in considerazione solo con riferimento all’unico rapporto obbligatorio solidale di cui è parte AG e quindi con DC [amm. delegato per lo stesso periodo]. Considerando che AG ha fatto parte dell’organo apicale di A …srl per soli due anni, che era privo di deleghe e che aveva solo la rappresentanza della società si ritiene di attribuire nel rapporto interno con DC la quota di responsabilità imputabile a AG nella misura del 30%>> pagina 41. Anche qui la stima della quota di responsabilità è immotivata.

9 –  la Corte dichiara che ci sono i presupposti per la registrazione a debito dell’imposta di registro, trttandosi di fatti integranti l’ipotesi di reato (artt. 59 dpr 131/1986).

L’applicabilità della business judgement rule alle scelte organizzative (più un cenno alla pretesa rinuncia al credito ravvisabile nella cancellazione della società creditrice)

Un provvedimento cautelare romano esamina i due temi in oggetto. Si tratta della odinanza cautelare 08.04.2020, RG 8159/2017-8159-1/2017, giudice Guido Romano, relativa all’azione di responsabilità contro gli amministratori di Enpam Sicura srl (di cui socio unico era Enpam, cassa di previdenzxa dei medici).

L’ordinanza  è leggibile in  www.giurisprudenzadelleimprese.it con massime di P.F. Mondini.

1°  – Circa il primo profilo il tribunale si adegua all’orientamento dominante, secondo cui la richiesta di cancellazione di una società di capitali, in presenza di posti attive, comporta tacita rinuncia ai crediti relativi.

<<dunque, la giurisprudenza distingue, nell’ambito delle posizioni attive residue, non definite o sopravvenute, a seconda che si tratti di posizioni «gestite» da parte del liquidatore prima di richiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese, oppure di mere pretese rispetto alle quali il mancato espletamento di un’attività di gestione delle medesime, da parte del liquidatore, fa presumere un disinteresse e, quindi, una tacita rinunzia da parte della società, poi estinta. Con riferimento alle prime, invece, l’effetto «rinunziativo» è impedito da una attività – «ulteriore» rispetto alla sola cancellazione della società dal registro delle imprese – del liquidatore, consistente in una «espressa» gestione della posizione, attraverso, ad es., la cessione del credito (ancorché litigioso) a terzi e l’inclusione del corrispettivo nel bilancio di liquidazione (e, dunque, nella distribuzione del ricavato) ovvero ancora nella attribuzione di un diritto già azionato ad un determinato socio (con menzione nella nota integrativa)>> p. 8/9

Nel caso specifico il giudice rigetta la domanda di accertamento di tacita rinuncia, dal momento che il giudizio introdotto da Enpam andava qualificato come rapporto giuridico “coltivato” prima di procedere a chiedere la cancellazione. Per questo il credito non  è ritenuto abbandonato e nella suta titolarità sono subentrati i soci (socio unico) della società cancellata. Tuttavia Il tribunale dichiara in generale di attenersi all’orientamento dominante.

Qui mi limito a dire che tale tesi, del tutto dominante, non persuade. Infatti l’atto di rinuncia comportante l’abdicazione ad un proprio diritto per poter essere ravvisato nella modalità tacita richiede fatti del tutto significativi, inequivocabilmente concludenti: certo tale non è una semplice condotta omissiva, quale la non menzione nel bilancio di liquidazione e/o nella delibera di assegnazione ai soci subentranti uti singuli.

La remissione del debito (art.1236 cc), che per i più è un negozio unilaterale, può sì consistere in condotte diverse dalla dichiarazione ad hoc: purchè, tuttavia, si tratti di fatti concludenti e non equivoci. La legge stessa ne ipotizza uno: restituzione volontaria del titolo originale ex art. 1237/1.

La posizione maggioritaria cennata, dunque, non trova rispondenza nell’ordinamento-.

2° – E’ invece condivisibile l’affermazione, secondo cui -in tema di responsabilità degli amministratori- la business judgment rule si applica non solo alle scelte gestionali in senso stretto ma anche a quelle (per così dire a monte) di tipo organizzativo.

La tesi è da molti contestata; a me pare invece esatta.

Il tribunale dà per scontati profili importanti come la natura contrattuale dell’azione sociale (rectius della responsabilità fatta valere con l’azione sociale), e come la natura colposa della responsabilità, trascurando che questo tema -al netto di molta confusione terminologico/concettuale- è molto controverso nella responsabilità contrattuale generale (forse proprio per la confusione).

A parte ciò però (e una certa imprecisione da dove a pagina 15 chiede la riconducibilità della lesione- invece che del danno-  al fatto dell’amministratore), le successive considerazioni in tema di business Judgement rule convincono. Vale la pena di riportarle.

Il tribunale procede dicendo che<<il principio della insindacabilità delle scelte di gestione non è assoluto, avendo la giurisprudenza elaborato due ordini di limiti alla sua operatività. La scelta di gestione è insindacabile, in primo luogo, solo se essaè stata legittimamente compiuta (sindacato sul modo in cui la scelta è stata assunta) e, sotto altro aspetto, solo se non è irrazionale (sindacato sulle ragioni per cui la scelta compiuta è stata preferita ad altre)>>Pagina 15/16.

Ricordato il dovere di curare l’adetguatezza dell’assetto ex art. 2381 cc (p. 16 in fine), il tribunale così osserva:

<<Ebbene, sebbene debba darsi atto di un orientamento dottrinario che  ritiene che  on sia possibile traslare i principi che sorreggono la regola sopra evidenziata alle scelte non gestorie, ma organizzative, ritiene il Tribunale che sia condivisibile la conclusione favorevole. In tale prospettiva, in estrema sintesi, si evidenzia che la funzione organizzativa rientra pur sempre nel più vasto ambito della gestione sociale e che essa deve necessariamente essere esercitata impiegando un insopprimibile margine di libertà, per cui le decisioni relative all’espletamento della stessa vengono incluse tra le decisioni strategiche. In altre parole, la predisposizione di un assetto organizzativo non costituisce l’oggetto di un obbligo a contenuto specifico, ma al contrario, di un obbligo non predeterminato nel suo contenuto, che acquisisce concretezza solo avuto riguardo alla specificità dell’impresa esercitata e del momento in cui quella scelta organizzativa viene posta in essere.  E va da sé che tale obbligo organizzativo può essere efficacemente assolto guardando non tanto a rigidi parametri normativi (non essendo enucleabile dal codice un modello di assetto utile per tutte le situazioni), quanto ai principi elaborati dalle scienze aziendalistiche ovvero da associazioni di categoria o dai codici di autodisciplina.  Così, come è stato efficacemente affermato, l’esistenza di un ambito discrezionale entro il quale gli amministratori possono compiere le loro scelte aventi carattere organizzativo deriva dal fatto che il legislatore ha utilizzato come criterio di condotta, a cui essi devono attenersi nella configurazione e nella verifica degli assetti societari, la clausola generale dell’adeguatezza e, dunque, una clausola elastica, al pari, della clausola di diligenza dovuta nel realizzare una scelta imprenditoriale. In definitiva, la scelta organizzativa rimane pur sempre una scelta afferente al merito gestorio, per la quale vale il criterio della insindacabilità e ciò pur sempre nella vigenza dei limiti sopra esposti e, cioè, che la scelta effettuata sia razionale (o ragionevole), non sia ab origine connotata da imprudenza tenuto conto del contesto e sia stata accompagnata dalle verifiche imposte dalla diligenza richiesta dalla natura dell’incarico>>

Nulla da aggiungere, tutto esatto (tranne, volendo sottilizzare: l’adeguatezza non è clausola elastica, al pari della diligenza: l’adeguatezza è proprio la diligenza, applicata al profilo organizzativo della prestazione gestoria).

Del resto a ben vedere non può che essere così: dovunque ci sia discrezionalità e cioè pluralità di scelte tutte ex-ante razionalmente giustificabili, non si può che lasciare libero l’amministratore. Ci si deve infatti sempre mettere nell’ottica ex ante e curando al massimo (con specifico sforzo psicologico)  di non farsi depistare dal senno di poi, c.d.  hindsight bias

Questa affermazione di applicabilità della b.i.r. alle scelte organizzative è stata successivamente condivisa da Trib. Roma sez. spec. decr. 24.09.2020, rel. Bernardo, Giuffrida e aa. c. Prandi e aa., Foro. it., 2020/12, 3965 (che richiama il precedente “concittadino” di aprile).

Questa pronuncia del 2020, però, limita il concetto di <gestione>, quando il cocnetto sia quello di cui all’art. 2409 cc (gravi irregolarità), osservando:  <<La nuova formulazione della norma, che fa riferimento all’esistenza del fondato sospetto di «gravi irregolarità nella gestione» — a differenza della precedente formulazione dell’art. 2409 c.c. che richiedeva il «fondato sospetto di gravi irregolarità nell’adempimento dei doveri degli amministratori e dei sindaci» — consente di affermare come non assuma rilievo qualsiasi violazione di doveri gravanti sull’organo amministrativo, ma soltanto la violazione di quei doveri idonei a compromettere il corretto esercizio dell’attività di gestione dell’impresa e a determinare pericolo di danno per la società amministrata o per le società controllate, con esclusione di qualsiasi rilevanza, invece, dei doveri gravanti sugli amministratori per finalità organizzative, amministrative, di corretto esercizio della vita della compagine sociale e di esercizio dei diritti dei soci e dei terzi estranei.>>

Il punto è interessante e merita approfondimento.    A prima vista però pare arbitrario restringere il concetto di gestione nell’art. 2409 mentre lo si allarga nell’art. 2392. Nè giova la differenza di dettato tra la precedente (gr. irr. nell’adempimento dei doveri) e l’attuale versione (gr. irr. nella gestione) dell’art. 2409, come opina il Tribunale: anche nell’art. 2392, infatti,  si parla indirettamente ma sicuramente di doveri <gestionali>, dato che per l’art. 2381/1 agli amministratori incombe proprio la gestione dell’impresa (è irrilevante che la disposizione, sotto il profilo letterale, non menzioni <obblighi>) (ma non cambierebbe nulla anche considerando solamente l’art. 2392 cc).