Sul rapporto tra domanda di violazione brevettuale e domanda di concorrenza sleale: rigettatala prima, va necessariamente rigetta pure la seconda?

la risposta è negativa , secondo  App. Milano n 132/2023, del 18.01.2023, RG 2231/2020, rel Giani, Piaggio c. Peugeot.

La corte rigetta l’appello di Piaggio contro la sentenza di prim ogrado cjhe aveva già repointo la sua domanda di contraffazione contro Peugeot, relativao allo scooter Metropolis rispetto al proprio MP3

Sul punto in oggetto, così ossservba , basandosi sul parametro soggettivo di rifeirmento:

<<29. La tutela accordata per la violazione della privativa può concorrere con quella
prevista per la concorrenza per imitazione servile, sul presupposto che il prodotto
rechi una forma individualizzante, tale da essere percepibile, oltre che
dall’utilizzatore informato, anche dal consumatore medio (Cass. n. 8944/2020;
Cass. n. 19174/2015).
Piaggio ha invocato la tutela per concorrenza sleale senza indicare fatti diversi
rispetto a quelli allegati per la tutela della privativa, precisando (con la memoria di cui all’art. 183, sesto comma, n. 1, c.p.c.) che la fattispecie di concorrenza sleale
sia quella per imitazione servile. Ne consegue che la sussistenza della concorrenza vada valutata esclusivamente con riguardo a tale fattispecie, in quanto ciascuna delle ipotesi previste dall’art. 2598 c.c. individua un’autonoma causa petendi che deve essere espressamente allegata nella domanda affinché sia delimitato il thema decidendum (Cass n. 2124/2014; Cass. n. 25652/2014).
Sul piano teorico, la medesima condotta di riproduzione delle forme del prodotto
non impedisce il concorso dei due illeciti, giacché “la configurazione dell’uno o
dell’altro di essi dipende solo dal diverso parametro di cui ci si avvale per la
valutazione del carattere (rispettivamente individuale o distintivo) delle dette
forme e della loro violazione, che è nel primo caso l’utilizzatore informato e nel
secondo il consumatore medio” (Cass. n. 8944/2020; Cass. n. 19174/2015).
Nel caso di specie, Piaggio non ha specificamente allegato quali siano le forme
distintive e quali quelle imitate, limitandosi, nell’atto di citazione, ad allegare la
sola perpetrazione degli atti di concorrenza sleale di cui all’art. 2598 c.c.
Quand’anche si supplisse a tali lacune assertive, ritenendo che le forme distintive
implicitamente corrispondessero con quelle oggetto della privativa e andassero
ricavate dalle raffigurazioni contenute nel modello registrato, non essendo mai
state allegate ai fini della concorrenza sleale se non con un generico riferimento ai fatti integranti la contraffazione, in ogni caso l’imitazione servile del modello
Piaggio non sarebbe ravvisabile, nel caso di specie, perché le differenze sopra
emerse tra i due modelli, ai fini del giudizio di contraffazione, sono di tale
evidenza da essere percepibili non solo dall’utilizzatore informato, ma anche dal
consumatore medio, “normalmente informato e ragionevolmente attento”  >>.

Tema poco esplorato dalla dottrina ma interessante sotto il profilo teorico

Rigettato il ricorso Armani c. Basicnet per il marchio figurativo (coloristico) K-Way

Cass. 18.02.2022 n. 5491, sez. 1, rel. Scotti, rigetta il ricorso di Armani che aveva creato modelli con striscia colorata troppo simile a quella notissima di K-Way

Non ci sono spunti particolarmente interssanti, essendo la sentenza quasi tutta dedicata a rigettare censure dettagliate della motivaizne , miranti ad un riesame dei fatti, obiettivo stoppato dalla SC .

Vediamo alcuni passi

  1.   <<Nessuna norma impone di valutare la capacità distintiva e le percezioni del pubblico alla stregua di indagini demoscopiche, che costituiscono solo un possibile strumento di indagine, neppur previsto espressamente dalla legge e da ricondursi semmai nell’ambito di una consulenza tecnica d’ufficio, sì che il giudice è libero di formarsi il proprio convincimento sulla base di ogni possibile mezzo di prova.

10.5. Nelle pagine da 13 a 20 della sentenza impugnata, scrutinando il secondo motivo di appello di A., la Corte subalpina ha pienamente accolto il principio della necessità della riconoscibilità della striscia colorata per la tutela come marchio di fatto; ha posto in evidenza la rilevanza probatoria in tal senso della documentazione prodotta da parte delle attrici in primo grado riguardante la prova della percezione da parte del pubblico dei consumatori, tra l’altro contestata solo in misura molto parziale e non specifica (pag. 16, capoverso); ha invocato a sostegno il precedente di Corte di Giustizia UE 24.6.2004 circa la possibilità di tutela di combinazioni cromatiche, purché rappresentate graficamente in modo preciso secondo codici di identificazione internazionalmente riconosciuti e secondo una disposizione sistematica che associ i colori in modo predeterminato e costante e cioè in modo tale “da consentire al consumatore di percepire e memorizzare una combinazione particolare che egli potrebbe utilizzare per reiterare, con certezza, una esperienza di acquisto” (pag. 16, secondo capoverso); ha accertato nel caso concreto la ricorrenza di tali caratteri; ha quindi affrontato, ancor più specificamente, il cuore della censura di A. e cioè l’assunto che i consumatori non percepissero la striscia colorata come indicatore di provenienza, ma solo come elemento ornamentale; ha conferito rilievo scriminante per selezionare l’uso ornamentale dall’uso distintivo alla costanza e alla stabilità (accertate e verificate in concreto) il cui scopo è “quello di determinare nei consumatori la percezione di un rapporto fra prodotti e produttore, il che può avvenire solo se i primi siano caratterizzati sempre da un determinato segno, cui, conseguentemente, i consumatori ricollegano la loro origine”; ha accertato che il segno “striscia colorata” era stato apposto per molti anni senza alcuna variazione su prodotti di tipo diverso e ne ha tratto argomento per coglierne la funzione di indicatore di provenienza, caratterizzata dalla sua indifferenza ai prodotti contraddistinti; ha escluso che una covalenza decorativa possa inficiare la accertata e prevalente funzione distintiva.>> [qui si coglie il fatto che hga sostenuto la CdA nel ravvisare distinvitità]

2)      l’onere della prova consueto vale anche pe la prova negativa:

<<Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’onere probatorio gravante, a norma dell’art. 2697 c.c., su chi intende far valere in giudizio un diritto, ovvero su chi eccepisce la modifica o l’estinzione del diritto da altri vantato, non subisce deroga neanche quando abbia ad oggetto “fatti negativi”, in quanto la negatività dei fatti oggetto della prova non esclude né inverte il relativo onere, tanto più se l’applicazione di tale regola dia luogo ad un risultato coerente con quello derivante dal principio della riferibilità o vicinanza o disponibilità dei mezzi di prova, riconducibile all’art. 24 Cost. e al divieto di interpretare la legge in modo da rendere impossibile o troppo difficile l’esercizio dell’azione in giudizio. Tuttavia, non essendo possibile la materiale dimostrazione di un fatto non avvenuto, la relativa prova può essere data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario, o anche mediante presunzioni dalle quali possa desumersi il fatto negativo (da ultimo, Sez. 6 – 3, n. 8018 del 22.3.2021, Rv. 660986 – 01; Sez. L, n. 23789 del 24.9.2019, Rv. 655064 – 01; Sez. 5, n. 19171 del 17.7.2019, Rv. 654751 – 01).>>

3)    giudizio di confondibilità:

<< 16.3. Ancora molto recentemente questa Corte (Sez. 1, n. 39764 del 13.12.2021; Sez. 6.1, n. 12566 del 12.5.2021) ha ricapitolato i principi che debbono governare il giudizio di confondibilità e ha riaffermato che l’apprezzamento del giudice del merito sulla confondibilità fra segni distintivi similari deve essere compiuto non già in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata considerazione di ogni singolo elemento, ma in via globale e sintetica (Sez. 1, n. 8577 del 6.4.2018, Rv. 647769 – 01; Sez. 1, n. 1906 del 28.1.2010, Rv. 611399 – 01; Sez. 1, n. 6193 del 7.3.2008, Rv. 602620 – 01; Sez. 1, n. 4405 del 28.2.2006, Rv. 589976 – 01).

Tale accertamento va condotto, cioè, con riguardo all’insieme degli elementi salienti grafici e visivi, mediante una valutazione di impressione, che prescinde dalla possibilità di un attento esame comparativo, avuto riguardo alla normale diligenza e avvedutezza del pubblico dei consumatori di quel genere di prodotti, dovendo il raffronto essere eseguito tra il marchio che il consumatore guarda ed il mero ricordo dell’altro (cfr. quanto evidenziato in motivazione da Sez. 1, 17.10.2018, n. 26001, attraverso il richiamo alla citata Sez. 1, n. 4405 del 28.2.2006).

Il principio inoltre è conforme all’insegnamento della giurisprudenza della Corte di giustizia, secondo cui il rischio di confusione tra marchi deve essere oggetto di valutazione globale, in considerazione di tutti i fattori pertinenti del caso di specie: valutazione che deve fondarsi, per quanto attiene alla somiglianza visuale, auditiva o concettuale dei marchi di cui trattasi, sull’impressione complessiva prodotta dai marchi, in considerazione, in particolare, degli elementi distintivi e dominanti dei marchi medesimi (Corte Giust. CE 11.11.1997, C-251.95, Sabel, 22 e 23; Corte Giust. CE 22.6 1999, C-342.97, Lloyd, 25).

Se è vero poi che il giudizio deve essere sintetico e basato sull’impressione complessiva agli occhi del pubblico di riferimento e non analitico, condotto mediante un minuzioso e dettagliato raffronto degli elementi di somiglianza e dissomiglianza dei due segni, non è men vero che l’obbligo di motivazione che incombe sul giudice gli impone, per scongiurare l’arbitrio, di dar conto delle ragioni che hanno orientato il suo giudizio e mettere in luce gli elementi che attirano primariamente l’attenzione del fruitore>>.

4) il giudizio sulla confonibilità è di fatto, § 16.5: non è così, è di diritto. “Di fatto” è solo quello sui fatti storici.

Diffamazione e concorrenza sleale da parte dell’ex dipendente

Un ex dipendente pubblica commenti offensivi sull’ex datore di lavoro (anzi, in parte anche quando ancora era al suo servizio)  su piattaforme come ad es. Glassdoor.com, Reddit.com, and Teamblind.com. 

Le sue lamentele era centered on the accusation that LoanStreet and/or Lampl cheated Troia out of $ 100,000 in stock options.

Fece di tutto poi per amplificare la diffusione dei post.

v. qui quelli presenti in sentenza

Il datore lo  cita per diffamazione e concorrenza sleale.

Il caso è deciso dal Distretto sud di New York 17 agosto 2022, Case 1:21-cv-06166-NRB , Loanstrett c. Qyatt Troja.

Qui segnalo l’incomprensibile affermazione del giudice per cui ricorre lo use in commerce del nome commerciale del datore, pur  considerato che l’aveva inserito nel keyword advertising (v. sub C, p. 26 ss).

L’ex dipendente infatti non aveva iniziato alcuna attività commerciale, tanto meno concorrenziale.

(segnalazione e link dal blog del prof. Eric Goldman)

Precisazioni sui marchi: convalidazine, distintività e rapporto tra disciplina ad hoc e concorrenza sleale

Uili precisaizoni da Trib. Bologna n. 1782/2021, Rg 12664/2017, Montedil srl c. Mon.Edil srl, rel. Romagnoli, su questioni frequenti in tema di marchi:

1) << L’istituto della convalidazione può valere, però, solo per il marchio successivo registrato (cfr. Cass. civ.
Sez. I, n. 26498 del 2013) o al massimo per la denominazione sociale e il nome a dominio (che sono
comunque segni distintivi in qualche modo “registrati”) quindi non per il marchio di fatto, quale è quello
(o meglio, quelli) della convenuta (MONT.EDIL IMPRESA EDILE, MONTEDIL COSTRUZIONI
EDILI e MONTEDIL SRL con la raffigurazione dell’escavatore, cfr. docc. 2, 2 ter, 2 bis, 3, 4, 5 e 14);
d’altronde, l’eventuale tolleranza dell’uso della ditta o dominazione sociale MONT.EDIL, non significa
tolleranza nell’uso dello stesso segno come marchio (cfr. Cass .civ. Sez. I, 20.4.2017 n. 9966): dunque in
nessun modo potrebbe esservi convalidazione del marchio
>>, p. 5;

Del resto il tenore della disposizione (art. 28 cpi) è inequivoco.

2) << Va altresì disattesa ogni prospettazione di nullità dei marchi attorei per assenza di capacità distintiva ai
sensi dell’art. 13 CPI: il termine “edil” è senz’altro evocativo del servizio edile, ma è un tutt’uno non
distinguibile nel marchio MONTEDIL che con l’anteposizione del termine “mont” conferisce al segno
nella sua unitarietà una capacità distintiva avulsa dalla natura del servizio prestato; per altro verso, la
circostanza che il termine “montedil” sia utilizzato da diverse imprese nella propria denominazione
sociale non fa di esso un segno divenuto di uso comune nel commercio ai sensi della lett. a art. 13 cit.,
che invece fa riferimento alla parola del linguaggio comune che si pretenda di utilizzare come marchio
>> e poi, superrata la questione della validità di quello aizonaot, affronta quella della legittimità di quello conveuto: << Se ciò è vero, appare chiaro che anche a considerare la natura “debole” del marchio “montedil”
l’introduzione di un punto fra “mont” ed “edil” non è variazione sufficiente ad escludere la confondibilità
fra i servizi richiamati dal segno; d’altronde, pur riconoscendosi che il marchio MONT.EDIL è stato
utilizzato assieme ad altri elementi (terminologici o figurativi) reputa il collegio che tali elementi
aggiuntivi non riescano a controbilanciare la somiglianza (quasi identità) fonetica e morofologicolessicale.
Va dunque riconosciuto che l’uso del segno “montedil” comunque scritto (con l’inserimento del punto
fra “mont” ed “edil” ovvero con l’aggiunta di ulteriori termini come “impresa edile” o “costruzioni edili”
o di elementi figurativi come l’escavatore stilizzato) da parte della convenuta è in violazione dei marchi
registrati attorei ex art. 20/1° co. lett. b) CPI, e conseguentemente ne va disposta l’inibitoria da ogni
utilizzo, anche quale denominazione sociale e nome a dominio.
Quanto specificamente al nome a dominio
www.montedilparma.com il collegio apprezza che l’aggiunta
del termine “parma” neppure valga a differenziare adeguatamente il segno rispetto ai marchi dell’attrice,
perché l’indicazione territoriale associata alla denominazione sociale semmai induce il mercato a ritenere
che il segno sia riconducibile ad unità territoriale dell’impresa piuttosto che a diversa impresa avente la
stessa denominazione, sicchè non consiste in idoneo elemento qualificante a designare la convenuta e ad
escludere il rischio associativo fra imprese
>>, p. 6

3) << Va disattesa la domanda concernente la concorrenza sleale confusoria (art. 2598 n. 1 c.c.) sulla quale
domanda il collegio osserva quanto segue.
Sebbene siano astrattamente compatibili e cumulabili la tutela dei segni distintivi prevista dal codice
della proprietà industriale e quella prevista dal codice civile in tema di concorrenza sleale (in tal senso è
chiaramente l’
incipit dell’art. 2598 c.c.), va condiviso il principio per cui la medesima condotta può integrare sia la contraffazione della privativa industriale sia la concorrenza sleale per l’uso confusorio di
segni distintivi solo se la condotta contraffattoria integri anche una delle fattispecie rilevanti ai sensi
dell’art. 2598 c.c., cioè a dire che va esclusa la concorrenza sleale se il titolare della privativa industriale
si sia limitato a dedurre la sua contraffazione (cfr. Cass. sez. I, 02/12/2016, n. 24658 in materia di
brevetto), se – in altre parole ancora – le due condotte consistano nel medesimo addebito integrante la
violazione del segno (o del brevetto).
In buona sostanza, dall’illecito contraffattorio non discende automaticamente la concorrenza sleale, che – dunque – deve constare di un
quid pluris rispetto alla pura violazione del segno o del brevetto, cioè di una modalità ulteriore afferente il fatto illecito >> p. 6/7

Marchio complesso, look alike e risarcimento del danno

Trib. Torino con sent. 3930/2021 del 10.08.2021, RG 13800/2019, rel. La Manna, si sofferma su una contraffazione di marchio della nota azienda dolciaria CHOCOLADEFABRIKEN LINDT & SPRÙNGLI AG .
Si v. a p. 9 i marchi a confronto con fotografia a colori.

Giudizio sulla riprodiuzione dell’elemento figurativo principale (un drago) : <<Sulla base di tali criteri ritiene il Collegio che l’elemento figurativo utilizzato da Maja nelle proprie
confezioni relative ai prodotti per cui è causa sia contraffattivo del marchio attoreo attesa l’evidente
similitudine tra il drago contenuto nell’elemento circolare con la scritta facente riferimento alla casa
produttrice e alla data da cui la stessa sarebbe operativa. L’utilizzo del colore nero anzichè di quello oro
e la diversa configurazione del drago Maja rispetto a quello Lindt, nell’ottica di una valutazione
complessiva e globale, proprio in ragione della citata particolare capacità distintiva del marchio in
esame, non sono sufficienti, al fine di escludere che il consumatore medio della tipologia di prodotti per
cui è causa possa essere indotto in confusione nel raffronto tra i due elementi. La raffigurazione di un
drago, pur se disegnato diversamente da quello del marchio Lindt, inserito in un elemento circolare con
la scritta inserita è, di per sé solo, un elemento di significativo richiamo al marchio attoreo e di
conseguente possibilità di confusione tra i due elementi.
Per tali ragioni, quindi, la domanda di contraffazione deve essere ritenuta fondata con riferimento al
marchio complesso citato.
>>

Quanto al look alike, lo qualifica come imitazione servile e lo ravvisa nel caso de quo:

<<Ciò premesso in termini di principi generali si evidenzia che nella fattispecie in esame, come già
rilevato in sede cautelare, è ravvisabile un’ipotesi di
look alike. Risulta, infatti, evidente la forte
somiglianza tra le confezioni oggetto di causa, anche con riferimento alla confezione della variante
Pistacchio. Come chiaramente desumibile dalle immagini riportate, infatti, la somiglianza attiene tutti
gli elementi delle confezioni in esame, ovvero la forma della confezione a parallelepipedo con i lati
corti curvilinei, il cordino bianco posto come una maniglia nella parte superiore della scatola
trasversalmente tra il lato anteriore e quello posteriore della confezione, l’apertura a finestra con i
contorni curvilinei profilati in oro da cui si intravede l’uovo ricoperto di nocciole (nei prodotti
Nocciolato) protetto da una pellicola trasparente e avvolto in un nastro con un grande fiocco centrale, le
immagini sulle pareti laterali della scatola, la scritta Nocciolato di cui già si è detto, la figura del drago
inserita nell’elemento circolare con la scritta circostante. A proposito di tale ultimo elemento appare
chiaro, quindi, come la violazione del marchio complesso di cui sopra si è trattato si inserisce nel più
ampio contesto di imitazione dell’intera confezione relativa ai prodotti per cui è causa. E’, inoltre,
pacificamente emerso che le confezioni in esame venivano vendute in un mercato di Napoli a fianco a
quelle dell’attrice e che nello spaccio della convenuta Brusa venivano anche vendute le uova di Pasqua
a marchio Caffarel sempre prodotte dal Lindt, circostanze, queste, significative nella valutazione del
look alike in quanto costituiscono un’ulteriore circostanza da cui desumere la possibilità di
associazione tra i due prodotti da parte del consumatore.
Né vale affermare che tale rischio di associazione potrebbe essere scongiurato dalla differenza di
prezzo tra i due prodotti avendo la giurisprudenza già chiarito l’irrilevanza, ai fini della confondibilità
tra due prodotti, delle differenze di prezzo (in tal senso Tribunale Milano 14.7.2006, Tribunale Milano
17.7.2006)
>>

La retroversione degli utili: << Infine, ai sensi dell’art. 125 c.p.i., comma 3, il titolare danneggiato può chiedere il risarcimento del danno nella forma alternativa della restituzione degli utili del contraffattore. La retroversione degli utili può cumularsi al danno emergente e può essere chiesta o in via alternativa
al risarcimento del mancato guadagno o nella misura in cui gli utili del contraffattore superino il suddetto pregiudizio subito
>>. Errore: la restituzione degli utili non è una forma di risarcimento del danno: è pena privata.

Ma il g. lo  intuisce subito sotto: << La retroversione degli utili ha una causa petendi diversa, autonoma e alternativa rispetto alle fattispecie
risarcitorie di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 125. Ci si trova di fronte non ad una mera e tradizionale
funzione esclusivamente riparatoria o compensativa del risarcimento del danno, nei limiti del
pregiudizio subito dal soggetto danneggiato, ma ad una funzione, se non propriamente sanzionatoria,
diretta, quantomeno, ad impedire che il contraffattore possa arricchirsi mediante l’illecito consistito
nell’indebito sfruttamento del diritto di proprietà intellettuale altrui
>>

Sentenza milanese sul marchio c.d. di posizione

il portale giurisprudenzadelleimprese.it dà notizia di una interessante sentenza 2020 sul marchio di posizione, definente la lite in primo grado  tra due note imprese dell’abbigliamento (sent. 29.12.2020 sez. spec. impresa, n° 8845/2020, Rg 15722/2018, Diesel c. Calvin Klein).

Il segno de quo è costituito da una striscia posta sulla quinta tasca anteriore destra di un jeans (quella piccolina, porta-monete in origine): Diesel l’ha collocata in obliquo, mentre CK in orizzontale (cioè parallela alla c.d. cintura del jeans, ove sono attaccati i passanti).

Per il collegio il marchio di posizionamento è valido, perchè astrattamente distintivo e perchè non infrange esigenze collettive di disponibilità del segno : <<Trattasi dunque di marchio di posizionamento, posto che nella sua descrizione particolare evidenza risulta essere conferita sia alla specifica apposzione di esso sulla quinta tasca anteriore di un paio di jeans – indipendentemente dalla configurazione di tale indumento – sia nella particolare posizione della striscia di tessuto rilevabile nell’immagine che appare inclinata rispetto al borso superiore della tascasulla quale è apposta .     Ritiene il Collegio che un siffatto segno possa essere oggetto di un uso e di una registrazione come marchio, posto che tale etichetta costituisce un aspetto “capriccioso” ed inessenziale, essendo tutelata non la striscia che compone un’etichetta tout court, bensì una sua specifica configurazione indicata sostanzialmente nella posizione sull’indumento e nella sua inclinazione.    Tale tipologia di etichetta per il suo posizionamento può dunque integrare in sé un segno valido poiché non costituito esclusivamente dalla forma che dà un valore sostanziale al prodotto (art. 9, comma 1,lett. c) c.p.i.) in quanto esso non investe in alcun modo l’aspetto esteriore del prodotto né ne condizionala forma sotto il profilo ornamentale. D’altra parte è pacifico che tale striscia di tessuto è stata sempreutilizzata nell’ambito del marchio più complesso comprendente la denominazione Diesel .  In tale contesto dunque il segno rivendicato non può costituire il motivo per cui il consumatore decidedi acquistare quel tipo di pantalone jeans. Esso dunque rispetta in sé il principio di estraneità delmarchio al prodotto, la cui violazione renderebbe invece insuscettibili di tutela come marchio i disegniornamentali del prodotto quando abbiano carattere meramente estetico – tutelabili quindi come modelli- ossia quando attribuiscano allo stesso solo un “valore sostanziale”, divenendo elemento influente sullascelta d’acquisto (cfr. caso Burberry Check, Cass., n. 5243/1999, cfr. CG C-299/99, “Philips”; CG C-205/13, “Stokke”, cfr. Trib. UE, T-508/08, “Bang & Olufsen”)>>.

Inoltre, il segno non solo è in astratto ammissibile alla privativa, ma anche in concreto distintivo di una certa azienda (di Diesel), § 2.1-2.2 (distinzione concettuale fondata sul dettato normativo ma di dubbia esattezza).

Nè ricorre la funzione ornametnale e nemmeno la standardizzazione, § 2.3.

La tutela perà non viene concessa poichè il segno avversario orizzontale è sufficientemente diverso da scongiurare il rischio di confondibilità, p. 15.

Interessante infine è l’affermazione per cui conta il segno come chiesto in registrazione e non come viene percepito a seguito dell’uso , che eliminerebbe o ridurrebbe la caratteristica della obliquità/inclinazione nella percezione del pubblico: <<Né vale opporre a tale considerazione come hanno sostenuto le attrici il fatto che nell’uso quotidiano in realtà la caratteristica dell’inclinazione dell’etichetta andrebbe persa per effettto dei vari movimenti di chi indossa il pantalone. Tale rilievo che in sé pare contraddire le stesse tesi delle attrici quanto alla validità del loro segno rispetto a segni anteriori non può essere considerato nella valutazione di interferenza, dovendosi procedere ad un confronto tra i segni così come apposti sui prodotti e come registrati rispetto a quelli in contestazione. Diversamente l’ambito di tutela del segno in questione risulterebbe indebitamente allargato fino a coprire di fatto quei segni che la stessa titolare del marchio considera non interferenti>>

La corte milanese richiama il precedente europeo Corte Giustizia 18 aprile 2013, C-12/12, Colloseum Holding AG/Levi Strauss & Co.

La sentenza pare sostanzialmente esatta. Solo che non precisa la base normativa della tutela da  marchio di fatto (azionato assieme alla registrazione): la quale consiste nell’art. 2598 cc. (disposizione mai invocata in motivazione) e non nella disciplina posta dal cod. propr. ind.

Concorrenza sleale dei soci/dipendenti tramite altra società

Alcuni soci di spa (e dipendenti della stessa; nonchè figli dei soci principali e amministratori) costituiscono con terzi una srl in concorrenza con la spa (settore arredo) e ricevono una citazione per concorrenza sleale.

Decide Trib. Milano sentenza 2417/2020 del 16.4.20, RG 2108/2020, Asnaghi interiors spa c. Asnaghi Couture srl e altri

Sono concenuti in concorrnza sleale ed eccepiscono inter alia la mancanza di legittimazione passiva.in quanto non imprenditori.

Il T. non esita a rigettare l’eccezione: <<E’ infine da rigettare l’eccezione di difetto di legittimazione passiva in capo ai convenuti Amedeo Antonello CERLIANI, Gianluca ASNAGHI e Fabio ASNAGHI per non rivestire gli stessi le qualità soggettive di imprenditori commerciali e, quindi, per essere estranei alle attività di concorrenza sleale.  Parte attrice, nella formulazione delle domanda giudiziale, ha infatti dedotto specifiche condotte illecite perpetrate dai convenuti, persone fisiche, nell’esclusivo interesse della società ASNAGHI COUTURE S.R.L., la quale avrebbe direttamente beneficiato degli atti lesivi avvantaggiandosi slealmente.  Sul piano della prospettazione della domanda giudiziale, l’attrice ha imputato a Amedeo Antonello CERLIANI, Gianluca ASNAGHI e Fabio ASNAGHI specifiche condotte illecite, che estenderebbero la loro responsabilità a titolo di concorso negli atti concorrenziali commessi dalla società convenuta, secondo il paradigma di cui all’art. 2055 c.c., norma pacificamente applicabile nei confronti dei soggetti terzi, non imprenditori, che concorrano nella commissione di condotte illecite integranti fattispecie sleali ex art. 2598 c.c. (per tutte, Cass. Civ. 5375/2001). Ne consegue, quindi, la legittimazione passiva degli stessi a resistere in giudizio a tale titolo – oltre che per quello concorrente ex art. 2495, II co., c.c. sopra declinato – rilevando semmai, quale questione di merito, la sussistenza o meno delle condotte descritte dell’attrice.>>, § 2.4

La fattispecie concreta è la solita della slealtà confusoria e per appropriazione di pregi: simile patronimico, simili iniziative commerciali e di prodotti, appropriaizone di anzianità spettante in realtà alla altra imrersa, etc., § 3.1

Inreressante è invece un altro passaggio: <<Invero, dalla copiosa corrispondenza e-mail prodotta in giudizio dall’attrice e pacificamente utilizzabile in questo giudizio perché estratta da account di posta elettronica in uso ad ASNAGHI INTERIORS S.P.A. – ma lo sarebbe ugualmente anche se fosse stata acquisita con modalità illegittime (cfr.  Cass. Civ., S.U., n. 3034/2011; Trib. Milano, 9109/2015 est. Tavassi; Trib. Milano, ord. 20.9.2019, est. Zana) dovendosi quindi rigettare l’eccezione di inutilizzabilità sollevata dalla convenuta – appare ampiamente documentato come i fratelli ASNAGHI e il CERLIANI abbiano sistematicamente intrattenuto i rapporti con i clienti di ASNAGHI INTERIORS S.P.A. dirottando alcune commesse verso ASNAGHI COUTURE S.R.L. e comunque utilizzando i riferimenti aziendali dell’attrice a esclusivo vantaggio della neocostituita compagine (docc. 21, 22, 41, 55, attrice)>>

E’ interessante la dichiarazione di utilizzabilità dell’effetto probatorio proveniente da documenti anche se acquiiti illetittimamente: tema importante quello della prova illecita, su cui ormai c’è copiosa letteratura, e su cui il T sorvola.

Poi si torna al concorso sotto il profilo di merito: <<Ritiene inoltre il Collegio che delle attività di concorrenza sleale poste in essere dalla ASNAGHI COUTURE S.R.L. nei confronti della ASNAGHI INTERIORS S.P.A. debbano rispondere, in concorso solidale tra loro ex art. 2055 c.c., anche gli altri convenuti Amedeo Antonello CERLIANI, Gianluca ASNAGHI e Fabio ASNAGHI, i quali, oltre a porre personalmente in esecuzione le condotte illecite sopra descritte nell’esclusivo interesse dell’altra convenuta, che se ne è avvantaggiata, rivestivano la qualità di soci, in misura tra loro paritaria, e di componenti del consiglio di amministrazione di ASNAGHI COUTURE S.R.L. Ciò a ulteriore prova della piena consapevolezza da parte degli stessi di porre in essere condotte illecite ex art. 2598 c.c. ad esclusivo vantaggio del competitor ASNAGHI COUTURE S.R.L., dalla quale percepivano integralmente gli utili d’impresa, così sussistendo un loro personale interesse economico alla commissione delle condotte contestate.>>, § 3.4

Quanto alla determinazione del danno, dà per scontato che tutto l’utile (non il fatturato, come aveva chiesto l’attore!!) dei prodotti in violazione spetti agli attori, § 4.1: applicando norma uguale a quella dell’art’. 125 /3 cpi, che però nella concorrenza sleale manca .

Tenuto conto però che rigurda anche prodotti diversi da quelli contraffatti, lo riduce in via equitativa ex ar. 1226 cc del 50 %.

Riconosce pure danno non patrimniale, seppur minimo: <<A tale somma è da riconoscere un’ulteriore posta risarcitoria per il danno non patrimoniale subito dall’attrice, consistito nella spendita presso clienti e fornitori del patronimico Asnaghi, illegittimamente utilizzato dalla società convenuta con effetti confusori, anche attraverso appropriazione di pregi. L’attrice, infatti, ha subito il potenziale svilimento del proprio blasone, perché, contro la propria volontà, la concorrente ha offerto sul mercato, con modalità oggettivamente confusorie, beni non appartenenti alla tradizione storica dell’impresa, esistente sul mercato sin dal 1916. Ritiene pertanto il Collegio che, in considerazione del ristretto periodo di operatività di ASNAGHI COUTURE S.R.L., così come dell’esiguo utile d’impresa da questa conseguito nella propria esperienza triennale, il danno non patrimoniale possa essere contenuto nel complessivo importo di € 9.000,00, liquidato anch’esso ai sensi dell’art. 1226 c.c.>>, § 4.1

Infine dichara inammissbile la produzione documentale tardiva (con gli scritti  conclusionali): ma non ne ordine l’espunzione dal fascicolo, ove dunque rimarrà (col rischio di aver influenzato la decisine presa -bisognerebbe vedere- o doi influenzare le future)

Concorrenza sleale tra gestori ferroviari tramite contatto dei passeggeri in stazione

Trenitalia chiede l’accertamento della slealtà di Italo nella condotta che segue (come da allegazione Trenitalia): “gli addetti NTV (a) intercettano gli utenti, nella maggior parte dei casi di nazionalità straniera, mentre sono in procinto di acquistare il biglietto al DAB [Distributore Automatico  di  Biglietti]Trenitalia;  (b)  individuano  anzitutto  la  tratta  che  i  medesimi viaggiatori hanno selezionato; e poi (c) sottopongono ai viaggiatori l’offerta di NTV per il medesimo  servizio,  invitandoli  poi  a  recarsi  presso  il  DAB  Italo -fisicamente  adiacente  a uello di Trenitalia –e prestando altresì la propriaassistenza per coadiuvare i viaggiatori così adescati a completare il procedimento di acquisto del biglietto Italo”, § 2.

Rigetta però la domanda Trib. Roma 27.02.2019 a scioglimento di riserva assunta in ud. 27.02.2019, Trenitalia c. Italo, GU Carlomagno, RG 3140/19.

Infatti:

    • non c’è confusione, § 9
    • la proposta di acquisto è lecita, con mercato rilevante identificato nei <<viaggiatori già presenti in stazione>>, § 12.
    •  Le condizioni date del mercato di riferimento, in assenza di vincoli normativi, non possono per sé stesse costituire un vincolo all’attività concorrenziale degli operatori; nulla vieta in astratto che la condotta innovativa di uno di essi alteri il quadro in cui si svolge la competizione, ad esempio, introducendo nuove forme di comunicazione o tecniche innovative dimarketing; il fatto che i concorrenti non siano in grado o non abbiano interesse a reagire, ponendo in essere condotte analoghe, per sé stesso è irrilevante al fine di valutare la liceità della condotta dell’innovatore, § 17.
    • Trenitalia non ha indicato alcuna norma da cui si possa desumere un divieto di svolgere attività promozionale in stazione mediante l’approccio diretto del potenziale cliente, ritenendo, secondo quanto si desume dalla sua esposizione, che tale attività sia illecita perché rivolta nei confronti della sua clientela e perché diretta ad incidere su un processo di acquisto già avviato, § 18.
    • in concreto l’attività promozionale di Italo non è indirizzata in modo casuale ed indifferenziato nei confronti di tutti i viaggiatori presenti in stazione ma è rivolta in modo specifico ai viaggiatori in fila alle biglietterie automatiche o comunque presenti nelle aree in cui queste sono collocate. Si pone dunque la questione di quale rilevanza possa assumere, ai fini della sua valutazione, il fatto che essa si rivolga anche a viaggiatori in fila alle biglietterie di Trenitalia o che già stiano operando al terminale, § 20
    • A questo riguardo occorre considerare che l’acquisto self service per definizione si realizza, senza alcun intervento umano dal lato del venditore, con un’attività riferibile esclusivamente all’acquirente, il quale rimane libero di ritirarsi in qualunque momento sino al pagamento. Da ciò consegue che l’approccio diretto e personale ai viaggiatori presenti presso le biglietterie di Trenitalia, siano essi in attesa o stiano già operando al terminale, non si può considerare interferente con alcuna attività commerciale del concorrente, § 21
    • Nel contesto in esame la proposta di una alternativa al viaggiatore, con l’indicazione del prezzo, non fa che offrirgli la disponibilità di una informazione ulteriore, che questi è in grado di valutare secondo ilproprio personale metro di giudizio, ù 23.
    • Si intende che l’approccio diretto al cliente trova un limite nel rispetto dell’autodeterminazione di questo e nel divieto di effettuare turbative nei confronti di attività già avviate dal concorrente, siano anche esse promozionali o di assistenza alla clientela. Ma dalla relazione investigativa risulta la assoluta correttezza della condotta della resistente sotto entrambi i profili, § 24.