Il compenso dell’amministratore di s.p.a. (tra delibera assembleare e delibera del CdA per “particolari cariche”)

Trib. Venezia 15.07.2021, n. 1449/2021, RG 8208/2018, rel. Torresan, precisa il rapporto tra il c. 1 e il c. 3 dell’art. 2389 cc:

<<La ratio della disposizione [cioè dell’2389 comma 3]  è quella di conferire ai componenti dell’organo amministrativo la facoltà di deliberare in ordine al compenso di coloro che, al suo interno, rivestono cariche connotate da un particolare ed elevato grado di impegno e di responsabilità : e ciò in ragione del fatto che la quantificazione di tale compenso sottende una valutazione tecnica che si ritiene possa essere formulata nel modo migliore proprio da parte del consiglio stesso.
L’organo amministrativo deve tuttavia rispettare i limiti, inderogabili, dettati dalla legge e dallo statuto, non potendo, l’art. 2389 cod civ. consentire al CdA di eludere la disciplina dell’art. 2389 cod. civ. che attribuisce all’assemblea o allo statuto il potere determinare il compenso degli amministratori, anche al fine di evitare che gli stessi possano autoattribuirsi ed arbitrariamente determinare i propri compensi .
In particolare, qualora lo statuto preveda che l’assemblea determini un ammontare complessivo per la remunerazione dei compensi degli amministratori, compresi quelli che esercitano particolari cariche, il CdA non potrà deliberare compensi ulteriori.
Nel caso in esame, lo statuto di Sitland ( doc. n. 20 di parte attrice) spa espressamente prevede, all’art. 33, che il consiglio di amministrazione possa delegare, nei limiti di cui all’art. 2381 cod. civ., parte delle proprie attribuzioni a uno o più dei suoi componenti, determinandone i poteri e la relativa remunerazione.
In tema di remunerazione degli amministratori, l’art. 36 stabilisce, invece, che il compenso degli amministratori sia determinato dell’assemblea all’atto della nomina.
L’art. 36.2 , in conformità a quanto prescritto dall’art. 2389, comma 3, cod. civ., prevede inoltre che la remunerazione degli amministratori investiti della carica di Presidente, Amministratore o consigliere delegato sia stabilita dal consiglio di amministrazione, sentito il parere del parere del consiglio sindacale, nel rispetto dei limiti massimi determinati dall’assemblea.
È quindi chiaro che il compenso attribuito agli amministratori anche se dotati di particolari cariche non può eccedere l’ammontare massimo del compenso determinato dall’assemblea>>.

Sulla sostituzione di deliberazione invalida con nuova deliberazione

Trib. Roma n° 17476/2022 del 25.11.2022, RG 53880/2018, rel. Goggi, sull’oggetto:

<<Secondo, infatti, l’orientamento dottrinale e giurisprudenziale maggiormente
condivisibile che si è affermato in materia (cfr. Trib. di Monza 5/3/2001), dopo la
sostituzione, l’annullamento della prima delibera è precluso, in ogni caso, per effetto della cessazione della materia del contendere, essendo riservato al giudice della impugnazione della seconda delibera, specie nell’ipotesi, come quella per cui è causa, in cui il giudizio sia tuttora pendente, ogni sindacato sulla legittimità dell’atto di rinnovo.
Tale tesi si fonda sul presupposto, di cui non sembra potersi dubitare, dell’efficacia estintiva degli effetti della deliberazione sostituita da attribuirsi alla nuova deliberazione avente lo stesso oggetto della prima: la nuova delibera, invero, priva di ogni effetto la delibera che ha sostituito e tale sua efficacia mantiene fin tanto che non venga annullata per essere, a sua volta, contraria alla legge o allo statuto. Ne consegue che la sua eventuale non conformità alla legge o allo statuto – prevista dall’art. 2377 c.c. quale condizione per l’operatività della preclusione all’annullamento della delibera impugnata – potrebbe privarla di tale efficacia estintiva degli effetti della prima delibera solo se venisse annullata a seguito di un autonomo giudizio di impugnazione, giudizio che non può essere introdotto nell’ambito del giudizio di impugnazione avente per oggetto la delibera sostituita – stante la diversità dell’oggetto e la conseguente novità dell’eventuale domanda così introdotta in tale giudizio – né essere oggetto di un accertamento incidentale, ai soli fini della verifica delle condizioni di operatività della norma contenuta nell’ottavo comma dell’art. 2377 c.c., stante la necessità, allo scopo di privare di efficacia la delibera successivamente adottata, di una pronuncia costitutiva di annullamento, per sua natura incompatibile con un accertamento incidenter tantum. Al giudice dell’impugnazione della prima delibera, pertanto, è preclusa ogni valutazione circa la validità della delibera sostitutiva, con la sola eccezione, come è stato correttamente osservato in dottrina, della possibilità di rilevare, ove ricorrano, vizi comportanti la nullità della stessa delibera a norma dell’art. 2379 c.c.; tale nullità, infatti, comportando l’improduttività di qualsiasi effetto della (seconda) delibera, rilevabile anche d’ufficio, senza necessità di alcuna pronuncia costitutiva, potrebbe essere assoggettata, indipendentemente dall’impugnazione da parte degli interessati, a sindacato incidentale in seno al processo originato dall’impugnazione della delibera originaria>>

OK, può essere sia così. Solo che  nel caso sub iudice si tratta di rapporto tra delibere di organi diversi (Cda e assemblea soci), mentre la legge regola la sostituzione tra delibere dello stesso organo: il Tribunale avrebbe dovuto motivare sul punto.

Andrebbe poi approfondito il fatto che la delibera sostiotutiva dell’assemblea dei soci era solo “ratificante” l’indicazione del CdA

Il dovere degli amministratori è favorire il beneficio dei soci, secondo il § 172.1 Companies Act del 2006

Secondo la disposizione citata, <A director of a company must act in the way he considers, in good faith, would be most likely to promote the success of the company for the benefit of its members as a whole>.

Il che si determina avendo riguardo al lungo temrine, ai dipendneti etc. (ivi, lettere a-f).

Disposizione assai discussa nella sua portata: in particolare quale è il ruolo degli stakeholders diversi dai soci (soprattutto dei lavoratori)?

Ebbene, la Supreme Court inglese nella sentenza 5 ottobre 2022, BTI 2014 LLC (Appellant) v Sequana SA and others (Respondents), [2022] UKSC 25, dice che <<successo della company>> significa <<successo dei soci>>.

Almeno fino a che la società arriva vicino alla insolvenza, quando l’interesse da realizzare è anche quello dei creditori. Si v. < it is clear that, although the duty is owed to the company, the shareholders are the intended beneficiaries of that duty. To that extent, the common law approach of shareholder primacy is carried forward into the 2006 Act >, § 65

<The considerations listed in paragraphs (a) to (f) are capable of including the
treatment of certain creditors of the company. Creditors are liable to include
employees, suppliers, customers and others with whom the company has business
relationships; and their treatment may well affect the company’s reputation and its
creditworthiness, and have consequences for it in the long term. However, the primary
duty imposed by section 172(1) remains focused on promoting the success of the
company for the benefit of its members>, § 67.

E poi  : < In addition, it seems to me that acceptance that the fiduciary duty of directors to the
company is re-oriented so as to encompass the interests of creditors, when the
company is insolvent or bordering on insolvency, must result in a similar re-orientation
of related duties. The proper purposes for which powers can be exercised, in
accordance with section 171, include advancing the interests of the company, which in
those circumstances must be understood as including the interests of its creditors, as
was held in In re HLC Environmental Projects Ltd [2013] EWHC 2876 (Ch); [2014] BCC
337, para 99. Similarly, the duty under section 174 to exercise reasonable care, skill
and diligence must be directed, in those circumstances, to the interests of the
company as understood in that context, as appears to have been accepted in a number of cases>. § 73

Si tratta di sentenza molto ampia, diffusa da più fomnti : ad es. Irene-marie Esser e  Iain G MacNeil,   Shareholder Primacy and Corporate Purpose, 21 dic. 2022.

Amministratore disattento scopre che la carica per statuto era gratuita (sul rapporto amministratore/società amministrata)

Istruttiva decisione da parte di Trib. Milano n. 256/2022 del 18.01.2022, Rg 50.852/2017, pres. e rel. Mambriani.

Più che la consueta affermazione di contrattualità del rapporto tra società e amministratore (era una srl) , interessa il collegamento tra statuto e contratto (delibera soci + accettazione).

<<Pertanto, al fine di individuare le modalità di regolamentazione del rapporto contrattuale con l’amministratore, occorre fare riferimento a quegli atti attraverso i quali, nell’ambito dell’organizzazione societaria, si manifesta la volontà dei soci con particolare riferimento al rapporto di amministrazione.
Sovviene, in primo luogo, lo statuto della società, cui l’amministratore, nell’accettare la nomina, aderisce.
Lo statuto – nel dettare le regole organizzatorie dell’ente – individua i diritti degli amministratori, le competenze e le facoltà attribuite all’assemblea riguardo a tale rapporto.
Astrattamente, ed in forza di quel che si è detto, sono prospettabili quattro alternative, potendo lo statuto: (i) attribuire agli amministratori un diritto al compenso, (ii) subordinare il diritto al compenso all’assunzione di apposita delibera dell’assemblea, (iii) escludere il diritto al compenso e stabilire, dunque, la gratuità dell’incarico (1) ovvero (iv) non prevedere nulla al riguardo>>ù

Lo statuto prevedeva la gratuità, tranne il rimbortso spese.

Il trib. non spiega però perchè ritenga di che lo statuto integri il contenuto del contratto ammnistarote – società: anche se è ovvio.

Diverso è per il ruolo di amm. delegato : qui ottiene ragione per il solo anno 2014. Per il quale gli viene aggiudicata , tenuto conto dell’andamento negativo, la somma di euro 5.000 in via equittivs.

L’amministratore di diritto (prestanome) non risponde automaticamente dei reati commessi dall’amministratore di fatto

Utili precisazioni di Cass. sez. penale seconda n° 43.969 del 19.10.2022 depos. il 18.11.2022, rel. Pardo.

<< Tali considerazioni, riferite ad ipotesi di reati tributari per i quali incombe sull’amministratore
di diritto l’onere della regolare tenuta delle scritture e del pagamento delle imposte, devono
essere ribadite anche in relazione alla posizione dell’amministratore di diritto a fronte di condotte
di riciclaggio ed autoriciclaggio compiute dai gestori di fatto delle società; deve infatti essere
evidenziato che il concorso punibile del titolare della posizione di responsabilità nelle singole
condotte illecite poste in essere dai gestori di fatto non può derivare esclusivamente
dall’assunzione della carica. Invero, le condotte di sostituzione dei proventi illeciti punite dagli
artt. 648 bis e 648 terl cod.pen. costituiscono un quid pluris rispetto alle semplici attività di
evasione fiscale richiedendo la prova che attraverso le attività di quella specifica società siano
state effettuate operazioni mirate a sostituire il profitto illecito dei reati fiscali commessi ad
esempio mediante l’emissione od utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti. Ne deriva,
pertanto, che la responsabilità a titolo di concorso sotto il profilo soggettivo può essere affermata
soltanto in presenza di indici rivelatori del concorso morale e cioè della consapevolezza da parte
dell’amministratore di diritto che la società verrà utilizzata anche per il compimento di azioni di
quel particolare tipo, non bastando una generica consapevolezza della destinazione della
struttura ad attività di elusione fiscale.
E nel caso in esame tale dimostrazione sembra mancare poiché a fronte delle specifiche
osservazioni del provvedimento impugnato, il ricorso si dilunga in una analisi dei precedenti
giurisprudenziali in tema di responsabilità dell’amministratore di diritto per condotte poste in
essere dai gestori di fatto senza però in alcun modo illuminare circa i rapporti concreti sussistenti
al momento della consumazione dei fatti, rimontanti peraltro al 2017-2018, tra De Giorgio ed i
gestori di fatto, i Giordano, tali da potere attribuire all’indagato una responsabilità anche a titolo
di dolo generico od eventuale non essendosi in alcun modo verificato come si fosse addivenuti
all’individuazione dell’amministratore di diritto, quali fossero i rapporti con i Giordano, quali le
ragioni della cessazione della carica>>

E subito dopo: <<Ma un tale obbligo giuridico che permetta l’applicazione generalizzata della clausola di cui
all’art. 40 cpv cod.pen. anche a tutti gli altri reati consumati all’interno delle compagini sociali
ovvero mediante le stesse non sussiste a carico dell’amministratore di diritto; se questi cioè è certamente tenuto alla regolare tenuta delle scritture contabili, al regolare pagamento delle
imposte ed alla regolare destinazione dei beni aziendali alle attività sociali, non sussiste invece
né potrebbe altrimenti prevedersi se non in violazione del principio di tassatività della norma
penale, una previsione che impone all’amministratore delle persone giuridìche dì vigilare sulla
regolare osservanza di qualsiasi norma penale da parte dei soggetti comunque coinvolti nelle
attività sociali.             Così che l’estensione dei principi dettati dall’art. 40 cpv cod.pen.
all’amministratore di diritto non è possibile proprio per assenza di un obbligo giuridico ricavabile
da uno specifico riferimento normativo in tal senso.
Ne consegue, pertanto, che la responsabilità dell’amministratore di diritto per le condotte poste
in essere dai gestori di fatto può essere affermata solo in applicazione dei criteri generali sul dolo
nel concorso di persone ex art. 110 cod.pen.>>.

Conflitto di interessi negli amministratori di spa: si applica l’art. 1394 cc, anzichè l’art. 2391 cc , quando il conflitto sorge solo in fase esecutiva e disattendendo la delibera del CdA

Interessante precisazione di Cass. sez. 1 n° 24.156 del 3 agosto 2022 , rel. Falabella, circa una vendita imobiliare “di cortesia” alla controllante per prezzo troppo basso:

<< In realtà, ha ricordato la parte ricorrente che, in base a quanto
esposto in citazione, il contratto era annullabile per conflitto di
interessi non solo perché la delibera era stata assunta da un consiglio
di amministrazione «privo di effettiva pluralità», ma anche in quanto
detta delibera era stata «comunque disapplicata nella parte che
autorizzava la vendita ‘ad un prezzo non inferiore al costo di
costruzione sostenuto dalla Girardi ceramiche’ […] di fatto conosciuto
essere sensibilmente superiore a quello in essa indicato».
Discende da ciò che il fallimento ricorrente aveva fatto valere,
con riguardo al tema del prezzo di compravendita, un conflitto di
interessi venuto ad emersione proprio con riguardo al momento
rappresentativo: infatti, la compravendita si perfezionò a un
corrispettivo diverso da quello predeterminato dal consiglio di
amministrazione, sicché non avrebbe potuto domandarsi
l’annullamento della delibera dell’organo gestorio (che costituiva,
invece, la fonte del criterio cui avrebbe dovuto attenersi chi
contrattava in nome e per conto della società poi fallita).

Deve infatti ritenersi che, in base alla richiamata distinzione tra momento
deliberativo e momento rappresentativo, l’annullabilità di cui all’art.
1394 c.c. abbia a configurarsi, in caso di assunzione della delibera,
non solo con riferimento a quelle parti del negozio che siano lasciate
alla discrezionalità dell’amministratore, ma anche, e a maggior
ragione, ove lo stesso amministratore dia vita al conflitto di interessi
disattendendo le indicazioni contenute nella delibera che erano atte ad
escluderlo
>>

 

Procura gestionale dagli amministratori ad un terzo? Si, purchè non troppo ampia

Cass. sez. 2 del 3 agosto 2022 n. 24.068, rel. Grasso Gius., sull’ampiezza di procura conferibile dagli amministratori ad un terzo (ex amministratore, dimessosi per rispetto delle quote rosa):

<< Palese l’intenzione della legge d’impedire cristallizzazioni di
potere, tali da esautorare o perlomeno limitare la fisiologia della
società, attraverso il divieto di nominare gli amministratori per un
periodo superiore a un triennio e il potere di revoca da parte
dell’assemblea (art. 2383 cod. civ.). Fa da pendant a tale assetto il
potere di rappresentanza generale dell’amministratore, con
l’inopponibilità ai terzi (salvo prova di dolosa preordinazione) di
eventuali limitazioni, pur se pubblicate (art. 2384 cod. civ.).
Come si vede trattasi di un ordinamento predefinito, che non
permette deroghe. L’amministratore non può spogliarsi dei suoi
poteri, ai quali corrispondono i doveri derivanti dal ruolo, delegando
a terzi d’amministrare la società, così aggirando le norme che si
sono andate esaminando, o, comunque, rendendo vieppiù difficile
verifiche, controlli e direttive.
Nel caso all’esame, addirittura non è neppure dato sapere la
durata del mandato, non ne constano limiti, o approntamento di
procedure dirette a porre bilanciamenti o a imporre
approfondimenti, giungendosi, financo, ad assegnare il potere di
costituire società all’estero o parteciparvi, senza la previsioni di
tipologia societaria, di ramo d’attività, di nazionalità, di entità della
partecipazione in relazione alla percentuale del capitale sociale.
Trattasi, in definitiva di una procura abdicativa, attraverso la
quale viene aggirato anche il dovere d’astensione in presenza di
conflitto d’interesse.
>>

Principio di diritto: All’amministratore di una società per azioni non è consentito delegare a un terzo poteri che, per vastità dell’oggetto, entità
economica, assenza di precise prescrizioni preventive, di procedure
di verifiche in costanza di mandato, facciano assumere al delegato
la gestione dell’impresa e/o il potere di compiere le operazioni
necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale, di esclusiva
spettanza degli amministratori

Si trattava di censure di Consob ai sindaci per non aver rilevato la predetta anomalia.

La cessazione dalla carica per messa in liquidazione non equivale alla revoca, al fine del risarcimento dei danni ex art. 2383 c. 3 cc

Cass. 15.07.2022 n. 22.351, sez. 2, rel. Fortunato, interviene sull’oggetto e osserva: <<sebbene la delibera di liquidazione e la revoca degli amministratori abbiano in comune il fatto di essere entrambe adottate con un atto deliberativo della società, tuttavia solo nel primo caso viene meno l’organo gestorio e non vi è continuità dell’amministrazione: i liquidatori possono, difatti, svolgere solo gli atti utili per la liquidazione (art. 2489 c.c.).

La revoca in senso tecnico dell’amministratore (art. 2383 c.c.) – non la liquidazione – postula la mera sostituzione dei titolari delle cariche, con successivo subentro dei nuovi amministratori.

Per tale essenziale diversità delle due fattispecie, la liquidazione non dà luogo ad una revoca (tacita o implicita) dell’amministratore riconducibile al disposto dell’art. 2383 c.c., comma 3, né appaiono ammissibili pretese risarcitorie neppure se il mandato gestorio venga meno prima della sua naturale scadenza (ad eccezione delle ipotesi in cui la liquidazione appaia finalizzata esclusivamente a rimuovere gli amministratori, come nel caso in essa venga successivamente revocata e si proceda alla ricostituzione degli organi sociali senza riconfermare i precedenti amministratori: cfr., in tal senso, Cass. 2068/1960).

Stante il contenuto della scrittura di nomina del marzo 2010 e la non esclusa operatività delle cause legali di cessazione dell’amministratore, non era doveroso assicurare in ogni caso la permanenza in carica del ricorrente per un triennio a prescindere di quali fossero le esigenze di risanamento della società e gli strumenti per attuarle.

Come ha evidenziato la Corte di merito, la messa in liquidazione volontaria non integrava, quindi, un inadempimento colpevole della scrittura di incarico del marzo 2010, né un’ipotesi di revoca senza giusta causa, fattispecie cui le parti avevano inteso ricollegare le conseguenze risarcitorie oggetto delle penali contrattuali>>.

Il dictum è esatto.

Domanda di annullamneto di delibera societaria per abuso di maggioranza: altro caso di rigetto

Sono rari gli accoglimenti di domande di annullameno di delibere societarie per abuso di maggioranza, sopratutto per il requisito di un intento soggettivo pravo (ma sarebbe da esplorare se bastasse l’assenza di un -qualunque- giovamento prospettico all’attività sociale).

Il Trib. di Milano con sent. 804/2022 del 31.0’1.2022 , RG 50629/2018, rel. MaRCONI, rientra tra i rigetti.  E a ragione, se si condivide l’accertamento fattuale e delle ragini di business alla base dello stesso.

Così accerta e motiva il giudice:

<<Come noto la fattispecie di creazione giurisprudenziale dell’abuso del diritto di voto da parte del socio di maggioranza che determina l’annullabilità della deliberazione assembleare si configura allorché ilsocio eserciti consapevolmente il suo diritto di voto in modo tale da ledere le prerogative degli altri soci senza perseguire alcun interesse sociale, in violazione del dovere di comportarsi secondo buona fede nell’esecuzione del contratto sociale.

La ravvisabilità dell’interesse sociale all’adozione delle delibera esclude, quindi, in radice laconfigurabilità dell’abuso di potere dei soci di maggioranza, fermo restando che, in ogni caso, ilsindacato sull’esercizio del potere discrezionale della maggioranza, reputata dall’ordinamento migliore interprete dell’interesse sociale in considerazione dell’entità maggiore del rischio che corre nell’esercizio dell’attività imprenditoriale comune, deve arrestarsi alla legittimità della deliberazione attraverso l’esame di aspetti all’evidenza sintomatici della violazione della buona fede senza spingersi acomplesse e retrospettive valutazioni di merito in ordine all’opportunità delle scelte di gestione eprogramma dell’attività comune sottese alla delibera adottata.

Nel caso in esame come risulta dal verbale dell’assemblea del 20 luglio 2018 la deliberazione di aumento di capitale da € 400.000 a € 800.000 “ a pagamento e alla pari, nel pieno rispetto del diritto diopzione spettante ai Soci” è stata adottata allo scopo di consentire alla società di sottoscrivere e liberare azioni ordinarie ed uno strumento finanziario partecipativo della Cooperativa EditorialeLariana per consentirle a sua volta di sottoscrivere l’aumento di capitale della Editoriale s.r.l., il tutto finalizzato, previa revoca dello stato di liquidazione delle due società, allo sviluppo di nuove iniziative imprenditoriali nel mondo dell’editoria sfruttando le sinergie fra le due società ( v. doc. 2 di parteattrice a pag. 4).

Come chiaramente spiegato dalla difesa della società convenuta la delibera tendeva a realizzare l’interesse sociale alla ripresa della piena attività ed al salvataggio della società partecipata Editoriale s.r.l., che era stata posta in liquidazione ed iscritta a bilancio al valore simbolico di € 1, con uninvestimento attuato indirettamente, attraverso l’aumento di capitale nella Cooperativa EditorialeLariana, che ne era già socia di maggioranza, finalizzato ad assicurarle la possibilità di godere anche in futuro del contributo governativo riconosciuto, a partire dal 2021, alle società editrici di quotidiani eperiodici solo se integralmente partecipate da una società cooperativa.La ripresa dell’attività della Editoriale s.r.l. avrebbe, poi, consentito alla società convenuta non solo ilrecupero di valore e redditività della partecipazione che diveniva indiretta all’esito dell’operazione ma anche la migliore tutela del suo patrimonio immobiliare, costituito dalla porzione dell’edificio di prestigio in cui esercita l’attività di impresa adiacente alla porzione di proprietà di Editoriale s.r.l., scongiurando il rischio dell’impatto negativo della materiale separazione fra le due porzioni, utilizzate promiscuamente, conseguente alla vendita in sede di liquidazione della parte di proprietà di Editoriales.r.l.

La complessa operazione di finanziamento sottesa alla deliberazione di aumento di capitale era, quindi,chiaramente concepita in funzione dell’evidente interesse della società alla ripresa dell’attività della partecipata Editoriale s.r.l. e la circostanza è sufficiente ad escludere la stessa configurabilità dell’abusodella maggioranza senza che rilevi in alcun modo l’esito negativo dell’operazione, constatato ex post, corrispondente alla realizzazione del normale rischio di impresa che si è, peraltro, risolto in pregiudizioeconomico solo per i soci che hanno partecipato alla ricapitalizzazione.

La diluizione della partecipazione dei soci di minoranza, dunque, costituisce l’effetto naturale dellegittimo esercizio del potere discrezionale della maggioranza di deliberare l’aumento di capitale nell’interesse della società e della libera scelta di non sottoscriverlo degli altri soci che, del resto, neanche hanno mai dedotto in giudizio di essersi trovati nell’impossibilità nota alla maggioranza di far  fronte al relativo impegno finanziario.

Né contrariamente a quanto sostenuto dagli attori la previsione dell’aumento di capitale “alla pari” cioè senza la previsione del sovrapprezzo corrispondente al maggior valore del patrimonio sociale rispetto alcapitale nominale può costituire sintomo di abuso della maggioranza, in presenza della previsione del diritto di opzione a favore di tutti i soci ( v. Tribunale di Milano 6.8.2015 n. 9296).>>

E’ difficile ottenere dagli ex amministratori il risarcimento dei danni per violazione del dovere di istituire assetti adeguati ex art. 2381 cc

Trib. Bologna sent. 1821/2021 del 30.07.2021, RG 11424/2017, rel. Romagnoli, affronta tra gli altri anche il tema inoggetto.ù

<<1. OMESSA PREDISPOSIZIONE DEGLI ASSETTI 2381/5° co. c.c. e SOVVERTIMENTO DEGLI EQUILIBRI TRA CDA e AMM DELEGATI – Quanto agli addebiti ex art. 2381 c.c. il FALLIMENTO attribuisce agli amministratori la dupliceviolazione dell’art 2381 c.c. commi 3 e 5, per avere il Cda da un lato con delibera 9.5.2007 delegato leproprie attribuzioni a tutti i propri componenti, con ciò deprivando il consiglio delle proprieattribuzioni di controllo sull’operato dei delegati (co. 3) e dall’altro per non avere curato l’assettoorganizzativo, amministrativo e contabile in modo adeguato alla natura e dimensioni dell’impresa (co. 5).

Sul punto è necessario sinteticamente delineare la fisionomia e il progetto imprenditoriale della società. La società è stata costituita nel 2001 tra 5 soci noti imprenditori edili (coop Ansaloni, CostruzioniSveco Buriani, Costruzioni Di Giansante, Impresa Montanari) già operanti sul territorio bolognesespecie nell’edilizia pubblica e convenzionata.

Viene costituita in srl con capitale iniziale di 80 mila euro e nel 2004 si trasforma in spa con capitale di500 mila euro (poi aumentato nel 2009 a 2,5 mio).  Emerge con chiarezza in atti che il progetto imprenditoriale è quello di cogliere le opportunità offertedalla nuova legislazione urbanistica LR 20/2000 che introduce i nuovi strumenti di programmazioneurbanistica (PSC, POC e RUE) al posto dei vecchi PRG, con il fine di procurare alle imprese socie ilavori di realizzazione dei nuovi interventi di sviluppo urbanistico del territorio.

Orbene, il dovere di predisporre assetti interni adeguati (che il FALLIMENTO sembra assumereviolato limitatamente all’assetto organizzativo e amministrativo) è chiaramente finalizzato alla tempestiva verifica dei sintomi di crisi dell’impresa e alla tempestiva adozione degli interventi dirimedio; non è, cioè, un obbligo astratto, né risponde a parametri predeterminati e nella fattispecie non è precisato in quale modo, e con quali accorgimenti gli assetti interni sarebbero stati più adeguati o lacrisi dell’impresa rilevata più tempestivamente.

Né è dato sostenere che gli amministratori avrebbero tout court omesso di predisporre assetti interni adeguati – “quantomeno quello organizzativo e amministrativo” – perché la società aveva una struttura semplice, senza distinzione di mansioni né di aree di competenza, né personale alle sue dipendenze.          Osserva il collegio che ciò si deve alla finalità primaria per cui è stata costituita, quella di cogliere le opportunità offerte dalla nuova legislazione urbanistica del territorio bolognese all’indomani dell’approvazione della LR 20/2000 e, verosimilmente, alla circostanza che la società non è mai giuntaa realizzare l’obiettivo della progettazione e realizzazione dei nuovi insediamenti urbanistici.

Ad ogni modo, osserva il collegio che la norma ove prevede che gli assetti debbano essere adeguati allanatura e alle dimensioni dell’impresa chiaramente rimanda ad una valutazione nel concreto ed alla necessaria individuazione di carenze che abbiano ragionevolmente posticipato l’emersione del dissesto;

in ogni caso, e conclusivamente, osserva il collegio che l’obbligo di predisporre assetti adeguati non può essere svincolato dalle conseguenze pregiudizievoli che direttamente la sua violazione possa avere determinato, cosicchè nella fattispecie la mancata allegazione di alcun danno (che il FALLIMENTO esplicita essere richiesto unicamente per le acquisizioni dei terreni, su cui infra) conduce a ritenere infondato l’addebito di responsabilità.

Quanto alla violazione dell’art. 2381 c.c. là dove demanda al consiglio di amministrazione il controllo sull’operato degli amministratori delegati (3° co.) – che nella fattispecie sarebbe stato eluso con il conferimento a tutti gli amministratori, presidente compreso, disgiuntamente tra loro, di ampie deleghedi ordinaria e straordinaria amministrazione (doc. 11 FALL.) – basti osservare che la norma non impone la composizione “mista” del consiglio, composto da amministratori delegati e da amministratori privi di deleghe e che il CdA, come organo collegiale, non perde la sua autonomia né isuoi poteri di impulso e controllo sull’attività dei suoi delegati per il fatto di essere compostounicamente da AD;    nella fattispecie, inoltre, emerge dai verbali del CdA (prodotti dal FALLIMENTO)che gli amministratori delegati riferivano analiticamente in collegio sull’attività espletata e in particolare che le operazioni inerenti i terreni acquisiti o da acquisire erano approvate all’unanimità deicomponenti, ciò che dimostra che l’attività di controllo del CdA come organo collegiale veniva regolarmente espletata.

In ultima analisi, osserva il collegio che non sono censurati singoli atti compiuti dagli amministratori in virtù delle deleghe operative che non siano stati oggetto di verifica da parte del CdA e soprattutto che,ancora una volta, non viene allegato alcun danno derivante dalla pretesa violazione, sicchè l’addebitoancora una volta si apprezza infondato>>.

Piccolo appunto.   Prima di ragionar sul danno, bisogna individuare l’inadempimento. E trattandosi di assetti asseritamente inadeguati (o mancanti del tutto) , il giudice avrebbe allora dovuto affrontare il tema della esistenza o meno di negligenza organizzativa (a prescidere dal danno, lo ripeto): cosa che non ha fatto, essendo rimasto assai sulle generiche.