Onere provatorio per escludere la condominialità di uin bene (art. 1117 cc: “se non risulta in contrario dal titolo”)

Cass. sez. II, ord. 21/11/2024 n. 30025, rel. Pirari, ribadisce insegnamenti consolidati:

<<7.1. Va, innanzitutto, premesso che, secondo quanto già reiteratamente statuito dalla giurisprudenza di questa Corte, per affermare la condominialità di un bene occorre gradatamente verificare dapprima che la res, per le sue caratteristiche strutturali, risulti destinata oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari (cfr. Cass. Sez. Unite, 7/07/1993, n. 7449 e, più recentemente, Cass., Sez. 2, 8/09/2021, n. 24189), e poi che [“non”: dimenticanza della SC…] sussista un titolo contrario alla “presunzione” di condominialità, facendo riferimento esclusivo al primo atto di trasferimento di un’unità immobiliare dell’originario proprietario ad altro soggetto.

L’art. 1117 cod. civ., infatti, nel contemplare un elenco, non tassativo, di beni caratterizzati dalla loro attitudine oggettiva al godimento comune e dalla concreta destinazione dei medesimi al servizio comune (Cass., Sez. 2, 18/4/2023, n. 10269; Cass., Sez. 2, 23/08/2007, n. 17928), opera ogniqualvolta, nel silenzio del titolo, il bene, per le sue caratteristiche, sia suscettibile di utilizzazione da parte di tutti i proprietari esclusivi (Cass., Sez. 2, 20/07/1999, n. 7764; Cass., Sez. 2, 30/03/2016, n. 6143), in quanto detta una presunzione di comune appartenenza a tutti i condomini che non può essere vinta con qualsiasi prova contraria, ma soltanto alla stregua delle “opposte risultanze di quel determinato titolo che ha dato luogo alla formazione del condominio per effetto del frazionamento dell’edificio in più proprietà individuali” (Cass., Sez. 2, 6/7/2022, n. 21440). La situazione di condominio, regolata dagli artt. 1117 e seguenti cod. civ., si attua, infatti, sin dal momento in cui si opera il frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento della prima unità immobiliare suscettibile di separata utilizzazione dall’originario unico proprietario ad altro soggetto (Cass., Sez. 2, 6/7/2022, n. 21440, cit.), la cui trascrizione, comprensiva pro quota, senza bisogno di specifica indicazione, anche delle parti comuni, ne consente l’opponibilità ai terzi dalla data dell’eseguita formalità (Cass., Sez. 2, 17/2/2020, n. 3852; Cass., Sez. 2, 9/12/1974, n. 4119).

In presenza di tale presunzione legale, il condominio è, dunque, dispensato dalla prova del suo diritto, ed in particolare dalla cosiddetta probatio diabolica, spettando invece al condòmino che rivendichi la proprietà esclusiva di uno dei beni di cui al suddetto elenco dare la prova delle sue asserzioni, senza che a tal fine sia rilevante il titolo di acquisto proprio o del suo dante causa, ove non si tratti dell’atto costitutivo del condominio, ma di alienazione compiuta dall’iniziale unico proprietario che non si era riservato l’esclusiva titolarità del bene (Cass., Sez. 2, 17/2/2020, n. 3852; Cass., Sez. 2, 7/6/1988, n. 3862).

Ciò comporta che è al primo atto di trasferimento di un’unità immobiliare dall’originario unico proprietario e al conseguente frazionamento dell’edificio in più proprietà individuali che occorre fare riferimento al fine di verificare la possibilità di superare la previsione di cui all’art. 1117 cod. civ., con la conseguenza che non può considerarsi dirimente, a tali fini, il contenuto del contratto di compravendita di colui che abbia acquistato in epoca successiva al primo atto di acquisto dall’originario unico proprietario, a meno che questi non si sia riservato la proprietà di alcune porzioni immobiliari che sarebbe altrimenti cadute nella presunzione di condominialità. Quanto al regolamento condominiale c.d. contrattuale, ossia quello contestuale alla nascita del condominio e accettato col consenso individuale dei singoli condomini (cfr. Cass., Sez. 2, 6/7/2022, n. 21440, cit.; anche Cass., Sez. 2, 7/4/2023, n. 9951; Cass. Sez. 2, 03/05/1993, n. 5125; Cass. Sez. 2, 21/05/2012, n. 8012), deve osservarsi come esso possa contenere, oltre alle norme relative all’amministrazione e alla gestione delle parti comuni, anche l’indicazione stessa delle parti comuni e perfino la previsione dell’uso esclusivo di una parte dell’edificio definita comune a favore di una frazione di proprietà esclusiva, dando luogo ad un vincolo di natura pertinenziale, siccome posto in essere dall’originario unico proprietario dell’edificio, legittimato all’instaurazione e al successivo trasferimento del rapporto stesso ai sensi degli artt. 817, secondo comma, e 818 c.c. (Cass., Sez. 2, 4/9/2017, n. 20712; Cass. Sez. 2, 04/06/1992, n.6892; ma si veda anche Cass. Sez. 2, 24/11/1997, n. 11717).

Tuttavia, proprio perché l’esclusione, dal novero delle parti condominiali, di alcune porzioni dell’edificio che altrimenti vi ricadrebbero alla stregua della presunzione di cui all’art. 1117 cod. civ. incide sulla costituzione o modificazione di un diritto reale immobiliare (con la conseguenza che l’esclusione stessa deve risultare ad substantiam da atto scritto), è necessario, per aversi titolo contrario, che dal negozio, così come dal regolamento c.d. contrattuale, emergano elementi tali da essere in contrasto con l’esercizio del diritto di condominio, e tale indagine, in quanto afferente all’interpretazione della volontà negoziale dei condomini, presuppone un accertamento di fatto demandato all’apprezzamento dei giudici del merito, rimanendo incensurabile in sede di legittimità se non per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, così come previsti negli artt. 1362 e seguenti cod. civ., oppure nei limiti di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. (Cass., Sez. 2, 6/7/2022, n. 21440 cit.), senza che rilevi il dato empirico che l’area in esame, per la conformazione dei luoghi, sia stata di fatto goduta ed utilizzata più proficuamente e frequentemente dal condomino titolare della contigua unità immobiliare adibita ad attività commerciale, piuttosto che dagli altri condomini (Cass., Sez. 2, 4/9/2017, n. 20712; anche Cass., Sez. 2, 3/05/2002, n. 6359)>>.

Ricalcolo giudiziale dei millesimi e indennizzo dovuto dal condomino, che aveva pagato meno di quanto (da oggi) dovuto

Cass. sez. II, ord. 04/09/2024 n. 23.739, rel. Fortunato:

<<La sentenza che accoglie la domanda di revisione o modifica dei valori proporzionali di piano nei casi previsti dall’art. 69 disp. att. c.c. non ha natura dichiarativa ma costitutiva, avendo la stessa funzione dell’accordo raggiunto all’unanimità dai condomini; l’efficacia di tale sentenza, in mancanza di specifica disposizione di legge contraria, decorre dal passaggio in giudicato. Di conseguenza, ove il singolo abbia versato, prima della modifica, quote condominiali calcolate sulla base di valori millesimali non rispondenti alla reale valore dell’unità, al risparmio di spesa ottenuto corrisponde un arricchimento indebito con depauperamento della cassa comune in assenza di giustificazione relativamente a somme altrimenti destinate a far fronte ad esigenze dell’intero Condominio, che è, quindi, legittimato ad agire per l’indennizzo ai sensi dell’art. 2041 c.c. (in tal senso Cass. 5690/2011 in motivazione ove si legge che il condominio non avrebbe altro rimedio per recuperare il minore incasso subito; nel senso della esperibilità della domanda ex art. 2041, anche Cass. 4844/2017 in motivazione)>>.

Stante la asserita natura ex nunc del ricalcolo, l’esito parrebbe esatto. E’ però tale natura che meriterebbe  esame ad hoc.

Sulla natura condominiale del cortile/cavedio

Sempre precisi e chiari gli insegnamenti del relatore Scarpa in materia condominiale (Cass. sez. II, ord. 14/06/2024 n. 16.619):

<<7.1. Per consolidata interpretazione giurisprudenziale, viene intesa come cortile, ai fini dell’inclusione nelle parti comuni dell’edificio elencate dall’art. 1117 c.c., qualsiasi area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica di un edificio o di più edifici, che serva a dare luce e aria agli ambienti circostanti, o che abbia anche la sola funzione di consentirne l’accesso (Cass. n. 24189 del 2021; n. 3739 del 2018; n. 17993 del 2010).

La presunzione legale di comunione, stabilita dall’art. 1117 c.c., si reputa peraltro operante anche nel caso di cortile strutturalmente e funzionalmente destinato al servizio di più edifici limitrofi ed autonomi, tra loro non collegati da unitarietà condominiale (così, ad esempio, Cass. n. 14559 del 2004; n. 1619 del 1972).

7.2. Come visto, la Corte d’appello di Roma ha escluso il diritto di condominio sulla area di accesso contraddistinta dalla particella (Omissis), affermandone la proprietà esclusiva in capo a Sa.Th., in base a quanto verificato nell’atto del 25 marzo 1994 di divisione del compendio ereditario di Bo.Ma. e nel regolamento di condominio avente pari data.

In tal modo, la Corte d’appello di Roma ha fatto una falsa applicazione della astratta fattispecie normativa dell’art. 1117 c.c.

7.3. Innanzitutto, l’individuazione delle parti comuni di un condominio edificio, come appunto i cortili, risultanti dall’art. 1117 c.c., non opera con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari (cfr. Cass. Sez. Un. n. 7449 del 1993). È quindi decisivo accertare, mediante apposito apprezzamento di fatto, se l’obiettiva destinazione primaria del cortile a dare aria, luce ed accesso sia volta al servizio esclusivo di una singola unità immobiliare compresa nel complesso del Condominio di Viale (Omissis), o se invece sia volta all’uso comune di più unità immobiliari.

La prima verifica che i giudici del merito avrebbero perciò dovuto compiere, per dire applicabile, o meno, la disciplina del condominio degli edifici, di cui agli artt. 1117 c.c. e ss., concerneva la relazione di accessorietà necessaria che, al momento della formazione del condominio, legava l’area di accesso contraddistinta dalla particella (Omissis) sub 11 all’uso comune o ad una determinata porzione di proprietà singola. Peraltro, pur mancando un così stretto nesso strutturale, materiale e funzionale, la condominialità di un complesso immobiliare, che comprenda porzioni eterogenee per struttura e destinazione, può essere frutto della autonomia privata.

7.4. Ove poi debba applicarsi l’art. 1117 c.c., bisogna considerare che tale norma non si limita a formulare una mera presunzione di comune appartenenza a tutti i condomini, vincibile con qualsiasi prova contraria, potendo essere superata soltanto dalle opposte risultanze di quel determinato titolo che ha dato luogo alla formazione del condominio per effetto del frazionamento dell’edificio in più proprietà individuali. La situazione di condominio, regolata dagli artt. 1117 e seguenti del Codice civile, si attua, infatti, sin dal momento in cui si opera il frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento della prima unità immobiliare suscettibile di separata utilizzazione dall’originario unico proprietario ad altro soggetto.

7.5. La Corte d’appello di Roma doveva perciò dirimere la lite non facendo affidamento sul titolo di acquisto di Sa.Th. (avente causa di Sa.Ma.), ovvero sull’atto del 25 marzo 1994, ma individuando l’atto di frazionamento dell’iniziale unica proprietà, da cui si generò la situazione di condominio edilizio, con correlata operatività della presunzione ex art. 1117 c.c. di comunione “pro indiviso” di tutte quelle parti del complesso che, per ubicazione e struttura, fossero – in tale momento costitutivo del condominio – destinate all’uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio, e non invece oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari. Sarebbe quindi occorso verificare se nel titolo originario sussistesse una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente ad una unità immobiliare la proprietà della particella (Omissis). Altrimenti, una volta sorta la comproprietà delle parti comuni dell’edificio indicate nell’art. 1117 c.c., per effetto della trascrizione dei singoli atti di acquisto di proprietà esclusiva – i quali comprendono pro quota, senza bisogno di specifica indicazione, le parti comuni – la situazione condominiale è opponibile ai terzi.

7.6. Quando un condomino pretenda l’appartenenza esclusiva di uno dei beni indicati nell’art. 1117 c.c., poiché la prova della proprietà esclusiva dimostra, al contempo, la comproprietà dei beni che detta norma contempla, onde vincere tale ultima presunzione è onere dello stesso condomino rivendicante dare la prova della sua asserita proprietà esclusiva, senza che a tal fine sia rilevante il titolo di acquisto proprio o del suo dante causa, ove non si tratti dell’atto costitutivo del condominio, ma di alienazione compiuta dall’iniziale unico proprietario che non si era riservato l’esclusiva titolarità del bene (Cass. n. 31995, n. 20145 e n. 1849 del 2022; n. 3852 del 2020; n. 4119 del 1974). In sostanza, per affermare la proprietà esclusiva in capo a Sa.Th. non basta accertare che la stessa proprietà gli fosse stata trasferita da Sa.Th., o che l’area in questione era stata oggetto della divisione del compendio ereditario di Bo.Ma. del 25 marzo 1994, in quanto è altrettanto noto che, ai fini della prova della proprietà attribuita ad un condividente, non è sufficiente l’atto di divisione, occorrendo piuttosto dimostrare il titolo di acquisto della comunione.

7.7. Tanto meno risulta dirimente per la soluzione della questione dedotta in lite il regolamento approvato il 25 marzo 1994, non costituendo il regolamento di condominio un titolo di proprietà, ove non si tratti di regolamento allegato come parte integrante al primo atto d’acquisto trascritto, ovvero di regolamento espressione di autonomia negoziale, approvato o accettato col consenso individuale dei singoli condomini e volto perciò a costituire, modificare o trasferire i diritti attribuiti ai singoli condomini dagli atti di acquisto o dalle convenzioni (Cass. n. 21440 del 2022; n. 8012 del 2012; n. 5125 del 1993)>>.

L’interpretazione del regolamento condominiale contrattuale non può essere estensiva, laddove pone limiti alle facoltà individuali

Cass. sez. II, ord. 23/05/2024 n. 14.377, rel. Besso Marcheis, circa una clausola contenente  la <<previsione di orari per lo svolgimento di lavori di ordinaria e straordinaria manutenzione (taglio erba, giardinaggio, manutenzioni dell’immobile, etc.), consentiti solo dal lunedì al sabato in determinate fasce orarie e vietati nei giorni festivi>>:

<<La giurisprudenza di questa Corte sottolinea, infatti, come il regolamento contrattuale può imporre divieti e limiti di destinazione alle facoltà di godimento dei condomini sulle unità immobiliari in esclusiva proprietà, sia mediante elencazione di attività vietate, sia con riferimento ai pregiudizi che si intende evitare, ma “la compressione di facoltà normalmente inerenti alle proprietà esclusive deve risultare da espressioni incontrovertibilmente rilevatrici di un intento chiaro, non suscettibile di dar luogo ad incertezze; pertanto, l’individuazione della regola dettata dal regolamento condominiale di origine contrattuale, nella parte in cui impone detti limiti e divieti, va svolta rifuggendo da interpretazioni di carattere estensivo, sia per quanto concerne l’ambito delle limitazioni imposte alla proprietà individuale, sia per quanto attiene ai beni alle stesse soggetti” (così Cass. n. 21307/2016)>>.

Frazionamento della proprietà immobiliare con nascita di condominio sulle parti reputabili “comuni” ex ar. 1117 cc

Cass. sez. II, ord. 16/01/2024 n.  1.615, rel. Scarpa, in una complessa fattispecie concreta, pone il seguente principio di diritto:

<<in caso di frazionamento della proprietà di un edificio comune in distinte unità immobiliari, a seguito dell’attribuzione in sede di esecuzione forzata, si determina una situazione di condominio per la quale vige la presunzione legale “pro indiviso” di quelle parti del fabbricato che, per ubicazione e struttura, siano – in tale momento costitutivo del condominio – funzionali all’uso comune (art. 1117 c.c.), qual è il cortile strutturalmente e funzionalmente destinato al servizio di più edifici limitrofi. Tale presunzione può essere superata soltanto ove risulti nel primo decreto con il quale il giudice trasferisce all’aggiudicatario un lotto del bene espropriato, ripetendo la descrizione dell’immobile contenuta nell’ordinanza che dispone la vendita, una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente ad uno degli aggiudicatari dei distinti lotti la proprietà del cortile>>

Summa in tema di responsabilitàò dei singolo condomini verso il creditore condominiale (art. 1123 cc – art. 63 disp. att. cc)

Cass. sez. III, ord. 06/12/2023  n. 34.220, rel. Tatangelo:

<<1.2.1 L’esame del primo motivo di ricorso impone a questa Corte di affrontare le seguenti questioni di diritto: a) in quale misura il singolo condomino è assoggettato all’azione esecutiva del creditore che abbia ottenuto, nei confronti dell’ente di gestione, un titolo di condanna per il saldo di un debito condominiale; b) quali eccezioni egli può opporre al creditore, in base all’art. 63 disp. att. c.p.c., in particolare con riguardo alla individuazione della esatta quota dell’obbligazione condominiale su di lui gravante. (…)

1.2.3 Tale norma [art. 63 c. 1-2 disp. att. cc] è già stata interpretata da questa Corte (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 5043 del 17/02/2023, Rv. 667152 – 01) nel senso che, ferma restando la natura parziaria delle obbligazioni condominiali:

a) i condomini “in regola coi pagamenti” possono essere aggrediti esecutivamente, in caso di insolvenza dei condomini “morosi”, anche per la quota dell’obbligazione condominiale gravante su questi ultimi: sui primi, pertanto, grava una obbligazione sussidiaria di garanzia per le obbligazioni dei secondi, modellata come una sorta di fideiussione ex lege;

b) i condomini in regola coi pagamenti vantano, però, nei confronti del creditore del condominio, un beneficio di preventiva escussione dei condomini morosi.

(…)

a) se il singolo condomino adempie direttamente nei confronti del creditore del condominio, l’obbligazione (parziaria) di quel condomino nei confronti di quest’ultimo sarà ovviamente estinta; dunque, il creditore non potrà affatto procedere ulteriormente nei suoi confronti;

b) se uno o più singoli condomini versano il relativo importo all’amministratore, ma non altrettanto facciano tutti gli altri condomini, fermo restando che le obbligazioni dei primi nei confronti del creditore potranno dirsi estinte solo a seguito del versamento della provvista in favore di quest’ultimo da parte dell’amministratore, sorge l’esigenza di non pregiudicare i condomini che abbiano regolarmente provveduto a versare i contributi dovuti, rispetto a quelli che non lo abbiano fatto (rendendosi, così, “morosi” sia nei confronti del creditore che nei confronti dello stesso amministratore del condominio).

(….)

In ogni caso, la Corte ritiene che, in base agli attuali indirizzi interpretativi in ordine alla natura parziaria della responsabilità dei singoli condomini per le obbligazioni condominiali, le quali si dividono e gravano, pertanto, pro parte, sui singoli condomini, deve necessariamente ammettersi che ciascuno di questi, così come è soggetto all’azione di cognizione del creditore, nonché all’azione esecutiva dello stesso, anche sulla base di un titolo esecutivo formatosi nei confronti del solo ente di gestione, per il recupero della quota dell’obbligazione condominiale che grava su di lui, è del pari legittimato ad estinguere tale sua obbligazione (parziaria) direttamente nei confronti del creditore, anche al fine di evitare di essere assoggettato a tali azioni (e ai relativi maggiori costi).

(…)

E’ peraltro evidente che, nella ricostruzione sin qui esposta, sia per coerenza logica che sulla base della piana applicazione dei principi di diritto che regolano le modalità di estinzione delle obbligazioni parziarie, dovrebbe escludersi che il singolo condomino che abbia già estinto la propria obbligazione parziaria, pagando direttamente al creditore del condominio quanto dovuto, possa poi essere tenuto a versare nuovamente all’amministratore quello stesso importo: tale ultimo versamento e’, infatti, da ritenersi comunque finalizzato alla formazione della provvista necessaria all’estinzione della complessiva obbligazione condominiale da parte dell’amministratore, quale rappresentate dei condomini e nell’interesse di questi ultimi; onde, se quell’obbligazione è stata già estinta nella parte gravante sul singolo condomino, e fermo restando l’obbligo di garanzia dovuto da quest’ultimo per le quote dei condomini morosi insolventi, non avrebbe più fondamento la pretesa dell’amministratore del condominio al versamento dell’intera provvista da parte di tutti i condomini, anche quelli da ritenersi in regola con i pagamenti per avere già estinto la propria obbligazione parziaria.

1.2.5 Sulla base delle premesse sin qui esposte, deve ritenersi che l’espressione “condomini morosi” di cui all’art. 63 disp. att. c.p.c. indica i condomini che non hanno versato all’amministratore del condominio la loro quota della provvista necessaria al pagamento del terzo creditore e che, d’altra parte, non abbiano neanche estinto autonomamente la propria quota dell’obbliga-zione condominiale, pagando direttamente a quest’ultimo, mentre l’espressione “condomini in regola con i pagamenti” indica quelli che abbiano estinto la propria quota dell’obbligazione condominiale, mediante pagamento diretto del relativo importo al creditore, ovvero mediante pagamento in favore di quest’ultimo effettuato dall’amministratore con la provvista da loro fornita.

In tale ottica, la comunicazione dell’amministratore al creditore relativa ai dati dei condomini “morosi”, prevista dal comma 1 dell’art. 63 disp. att. c.c., consente di imputare il pagamento effettuato dall’amministratore stesso ad estinzione delle sole quote dell’obbligazione condominiale dei condomini che hanno regolarmente contribuito alla formazione della relativa provvista, i quali possono così definirsi “in regola con i pagamenti”, lasciando invece insolute le quote dell’obbligazione condominiale dei condomini che non abbiano versato i contributi dovuti.  (…)

La tutela del creditore è adeguatamente assicurata, potendo egli agire sempre liberamente, senza vincoli, nei confronti di tutti i condomini (abbiano essi o meno versato all’amministratore la loro quota di contributi dovuti), per l’adempimento delle relative quote dell’obbligazione condominiale ancora insoddisfatte (quindi, complessivamente, per il suo intero credito); egli non potrà, invece, agire affatto, a tale titolo, nei confronti dei condomini che abbiano estinto la loro posizione obbligatoria (pagando direttamente a lui o tramite il pagamento dell’amministratore con la provvista da loro fornita), contro i quali potrà esperire esclusivamente l’azione sussidiaria di garanzia di cui all’art. 63 disp. att. c.c., previa escussione dei condomini insolventi.

La tutela dei condomini “diligenti” è altrettanto adeguatamente assicurata dalla possibilità di pagare direttamente al creditore la loro quota dell’obbligazione condominiale e di ottenere, altresì, l’imputazione a tale titolo di tutti i pagamenti effettuati dall’amministratore con la provvista da loro versata, mediante la comunicazione di cui all’art. 63, comma 1, disp. att. c.c., in modo da rimanere esposti ad eventuale responsabilità per importi superiori a quelli effettivamente dovuti solo in virtù dell’obbligo sussidiario di garanzia introdotto dal comma 2 della medesima norma, che però è condizionato alla previa vana escussione dei condomini morosi.

D’altra parte, è ragionevole escludere che possano risolversi in un oggettivo pregiudizio per le giuste ragioni di credito del terzo estraneo al condominio, specie se consacrate in un titolo esecutivo, le eventuali vicende, certamente non fisiologiche (ma ciò nonostante in astratto sempre possibili), in virtù delle quali i contributi versati dai condomini all’amministratore, cioè al proprio rappresentante comune, al fine di estinguere l’obbligazione condominiale, possano essere distratti dal loro scopo. La finale tutela dei condomini, in tali ipotesi patologiche, che sono comunque riconducibili ai loro rapporti interni ovvero ai rapporti con il loro rappresentante (ed ai quali è del tutto estraneo il terzo creditore), è del resto adeguatamente garantita attraverso l’esperimento delle eventuali possibili azioni risarcitorie o, in ultima analisi, delle appropriate azioni di rivalsa interna tra gli stessi partecipanti al condominio.

1.2.6 Alla ricostruzione sistematica appena esposta, consegue che l’onere di preventiva escussione dei condomini “morosi” di cui all’art. 63 disp. att. c.c. non può che riguardare l’intero importo della loro “morosità”, nel senso fin qui chiarito.

(…)

La ripartizione interna della spesa tra i condomini attiene al piano dei rapporti interni tra questi ultimi: le relative questioni non possono pregiudicare, oltre un ragionevole limite, il diritto del creditore, che abbia già conseguito un titolo esecutivo nei confronti del condominio, di vedere soddisfatto integralmente il proprio credito (naturalmente nel rispetto delle modalità previste dalla legge).

Deve, quindi, in primo luogo escludersi che l’annullamento (o la mancata adozione) della deliberazione condominiale di approvazione della spesa e di ripartizione di essa tra i condomini, laddove esista un titolo esecutivo contro il condominio, impedisca in radice al creditore di porre in esecuzione detto titolo nei confronti dei singoli condomini (ferma la natura parziaria dell’obbligazione condominiale).

In tal caso, dovranno ritenersi applicabili i principi generali in ordine alle obbligazioni parziarie, nonché quelli in tema di distribuzione dei relativi oneri di allegazione e prova, come già chiarito da questa Corte in fattispecie analoga (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 22856 del 29/09/2017, Rv. 645511 – 01), per cui spetterà al condomino intimato eventualmente allegare e provare, proponendo una opposizione all’esecuzione, che la quota dell’obbligazione condominiale gravante su di lui è diversa da quella indicata dal creditore procedente.

Poiché, peraltro, non può ammettersi che la soddisfazione delle ragioni di un creditore munito di titolo esecutivo nei confronti del condominio (e, quindi, nei confronti di tutti i condomini) sia impedita o ritardata fino alla definitiva risoluzione delle questioni interne al condominio in ordine ai criteri di ripartizione della relativa obbligazione (che, peraltro, richiederebbe l’estensione del contraddittorio a tutti i condomini o, almeno, all’amministratore, ai fini del giudicato), nei rapporti con il terzo creditore che agisca in via esecutiva contro un singolo condomino si potrà e dovrà effettuare, nel giudizio di opposizione all’esecuzione, una valutazione sommaria, [è il punto più interessante!]  ai soli fini dell’azione esecutiva in corso, tenendo conto delle indicazioni provenienti dall’amministratore, ovvero degli ulteriori elementi certi disponibili che inducano a ritenere corretto un determinato criterio di ripartizione della spesa, anche eventualmente, in mancanza, con riferimento alla quota millesimale generale di ciascun condomino (che costituisce l’indice generale della partecipazione del singolo al condominio e, dunque, alle relative obbligazioni), come è sostanzialmente avvenuto nel caso di specie. Resteranno salve, naturalmente, in tali ipotesi, tutte le eventuali successive appropriate azioni di rivalsa interna tra i condomini. Resta fermo anche in tal caso, peraltro, che i condomini “morosi” rispondono nei confronti del terzo creditore in misura corrispondente alla loro “morosità”, in relazione all’intera loro originaria quota dell’obbligazione condominiale, come precedentemente chiarito e come nella sostanza correttamente ritenuto nella sentenza impugnata>>.

Principi di diritto:

“l’onere di preventiva escussione dei condomini “morosi” gravante, ai sensi dell’art. 63, comma 2, disp. att. c.c., sul creditore solo parzialmente soddisfatto e munito di titolo esecutivo, non ha ad oggetto la sola somma corrispondente alla quota millesimale del condomino moroso sull’importo residuo dell’obbligazione di cui al titolo esecutivo, ma l’intero importo della suddetta “morosità”, cioè l’intera originaria quota dell’obbligazione condominiale imputabile al singolo condomino, detratto quanto eventualmente già pagato al creditore dall’amministratore, in nome e per conto di detto condomino, in virtù dei versamenti dallo stesso effettuati nelle casse condominiali, secondo l’imputazione comunicata ai sensi dell’art. 63, comma 1, disp. att. c.c., e/o quanto versato direttamente dal singolo condomino al terzo”;

“la quota del debito condominiale gravante sul singolo condomino contro il quale il creditore abbia agito in via esecutiva in base all’art. 63 disp. att. c.p.c., in caso di contestazioni espresse in sede di opposizione all’esecuzione – e fermo restando che spetta al condomino intimato l’onere di allegare e provare che detta quota sia diversa da quella indicata dal creditore – va determinata: a) in base alla delibera condominiale di riparto della spesa; b) se una delibera manchi o sia venuta meno, all’esito di una valutazione sommaria del giudice dell’opposizione all’esecuzione, ai soli fini dell’azione esecutiva in corso, tenendo conto delle indicazioni dell’amministratore, degli elementi certi disponibili ed eventualmente, in mancanza, facendo ricorso alla tabella millesimale generale; in tali casi restano tuttavia salve le eventuali successive appropriate azioni di rivalsa interna tra condomini”.

(…)

<< la statuizione recante condanna del condominio per un credito vantato da chi abbia contrattato con l’amministratore equivale a sentenza di condanna e, quindi, a titolo esecutivo nei confronti di tutti i condomini, anche se essi non abbiano assunto le vesti di parti in senso formale del giudizio promosso dal terzo creditore nei confronti dell’amministratore, per non esser stati personalmente evocati in giudizio, e quindi neppure individuati nominativamente nel provvedimento di condanna (Cass. Sez. 2, 14/10/2004, n. 20304; Cass., Sez. U, 08/04/2008, n. 9148; Cass. Sez. 3, 29/09/2017, n. 22856; Cass. Sez. 3, 27/06/2022, n. 20590).

E’, d’altronde, altrettanto consolidato il principio (che le medesime ricorrenti riconoscono, senza contestarlo) secondo il quale l’autorità del giudicato (e, in generale, delle pronunzie giudiziarie, anche non ancora passate in giudicato) spiega i suoi effetti non solo sulla pronuncia esplicita oggetto della statuizione, ma anche sulle ragioni che ne costituiscono, sia pure implicitamente, il presupposto logico-giuridico. (…)

Come si è già chiarito nell’esaminare il primo motivo del ricorso, le questioni relative ai rapporti interni tra i condomini e, quindi, la stessa validità delle deliberazioni condominiali di approvazione di determinate spese (rispetto alle quali il creditore del condominio resta ovviamente estraneo, anche in sede processuale), una volta che sia stato accertato in sede giudiziaria il credito di fonte contrattuale del terzo nei confronti del condominio stesso, non possono incidere sul diritto del creditore di ottenerne il pagamento, anche in via esecutiva, dal condominio e, quindi, dai singoli condomini, nel rispetto delle disposizioni dettate dall’art. 63 disp. att c.c..

Ne’ può ritenersi presupposto necessario per l’azione esecutiva contro i singoli condomini l’esistenza di una valida delibera condominiale di approvazione della ripartizione interna della spesa. Correttamente, quindi, la corte d’appello ha escluso che potesse essere invocato dalle ricorrenti, in sede di opposizione all’esecuzione, l’annullamento della deliberazione condominiale che aveva approvato il riparto delle spese straordinarie oggetto dell’appalto in base al quale la ICE S.n.c. aveva ottenuto il decreto ingiuntivo nei confronti del condominio, al fine di farne discendere la caducazione degli effetti dello stesso, nonché la dichiarazione di inefficacia degli atti di precetto sul medesimo fondati.

D’altra parte, deve altresì ritenersi conforme a diritto l’applicazione, da parte della corte d’appello, del criterio di ripartizione dell’obbligazione accertata nel titolo esecutivo fondato sulla tabella millesimale generale, in mancanza di elementi di prova certi che quanto meno in base ad una valutazione sommaria deponessero nel senso dell’applicabilità di un diverso criterio (fatta sempre salva la possibilità di rivalsa nei rapporti interni tra condomini, sulla base dei definitivi accertamenti in ordine alla corretta ripartizione della spesa in questione, operati nel contraddittorio con tutti gli interessati)>>

la formazione del condominio è automatica con la prima vendita parziale

Cass. sez. II, ord. 27/11/2023  n. 32.857, rel. Scarpa:

<<Nel caso di frazionamento della proprietà di un immobile che dia luogo alla formazione di un condominio, la parte acquirente di una parte di esso, salvo che il titolo non disponga diversamente, entra a far parte del condominio ipso jure et facto relativamente alle parti comuni ex art. 1117 c.c. esistenti al momento dell’alienazione e per addizione, man mano che si realizzano, di quelle ulteriori parti necessarie o destinate, per caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune, nonché di quelle che i contraenti, nell’esercizio dell’autonomia privata, dispongano comunque espressamente di assoggettare al regime di condominialità>>.

(massima ufficiale)

Se il condomino si allontana prima del voto, egli diventa “assente”, per cui il termine per l’impugnazjne non decorrerà dal dì della delibera ma da quello della sua comunicaizone

Utile precisazione in Cass.  Sez. II, Ord.  15/02/2024, n. 4.191, rel. Carrato:

<<pacifico – in punto di fatto – che il delegato (B.B.) dell’odierna ricorrente, pur avendo partecipato all’assemblea condominiale in data 15 ottobre 2013, prima dell’adozione della delibera assembleare sugli specifici punti fissati all’ordine del giorno indicati con i nn. 2 e 4, oggetto dell’impugnativa, si era allontanato dal locale in cui si stava svolgendo l’assemblea, manifestando tale sua volontà e non partecipando alla conseguente votazione.

Pertanto, detto delegato andava considerato propriamente “assente” all’atto dell’adozione della delibera concernente i due richiamati punti previsti all’ordine del giorno, ragion per cui il termine per impugnarla non si sarebbe potuto considerare decorrente dallo stesso giorno di assunzione della delibera, come invece erroneamente rilevato dalla Corte di appello.

Infatti, diversamente da quanto opinato dal giudice di secondo grado (oltretutto in conformità all’avviso di quello di prime cure), non avrebbe dovuto attribuirsi alcun rilievo all’avvenuta possibile percezione di quanto deliberato da parte del suddetto delegato dalla condomina A.A. che si era portato fuori dal luogo in cui si stava tenendo l’assemblea, essendosi dallo stesso volontariamente allontanato e facendo prendere atto di ciò con annotazione a verbale, non intendendo partecipare alla votazione, ragion per cui avrebbe dovuto essere considerato legittimamente come assente, senza che, in virtù di tale situazione, potesse venirsi a configurarsi – come creativamente sostenuto dalla Corte di appello – un fenomeno di “sostanziale astensione” del medesimo delegato rispetto alla intervenuta delibera assembleare (e, quindi, ritenerlo, illogicamente, presente “fittiziamente” e partecipante alla votazione, considerandolo come astenuto).

La giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad es., Cass. n. 1208/1999) ha, anzi, stabilito che, in tema di condominio di edifici, ai fini del calcolo delle maggioranze prescritte dall’art. 1136 c.c. per l’approvazione delle delibere assembleari, non si può neanche tener conto dell’adesione espressa dal condomino che si sia allontanato prima della votazione dichiarando di accettare la decisione della maggioranza, perché solo il momento della votazione determina la fusione delle volontà dei singoli condomini formative dell’atto collegiale (precisandosi che nemmeno la eventuale conferma dell’adesione alla deliberazione, data dal condomino successivamente all’adozione della stessa, può valere, nella predetta ipotesi, come sanatoria della eventuale invalidità della delibera, dovuta al venir meno, per le predette ragioni, del richiesto ” quorum deliberativo “, potendo, se mai, tale conferma avere solo il valore di rinuncia a dedurre la invalidità, senza che sia, peraltro, preclusa agli altri condomini la possibilità di impugnazione).

Insomma, qualora un condomino ad un certo punto – nel corso della celebrazione di un’assemblea condominiale – si allontani e tale circostanza viene fatta annotare sul verbale, [NB l’interessante precisazione: è condizione necessaria?] se è incontrovertibile che l’allontanamento non incide sui “quorum costitutivi” (che devono sussistere al momento iniziale), tale circostanza incide, altrettanto indiscutibilmente, su quelli deliberativi relativamente ai singoli punti all’ordine del giorno (nonché sui diritti dei distinti condomini) rispetto ai quali il singolo o più condomini abbiano deciso di non prendere parte alla discussione e alla conseguente delibera, e, quindi, di non partecipare alla votazione, rimanendo del tutto irrilevante la possibile udibilità dall’esterno, da parte dei condomini preventivamente allontanatisi del locale di svolgimento dell’assemblea delle determinazioni che la stessa ha inteso adottare in proposito.

Di conseguenza, il termine di 30 giorni previsto dall’art. 1137, comma 2, c.c. per l’impugnazione delle delibere assembleari annullabili non può farsi coincidere come “dies a quo” – per il condomino (nel caso di specie rappresentato dal delegato) allontanatosi volontariamente dal luogo di svolgimento dell’assemblea, con relativa presa d’atto a verbale, senza partecipare quindi alla votazione – con quello del giorno di adozione della delibera stessa sui punti all’ordine del giorno rispetto alla cui discussione e deliberazione il condomino allontanatosi non ha voluto partecipare, dovendosi, a tutti gli effetti, quest’ultimo considerarsi assente (rimanendo, per quanto in precedenza evidenziato, irrilevante la possibile “udibilità” da parte di detto condomino, postosi all’esterno dei locali in cui si tiene la riunione, della delibera presa dall’assemblea sui relativi argomenti).

A tale principio di diritto dovrà uniformarsi il giudice di rinvio, per effetto del quale – nel caso di specie – la Corte di appello avrebbe dovuto far legittimamente decorrere il suddetto termine, nei confronti della condomina A.A. rimasta – a mezzo del suo delegato – “assente”, da quello successivo della ricevuta comunicazione, da parte della stessa, del verbale contenente la delibera eventualmente annullabile, ove eseguita, non potendo – in mancanza – nemmeno considerarsi iniziato a decorrere (da cui deriverebbe la tempestività, in ogni caso, dell’impugnativa effettuata dall’A.A. con la proposizione dell’atto di citazione notificato il 29 novembre 2013, restando, comunque, demandato al giudice di rinvio – se, eventualmente, si fosse provveduto a tale comunicazione – rivalutare, di conseguenza, la tempestività o meno dell’impugnativa della delibera assembleare, con riferimento all’individuazione del “dies a quo” in rapporto al momento di introduzione del giudizio e, in caso di accertato avvenuto rispetto, decidere sul merito dell’impugnativa stessa)>>.

Le spese condominiali amministrative, concernenti non tutti ma solo determinati condomini, legittimamente sono poste a carico solo di questi ultimi

Cass. Sez. II, Ord. 16/01/2024, n. 1.704, rel. Mondini:

<<2.4. La Corte, con la sentenza n.12573 del 2019 dopo aver cassato la sentenza favorevole agli odierni ricorrente in quanto la stessa si era limitata a stabilire che le spese in contestazione dovevano essere ripartite secondo la legge con implicito riferimento al solo primo comma dell’art. 1223 c.c., aveva imposto al giudice del rinvio di svolgere accertamenti finalizzati a verificare se le attività i cui costi erano stati addebitati agli odierni ricorrenti fossero attività destinate a servire tutti i condomini o solo i ricorrenti cosicché, in questo secondo caso, i costi potessero essere posti a carico dei soli ricorrenti, in applicazione del secondo comma dell’art. 1123 c.c. Secondo i ricorrenti, il Tribunale non avrebbe adempiuto a quanto demandatogli dalla Corte perché avrebbe “accomunato in un unico calderone” tutti gli addebiti laddove invece, per adempiere, avrebbe dovuto esprimersi su ogni singolo addebito in relazione ad ogni singola missiva, tanto più che non tutte le missive erano state inviate da o a i ricorrenti.

In realtà il Tribunale ha preso in esame ciascuna missiva separatamente. Ne ha esaminato il contenuto. Ha individuato l’attività svolta dall’amministratore. Ha dato conto, anche attraverso il riferimento alle allegazioni delle parti, delle ragioni per cui le attività emergenti da ciascuna missiva dovevano essere ricondotte a richieste o all’iniziativa dei ricorrenti. Ha dato altresì conto in modo puntuale di mittenti e destinatari con la precisazione, ove diversi dall’amministratore e dagli odierni ricorrenti, del rapporto con l’uno o gli altri. Trattavasi -ha specificato il Tribunale- del legale dell’amministratore in relazione a richieste del legale dei ricorrenti e di un geometra che, richiesto direttamente dai ricorrenti di modificare un determinato preventivo, aveva effettuato la prestazione e si era poi rivolto all’amministratore il quale era stato conseguentemente costretto ad esaminare il documento inviatogli e a dare riscontro al geometra>>.

Uso o innovazione individuale della cosa comune? La trasformazione del tetto in terrazza privata

Cass. civ., Sez. II, Sent., (data ud. 14/11/2023) 10/01/2024, n. 917, rel. Fortunato:

Premessa sulla distinzione tra uso della cosa comune e innovazikone ex art. 1120:

<<Le innovazioni di cui all’art. 1120 c.c. si distinguono dalle modificazioni disciplinate dall’art. 1102 c.c., sia dal punto di vista oggettivo, che da quello soggettivo: sotto il profilo oggettivo, le prime consistono in opere di trasformazione, che incidono sull’essenza della cosa comune, alterandone l’originaria funzione e destinazione, mentre le seconde si inquadrano nelle facoltà riconosciute al condomino, con i limiti indicati nello stesso art. 1102 c.c., per ottenere la migliore, più comoda e razionale utilizzazione della cosa; per quanto concerne l’aspetto soggettivo, nelle innovazioni rileva l’interesse collettivo di una maggioranza qualificata, espresso con una deliberazione dell’assemblea, elemento che invece difetta nelle modificazioni, che non si confrontano con un interesse generale, ma con quello del singolo condomino, essendo volte al suo solo perseguimento (Cass. 2126/2021; Cass. 20712/2017; Cass. 18052/2012; Cass. n. 20712; Cass. 240/1997).

Costituisce innovazione ex art. 1120 c.c., non qualsiasi modificazione della cosa comune, ma solo quella che alteri l’entità materiale del bene, operandone la trasformazione, o ne modifichi la destinazione, ove il bene assuma, a seguito delle opere eseguite, una diversa consistenza materiale o sia utilizzato per fini diversi da quelli originari.

Qualora la modificazione della cosa comune risponda allo scopo di un uso del bene più intenso e proficuo, si versa nell’ambito dell’art. 1102 c.c., che, sebbene dettato in materia di comunione ordinaria, è applicabile in materia di condominio degli edifici per effetto del richiamo contenuto nell’art. 1139 c.c.>>

Ne segue: <<per tali ragioni la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune dell’edificio, può trasformarlo in terrazza di proprio uso esclusivo, sempre che un tale intervento dia luogo a modifiche non significative della consistenza del bene in rapporto alla sua estensione e sia attuato con tecniche costruttive tali da non affievolire la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture svolta dal tetto preesistente, quali la coibentazione termica e la protezione del piano di calpestio mediante idonei materiali (Cass. 14107/2012; Cass. 2126/2021).

L’art. 1102 c.c. consente a ciascun proprietario di far un uso più inteso della cosa comune a condizione che non sia alterata la funzione del bene e non impedito il pari uso: l’alterazione della funzione del bene deve essere effettiva e non può consistere in una semplice modificazione materiale; il pari uso non va inteso non deve consistere nel medesimo uso che possa invece farne il singolo che si trovi in un rapporto particolare e diverso con la cosa, ma di uso anche inteso ma che possa essere effettivo, occorrendo individuare, in concreto, i sacrifici alle facoltà di godimento che tale modifica apporti, senza dar rilievo ad una astratta possibilità di uso alternativo o un suo ipotetico depotenziamento (Cass. 14107/2012; Cass. 857/2019; Cass. 13503/2019; Cass. 41490/2021; Cass. 19939/2022; Cass. 2971/2023).

Le opere di cui si discute non costituivano – quindi – innovazioni suscettibili di autorizzazione ai sensi dell’art. 1120 c.c.: la norma riguarda non le opere intraprese dal singolo per realizzare un miglior uso della cosa comune ai sensi dell’art. 1102 c.c., ma quelle volute dall’assemblea condominiale con la maggioranza prescritta>>.

Occhio però al limite: <<Occorre tuttavia considerare che l’art. 1120, comma 2 c.c. [rectius: comma 4] , nel vietare le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico – è astrattamente applicabile anche agli interventi effettuati con le finalità di cui all’art. 1102 c.c. (Cass. 11455/2015; Cass. 18350/2013; Cass. 14607/12), dovendosi accertare, oltre alla compatibilità dell’intervento con i limiti derivanti dall’art. 1102 c.c., il rispetto dell’ultimo comma dell’art. 1120 c.c., alla luce del necessario coordinamento normativo che deve farsi tra l’art. 1102, l’art. 1120 e, ove si tratti di interventi sulle pari esclusive, con l’art. 1122 c.c. (Cass. 11455/2015).

Competerà al giudice del rinvio riesaminare i fatti di causa e valutare la sussistenza delle violazioni, conformandosi agli enunciati principi di diritto.>>