L’uso del marchio/nome commerciale altrui nel keyword advertising costituisce “furto di proprietà”?

Edible IP cita Google presso una corte delle Georgia per quattro causae petendi in relazione all’uso del suo nome commerciale (“Edible Arrangements”) all’interno del suo keyword advertising(.

Ques’ultimo è la pubbicità tramite asta di Google sui termini ai fini dell’elenco dei risultati sponsorizzati della ricerca: di quelli “sponsorizzati”, non di quelli “naturali” (che nulla hanno di naturale, essendo frutto di precisi, studiatissimi e continuamente modificati algoritimi).

Ricordo qui solo la prima causa petendi, “theft of property”, secondo il codice della Georgia: <<Any owner of personal property shall be authorized to bring a civil action to recover damages from any person who willfully damages the owner’s personal property or who commits a theft as defined in Article 1 of Chapter 8 of Title 16 involving the owner’s personal property>> ( O.C.G.A. § 51-10-6 ).

Però la corte di appello , 2nd division, 29.01.2021, caso  A20A1594, EDIBLE IP, LLC v. GOOGLE, LLC, rigetta tutte le domande , tra cui quella basata sul cit. furto di porprietà, pp. 4-7.

Infatti l’allegazione di proprieà intellettuale sul termine non permette di ravvisare furto, per quanto possa essere creativa l’allegazione del difensore: <<Creative pleading cannot convert Google’s advertising program into a theft by taking. Edible IP has not alleged that it has a proprietary interest in Google’s search results pages or any right to control the advertising on those pages. It claims only that it ownsthe intellectual property associated with “Edible Arrangements.” The alleged “sale” of that term for advertising placement does not constitute theft.>>, p. 6/7.

La proprietà  intellettuale (PI), diremmo noi, non può essere qualificata come proprietà di cose, di res, nemmeno di energie. Vecchia questione quella del se alla PI possano applicarsi le regole dominicali di origina romane.

A me pare di si , in linea di principio: anche se non indiscriinatamente bensì solo dopo una attenta estensione analogica.

Resta da capire perchè non abbia azionato la tutela specifica per i marchi.

(notizia e link alla sentenza presi dal blog di Eric Goldman)

Chiarezza, finalmente, sul “diritto di uso esclusivo” di un condomino su porzione condominiale

L’annosa questione del valore giuridico dell’attribuzione di un diritto d’uso esclusivo a favore di uno o più condomini su una specifica porzione condominale (spesso, di cortile),  è stata risolta da Cass. sez. un. 28972 del 17.12.2020, rel. Di Mauro (se ne v. il testo nel sito della Cassazione).

Il tema è interessante poichè le clausole di questo tipo sono frequenti nela pratica notarile.

La trattazione parte dal § 3 a p. 8; si tratta di pronuncia nell’interesse della legge ex art. 363 cpc (il ricorso era stato estinto per rinuncia accettata (§ 2).

L’opinione della corte inizia al § 6, p. 18 ss

La Corte nega si tratti di diritto reale atipico, creato dall’autonomia privata: a ciò osta la tipicità/numerus clausus dei diritti reali , che permane salda nel nostro ordinamento, § 6.9 a p. 27 ss.

Nemmeno è una servitù prediale, § 6.8, p. 25 ss.

C’è allora da capire -profilo centrale nella pratica- come interpretare le clausole del rogito che qualifichino come <diritto di uso esclusivo> le facoltà concesse al condomino: se cioè siano nulla oppure da intepretare conservativamente come qualcosa d’altro (§ 7, p. 33 ss).

Per la Corte potrà talora pure essere interpretata come attribuzione di titolo proprietario pieno. Del che però c’è da dubitare, essendo chiaro che le parti hanno voluto atribuire qualcosa meno , altrimenti avrebbero usato il termine <proprietà>, soprattuttto in atti pubblici rogati da tecnico del diritto come è un notaio.