Aceto Balsamico di Modena: questioni in tema di tutela del segno distintivo

Il Consorzio Tutela Aceto Balsamico di Modena è interessato da due recenti vertenze giudiziarie, in sede nazionale ed europea.

1) Nella prima è stato deciso che non può pretendere di registrare il marchio collettivo denominativo riferendosi alle tipologie merceologiche rivendicate con le diciture «Aceto balsamico di Modena» e «Condimenti all’Aceto balsamico di Modena>>  per contraddistinguere i prodotti della classe 30.

La classe 30 dell’Accordo di Nizza, nella versione temporalmente pertinente,  prevedeva: «Caffè, tè, cacao e succedanei del caffè riso tapioca e sago; farine e preparati fatti di cereali pane, pasticceria e confetteria gelati; zucchero, miele, sciroppo di melassa lievito, polvere per fare lievitare; sale senape; aceto, salse [condimenti]; spezie; ghiaccio».

Il Consorzio (parrebbe) pretendeva di indicare come classe merceologica direttamente e solamente il proprio prodotto: «Aceto balsamico di Modena» e «Condimenti all’Aceto balsamico di Modena>> , quasi costituisse un genere merceologico autonomo.

La Cassazione ha però confermato che questo contrasta con la classificazione di Nizza, la ottemperanza alla quale è però prevista dall’art. 156 c.p.i. (e comunque -vien da aggiungere-  contrasta con esigenze di armonizzazione tra Stati aderenti.

Così si legge in motivazione (sub § 2): <<Il riferimento  specifico al prodotto rivendicato («Aceto balsamico di Modena» e «Condimenti all’Aceto balsamico di Modena»), all’interno della classe 30 della Classificazione internazionale di Nizza (che, anche nell’elenco alfabetico dei prodotti inclusi, non comprende tali diciture), avrebbe comportato una sorta di rimodulazione dell’elenco dei prodotti o servizi oggetto della Classificazione Internazionale di Nizza, non per genere dei prodotti ma per caratteristiche specifiche ulteriori (non incluse nella classificazione stessa) non consentita. (…) La ricorrente assume che il prodotto aceto balsamico di Modena non possa rientrare nel genere «aceto», presente nella classe 30, costituendo una sorta di genere autonomo di prodotto ben definito, sulla base di elementi differenziali, peraltro non chiaramente indicati in ricorso; la ricorrente non spiega perché la dicitura «aceto», presente nella classe 30 (che accorpa i prodotti merceologici in base a caratteristiche generali comuni), non potrebbe ricomprendere anche l’aceto balsamico di Modena. Ed invero non si trattava di negare tutela ad un genere autonomo, non previsto nella Classificazione di Nizza, ma di ricondurre il prodotto ad un genere già classificato, nella Classe 30>>.

Si tratta di Cass. 12.848 del 14.05.2019, Rel. Iofrida.

2) Quanto alla sede europea  , il Consorzio ha fatto valere invece la IGP <<Aceto Balsamico di Modena (IGP)>> presso la Corti tedesche contro l’uso di etichetta contenente le scritte «Balsamico» e «Deutscher Balsamico» e pure la scritta «Theo der Essigbrauer, Holzfassreifung, Deutscher Balsamico traditionell, naturtrüb aus badischen Weinen» [Theo l’acetificatore, invecchiamento in botti di legno, Aceto balsamico tedesco tradizionale, naturalmente torbido, ottenuto da vini del Baden] oppure «1. Deutsches Essig-Brauhaus, Premium, 1868, Balsamico, Rezeptur No. 3» [1° acetificio tedesco, Premium, 1868, Balsamico, Ricetta n. 3] su aceti prodotti dalla Balema GmBH..

La Corte Suprema tedesca BGH (Bundesgerichtshof) ha sollevato la seguente questione pregiudiziale interpretativa del reg. 583/2009 recante iscrizione nel registro delle denominazioni d’origine protette e delle indicazioni geografiche protette della denomnazione Aceto Balsamico di Modena (IGP) (e delle pertinenti norme del reg. 1151/2012 , spt. artt. 13 e 41)  : «se la tutela di cui beneficia la denominazione “Aceto Balsamico di Modena” nel suo insieme si estenda anche all’utilizzazione dei singoli termini non geografici che compongono tale denominazione (“Aceto”, “Balsamico”, “Aceto Balsamico”)» (v. § 22 Conclusioni A.G.).

Sono da poco state presentate la conclusioni dell’Avvocato Generale Hogan, sfavorevoli al Consorzio, avendo dato risposta risposta negativa alla domanda posta dal BGH.

Secondo l’ A.G.  (v. § 14) la denominazione è protetta solo nella sua interezza, mentre non è  protetta nella sue singole parole non geografiche “Aceto”, “Balsamico” e “Aceto Balsamico”. Pertanto la Balema GmBH può continuare a scrivere sull’etichetta «Balsamico» e «Deutscher Balsamico» (AG in causa C-432/18 nelle sue conclusioni 29.07.2019)

TAR Lazio conferma il provvedimetno dell’AGCM a carico di Volkswagen nel caso “dieselgate”

Il fatto è così esposto nel provvedimento 26.137 del 4 agosto 2016 dell’AGCM contro Volkswagen Group Italia S.p.A. e Volkswagen AG:

<<1. Il procedimento concerne il comportamento posto in essere dai professionisti, consistente nella  commercializzazione, a partire dall’anno 2009, sul mercato italiano di autoveicoli e veicoli commerciali, con motorizzazioni sia diesel che benzina, le cui emissioni inquinanti o concernenti l’ambiente non sarebbero conformi ai  valori dichiarati in sede d i omologazione, ovvero la cui omologazione è stata ottenuta attraverso l’utilizzo di un software nella centralina di controllo del motore (cosiddetto “ impianto di manipolazione ” o defeat device ), in grado di far sì che il comportamento del veicolo sia dive rso durante i test di banco per il controllo  delle emissioni rispetto al normale impiego su strada>>.

L’AGCM ritenne la pratica scorretta ai sensi degli artt. 20, comma 2, 21 comma 1, lettera b ), e 23, comma 1, lettera d ), del Codice del Consum.

L’art. 20 c. 2 così recita: <<Divieto delle pratiche commerciali scorrette – (…) ; 2. Una pratica commerciale e’ scorretta se e’ contraria alla diligenza professionale, ed e’ falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale e’ diretta o del membro medio di un gruppo  qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di  consumatori.>>

L’art. 21 c. 1 lett. b) così recita:<<Azioni ingannevoliE’ considerata ingannevole una pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o e’ idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad uno o piu’ dei seguenti elementi e, in ogni caso, lo induce o e’ idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso:
a) …; b) le caratteristiche principali del prodotto, quali la sua disponibilita’, i vantaggi, i rischi, l’esecuzione, la composizione, gli accessori, l’assistenza post-vendita al consumatore e il trattamento dei reclami, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, la consegna, l’idoneita’ allo scopo, gli usi, la quantita’, la descrizione, l’origine geografica o commerciale o i risultati che si possono attendere dal suo uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove e controlli effettuati sul prodotto;>>

L’art. 23 c. 1 lett. d) così recita: <<Pratiche commerciali considerate in ogni caso ingannevoli –  Sono considerate in ogni caso ingannevoli le seguenti pratiche commerciali:

a) ..; b) …; c) …; d) asserire, contrariamente al vero, che un professionista, le sue pratiche commerciali o un suo prodotto sono stati autorizzati, accettati o approvati, da un organismo pubblico o privato o che sono state rispettate le condizioni dell’autorizzazione, dell’accettazione o dell’approvazione ricevuta;>>

Pertanto ne vietò la diffusione o continuazione e irrogò in solido alle predette società  una sanzione amministrativa pecuniaria di 5.000.000 € (cinquemilioni di euro).

La società sanzionate ricorsero al TAR Lazio, il quale il quale però,  con provvedimento della sez. I datato 31 maggio 2019 (N. 06920/2019 REG.PROV.COLL. N. 12293/2016 REG.RIC.), reperibile nel database del sito www.giustizia-amministrativa.it,  ha confermato totalmente il provvedimento dell’AGCM, rigettando il ricorso.

Questioni in tema di decadenza di marchio per non uso quinquennale (art. 24 C.p.i.): la guerra commerciale tra Mediaset-RTI e ITV

Il Tribunale di Torino con sentenza n. 19/2019 del 04.01.2019, RG 4851/2017, affronta il caso di decadenza dei marchi dennominativi/figurativi “Passaparola” per non uso quinquennale, relativamente a servizi media e televisivi principalmente, ma anche a beni e servizi di altro tipo.

i fatti in breve.

La società ITV GLOBAL ENTERTAINMENT LTD (di seguito solo “ITV”) cita RETI TELEVISIVE ITALIANE – R.T.I. – S.p.A.,(di seguito solo “RTI” davanti al Tribunale di Torino per sentire dichiarare la decadenza dei marchi <<Passaparola>>, in titolarità alla convenuta, per non uso quinquennale, registrati non solo per telecomunicazioni ma anche per settori molto diversi, evidentemente allo scopo di valorizzarli tramite merchandising.

ITV , appartenente ad uno dei pricipali gruppi di produttori e emittenti televisive del Regno Unito, aveva creato un format, chiamato <<The Alphabet Game>>,  che aveva concesso in licenza per l’Italia alla società Einstein Multimedia SRL , la quale lo aveva sublicenziato a RTI ( realizzando per questa anche la produzione esecutiva di varie edizioni del relativo programma). La versione italiana di <<The Alphabet Game>> era stata trasmessa su Canale 5 a partire dall’ 11 gennaio 1999 col titolo “Passaparola”. Il medesimo format era stato concesso in licenza da ITV anche in altri paesi, tra cui ad esempio in quelli di lingua spagnola col titolo “Pasapalabra”.  Successivamente Einstein Multimedia non aveva rinnovato la licenza a RTI e lo show “Passaparola” venne interrotto, dopo la realizzazione di un’edizione speciale tra il 2007 e l’inizio del 2008 (l’ultima delle quali esattamente il 27 gennaio 2008 sempre su Canale 5).

Il 20 maggio 2009 ITV deposita domanda di marchio UE <<Pasapalabra>> per servizi  televisivi e di intrattenimento (classi 38 e 41), domanda accolta dall’EUIPO il 28 gennaio 2016.

Il 26 ottobre 2016 però RTI propone all’EUIPO stesso domanda di nullità di tale  marchio di ITV , perché richiesto in malafede (secondo ITV, come reazione ad un’azione giudiziaria promossa in Spagna da ITV c. Mediaset Espana che avrebbe usato il marchio <<Pasalabra>>: p. 9).

In diritto

Alla luce di tali fatti, segnalo quattro passaggi della sentenza (il secondo di diritto processuale generale):

1)   Sull’interesse ad agire per proporre la domanda di decadenza –

Tra le altre difese, RTI eccepisce la mancanza di interesse di ITV (art. 122 .c.2 c.p.i.) per le classi merceologiche relative al merchandising e cioè per quelle diverse dai servizi televisivi. RTI basa l’eccezione sul fatto che: <<1…. il marchio UE di controparte copre unicamente le classi mediatiche 38 e 41; 2. in relazione a tale marchio, quest’ultima è attiva unicamente nel settore televisivo e mediatico; 3. la giurisprudenza (costante) è preclara nell’interpretare l’art. 122 CPI2, affermando che esso interesse consta unicamente in presenza di un ostacolo (anche solo potenziale) alla propria attività dall’esistenza del titolo altrui, cosa che, nella specie, è evidentemente da escludere in relazione ai prodotti e servizi non mediatici (prodotti e servizi che non siano nelle classi 38 e 41), visto che non sono oggetto delle attività imprenditoriali riferibili a parte attrice, né sono in alcun modo rivendicati dalla medesima>>.

In breve, la mancanza di interesse deriverebbe dal fatto che ITV non è presente attualmente in quei settori merceologici.

[RTI per vero afferma la mancanza di tale interesse anche per i servizi televisivi, affermando che la “caduta” dei marchi di RTI non era necessaria a ITV per difendersi presso ‘EUIPO: RTI aveva infatti ivi chiesto la nullità del marchio <<Pasapalabra>> di ITV perchè domandato in mala fede, non  per carenza di novità (p. 11-12)]

La Corte Torinese respinge l’eccezione, dicendo che <<che la legittimazione e l’interesse ad agire competono a tutti gli operatori economici del settore cui si riferisce la privativa e, in particolare, a qualsiasi imprenditore concorrente, anche in via potenziale e futura, del titolare sulla sola base dell’affermazione che egli trova nella presenza della stessa un ostacolo all’esercizio della propria attività e senza che debba essere richiesta anche la dimostrazione di un interesse di tipo più specifico. In particolare, l’interesse ad agire della parte attrice deve ritenersi sussistente anche con riferimento alle classi di registrazione dei Marchi RTI n. 9, n. 14, n. 16, n. 18, n. 35, n. 39 e n. 42. Invero, la parte attrice, essendo concorrente di RTI, è ovviamente interessata a operare nei medesimi settori di attività, anche collaterali a quello televisivo.>> (p. 12-13, § 3.3).

Il principio è importante: la decadenza può essere chiesta da qualunque imprenditore concorrente, anche se attualmente non operante in questi settori merceologici: non si chiede altro. Quindi si potrebbe anche riformulare affermando che, per aversi interesse ad agire ex art,. 122 c. 2 cpi, basta che l’istante sia concorrente del titolare del marchio impugnato in qualunque settore merceologico, anche se diverso da quelli per il quale chiede la decadenza.

2) Sull’onere di contestazione ex art. 115 c. 1 c.p.c.

Secondo la Corte, l’allegazione di ITV sulla data finale di uso del segno distintivo “passaparola” da parte di RTI, contenuta nell’atto di citazione, non è stata specificamente contestata da RTI in comparsa di costituzione e risposta: ne segue che deve considerarsi pacifica in causa in base alla’rt. 115 c. 1 cpc.

L’affermazione della Corte lascia perplessi. E’ vero che secondo l’articolo 167 CPC il convenuto deve propore le sue difese <<prendendo posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda>>.

E’ però anche vero che ciò non è previsto a pena di decadenza, a differenza di quanto previsto nel seg. c. 2 per riconvenzionali ed eccezioni non rilevabili di ufficio.

Secondo la dottrina, infatti, la contestazione ex art. 115 c. 1 cpc può  avvenire fino alle memorie ex art. 183 c. 6 cpc.

3) Sulla ripresa dell’uso del segno, secondo l’articolo 24 c. 3 c.p.i.

Secondo RTI, la domanda di decadenza va respinta poichè , a prescindere dal non uso quinquennale, essa aveva comunque ripreso l’uso effettivo dei marchi contestati (sia pure solo per le classi 38 e 41) tramite repliche del programma sul canale Mediaset Extra dal 9 dicembre 2013 ai primi mesi del 2014.

La Corte accoglie l’eccezione, poichè tali repliche configurano infatti l’ “uso effettivo” richiesto dalla citata norma. I fatti valorizzati per giungere a questa conclusione sono: << – Mediaset Extra è un importante canale tematico specificamente dedicato alle repliche dei programmi Mediaset nella fascia assegnata nel palinsesto e, dunque, è uno dei canali tramite il quale RTI esercita la propria consistente attività imprenditoriale; – gli ascolti totalizzati da Passaparola su Mediaset Extra, risultano comparabili a molti dei principali canali tematici italiani; – in particolare, nel mese di dicembre 2013, Passaparola ha avuto un’audience comparabile ai risultati di canali come Boing, Italia 2, Sky Cinema 1, Focus, Giallo, Frisbee, TV2000 e superiori a canali notissimi come TG24, La7d, Rai 5, Rai News, Rai Sport, MTV Music, Alice, Arturo, Leonardo e Marco Polo; – inoltre, nel gennaio 2014, Passaparola ha avuto un’audience comparabile ai risultati di canali come Rai News e TV 2000 e superiori a canali come Italia 2, TG 24, Rai Storia, 7Gold; – infine, nel febbraio 2014, Passaparola ha avuto un’audience comparabile ai risultati di canali come Rai News, L2 e TV 2000 e superiore a canali come 7 Gold, Rai 5, Rai Sport, Rai Storia, Italia 2, TG Com 24 e La7D>>.

La Corte conclude sul punto osservando: <<del resto, come chiarito da autorevole dottrina, non è possibile pretendere di predefinire delle soglie quantitative minime di uso del segno, dovendosi invece stabilire di volta in volta, in relazione alle variabili del caso concreto, se l’uso possa ritenersi sufficiente ed essendo sufficiente l’uso, quando (come nel caso di specie) il marchio conserva, in relazione alla natura del prodotto che ne è contraddistinto e al consumo che di questo si vuole fare, la sua individualità e testimonia la persistente presenza dell’impresa sul mercato>> (p. 15-16, § 3.6)

La Corte però salva il segno solo per le classi 38 e 41, le sole per le quali è stato documentata la rispresa dell’uso; per le altre la decadenza non è evitata.

4) Sulla salvezza per il caso di “diritti acquisiti sul marchio da terzi col deposito o con l’uso” (incipit dell’art. 24 c. 3 c.p.i.)

ITV fa presente che la sanatoria della decadenza (il non uso è stato accertato tra il 27 gennaio 2008 e il 9 dicembre 2013: v. sub 3.5, p. 15) non può operare, dato che il 20 maggio 2009 essa ha depositato domanda di marchio europeo <<Pasapalabra>>, del tutto confondibile con <<Passaparola>> (di cui è anzi la traduzuione in lingua spagnola). Diverrebbe quindi invocabile la clausola di salvezza, posta all’inizio dell’articolo 24 comma 3 cpi, ostativa alla sanatoria del marchio.

La Corte rigetta la controeccezione di ITV: e ciò a prescindere dalla sovrapponibilità di “Pasapalabra” a “Passaparola” e quindi dalla astratta idoneità  del primo a dar luogo a diritti sul secondo.

Il marchio “Pasapalabra” di ITV, infatti,  pur depositato nel 2009, è stato però registrato solo nel 2016: dunque successivamente agli utilizzi del marchio <<Passaparola>> in Italia, che lo hanno  sanato, evitandone la decadenza.

Per stabilire detto rapporto cronologico di anteriorità/posteriorità per i marchi UE, infatti, ciò che conta è la data di registrazione e non quella di deposito. Infatti, da un lato, secondo l’art. 9 c. 1 del reg. UE 2017/1001, è la registrazione a conferire il diritto esclusivo; dall’altro, secondo l’art. 11 c. 1 del medesimo Reg., tale  diritto <<è opponibile ai terzi solo a decorrere dalla data della pubblicazione della registrazione del marchio>>.

Pertanto l’acquisto del diritto sul marchio UE da parte di ITV ex art. 24 c. 3 cpi  ha avuto luogo solo con l’avvenuta registrazione (cioè nel 2016).

Quindi non può trovare applicazione il riferimento al deposito, presente nell’incipit dell’art. 24 c. 3 c.p.i., che sarà semmai riferibile ai depositi nazionali: per questi infatti l’art. 15 c. 2 CPI fa retroagire gli effetti della registrazione alla data della domanda.

In sintesi, dunque, la registrazione retroagisce alla data della domanda solo per i marchi nazionali, non per quelli UE (pag. 17-18, sub 3.8).