Novità sulla circolazione dei dati personali

la Commissione UE allo scopo di promuovere lo scambio dei dati e dunque un mercato per i big data che possa competere con quello USA e cinese, si è avviata su alcune interessanti iniziative.

Dapprima la dir. 1024 dello scorso anno DIRETTIVA (UE) 2019/1024 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 20 giugno 2019 relativa all’apertura dei dati e al riutilizzo dell’informazione del settore pubblico.

Lo scopo è brevemente enunciato dall’art. 1: <<Al fine di promuovere l’utilizzo di dati aperti e di incentivare l’innovazione nei prodotti e nei servizi, la presente direttiva detta un complesso di norme minime in materia di riutilizzo e di modalità pratiche per agevolare il riutilizzo: a) dei documenti esistenti in possesso degli enti pubblici degli Stati membri; b) dei documenti esistenti in possesso delle imprese pubbliche…  c) dei dati della ricerca, conformemente alle condizioni di cui all’articolo 10> .

In secondo luogo, il data gorernance act di quest’anno. Si tratta della proposta di regolamento  <on European data governance (Data Governance Act)> del 25.11.2020, COM(2020) 767 final, 2020/0340(COD).

Può leggersi in tutte le lingue, essendo già state pubblicate le varie versioni linguistiche.

La ratio della proposta normativa è così riassunto nella relazione accompagnatoria (qui in italiano, formato word): << L’atto giuridico è volto a promuovere la disponibilità dei dati utilizzabili rafforzando la fiducia negli intermediari di dati e potenziando i meccanismi di condivisione dei dati in tutta l’UE. L’atto si propone di affrontare le seguenti situazioni:    –  messa a disposizione dei dati del settore pubblico per il riutilizzo qualora tali dati siano oggetto di diritti di terzi;  –  condivisione dei dati tra le imprese, dietro compenso in qualsiasi forma;  –  consenso all’utilizzo di dati personali con l’aiuto di un “intermediario per la condivisione dei dati personali”, il cui compito consiste nell’aiutare i singoli individui a esercitare i propri diritti a norma del regolamento generale sulla protezione dei dati (RGPD);  –  consenso all’utilizzo dei dati per scopi altruistici>>.

Chiara sintesi dei tre settori di intervento nella cit. Relazione accomp.:

  • il capo II < istituisce un meccanismo per il riutilizzo di determinate categorie di dati protetti detenuti da enti pubblici, che è subordinato al rispetto dei diritti di terzi (in particolare per motivi di protezione dei dati personali, ma anche di protezione dei diritti di proprietà intellettuale e riservatezza commerciale) >;
  • il capo III <mira ad accrescere la fiducia nella condivisione dei dati personali e non personali, come pure a ridurre i costi di transazione relativi alla condivisione dei dati tra imprese (B2B) e da consumatore a impresa (C2B) grazie alla creazione di un regime di notifica per i fornitori di servizi di condivisione dei dati> (in breve regola la intermediazione tra privati offerenti e richiedenti dati)
  • il capo IV concerne il  data altruism : <agevola l’altruismo dei dati (dati messi a disposizione su base volontaria da parte di individui o imprese per il bene comune). Esso istituisce la possibilità per le organizzazioni che praticano l’altruismo dei dati di registrarsi in qualità di “organizzazioni per l’altruismo dei dati riconosciute nell’UE” al fine di accrescere la fiducia nelle loro attività. Sarà inoltre sviluppato un modulo europeo comune di consenso all’altruismo dei dati per ridurre i costi della raccolta dei consensi e facilitare la portabilità dei dati (qualora i dati da mettere a disposizione non siano detenuti dai singoli individui)>.

Pare che il potenziale economico sociale legato al riuso di dati sia notevole: v. ad es. questo foglio illustrativo .

Raccogliere dati da Facebook senza suo consenso: è illecito?

Capita talora che Facebook (poi: F.) , invece che essere convenuta, sia attore: e cioè che, oltre a raccogliere dati dagli utenti, a sua volta subisca raccolte di dati dei sui utenti da un concorrente (c.d. data scraping e cioè raccolte massive ed automatizzate di dati).

La corte del Northern District della Californa ha deciso in via cautelare (temporary restraining order : “TRO”) la lite tra F. e Brandtotal ltd (poi: Br.) (US Nort. D. of California, 9 novembre 2020, Facebook v. Brandtotal, Case No.20-cv-07182-JCS).

Br. induceva i clienti ad installare due proprie estensioni scaricate da Google Store (UpVoice + AdsFeed) , con le quali raccoglieva molti loro dati su F. e su Instragram, nonostante misure adottate da F. per contrastare il fenomeno, p. 2..

Accortasene, F. disattivava sulla propria piattaforma gli account di Br.

Precisamente, secondo F., Br. faceva questo:

<< Once installed by the users . . . [BrandTotal] used the users’ browsers as a proxy to access Facebook computers, without Facebook’s authorization, meanwhile pretending to be a legitimate Facebook or Instagram user. The malicious extensions contained JavaScript files designed to web scrape the user’s profile information, user advertisement interest information, and advertisements and advertising metrics from ads appearing on a user’s account, while the user visited the Facebook or Instagram websites. The data scraped by [BrandTotal] included both public and non-publicly viewable data about the users.  [BrandTotal’s] malicious extensions were designed to web scrape Facebook and Instagram user profile information, regardless of the account’s privacy settings. The malicious extensions were programmed to send unauthorized, automated commands to Facebook and Instagram servers purporting to originate from the user (instead of [BrandTotal]), web scrape the information, and send the scraped data to the user’s computer, and then to servers that [BrandTotal] controlled >>, p. 3

Per precisazioni sulla parte in fatto, v.  Introduction, p. 1 ss e Background.  II, p. 2 ss.

I claims di F. sono: <<(1) breach of contract, based on the Facebook Network and Instagram terms of service, id. ¶¶ 67–73; (2) unjust enrichment, id. ¶¶ 74–80;
(3) unauthorized access in violation of the CFAA,
id. ¶¶ 81–86; (4) unauthorized access in violation of California Penal Code § 502, id. ¶¶ 87–95; (5) interference with contractual relations by inducing Facebook’s users to share their login credentials with BrandTotal, in violation of Facebook’s terms of service, id. ¶¶ 96–102; and (6) unlawful, unfair, or fraudulent business practices in violation of California’s Unfair Competition Law, Cal. Bus. & Prof. Code § 17200 (the “UCL”), Compl. ¶¶ 103–10. Facebook seeks both injunctive and compensatory relief. See id.
at 21–22, ¶¶ (a)–(h) (Prayer for Relief)>>, p. 5

Quelli di Br. sono:  <<(1) intentional interference with contract, based on contracts with its corporate customers, id. ¶¶ 32–41; (2) intentional interference with prospective economic advantage, id. ¶¶ 42–48; (3) unlawful, unfair, and fraudulent conduct in violation of the UCL, id. ¶¶ 49–63; and (4) declaratory judgment that BrandTotal has not breached any contract with Facebook because its access “has never been unlawful, misleading, or fraudulent,” because its products “have never impaired the proper working appearance or the intended operation of any Facebook product” or “accessed any Facebook product using automated means,” and because the individual users own the information at issue and have the right to decide whether to share it with BrandTotal, id. ¶¶ 64–73. BrandTotal seeks both injunctive and compensatory relief>>, p. 6/7.

La parte interessante è sub III, Analysis.

Qui , sub B a p. 12 ss , si espone che Br. ha invocato un precedente del 2019 hiQ Labs v. Linkedin in cui hiQLabs ottenne una riammissione ai servizi di Linkedin, pur avendo raccolto senza autorizzazione i dati dei suoi utenti. Solo che , fa notare il giudice, ci sono differenze sostanziali : i) mentre i dati di L. sono pubblici, quelli raccolti tramite F. sono invece largamente non pubblici (p. 22); ii) per questo l’interesse di F. al controllo dei dati è assai maggiore di quello di L., dato che molti sono ad accesso ristretto, p. 23.

Inoltre Br. non ha provato l’ irreparable harm per ottenere l’inibitoria della rimozione /disattivazione, p. 15 ss e 19-20.

Poi il giudice passa ad esaminare il likelihood of success (fumus boni iuris), p. 20 ss. Da un lato Br. non ha provato l’elemento soggettivo e cioè la consapevoelzza di F. che così facendo andava ad alterare il rapporto contratttuale tra Br e i suoi clienti, p. 21. Dall’altro c’è un serio interesse commerciale di F nell’ impedire l’accesso ai dati da parte di Br., p. 24 righe 18-22 e p. 26 righe 8-12.

Si aggiunge però che F. potrebbe aver agito così anche per impedire la sopravvivenza di (o comunque per danneggiare) un concorrente potenzialmente fastidioso nel mercato dell’advertising analytics: ciò dunque potrebbe far pendere la bilancia verso Br. per ragioni proconcorrenziali, p. 26.

Le ragioni proconcorrenziali sollevate da Br., però, sono serie ma non sufficienti: <The Court concludes that BrandTotal has raised serious questions as to the merits of this claim, but on the current record, it has not established a likelihood of success>, P. 26.

Complessivamente dunque , il bilanciamento equitativo delle pretese opposte (balancing of equities)  in relazione al danno per le parti porterebbe a far prevalere Br, p. 30-31,

Tenendo però conto di ragioni di public interest, la pretesa di inibitoria di Br verso F. va respinta, p. 31-34:  < BrandTotal has shown a risk of irreparable harm in the absence of relief, serious issues going to the merits of its claims, and a balance of hardships that tips in its favor, perhaps sharply so. The public interest, however, weighs against granting the relief that BrandTotal seeks >, p. 34

Preliminare di cessione di quote sociali e impegno di garanzia

Cassazione 16 ottobre 2020 numero 22429,  rel. Dolmetta, decide una lite in cui (per la parte che qui interessa) si discuteva della violazione di un impegno assunto dai venditori nei confronti dei compratori. In particolare l’impegno era nel senso che la società, di cui venivano cedute Invia preliminare le quote, alla data del definitivo avrebbe dovuto risultare <<titolare di quote societarie della srl Lotel per un valore nominale complessivo variabile tra il 51% e il 64%>> di altra società, la quale a sua volta costituiva il reale oggetto di interesse dei  compratori

Successivamente (i fatti non sono però chiarissimi), tra la stipula del preliminare e la data stabilita per il definitivo, si era aperto un contenzioso tra i soci della società “venduta”, che avrebbe anche potuto potuto apportare un rilevante mutamento nella compagine sociale. Ed è per questo che poi le parti (in prima battuta gli aqquirenti, immagino) non diedero esecuzione al preliminare.

Uno dei motivi di ricorso in Cassazione era che la Corte d’Appello non aveva tenuto conto della questione della imputabilità del mancato rispetto dell’impegno di garanzia predetto

Va premesso che non è chiaro in che modo questo impegno possa essere stato violato semplicemente per la pendenza di un contenzioso dei soci. Infatti si potrebbe dire che, fino a che non venga definito tale contenzioso, nessuna risposta si può dare circa l’esistenza o meno di  tale violazione.

A parte ciò, la Corte di Cassazione passa ad esaminare se rilievi o meno il profilo soggettivo (imputabilità) della violazione dell’impegno stesso.

La Cassazione ha buon gioco nel dire che non ha alcun rilievo: è infatti peculiare dell’impegno di garanzia il dover essere accertato in via esclusivamente oggettiva. Giustamente la Corte richiama altri casi di garanzia nel codice civile: come ad esempio quelle per i trasferimenti (evizione nella vendita o veritas nominis nella  cessione di crediti oppure anche la garanzia di buon funzionamento), cui si può aggiungere quello dei vizi della res nella compravendita (secondo la nota ricostruzione di Mengoni).

E’ proprio del concetto di garanzia quello di tenere una parte al sicuro da eventi sgraditi, anche se in nessun modo addebitabili (imputabili) al  soggetto che fornisce la garanzia. Questo costituisce la differenza tra impegno da garanzia e impegno da obbligazione, in cui il raggiungimento dell’obiettivo -invece- avviene solo tramite lo sforzo che può considerarsi dovuto dal debitore e nulla più.

Precisamente La Corte si esprime nei seguenti termini:

<< (…) la sentenza del giudice bolognese [d’appello] ha inquadrato la previsione, relativa al possesso da parte della s.a.s. Perlotel (e quindi dei soci di questa, promittenti venditori) della maggioranza delle quote della s.r.l. Lotel, nell’ambito degli “impegni di garanzia”, dal contratto preliminare posti a carico dei promittenti venditori (cfr. sopra, nell’ultimo periodo nel n. 5).

La Corte territoriale ha ritratto questo inquadramento dal tenore testuale del patto; come pure, e in via di conforto ulteriore, dalla funzione concreta della promessa di vendita (cfr. nel secondo capoverso del n. 2). Questa prospettiva – è anche da precisare non è stato contestata dagli attuali ricorrenti.                 12. Ora, all’inquadramento, così raggiunto, consegue che il detto impegno implica – da parte dei promettenti venditori che lo hanno assunto stipulando il preliminare – l’assicurazione del risultato che viene così promesso, come in concreto rappresentato dalla titolarità della maggioranza delle quote della s.r.l. Lotel (per il tramite della s.a.s. Perlotel, la totalità delle quote di questa fungendo da oggetto diretto dell’operazione).              L’impegno in discorso si trova dunque inserito nell’ambito della categoria tradizionale – e di amplissimo riscontro nella pratica – dei c.d. obblighi di garanzia di risultato, di cui ad esempio fanno parte, nell’ambito degli obblighi di fonte legale, la garanzia per evizione (artt. 1483 ss. c.c.) e quella della veritas nominis in ipotesi di cessione dei crediti (art. 1266 c.c.) ovvero, nel contesto degli obblighi di fonte negoziale, della garanzia di buon funzionamento (come figura contemplata dalla norma dell’art. 1512 c.c.).

13.- E’ consentaneo all’assunzione di un impegno di garanzia del risultato che l’obbligato risponde per il caso di mancato verificarsi del risultato promesso anche quando ciò non si leghi al suo dolo o alla sua colpa: qui in effetti, la legge o il contratto pone direttamente in capo a un dato soggetto il rischio connesso al verificarsi di un dato risultato. E così, sempre a titolo di esempio, il venditore risponde nei confronti del compratore per l’evizione della cosa che gli ha alienato anche se, al tempo della convenuta alienazione, non era in mala fede.             In ragione di quest’ordine di rilievi, la giurisprudenza di questa Corte viene a escludere che, per ravvisare la sussistenza dell’inadempimento agli obblighi di questa specie, occorra un riscontro di colpevolezza del soggetto tenuto (cfr., tra le altre, Cass., 28 novembre 2019, n. 31314; Cass., 21 aprile 2015, n. 8102; Cass., 21 maggio 2012, n. 8002).         Si tratta – così si è venuto per l’appunto a precisare di “garanzia che opera per il fatto oggettivo”>>.

La soluzione è esatta, tranne un fugace appunto : è equivoco (e comunque con esattezza lessicale da verificare) esprimersi in termini di “obbligo” e di “inadempimento” con riferimento alla <garanzia>, in cui il risultato  è dovuto in termini assoluti e non parametrati su una condotta debitoria (sempre che sia esatto parlare di <debitore>  per chi è tenuto alla garanzia …)

Scopo delle società, doveri degli amministratori e short-termism: prossima azione regolatoria UE?

La Commissione UE ha incaricato Ernst & Young di effettuare uno studio sulla questione del se  l’attività di impresa sia oggi  viziata da short termism (visione e progettualità a breve termine) e, in caso positivo, se ciò sia fonte di conseguenze negative.

La risposta (poco sorprendentemente) è positiva ad entrambe le domande, come emerge dal report finale <<Study on directors’ duties and sustainable corporate governance-Final report>>, 29 luglio 2020.

Short-termism (poi: s.t.) viene individuato e quantificato <<by looking at the evolution of the amount of net corporate funds being used for pay-outs to shareholders (in the form of dividends or shares buybacks) compared with the evolution of the amount used for the creation of value over the life cycle of the firm, namely through investment in infrastructure, workers training, Research and Development (R&D), and investments in sustainability>>, § 3.1.1.1, p. 9.

Le conseguenze negative sarebbero:

  • a livello ambientale: <Literature connects short-termism to unsatisfactory response to environmental issues both at individual55 (i.e. the psychological tendency of individuals to focus on the short-term and consequently neglect sustainability issues) and organisational level56 (i.e. the factors leading firms to prioritise short-term profits at the expense of long-term objectives)>>, p. 22;
  • a livello sociale: <<There is a substantial body of literature (though mainly focusing on the US context) linking shareholder primacy in corporate governance, the “financialisation”85 of the global economy, and increasing social inequalities.86 From a social perspective, short-termism exacerbates inequalities. In a context where share ownership is concentrated in the richest households (such as in the US), achieving higher share prices and larger dividend pay-out – the main objective of corporate executives focused on the short-term – is beneficial to a just small fraction of a country’s population (the share owners) and contributes to deepen the existing socio-economic cleavages>>, p. 26;
  • a livello economico: <<Short-termism has serious adverse economic effects on companies, their shareholders and their stakeholders, and undermines the macroeconomy. As discussed in section 3.2, the strength of the social norm of shareholder primacy in corporate governance theory and practice, combined with growing pressures from institutional and activist investors increasingly focused on the short-term market value of the shares, places intense pressure on corporate boards to prioritise the market valuation of the company and focus on short-term financial performance, driving down all other costs, at the expense of better employee compensation and stronger investments that are important for long-term productivity>, p. 28.

Il ruolo delle imprese è notevole per conseguire i relativi United Nations Sustainable Development Goals  : <as described in the previous sections, corporate short-termism is among the factors that hinder the achievement of environmental, social and economic sustainability. Without companies abandoning the business-as-usual and proactively embracing and promoting the sustainability transition, it will be hard to achieve such ambitious sustainability goals in the near future>, p. 30.

Le cause dello s.h. sarebbero:

  • Directors’ duties and company’s interest: <In all jurisdictions, the core duty of the board is to protect and promote the interests of the company. Numerous multijurisdictional studies underline how the prevalence of shareholder primacy in companies hinders their long-term contribution to sustainability and influences the interpretation of the concept of “company’s interest”. This has been increasingly understood as the maximisation of shareholder value in the short term. This social norm has been thought to be a legal provision, even if no jurisdictions prescribe this>, p. 32
  • Pressure from investors: <As far as investors are concerned, the growing importance of institutional investors correlates with a shortening of investor engagement in companies, in terms of shorter tenue of shares and increased frequency of portfolio turnovers, as described by economic data and findings surmised from the literature review. These developments, combined with the increased role played by activist investors – like activist hedge funds – having an explicit short-term orientation, determined an overall dynamic in which investors with a short-term focus exert pressure on boards to focus on short-term shareholder value maximisation and distribution, rather than on long-term value creation>, p. 33;
  • Sustainability strategy, sustainability targets and estimation of sustainability risks and impacts: <Embedding sustainability aspects in business strategy, or setting a sustainability strategy,124 as well as setting measurable targets, seems to be a key step for companies to reduce sustainability-related risks and negative impacts, maximise opportunities, and move their business beyond short-term focus and create value in the long term. However, as shown by the legal review, with a few exceptions, national regulatory frameworks do not enshrine an obligation for companies to adopt and disclose a sustainability strategy. This implies that the adoption of a sustainability strategy, including the identification of science-based ESG targets and their alignment with “global” goals (e.g. the SDGs), is in most cases left to the voluntary initiative and discretion of the companies thus generating a fragmented picture>, p. 34;
  • Board remuneration: <<The current structure of executive pay is also identified in part of the literature as a key driver behind short-termism. A substantial strand of literature argues that share-based remuneration of executives reinforces, rather than works against, the capital market pressure for maximisation of  returns to shareholders in the short term. Share-based remuneration schemes create incentives for executives to focus on shareholder value maximisation and manage corporate resource in a way aimed to increase share price, benefiting themselves and the shareholders, at the expense of investments that are necessary for the long-term sustainability of the company>, p. 36;
  • Board composition: <As highlighted by the findings of the literature review,  board composition is key to promote a shift towards greater business sustainability and long-term focus. A diversified board with a wide range of relevant skills and experience is important to challenge the business-as-usual, avoid group think, and raise questions in terms of the long-term sustainability and value creation. Data from the literature suggest that in most companies the board lacks competence and expertise in sustainability matters and is still largely dominated by men. Concerning sustainability expertise, although there is lack of granular data, the literature indicates that companies where the board includes at least one member with ESG, ethics or sustainability experience, or where there is a board-level committee or advisory body with ESG-related responsibilities, are a minority>, p. 36;
  • stakeholder involvement: <As highlighted by the literature, the prominence of shareholder primacy in corporate governance and the pressure it generates to pursue short-term profit maximisation leads board members not to take sufficient account of the long-term interests of stakeholders other than shareholders (such as employees, creditors, suppliers, customers and the society at large as well as the environment).     This can have negative consequences on the long-term success of a company, as it might undermine its social license to operate. As a matter of regulatory frameworks, it is argued in the literature that, to some extent, a duty for directors to take the interests of all stakeholders into account is recognised, in some form or another, in all EU jurisdictions.>, p. 37. Un maggior coinvolgimento degli stakeholders <can help companies to counterbalance pressure from financial markets and short-term investors and give “voice” – if not representation – to subjects with a strong interest in the long-term sustainability of the company>, p. 37;
  • l’enforcement, alquanto problematico: <As a consequence, enforcement of the company’s claims against its directors faces two major problems: conflict of interest (obvious in the case of one-tier board structure, where the board brings the company’s claim against its own member), and collective action (in case of derivative actions, the shareholders who bring the legal action bear all costs, while benefits from the claimant’s efforts accrue also to passive shareholders). As reported in the literature, due to these obstacles, enforcement levels are currently low in all Member States.   In the current context, stakeholders of the company (other than shareholders) lack legal standing to enforce directors’ duty of care, even when they have a legitimate interest in the long-term sustainability of the company. This means that stakeholders such as employees, local communities, etc. lack enforcement mechanisms to effectively ensure the protection of their legitimate interests in corporate activities, and therefore to exercise substantial influence over the board and board members and keep them accountable>, p. 38.

Ciò visto, è necessaria un’azione a livello europeo per i motivi spiegati a p. 44 segg.

Seguono possibili soluzioni, dalla più morbida a quella più rigida (a livello legislativo): § 4.4. segg., p 50 ss

Non mancano critiche : v. il dibattito aperto su questo Report dall’Oxford Business Law Blog e qui i post ad es. di Roe-Fried-Spamann-Wang, EC Corporate Governance Initiative Series: ‘The European Commission’s Sustainable Corporate Governance Report: A Critique’ del 20.10.2020 oppure Richter-Ohnemus-Thomsen, EC Corporate Governance Initiative Series: ‘A Response From the Copenhagen Business School’ del 26.10.2020.

la Corte Suprema USA interviene sul § 230 CDA (anche se solo per negare la trattazione di un caso e cioè il writ of certiorari)

La Corte Suprema USA (SCOTUS)  , nella persona del giudice Thomas (poi: JT), interviene sul § 230 CDA

Lo fa però solo per rigettare un’istanza di writ of certiorari (revisione di un caso già deciso da corte inferiore )

Si tratta di SUPREME COURT OF THE U.S., MALWAREBYTES, INC. v. ENIGMA SOFTWARE GROUP USA, LLC,  ON PETITION FOR WRIT OF CERTIORARI TO THE UNITED STATES COURT OF APPEALS FOR THE NINTH CIRCUIT No. 19–1284. Decided October 13, 2020 .

NOn è chiarisisma la fattispecie concreta: il caso coinvolge <Enigma Software Group USA and Mal-warebytes, two competitors that provide software to enable individuals to filter unwanted content, such as content pos-ing security risks. Enigma sued Malwarebytes, alleging that Malwarebytes engaged in anticompetitive conduct by reconfiguring its products to make it difficult for consumers to download and use Enigma products. In its defense, Mal-warebytes invoked a provision of §230 that states that a computer service provider cannot be held liable for providing tools “to restrict access to material” that it “considers to be obscene, lewd, lascivious, filthy, excessively violent, harassing, or otherwise objectionable.” §230(c)(2).> p .1    Non si capisce quale sia stata esattamente la condotta impeditiva del convenuto Malware, tale per cui questi possa aver inbvocato il § 230 CDA.

In ogni caso, essendo stata proposta una azione per anticompetitive conduct, il § 230 non si applica: lo disse il 9° circuito e lo conferma ora JT (po. 1)

In ogni caso JT ricorda a p. 2- 3 la storia e la ratio del §230. Ricorda che in 24 anni, mai è stato portato all’attenzione di SCOTUS

Poi muove quattro critiche alla interpretazione sempre più ampia che le Corti ne hanno dato:

1)    l’immunità non è più solo per publisher e speaker, ma viene estesa anche ai distributors (contrariamente alla tradizione precedente), sub I.A;
2)    l’immunità non è più solo per i contenuti forniti da terzi, ma -alla fine- anche per i conteuti propri del provider, dato che hanno ristretto l’ambito applicativo della disposizione sul developer (che impedisce di invocare l’esimente ex 230.f.3), sub B: <Under this interpretation, a company can solicit thousands of potentially defamatory statements, “selec[t] and edi[t] . . . for publication” several of those statements, add commentary, and then feature the final product promi-nently over other submissions—all while enjoying immun-ity. .Jones v. Dirty World Entertainment Recordings … (interpreting “de-velopment” narrowly to “preserv[e] the broad immunity th[at §230] provides for website operators’ exercise of tradi-tional publisher functions”). To say that editing a state-ment and adding commentary in this context does not“creat[e] or develo[p]” the final product, even in part, is dubious>

3)    il safe harbour del § 230.c.1 (per cui nulla rischia il provider che disabilita  o rimuove in buona fede)  è interpretato troppo ampiamente sotto il profilo soggettivo (buona fede/mala fede).    Secondo la giusta interpretazione letterale,  <taken together, both provisions in §230(c) most naturally read to protect companies when they unknowingly decline to exercise editorial functions to edit or remove third-party content, §230(c)(1), and when they decide to ex-ercise those editorial functions in good faith>. Costruendo invece la disposizone ampiamente <to protect any decision to edit or remove content, Barnes v. Yahoo!, Inc., 570 F. 3d 1096, 1105 (CA9 2009), courts have curtailed the limits Congress placed on decisions to remove content, see eventures Worldwide, LLC v. Google, Inc., 2017 WL 2210029, *3 (MD Fla., Feb. 8, 2017) (rejecting the interpretation that§230(c)(1) protects removal decisions because it would “swallo[w] the more specific immunity in (c)(2)”). With no limits on an Internet company’s discretion to take down material, §230 now apparently protects companies who racially discriminate in removing content. >, sub C.

4) infine le corti hanno pure esteso il §230 <to protect companies from a broad array of traditional product-defect claims. In one case, for example, several victims of human traffickingalleged that an Internet company that allowed users to post classified ads for “Escorts” deliberately structured its web-site to facilitate illegal human trafficking. > (sub I.D; seguono altri esempi).

Tuttavia, precisa JT,  ridurre l’area del safe harbour, non priva i convenuti di difesa. Semplicemente ciò < would give plaintiffs a chance to raise their claims in the first place. Plaintiffs still must prove the merits of their cases, and some claims will un-doubtedly fail. Moreover, States and the Federal Govern-ment are free to update their liability laws to make them more appropriate for an Internet-driven society. >, II , p. 9-10.

Le scienze comportamentali non sono scienze esatte: un pò di cautela prima di applicarle in modo esteso!

Le scienze sociali vanno di moda e soprattutto quelle comportamentali.

Un gruppo di ricercatori  (“mostly consisting of empirical psychologists who conduct research on basic, applied and meta-scientific processes”) ha pubblicato un breve lavoro in cui evidenziano i rischi di errori che le social and behavioural sciences possono produrre se applicate indiscriminatamente nelle policies pubbliche.

Si tratta del saggio  <Use caution when applying behavioural science to policy> e a firma di Hans IJzerman, Neil A. Lewis Jr., Andrew K. Przybylski, Netta Weinstein, Lisa DeBruine, Stuart J. Ritchie, Simine Vazire, Patrick S. Forscher, Richard D. Morey, James D. Ivory and Farid Anvari, in Nature Human Behaviour, 9 ottobre 2020.

I loro dubbi riguardano i seguenti sei profili:

<< First, study participants, mainly students, are drawn from populations that are in Western (mostly US), educated, industrialized, rich and democratic (WEIRD) societies. Second, even with this narrow slice of population, the effects in published papers are not estimated with precision, sometimes barely ruling out trivially small effects under ostensibly controlled conditions. Third, many studies use a narrow range of stimuli and do not test for stimulus generalisability. Fourth, many studies examine effects on measures, such as self-report scales, that are infrequently validated or linked to behaviour, much less to policy-relevant outcomes. Fifth, independently replicated findings, even under ideal circumstances,are rare. Finally, our studies often fail to account for deeper cultural, historical, political and structural factors that play important moderating roles during the process of translation from basic findings to application. Together, these issues produce empirical insights that are more heterogeneous than might be apparent from a scan of the published literature>>

Propongono quindi un percorso a nove livelli per arrivare alla evidence readiness della loro scienza, sintetizzato nella figura 2 dell’articolo (sulla scia dei nove technology readiness levels della NASA, come si legge ivi).

Confortante che un gruppo di scienziato condivida in pubblico le preoccupazioni per errori  nel metodo o nella prassi seguiti nel loro settore di attività.

Ancora la Corte di Giustizia sul marchio rinomato: il caso Burlington

Con la sentenza 4 marzo 2020 nelle cause riunite da C-155/18 P fino a C-158/18 P la CG interviene su alcuni aspetti sostanziali e procedurali del diritto dei marchi.

La normativa applicata ratione temporis è per alcune registrazioni il regolamento UE 40/94 e per un’altra il regolamento UE 207 del 2009.

Sappiamo che l’articolo 8/5  del regolamento 207/2009 dice: <<In seguito all’opposizione del titolare di un marchio anteriore registrato ai sensi del paragrafo 2, la registrazione del marchio depositato è altresì esclusa se il marchio è identico o simile al marchio anteriore, a prescindere dal fatto che i prodotti o i servizi per i quali si chiede la registrazione siano identici, simili o non simili a quelli per i quali è registrato il marchio anteriore, qualora, nel caso di un marchio UE anteriore, quest’ultimo sia il marchio che gode di notorietà nell’Unione o, nel caso di un marchio nazionale anteriore, quest’ultimo sia un marchio che gode di notorietà nello Stato membro in questione e l’uso senza giusto motivo del marchio depositato possa trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio anteriore o recare pregiudizio agli stessi.>>

I marchi a confronto sono quelli anteriori di Burlington Arcade da una parte e quelli posteriori di Burlington (figurativi e denominativi), dall’altra: si vedano rispettivamente i punti 21 e 19 della sentenza.

I prodotti per i quali sono stati registrati , come sempre nel diritto dei marchi, sono essenziali: a prima vista sotto il profilo merceologico però non c’è sovrapposizione o meglio affinità.

Qui mi fermo solo sul profilo della tutela e in particolare sulla fattispecie astratta di cui all’articolo 8 paragrafo 5 regolamento 207 cit. (la norma è del tutto simile anche nel regolamento 40 del 94). La Corte interviene pure su altri aspetti soprattutto procedurali, dei quali qui non mi occupo.

Le messe a punto della CG non sono particolarmente innovative ma ma vale la pena di ripassarle

La Corte ricorda gli elementi costitutivi della fattispecie di cui all’articolo 8 paragrafo 5 regolamento 207, paragrafo 73 e ricorda che una sola di queste tre violazioni è sufficiente, paragrafo 74

Ricorda poi che <<sebbene il titolare del marchio anteriore non sia tenuto a dimostrare l’esistenza di una violazione effettiva e attuale del suo marchio ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 5, del regolamento n. 207/2009, egli deve, tuttavia, dimostrare l’esistenza di elementi che permettano di concludere per un rischio serio che la violazione abbia luogo in futuro>>, paragraph 75

Come al solito, ricorda pure che la valutazione va eseguita complessivamente <<tenendo conto di tutti gli elementi rilevanti del caso di specie, fra i quali compaiono, in particolare, il livello di notorietà e il grado di distintività del marchio anteriore, il grado di somiglianza fra i marchi in conflitto, nonché la natura e il grado di prossimità dei prodotti o dei servizi interessati (sentenza del 27 novembre 2008, Intel Corporation, C‑252/07, EU:C:2008:655, punto 68)>> paragrafo 76

 in particolare circa il pregiudizio <<arrecato al carattere distintivo del marchio anteriore, detto anche «diluizione», «corrosione» o «offuscamento», esso si manifesta quando risulta indebolita l’idoneità di tale marchio ad identificare come provenienti dal suo titolare i prodotti o i servizi per i quali è stato registrato e viene utilizzato, per il fatto che l’uso del marchio posteriore fa disperdere l’identità del marchio anteriore e la sua capacità di far presa nella mente del pubblico. Ciò si verifica, in particolare, quando il marchio anteriore non è più in grado di suscitare un’associazione immediata con i prodotti o i servizi per i quali è stato registrato (sentenza del 27 novembre 2008, Intel Corporation, C‑252/07,EU:C:2008:655, punto 29).>>, § 77

Sotto il profilo probatorio, <<la prova che l’uso del marchio posteriore rechi o possa recare pregiudizio al carattere distintivo del marchio anteriore richiede che siano dimostrati una modifica del comportamento economico del consumatore medio dei prodotti e dei servizi per i quali il marchio anteriore è registrato, dovuta all’uso del marchio posteriore o un rischio serio che una tale modifica si produca in futuro (sentenza del 27 novembre 2008, Intel Corporation, C‑252/07, EU:C:2008:655, punto 77).>>, § 78.    E’ forse l’indicazione più utile per la pratica.

Lo scioglimento della comunione ereditaria è atto traslativo (Cass. sez. un. 25021 del 07.10.2019)

La antica questione circa la traslatività o dichiaratività dello scioglimento della comunione ereditaria è stata sciolta dalle sezioni unite della Corte di Cassazione con la sentenza in oggetto (rel.: Lombardo):

La fattispecie riguardava immobili abusivi costruiti tra il 1970 e il 1976, per cui si applicava ratione temporis l’art. 40.2 dell L. 47/1985 secondo cui:“”Gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali, esclusi quelli di costituzione, modificazione ed estinzione di diritti di garanzia o di servitù, relativi ad edifici o loro parti, sono nulli e non possono essere rogati se da essi non risultano, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria ai sensi dell’art. 31 ovvero se agli stessi non viene allegata la copia per il richiedente della relativa domanda, munita degli estremi dell’avvenuta presentazione, ovvero copia autentica di uno degli esemplari della domanda medesima, munita degli estremi dell’avvenuta presentazione e non siano indicati gli estremi dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione di cui al comma 6 dell’art. 35. Per le opere iniziate anteriormente al 1 settembre 1967, in luogo degli estremi della licenza edilizia può essere prodotta una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, rilasciata dal proprietario o altro avente titolo, ai sensi e per gli effetti della L. 4 gennaio 1968, n. 15, art. 4, attestante che l’opera risulti iniziata in data anteriore al 1 settembre 1967” (§ 2)

Si badi che nella norma successiva (art. 46 c.1 dpr 380/2001), che ha sostituito quella citata, lo scioglimento delle comunioni è espressamente contemplato.

Il motivo di ricorso in Cassazione sottoponeva le seguenti due questioni di diritto collegate tra di loro : <<innanzitutto …  si tratta di stabilire se, tra gli atti tra vivi per i quali la L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 2, commina la sanzione della nullità al ricorrere delle condizioni ivi previste, debbano ritenersi compresi o meno gli atti di scioglimento delle comunioni (“prima questione di diritto”). Ove la risposta a tale questione risulterà positiva (ove cioè debba ritenersi che lo scioglimento delle comunioni sia ricompreso tra gli atti tra vivi per i quali la L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 2, commina la sanzione della nullità), si tratterà di risolvere un’altra conseguente questione di diritto: se possano considerarsi atti inter vivos, come tali soggetti alla comminatoria di nullità prevista dalla L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 2, (ma anche dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, comma 1), solo gli atti di scioglimento della comunione “ordinaria” o anche quelli di scioglimento della comunione “ereditaria” (“seconda questione di diritto”).>>

Circa la prima questione , secondo la SC va preso atto che << la L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 2, sia pure attraverso un diverso percorso semantico, ha la medesima estensione applicativa dell’art. 46 del D.P.R. n. 380 cit. (e della disposizione che lo ha preceduto). Nulla autorizza a ritenere che la comminatoria di nullità prevista dalla L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 2, abbia un ambito oggettivo diverso da quello della comminatoria prevista dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, comma 1; nulla autorizza a ritenere che gli atti di scioglimento della comunione aventi ad oggetto edifici abusivi o loro parti siano esclusi, alle condizioni stabilite, dalla comminatoria di nullità, considerato che essi rientrano comunque nella classe degli atti contemplati nella disposizione di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 2; nulla autorizza a ritenere che il legislatore abbia inteso prevedere una disciplina differenziata per gli atti di scioglimento di comunione aventi ad oggetto edifici, a seconda che la costruzione sia stata realizzata in data anteriore o successiva rispetto all’entrata in vigore della L. n. 47 del 1985. 

Alla stregua di quanto sopra, deve concludersi che la L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 2, è applicabile anche agli atti di scioglimento della comunione. Restano fuori dal campo di applicazione della L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 2, così come – d’altra parte – dal campo di applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, comma 1, (e prima della L. n. 47 del 1985, art. 17, comma 1), gli atti mortis causa e, tra quelli inter vivos, gli atti privi di efficacia traslativa reale (ossia quelli ad effetti meramente obbligatori), gli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù (espressamente esclusi dalle richiamate disposizioni) e – come si vedrà nel prosieguo – gli atti derivanti da procedure esecutive immobiliari individuali o concorsuali (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, comma 5, e L. n. 47 del 1985, art. 40, commi 5 e 6)>>

La seconda questione, come detto, attiene invece al se lo scioglimento della comunione ereditaria sia atto mortis causa o tra vivi. Precisamente riguarda il <<se nel novero degli atti tra vivi, per i quali la L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40, comma 2, (come sopra interpretato) commina la sanzione della nullità, possa includersi solo l’atto di scioglimento della comunione ordinaria, dovendo ritenersi l’atto di divisione della comunione ereditaria un negozio assimilabile agli atti mortis causa, ovvero debba includersi anche l’atto di scioglimento della comunione ereditaria, da qualificarsi invece come negozio inter vivos.>> § 3

Nel § 4 la Corte ricorda le caratteristiche generali della comunione ereditaria e i suoi rapporti con quella ordinaria (ex art. 1100 cc)

Il primo argomento, per cui sarebbe atto mortis causa, è quello per cui sarebbe ad essi assimilabile,  non avendo natura automnoma.  La Corte ha buon gioco nel respingerlo (§ 5.1).

Il secondo argomento è quello per cui la tesi della natura inter vivos crerebbe disparità di trattamento con la divisione del testatore ex art. 734 cc.  Anche qui è facile motivarne il rigetto: la divisione del testtatore evita la divisione , per cui non c’è alcuna omogeneità di effetti tra i due atti (tant’è che è disposta dal testatore invece che dai comunisti) (§ 5.3)

Il terzo argomento è -apparentemente- il più difficile da superare ed è quello basato sulla norme che dispone la retrattività della divisione erditaria. Si tratta dell’art. 757 c.c. , secondo cui  “Ogni coerede è reputato solo e immediato successore in tutti i beni componenti la sua quota o a lui pervenuti dalla successione, anche per l’acquisto all’incanto, e si considera come se non avesse mai avuto la proprietà degli altri beni ereditari“.

La Corte, tuttavia,  precisa che tale efficacia retroattiva opera <<solo sul piano dell’effetto distributivo proprio della divisione (il c.d. “apporzionamento”), ossia solo per quanto riguarda l’acquisto della titolarità dei beni assegnati; ma essa non cancella gli altri effetti della comunione e le situazioni attive e passive acquisite dal condividente o dai terzi durante lo stato di comunione: ad es., i frutti naturali della cosa comune già separati al momento della divisione restano acquisiti alla comunione e non competono all’assegnatario del bene che li aveva prodotti (cfr., Cass., Sez. 2, n. 2975 del 20/03/1991); i condividenti sono tenuti a reciproca garanzia per l’evizione (art. 759 c.c.); sopravvivono pure i diritti reali costituiti in favore di terzi durante la comunione (salva la garanzia ipotecaria costituta dal compartecipe che, ai sensi dell’art. 2825 c.c., si trasferisce sui beni a lui assegnati); restano opponibili i rapporti di locazione>> (§ 5.3).

La motivazione si  basa sui seguenti argomenti.

In primo luogo già <<sul piano della teoria generale, … il fenomeno della retroattività di un atto giuridico si accompagna, per sua natura, all’efficacia costitutiva dell’atto stesso ed è incompatibile con l’efficacia meramente dichiarativa del medesimo.>> (§ 5.3.1).

In secondo luogo -e soprattutto, direi-  lo scioglimento della comunione non accerta o dichiara affatto una situazione giuridica preesistente, ma <<immuta sostanzialmente la realtà giuridica. Con la divisione, infatti, ogni condividente perde la (com)proprietà di tutti i cespiti costituenti l’asse ereditario e concentra il proprio diritto su uno solo o su alcuni di essi (“aliquid datum, aliquid retentum”); sorgono, dunque, tante proprietà individuali laddove, prima, esisteva una comproprietà. E’ chiaro, dunque, che l’idea secondo cui la divisione non costituirebbe titolo di acquisto dei beni assegnati in proprietà esclusiva può essere condivisa solo a patto di restringerne il significato al piano puramente economico, essendo chiaro che il passaggio dalla contitolarità pro quota dei beni comuni alla titolarità esclusiva della porzione non si traduce in un incremento patrimoniale per il condividente. Tuttavia, sul piano della modificazione della sfera giuridica dei condividenti, è indubbio come nel fenomeno divisorio sia insito un effetto costitutivo, sostanzialmente traslativo, perchè con la divisione ogni condividente perde la (com)proprietà sul tutto (che prima aveva) e – correlativamente – acquista la proprietà individuale ed esclusiva sui beni a lui assegnati (che prima non aveva): le quote ideali spettanti a ciascun condividente su tutti i beni facenti parte della comunione sono convertite in titolarità esclusiva su taluni singoli beni. Deve, pertanto, riconoscersi che la divisione ha una natura specificativa, attributiva, che impone di collocarla tra gli atti ad efficacia tipicamente costitutiva e traslativa (efficacia, peraltro, della quale non si dubitava nè nel diritto romano nè in quello intermedio)>> (§ 5.3.2).

In conclusione dall’efficacia retroattiva disposta dall’art. 757 c.c. <<non può argomentarsi la natura meramente dichiarativa del contratto di divisione ereditaria e, tantomeno, la sua natura di atto mortis causa. La divisione non ha causa ricognitiva di effetti giuridici già verificatisi, ma – al contrario – ha causa attributiva e distributiva, in quanto ciascun condividente può divenire l’unico titolare di questo o di quel bene ricadente in comunione solo se vi sia stato un procedimento (contrattuale o giudiziale) che abbia determinato, con effetti costitutivi, lo scioglimento di quella comunione. Essa costituisce, pertanto, un atto assimilabile a quelli di natura traslativa, per i quali la L. n. 47 del 1985 e il D.P.R. n. 380 del 2001 comminano la sanzione della nullità ove abbiano ad oggetto edifici abusivi o parti di essi>> (§ 5.3.4).

L’insegnamento è condivisibilissimo: anche se per vero le tesi contrarie erano veramente poco fondate, confondendo efficacia retroattiva e natura dichiarativa.

La S.C. fa infine due importanti precisazioni:

1) questa disciplina si applica pure alla divisione giudiziale e non solo a quella contrattuale (§ 6.1);

2) è possibile disporre anche una divisione parziale, omettendo gli immobili abusuvi, e nessun coerede può opporvisi (§ 6.2).

Dalla natura costitutivo-traslativa della divisione potrebbero però seguire altre conseguenze, che dovranno essere studiate. Ad es. emerge la necessità di una nuova lettura dell’art. 2646 cc, relativo alla trascrizione della divisione: la quale non potrà più essere considerata una pubblicità notizia a solo fine  di continuità delle trascrizioni, ma una ordinaria pubblicità dichiarativa ex art. 2644 c.c. (come ipotizza F.M. Bava in La divisione ereditaria quale atto inter vivos avente natura costitutiva, in nota alla sentenza,  in I contratti, 2019/6, 623, che esamina altre conseguenze discendenti dalla riconosciuta natura traslativa). In senso contrario, proprio facendo valere la natura dichiarativa  alla luce dell’art. 757 cc, intende invece l’art. 2646 come trascrizione a soli fini di continuità Ciacci Caimi, Della trascrizione degli atti relativi ai beni immobili (Artt. 2643-2645 bis, 2646-2651), Il Cod. Civ. Comm., dir. da Busnelli, 2018, 267-269).

Si è fatto riferimento allo scopo di apporzionamento (<<endodivisionale>>), proprio della divisione ereditaria, per dedurne alcune conseguenze: i) non c’è obbligo di allegare l’attestato di prestazione energetica; ii) il bene attribuito in proprietà esclusiva non entra nell’eventuale comunione legale esistente in capo al condividente (Romano C., Natura giuridica della doivisione ereditaria;: la posizione selle Sezioni Unite, Notariato, 2019/6, 674-675). A me pare che la divisione ereditaria vada trattata come la divisione che pone fine ad una comunione ordinaria (fino a che non ci sia norma in senso contrario).

Competenza giurisdizionale per violazioni di marchio UE, consistenti in offerta in vendita su internet

Interviene la Corte di Giustizia dell’Unione Europea sul tema in oggetto, decidendo una questione pregudiziale  sollevata dalla Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) e relativa all’art. 97 (rubricato <<Competenza internazionale>>) § 5 del reg. 207/2009.

Secondo l’art. 97 § 1 sono competenti i Tribunali del domicilio del convenuto.

Secondo l’art. 97 § 5,  l’azione può essere promossa  anche <<dinanzi ai tribunali dello Stato membro in cui l’atto di contraffazione è stato commesso>>.

Nel caso specifico il presunto contraffattore era domiciliato in Spagna ed offriva in vendita prodotti contraffatti su internet. I titolari hanno fatto valere la violazione nel Regno Unito e solo per quanto riguarda il territorio britannico (§ 19 e § 55).

La questione riguarda l’interpretazione del concetto di “luogo di commissione della contraffazione“. Precisamente consiste nel capire se con ciò si intenda solo il luogo, in cui il convenuto abbia organizzato la messa on line, oppure anche il luogo (anzi i luoghi), in cui si trovano consumatori e professionisti cui pubblicità ed offerte di vendita sono rivolte, pur se diverso dal primo.

La Corte ha risposto nel secondo senso e ciò, oltre che per altre ragioni, anche tramite una corretta interpretazione della norma sull’ambito oggettivo di protezione conferito dalla privativa.

Secondo l’art. 9 § 2 lett. b) e d) [§ 3 lett. b) ed e) nell’ultima versione consolidata], infatti, costituisce contraffazione anche l’offerta in vendita e l’uso del segno nella pubblicità. Quindi il luogo di commissione della contraffazione in tali casi è laddove la pubblicità o l’offerta vendono percepite dai [“rese accessibili ai”] destinatari (§ 54).

In sintesi , ne segue che <<il titolare di un marchio dell’Unione (…) può introdurre un’azione per contraffazione (…) dinanzi a un tribunale dei marchi dell’Unione europea dello Stato membro sul cui territorio si trovano consumatori o professionisti cui si rivolgono tali pubblicità o dette offerte di vendita, nonostante il fatto che il suddetto terzo abbia adottato le decisioni e le misure finalizzate a tale pubblicazione elettronica in un altro Stato membro>> (§ 65)

Si tratta della sentenza 05.09.2019, causa C-172/18AMS Neve Ltd-Barnett Waddingham Trustees-Mark Crabtree contro Heritage Audio SL-Pedro Rodríguez Arribas.

Aceto Balsamico di Modena: questioni in tema di tutela del segno distintivo

Il Consorzio Tutela Aceto Balsamico di Modena è interessato da due recenti vertenze giudiziarie, in sede nazionale ed europea.

1) Nella prima è stato deciso che non può pretendere di registrare il marchio collettivo denominativo riferendosi alle tipologie merceologiche rivendicate con le diciture «Aceto balsamico di Modena» e «Condimenti all’Aceto balsamico di Modena>>  per contraddistinguere i prodotti della classe 30.

La classe 30 dell’Accordo di Nizza, nella versione temporalmente pertinente,  prevedeva: «Caffè, tè, cacao e succedanei del caffè riso tapioca e sago; farine e preparati fatti di cereali pane, pasticceria e confetteria gelati; zucchero, miele, sciroppo di melassa lievito, polvere per fare lievitare; sale senape; aceto, salse [condimenti]; spezie; ghiaccio».

Il Consorzio (parrebbe) pretendeva di indicare come classe merceologica direttamente e solamente il proprio prodotto: «Aceto balsamico di Modena» e «Condimenti all’Aceto balsamico di Modena>> , quasi costituisse un genere merceologico autonomo.

La Cassazione ha però confermato che questo contrasta con la classificazione di Nizza, la ottemperanza alla quale è però prevista dall’art. 156 c.p.i. (e comunque -vien da aggiungere-  contrasta con esigenze di armonizzazione tra Stati aderenti.

Così si legge in motivazione (sub § 2): <<Il riferimento  specifico al prodotto rivendicato («Aceto balsamico di Modena» e «Condimenti all’Aceto balsamico di Modena»), all’interno della classe 30 della Classificazione internazionale di Nizza (che, anche nell’elenco alfabetico dei prodotti inclusi, non comprende tali diciture), avrebbe comportato una sorta di rimodulazione dell’elenco dei prodotti o servizi oggetto della Classificazione Internazionale di Nizza, non per genere dei prodotti ma per caratteristiche specifiche ulteriori (non incluse nella classificazione stessa) non consentita. (…) La ricorrente assume che il prodotto aceto balsamico di Modena non possa rientrare nel genere «aceto», presente nella classe 30, costituendo una sorta di genere autonomo di prodotto ben definito, sulla base di elementi differenziali, peraltro non chiaramente indicati in ricorso; la ricorrente non spiega perché la dicitura «aceto», presente nella classe 30 (che accorpa i prodotti merceologici in base a caratteristiche generali comuni), non potrebbe ricomprendere anche l’aceto balsamico di Modena. Ed invero non si trattava di negare tutela ad un genere autonomo, non previsto nella Classificazione di Nizza, ma di ricondurre il prodotto ad un genere già classificato, nella Classe 30>>.

Si tratta di Cass. 12.848 del 14.05.2019, Rel. Iofrida.

2) Quanto alla sede europea  , il Consorzio ha fatto valere invece la IGP <<Aceto Balsamico di Modena (IGP)>> presso la Corti tedesche contro l’uso di etichetta contenente le scritte «Balsamico» e «Deutscher Balsamico» e pure la scritta «Theo der Essigbrauer, Holzfassreifung, Deutscher Balsamico traditionell, naturtrüb aus badischen Weinen» [Theo l’acetificatore, invecchiamento in botti di legno, Aceto balsamico tedesco tradizionale, naturalmente torbido, ottenuto da vini del Baden] oppure «1. Deutsches Essig-Brauhaus, Premium, 1868, Balsamico, Rezeptur No. 3» [1° acetificio tedesco, Premium, 1868, Balsamico, Ricetta n. 3] su aceti prodotti dalla Balema GmBH..

La Corte Suprema tedesca BGH (Bundesgerichtshof) ha sollevato la seguente questione pregiudiziale interpretativa del reg. 583/2009 recante iscrizione nel registro delle denominazioni d’origine protette e delle indicazioni geografiche protette della denomnazione Aceto Balsamico di Modena (IGP) (e delle pertinenti norme del reg. 1151/2012 , spt. artt. 13 e 41)  : «se la tutela di cui beneficia la denominazione “Aceto Balsamico di Modena” nel suo insieme si estenda anche all’utilizzazione dei singoli termini non geografici che compongono tale denominazione (“Aceto”, “Balsamico”, “Aceto Balsamico”)» (v. § 22 Conclusioni A.G.).

Sono da poco state presentate la conclusioni dell’Avvocato Generale Hogan, sfavorevoli al Consorzio, avendo dato risposta risposta negativa alla domanda posta dal BGH.

Secondo l’ A.G.  (v. § 14) la denominazione è protetta solo nella sua interezza, mentre non è  protetta nella sue singole parole non geografiche “Aceto”, “Balsamico” e “Aceto Balsamico”. Pertanto la Balema GmBH può continuare a scrivere sull’etichetta «Balsamico» e «Deutscher Balsamico» (AG in causa C-432/18 nelle sue conclusioni 29.07.2019)