Il danno diretto nella responsabilit àdegli amministartori ex art. 2395 c.c è da rierire al “danno evento”, non al “danno conseguenza”

Così oprecisa Cass. sez. I, 28/05/2025 n. 14.265, rel. Rolfi, rigettanto una speciosa interpretazione dell’art. 2395 cc:

<< 2.3. Il nucleo del motivo di ricorso si impernia su un’articolata critica dell’interpretazione dell’art. 2395 c.c. adottata da questa Corte nonché – conviene rammentare – dalla predominante dottrina, come peraltro apertamente ammesso dalla difesa delle ricorrenti.

Questa Corte, infatti, ha costantemente valorizzato la presenza dell’avverbio “direttamente” contenuto nell’art. 2395 c.c. per affermare il principio per cui l’azione individuale di responsabilità, ai sensi del medesimo art. 2395 c.c., esige che il comportamento doloso o colposo dell’amministratore, posto in essere tanto nell’esercizio dell’ufficio quanto al di fuori delle correlate incombenze, abbia determinato un danno direttamente sul patrimonio del socio o del terzo (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 9206 del 20/05/2020), risultando il terzo (o il socio) legittimato, anche dopo il fallimento della società, all’esperimento dell’azione di natura aquiliana per ottenere il risarcimento dei danni subiti nella propria sfera individuale, in conseguenza di atti dolosi o colposi compiuti dall’amministratore, solo quando il nocumento riguardi direttamente la sua sfera patrimoniale e non sia un mero riflesso del pregiudizio che abbia colpito l’ente – ovvero il ceto creditorio – per effetto della cattiva gestione (Cass. Sez. 1 – , Ordinanza n. 11223 del 28/04/2021; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8458 del 10/04/2014; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4548 del 22/03/2012; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6558 del 22/03/2011; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9295 del 19/04/2010; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6870 del 22/03/2010; Cass. Sez. U, Sentenza n. 27346 del 24/12/2009; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8359 del 03/04/2007; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10271 del 2004).

Questo orientamento viene messo in discussione dalle ricorrenti, le quali censurano in modo particolare la distinzione – operata in sede di interpretazione dell’art. 2395 c.c. – tra danni “diretti” e danni “riflessi”.

Si deve infatti rammentare che – sempre secondo l’interpretazione fatta propria anche da questa Corte – mentre i danni “diretti” risultano risarcibili ex art. 2395 c.c., i danni “riflessi” sono esclusi dal risarcimento (e.g. Cass. Sez. 1 – , Ordinanza n. 11223 del 28/04/2021) in virtù di una delimitazione che sarebbe volutamente imposta dalla stessa previsione del codice, la quale, del resto, viene considerata ipotesi speciale (non mette conto esaminare, né in questa sede né in quelle successive, se addirittura “eccezionale”, come dedotto dalle ricorrenti) di responsabilità extracontrattuale (cfr. le già citate Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8458 del 10/04/2014 e Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8359 del 03/04/2007).

Secondo le ricorrenti, invero, tale distinzione non avrebbe ragion d’essere, non essendo configurabili danni “riflessi” risarcibili, «considerato che appare assai arduo immaginare “danni riflessi” in grado di superare lo scrutinio del nesso eziologico comunque necessario ex artt. 1223 c.c. e 2056 c.c., sì che del tutto evanescente diviene tale categoria di danni da aggiungere a quelli “diretti”» (pag. 22 del ricorso), così come sarebbe – conseguentemente – censurabile la tesi che intende l’art. 2395 c.c. come ipotesi di limitazione della responsabilità degli amministratori, risultando tale tesi smentita sulla base di una mera operazione di ricostruzione logica delle espressioni impiegate dalla giurisprudenza alla luce del disposto di cui all’art. 1223 c.c. [questa la ardita, ma palesemente errata, interpretazine del ricorrente]

Proprio il richiamo all’art. 1223 c.c., tuttavia, costituisce l’elemento di fallacia nell’argomentazione delle ricorrenti, dal momento che la ricostruzione interpretativa delle ricorrenti viene a confondere due profili ben distinti, e cioè il danno-evento ed il danno-conseguenza.

Si vuol dire, cioè, che l’avverbio “direttamente” contenuto nell’art. 2395 c.c. non svolge la funzione di stabilire che il risarcimento dei danni spettante al singolo socio o terzo è da riferirsi ai danni che siano “conseguenza immediata e diretta” della condotta degli amministratori, con un esito interpretativo che si tradurrebbe – come sostengono le ricorrenti – in una superflua ridondanza della regola di cui all’art. 1223 c.c.

Funzione dell’avverbio in questione, invece, è quella di operare una selezione all’interno dell’insieme delle posizioni soggettive che possono essere lese dalla condotta degli amministratori – condotta idonea a determinare, sulla base del nesso di causalità c.d. “materiale” (artt. 40 e 41 c.p.), una lesione di tali posizioni comunque qualificabile in tutti i casi come “danno-evento” – riconoscendo al singolo socio o al terzo la possibilità di agire per il danno(-evento) che si sia autonomamente prodotto nella sua specifica sfera patrimoniale e non anche il danno(-evento) che invece, interessando il patrimonio della società, presenta, rispetto alla posizione del singolo socio o terzo, conseguenze patrimoniali negative solamente mediate, in quanto dipendenti, appunto, dalla compromissione del patrimonio sociale.

Il danno prodottosi “direttamente” nel patrimonio del socio del terzo, quindi, è – e rimane – un danno-evento che si qualifica per essere frutto, sì, della condotta degli organi sociali ma che si colloca integralmente al di fuori della lesione all’integrità del patrimoni sociale.

Pertanto l’avverbio “direttamente” non vuol costituire, come opinano le ricorrenti, un richiamo all’art. 1223 c.c., considerato che detto richiamo oltre che ridondante verrebbe anzi a determinare il concreto rischio di riconoscere il risarcimento del medesimo danno sia alla società sia ai singoli soci o terzi, essendo il canone di cui all’art. 1223 c.c. idoneo ad operare una selezione non delle posizioni soggettive oggetto di lesione bensì unicamente dell’ambito dei danni concretamente risarcibili, una volta, tuttavia, individuato il soggetto danneggiato avente diritto al risarcimento.

L’avverbio “direttamente”, quindi, costituisce uno specifico (e – si ripete – voluto) criterio di selezione che, nell’ambito dell’insieme dei danni-evento che possono colpire la sfera patrimoniale del socio o del terzo, viene a limitare la risarcibilità ai soli danni che abbiano attinto direttamente ed autonomamente il patrimonio del danneggiato, escludendo invece i danni che hanno invece interessato direttamente il patrimonio sociale e solo in seconda battuta quello di soci o terzi, costituendo in questo caso un riflesso della lesione all’integrità del patrimonio sociale.

Risulta poi evidente che lo specifico danno-evento “diretto” di cui all’art. 2395 c.c. fonderà la pretesa risarcitoria del socio o terzo in presenza di uno o più concreti riflessi patrimoniali lesivi che siano “conseguenza immediata e diretta” (danno-conseguenza) del danno-evento, ma che – si ripete – in tanto potranno essere valutati – in quanto scaturiscano da un danno-evento che abbia interessato “direttamente” il socio o il terzo, operando la regola di cui all’art. 1223 c.c. sul piano della mera determinazione quantitativa dei danni.

In conclusione, quindi, ritenuta l’infondatezza delle deduzioni delle ricorrenti, deve essere ribadito il principio per cui l’azione individuale di responsabilità, ai sensi dell’art. 2395 c.c. esige che il comportamento doloso o colposo dell’amministratore – posto in essere tanto nell’esercizio dell’ufficio quanto al di fuori delle correlate incombenze – abbia determinato un danno diretto ed autonomo sul patrimonio del socio o del terzo, risultando conseguentemente questi ultimi legittimati, anche dopo il fallimento della società, all’esperimento dell’azione di natura aquiliana per ottenere il risarcimento dei danni subiti nella propria sfera patrimoniale solo quando il nocumento riguardi direttamente detta sfera e non quando lo stesso costituisca un mero riflesso del pregiudizio che abbia invece interessato il patrimonio sociale.>>

Si conferma pesante la responsabilità da prospetto dell’amministratore bancario non esecutivo (il caso Banca Popolare di Vicenza)

Cass . sez. II, 28/02/2025 n. 5.299, rel. Guida, in tema di opposizione a sanzioni Consob ex rt. 191 TUF:

<<12.2. la decisione, che ha ravvisato specifici profili di responsabilità del ricorrente, nonostante il suo ruolo di componente del CdA privo di deleghe, collima con la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 21502/2024; in termini, Cass. nn. 29963/2024, 8581/2024), che ha sottoposto a un’approfondita disamina le questioni di diritto in tema di sanzioni inflitte dalla Banca d’Italia ai componenti del CdA di un ente creditizio per carenze nell’organizzazione e nei controlli interni. È stato osservato che “ai fini del contenimento del rischio creditizio nelle sue diverse configurazioni, nonché dell’organizzazione societaria e dei controlli interni, l’art. 53, lett. b) e d), del D.Lgs. n. 385 del 1993 e le disposizioni attuative dettate con le istruzioni di vigilanza per le banche, mediante la circolare n. 229 del 1999 (e successive modificazioni e integrazioni), sanciscono doveri di particolare pregnanza in capo al consiglio di amministrazione delle società bancarie, che riguardano l’intero organo collegiale e, dunque, anche i consiglieri non esecutivi, i quali sono tenuti ad agire in modo informato e, in ragione dei loro requisiti di professionalità, ad ostacolare l’evento dannoso, sicché rispondono del mancato utile attivarsi”, e si è chiarito che “in caso di irrogazione di sanzioni amministrative, la Banca d’Italia, anche in virtù della presunzione di colpa vigente in materia, ha unicamente l’onere di dimostrare l’esistenza dei segnali di allarme che avrebbero dovuto indurre gli amministratori non esecutivi, rimasti inerti, ad esigere un supplemento di informazioni o ad attivarsi in altro modo, mentre spetta a questi ultimi provare di avere tenuto la condotta attiva dovuta o, comunque, mirante a scongiurare il danno (Cass. n. 22848 del 2015; Cass. n. 19556 del 2020)”. La Corte aggiunge che “(i)l dovere di agire informati dei consiglieri non esecutivi delle società bancarie, sancito dagli artt. 2381, commi 3 e 6, e 2392 c.c., non va, del resto, rimesso, nella sua concreta operatività, alle segnalazioni provenienti dai rapporti degli amministratori delegati, giacché anche i primi devono possedere ed esprimere costante e adeguata conoscenza del business bancario e, essendo compartecipi delle decisioni di strategia gestionale assunte dall’intero consiglio, hanno l’obbligo di contribuire ad assicurare un governo efficace dei rischi di tutte le aree della banca e di attivarsi in modo da poter efficacemente esercitare una funzione di monitoraggio sulle scelte compiute dagli organi esecutivi, non solo in vista della valutazione delle relazioni degli amministratori delegati, ma anche ai fini dell’esercizio dei poteri, spettanti al consiglio di amministrazione, di direttiva o avocazione concernenti operazioni rientranti nella delega. Questa interpretazione non vale ad accollare una responsabilità oggettiva agli amministratori non esecutivi, essendo gli stessi perseguibili ove ricorrano comunque sia la condotta d’inerzia, sia il fatto pregiudizievole antidoveroso, sia il nesso causale tra i medesimi, sia, appunto, la colpa, consistente nel non aver rilevato colposamente i segnali dell’altrui illecita gestione, pur percepibili con la diligenza della carica (anche indipendentemente dalle informazioni doverose ex art. 2381 c.c.), e nel non essersi utilmente attivati al fine di evitare l’evento. Sotto il profilo probatorio, ciò comporta che spetta al soggetto il quale afferma la responsabilità allegare e provare, a fronte dell’inerzia dei consiglieri non delegati, l’esistenza di segnali d’allarme (anche impliciti nelle anomale condotte gestorie) che avrebbero dovuto indurli ad esigere un supplemento di informazioni o ad attivarsi in altro modo (con la richiesta di convocazione del consiglio di amministrazione rivolta al presidente, il sollecito alla revoca della deliberazione illegittima o all’avocazione dei poteri, l’invio di richieste per iscritto all’organo delegato di desistere dall’attività dannosa, l’impugnazione delle deliberazione ex art. 2391 c.c., la segnalazione al p.m. o all’autorità di vigilanza, e così via); assolto tale onere, è, per contro, onere degli amministratori provare di avere tenuto la condotta attiva dovuta o la causa esterna, che abbia reso non percepibili quei segnali o impossibile qualsiasi condotta attiva mirante a scongiurare il danno”.

In precedenza, era stato chiarito (Cass. n. 16517/2020, punto 2) che “(l)a tesi secondo cui la responsabilità dei consiglieri sarebbe predicabile solo se questi ultimi abbiano ricevuto informazioni in modo completo ed esauriente sulle singole operazioni poste in essere dai titolari di deleghe operative, è già stata motivatamente respinta, in fattispecie analoghe, da questa Corte e non trova alcun sostegno nei precedenti richiamati in ricorso. Nello specifico settore delle attività bancarie o di intermediazione finanziaria, ai fini del contenimento del rischio creditizio nelle sue diverse configurazioni, nonché dell’organizzazione societaria e dei controlli interni, l’art. 53, lettere b) e d), D.Lgs. 385/1993 e le disposizioni attuative dettate con le istruzioni di vigilanza per le banche, sanciscono doveri di particolare pregnanza in capo al Consiglio di amministrazione nel suo complesso e ai singoli consiglieri (anche se privi di deleghe operative). Questi ultimi sono sempre tenuti ad agire in modo informato e, in ragione dei requisiti di professionalità di cui sono e devono essere in possesso, ad impedire possibili violazioni. Tale dovere, sancito dall’art. 2381 c.c., commi terzo e sesto, e dall’ art. 2392 c.c., non va rimesso, nella sua concreta operatività, alle segnalazioni provenienti dai rapporti degli amministratori delegati, giacché anche i singoli consiglieri devono possedere e attivare una costante e adeguata conoscenza del business bancario e, essendo compartecipi delle decisioni di strategia gestionale assunte dall’intero Consiglio, hanno l’obbligo di contribuire ad assicurare un governo efficace dei rischi in tutti i settori di operatività della banca, oltre che ad attivarsi in modo da esercitare efficacemente la funzione di monitoraggio sulle scelte compiute, non solo in vista della valutazione delle relazioni degli amministratori delegati, ma anche ai fini dell’esercizio dei poteri di direttiva o avocazione riguardo alle attività rientranti nella delega (Cass. 2737/2013; Cass. 17799/2014; Cass. 18683/2014; Cass. 5606/2019; Cass. 24851/2019). L’àmbito entro il quale deve esprimersi la diligenza dei consiglieri non è mutato neppure a seguito della riforma del diritto societario adottata con D.Lgs. 6/2006. L’art. 2381, comma sesto, c.c., nel testo in vigore, impone un dovere di agire in modo informato, disponendo infine che “ciascun amministratore può chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società”. Il comma terzo recita che il consiglio di amministrazione “può sempre impartire direttive agli organi delegati e avocare a sé operazioni rientranti nella delega”. Il comma secondo dell’art. 2392 c.c. continua a prevedere che gli amministratori “sono in ogni caso solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose” (Cass. 24851/2019). Resta da confermare che la responsabilità degli amministratori privi di deleghe operative non discende da una generica condotta di omessa vigilanza, né implica l’imputazione della responsabilità a titolo oggettivo o per le condotte altrui, ma deriva dal fatto di non aver impedito “fatti pregiudizievoli” dei quali abbiano acquisito (o avrebbero potuto acquisire) conoscenza anche di propria iniziativa, ai sensi dell’obbligo previsto dall’art. 2381 c.c. (Cass. n. 17441 del 2016; Cass. 2038/2018)”;

12.3. né d’altra parte è condivisibile la lettura delle circolari della Banca d’Italia prescelta dal ricorrente che, secondo la sua prospettazione, condurrebbe all’esonero dalla responsabilità degli amministratori non esecutivi. A parte il fatto che le violazioni in esame attengono ai servizi di investimento, ai quali maggiormente si attagliano le previsioni del Regolamento congiunto Banca d’Italia/Consob del 29/10/2007, comunque, è indubitabile che la circolare n. 285 del 2013 non ha affatto travolto gli assetti ed i rapporti societari fissati da norme primarie, a cominciare dall’art. 2381 c.c. Milita in tal senso la circostanza che le disposizioni regolamentari sono volte a rafforzare proprio l’assetto configurato dal codice civile, con l’individuazione di regole più specifiche per il settore bancario, e nel rispetto delle fonti di derivazione comunitaria (in particolare la direttiva 2013/36/UE), ma sempre in vista di un armonico coordinamento tra la disciplina societaria di carattere generale e quella settoriale bancaria, ed il tutto in correlazione con il regolamento (UE) n. 575/2013, con il quale va a comporre il quadro normativo di disciplina delle attività bancarie, il quadro di vigilanza e le norme prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento.

Le previsioni della circolare, sebbene richiamino l’esigenza di una chiara distinzione dei ruoli e delle responsabilità degli organi, aggiungendo che l’articolazione della struttura interna deve comunque assicurare l’efficacia dei controlli e l’adeguatezza dei flussi informativi, tuttavia non possono essere intese come un’autorizzazione alla preventiva deresponsabilizzazione dei componenti del CdA. Ove anche si riconosca che la circolare della Banca d’Italia, in vista del buon funzionamento delle imprese bancarie, abbia suggerito delle strutture rigide e chiaramente individuatrici delle competenze e delle funzioni, le sue disposizioni non possono certo avallare la conclusione, erronea, secondo cui non sarebbe esigibile, da parte degli amministratori non esecutivi, la verifica di ogni singolo atto di impresa, dovendosi, quanto agli indici di allarme, fare affidamento sulle rassicurazioni offerte dagli uffici interni deputati al controllo circa la correttezza delle azioni delle singole articolazioni societarie;>>

Sui concreti segnali di allarme:

<<Ciò precisato, si deve escludere che la sentenza sia viziata da falsa applicazione della disposizione codicistica in tema di prova presuntiva (art. 2729 c.c.). Infatti, il giudice di merito ha ritenuto fondata le contestazioni alla luce di specifiche circostanze di fatto che, secondo la sua insindacabile ricostruzione della vicenda, dimostravano la violazione, da parte dell’amministratore (benché privo di deleghe), degli obblighi informativi nei confronti degli investitori in relazione agli aumenti di capitale deliberati dalla banca.

In particolare, per il giudice di merito, l’agire negligente e imprudente del ricorrente trova riscontro nel fatto che egli era a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza di macroscopiche anomalie concernenti i criteri di stima delle azioni (la cui mancanza di chiarezza era stata portata all’attenzione degli organi di vertice da un socio nel corso di una assemblea dei soci), nonché del fenomeno dei finanziamenti correlati (dei quali, tra l’altro, avevano beneficiato gli stessi amministratori), e della corsa della clientela alla vendita dei titoli azionari illiquidi, e nella constatazione che, conseguentemente, al pari degli altri componenti del CdA, egli avrebbe dovuto attivarsi al fine di compiere gli approfondimenti del caso;>>

Eccesso dai poteri spettanti all’amminstratore: inopponibilità ai terzi ma non nullità (art. 2384 c.c.)

Cass. sez. III, 03/03/2025 n. 5.647 rel. Iannello, sul sempre scivoloso tema in oggetto:

<<Va osservato che, al riguardo, la Corte di merito ha fatto corretta applicazione, del principio che il Collegio condivide, secondo cui il contratto stipulato dall’amministratore di una società eccedendo dai poteri di rappresentanza fissati dall’atto costitutivo e dallo statuto non è affetto da nullità, atteso che la norma di cui all’art. 2384 cod. civ. secondo comma, nel testo applicabile alla fattispecie “ratione temporis”, prevede soltanto l’inopponibilità ai terzi delle limitazioni suddette, salvo che costoro abbiano agito intenzionalmente a danno della società, così escludendo implicitamente che la violazione della disposizione possa essere invocata dal terzo contraente (Cass. n. 22669 del 02/12/2004 Rv. 578317-01; v. anche Cass. n. 24547 dell’1/12/2016 Rv. 642662-02).

Giova, inoltre, ribadire che questa Corte ha, con riferimento alla distinzione tra atti di ordinaria e atti di straordinaria amministrazione, affermato che (Cass. n. 18536 del 10/07/2019 Rv. 654659-01) le limitazioni dei poteri di rappresentanza degli amministratori di società di capitali, risultanti dall’atto costitutivo o dallo statuto, ai sensi dell’art. 2384, comma 2, cod. civ., non sono opponibili ai terzi di buona fede, non solo quando si tratti di limitazioni alla rappresentanza processuale, ma anche per le limitazioni alla rappresentanza sostanziale, poiché la norma, che si riferisce ai poteri degli amministratori in via generale, prendendo in esame gli effetti della buona fede della controparte, si attaglia più appropriatamente all’ambito della rappresentanza negoziale.

È, altresì opportuno, per completezza espositiva, richiamare la giurisprudenza, risalente oramai di oltre un ventennio, resa a seguito della modifica dell’art. 2384 c.c. operata dall’art. 5 del D.P.R. n. 1127 del 29/12/1969, che pure, con l’art. 6, introdusse nel codice civile l’art. 2384-bis, secondo la quale (Cass. n. 14509 dell’8/11/2000 Rv. 541480-01) ai fini dell’opponibilità al terzo contraente delle limitazioni dei poteri di rappresentanza degli organi di società di capitali, l’art. 2384, comma secondo, c.c., nel testo novellato dall’art. 5 del D.P.R. n. 1127 del 1969, richiede non già la mera conoscenza della esistenza di tali limitazioni da parte del terzo, ma altresì la sussistenza di un accordo fraudolento, o, quanto meno, la consapevolezza di una stipulazione potenzialmente generatrice di danno per la società>>.

Articolata decisione di Trib. Milano nel caso Vivendi v. TIM circa la impugnabilità da parte del socio di delibera del cda (art. 2388 cc): l’illegittima esclusione del voto , essendo questo mero strumento e non obiettivo, non permette di qualificarla come lesiva dei diritti di socio

Trib. Milano sez. spec. impr. 14.01.2025 n. 278, rel. Marconi:

<<Tuttavia, mentre non vi sono dubbi sulla ravvisabilità della situazione che legittima il socio all’impugnazione della delibera consiliare illegittima nella lesione del diritto di recesso e del conseguente diritto alla liquidazione da parte della società del valore della partecipazione sociale, la riconducibilità del diritto di voto in assemblea alla categoria dei diritti soggettivi individuali che ove lesi legittimano il socio all’impugnazione ai sensi dell’art. 2388 comma 4 c.c. è esclusa dalla giurisprudenza di legittimità, che lo annovera fra le posizioni che accomunano tutti i componenti della compagine sociale e che contrappongono le competenze dei due organi sociali e non la posizione individuale di un singolo socio alla società ( Cass. 11.12.2020 n. 28359).

Del resto, il diritto di voto è un potere strumentale alla formazione della deliberazione destinato ad esaurire la propria funzione all’interno del procedimento assembleare ed il suo esercizio da parte del socio concorre alla formazione in assemblea della volontà dell’ente e, di per sé, a meno che non ricorrano ipotesi di una sua peculiare connotazione, non gli assicura la realizzazione dell’interesse individuale perseguito.

Anche a voler sorvolare sulla questione della riconducibilità del diritto di voto in assemblea alla categoria dei diritti soggettivi individuali la cui lesione legittima il socio all’impugnazione ai sensi dell’art. 2388 comma 4 c.c. la semplice prospettazione ipotetica ed eventuale delle posizioni soggettive lese dalla deliberazione consiliare impugnata evidenzia l’assenza di un concreto ed attuale interesse alla pronuncia di annullamento richiesta e la mera rilevanza accademica dei “quesiti” posti al giudice sull’accertamento della legittimità dell’operato del consiglio di amministrazione sotto il profilo dell’osservanza del perimetro dei poteri gestori nella situazione descritta.

Infatti, tanto in relazione alla lamentata lesione del diritto di voto tanto in relazione alla lesione dell’eventuale diritto di recesso a fronte della modificazione non condivisa dell’oggetto sociale, indispensabile ai fini dell’esistenza dell’interesse ad impugnare la deliberazione consiliare è che il socio prospetti come certa almeno l’espressione del suo voto in dissenso che, a voler seguire l’impostazione della socia attrice, è l’unica facoltà effettivamente compromessa dalla deliberazione del consiglio di amministrazione elusiva della competenza assembleare.

Solo l’espressione del diritto di voto in dissenso viene, infatti, preclusa dalla delibera consiliare elusiva del diritto del socio di esprimersi in assemblea sulla modificazione dell’oggetto sociale in modo tale da maturare il diritto di recesso che è, altrimenti, solo una prerogativa astratta riconosciuta dall’ordinamento ai soci al verificarsi delle condizioni previste dall’art. 2437 comma 1 lett. a).

Al riguardo, mai nel corso del giudizio OMISSIS ha prospettato la volontà di esprimere nell’eventuale assemblea indetta per la modificazione dell’oggetto sociale prodromica all’operazione di dismissione dell’infrastruttura di rete fissa un voto dissenziente e, anche nel corso dell’interrogatorio libero, il suo legale rappresentante si è limitato a ribadire che OMISSIS con l’introduzione del presente giudizio, mirava semplicemente ad ottenere la convocazione dell’assemblea per acquisire in quella sede maggiori informazioni sull’operazione (v. verbale dell’udienza del 21 maggio 2024).

La socia attrice si è ben guardata dal prospettare l’intento di esprimere un voto dissenziente alla modifica dell’oggetto sociale, preferendo lamentarsi della mancata celebrazione dell’assemblea straordinaria che, peraltro, ben avrebbe potuto richiedere ai sensi dell’art. 2367 c.c. e dell’art. 125 ter comma 3 del Tuf. Le norme richiamate consentono, infatti, al socio che rappresenti almeno un ventesimo del capitale sociale nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio di richiedere la convocazione dell’assemblea, con la previsione dell’onere di svolgere in luogo degli amministratori la relazione sulle materie all’ordine del giorno da trattare che la socia attrice ben avrebbe potuto assolvere attraverso l’illustrazione, sulla base degli elementi all’epoca noti, delle ragioni di incompatibilità dell’operazione di dismissione con l’oggetto sociale così come diffusamente esposte nel corso del presente giudizio.

In mancanza della prospettazione dell’intento di esprimere un voto dissenziente alla formale modificazione dell’oggetto sociale che sarebbe stato frustrato dalla delibera consiliare elusiva del dovere di sottoporre la questione all’assemblea, deve escludersi la configurabilità anche solo potenziale della prospettata lesione del diritto di recesso di cui all’art. 2437 comma 1 lett. a) c.c. e l’esistenza di un interesse giuridico della socia attrice, concreto e attuale, all’impugnazione e all’annullamento della deliberazione consiliare.

Nell’impossibilità di configurare in conseguenza della deliberazione consiliare impugnata la lesione anche solo potenziale di un diritto individuale attuale e concreto della socia attrice, l’interesse a che con il suo annullamento si ” fissi anche la regola di condotta degli amministratori per il futuro” in relazione al dovere di non dare corso agli impegni assunti dalla società con atti negoziali inefficaci ( v. memoria ex art. 171 ter n. 1 c.p.c. di parte attrice a pag. 30) sostanzialmente coincide con l’interesse sociale alla legittimità della gestione di cui, in questo contesto, sono depositari solo gli amministratori dissenzienti e il collegio sindacale e non vale, quindi, a sorreggere l’impugnazione proposta dall’attrice nella sua qualità di socia.

In sintesi la socia OMISSIS è priva di interesse giuridico attuale e concreto all’impugnazione della deliberazione del consiglio di amministrazione di Con sotto i profili descritti ai punti a) e b) non avendo neanche osato preannunciare la volontà di opporsi, nell’eventualità della convocazione dell’assemblea, all’adozione delle decisioni sull’oggetto sociale che ritiene prodromiche all’attuazione di un’operazione di dismissione dettata dalla incontestata necessità di ridurre drasticamente, riportandola entro limiti di sostenibilità, l’imponente esposizione debitoria gravante sul futuro dell’ex monopolista delle telecomunicazioni.

In conclusione, l’impugnazione della delibera consiliare in relazione ai motivi di illegittimità dedotti ai punti a) e b) proposta dalla socia attrice deve essere dichiarata inammissibile per difetto di interesse giuridico attuale e concreto alla pronuncia di annullamento>>.

Però è un poco arbitrario pensare che l’espressione lesive dei loro diritti si riferisca solo a diritti finali e non a quelli strumentali

(da Onelegale)

Responsabilità aggravata per l’amministratore non esecutivo di società bancaria rispetto a quello di società non bancaria?

Cass. sez. II, ord.  20/11/2024  n. 29.844. rel. Giannaccari, sull’annosa questione sempre sollevata in tema di opposizione a sanzioni Banca di Italia:

premessa genrale, poco interessante perchè scontata:

<<E’ stato affermato che l’obbligo imposto dall’art. 2381, ultimo comma del codice civile agli amministratori delle società per azioni di “agire in modo informato”, pur quando non siano titolari di deleghe, si declina, da un lato, nel dovere di attivarsi, esercitando tutti i poteri connessi alla carica, per prevenire o eliminare ovvero attenuare le situazioni di criticità aziendale di cui siano, o debbano essere, a conoscenza, dall’altro, in quello di informarsi, affinché tanto la scelta di agire quanto quella di non agire risultino fondate sulla conoscenza della situazione aziendale che gli stessi possano procurarsi esercitando tutti i poteri di iniziativa cognitoria connessi alla carica, con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze>>.

Più interessante il prosieguo sul settore bancario:

<<Tali obblighi si connotano in termini particolarmente incisivi per gli amministratori di società che esercitano l’attività bancaria, prospettandosi, in tali ipotesi, non solo una responsabilità di natura contrattuale nei confronti dei soci della società, ma anche quella, di natura pubblicistica, nei confronti dell’Autorità di vigilanza.

Il dovere di agire informati dei consiglieri non esecutivi delle società bancarie – inoltre – non va rimesso, nella sua concreta operatività, alle segnalazioni provenienti dai rapporti degli amministratori delegati, giacché anche i primi devono possedere ed esprimere costante e adeguata conoscenza del business bancario e, essendo compartecipi delle decisioni di strategia gestionale assunte dall’intero consiglio, hanno l’obbligo di contribuire ad assicurare un governo efficace dei rischi di tutte le aree della banca e di attivarsi in modo da poter efficacemente esercitare una funzione di monitoraggio sulle scelte compiute dagli organi esecutivi non solo in vista della valutazione delle relazioni degli amministratori delegati, ma anche ai fini dell’esercizio dei poteri, spettanti al consiglio di amministrazione, di direttiva o avocazione concernenti operazioni rientranti nella delega.

A prescindere dalla qualità di consigliere esecutivo o meno, tutti gli amministratori, che vengono nominati in ragione della loro specifica competenza anche nell’interesse dei risparmiatori, devono svolgere i compiti loro affidati dalla legge con particolare [perchè particolare??]  diligenza e, quindi, anche in presenza di eventuali organi delegati, sussiste il dovere dei singoli consiglieri di valutare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo e contabile, nonché il generale andamento della gestione della società, e l’obbligo, in ipotesi di conoscenza o conoscibilità [come al solito, è proprio questo il punto: quando ricorre la conoscibilità?] di irregolarità commesse nella prestazione dei servizi di investimento, di assumere ogni opportuna iniziativa per assicurare che la società si uniformi ad un comportamento diligente, corretto e trasparente (Cass. n. 2620/2021).

Ne consegue che il consigliere di amministrazione non esecutivo di società per azioni, in conformità al disposto dell’art.2932 comma 2 del codice civile, è solidalmente responsabile della violazione commessa quando non intervenga al fine di impedirne il compimento o attenuarne le conseguenze dannose (Cass. n. 19556/2020; Cass. n. 24851/2019; Cass. n. 5606/2019).

A tali principi si è uniformata la Corte d’Appello che, con motivazione non apparente (Cass. Sez. Unite n. 8054/2014), ha ritenuto che le mere richieste di informazioni e di chiarimenti da parte di Ca.Fr., prive di alcun intervento diretto a manifestare il dissenso in ordine alle criticità dell’assetto organizzativo e alle scelte strategiche dell’azienda, non fossero sufficienti ad elidere le sue responsabilità, considerazione questa che è riferibile anche alla autosospensione.[questo è il passo piùinterssante]

La Corte d’Appello, con apprezzamento di fatto [NOOO: è giudizio, non accert. di fatto], incensurabile in sede di legittimità ha ritenuto che non fossero sufficienti pochi e segmentati interventi dell’opponente in consiglio di amministrazione per escludere la responsabilità nelle scelte gestionali della banca, nel dovere di vigilanza sull’organizzazione in quanto da detti interventi non era riscontrabile alcun fattivo interessamento del ricorrente al fine di informarsi e, successivamente, di offrire concreti spunti tecnici per correggere le problematiche inerenti ai rischi ed oggetto dei rilievi. Secondo la Corte di merito, si è trattato di generiche richieste di chiarimenti o di ricognizioni o di raccomandazioni, prive di incisività e specificità in relazione ai temi trattati, prive di motivazione congrua e prive quindi di concreta attitudine a indirizzare ed orientare il Consiglio di amministrazione ad una migliore e più prudente valutazione dei rischi medesimi.[prenda adeguata nota l’oepratore]

Contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, non si configura, nel caso di specie, una forma di responsabilità oggettiva, ma una responsabilità per colpa, correlata ad una condotta negligente ed inerte rispetto agli obblighi di vigilanza sanciti dalle disposizioni secondarie che disciplinano l’attività bancaria. Sotto tale profilo, l’elemento soggettivo dell’illecito amministrativo deve essere valutato alla stregua della competenza professionale specifica richiesta ad ogni componente del Consiglio di amministrazione di una banca, tenuto conto che in tema di sanzioni amministrative, l’art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689, pone una presunzione relativa di colpa a carico dell’autore del fatto vietato, riservando a questi l’onere di provare di aver agito senza colpa (cfr. Cass. n. 27432/2013)>>.

Seconda bocciatura del mega compenso di Musk accordatogli dal board di Tesla da parte del medesimo giudice della corte del Delaware

Richard J. Tornetta v. Elon Musk et al.Court of chancery of Delaware 2 dicembre 2024m C.A. No. 2018-0408-KSJM, giudice McCORMICK, C.

Ecco i quattro motivi supportanti la decisione, come li riassume all’inizio della stessa il giudice:

<<The motion to revise is denied. The large and talented group of defense firms
got creative with the ratification argument, but their unprecedented theories go
against multiple strains of settled law. There are at least four fatal flaws. First, the
defendants have no procedural ground for flipping the outcome of an adverse post-trial decision based on evidence they created after trial. Second, common-law ratification is an affirmative defense that must be timely raised, which means that, at a minimum, it cannot be raised for the first time after the post-trial opinion. Third, what the defendants call “common law ratification” has no basis in the common law— a stockholder vote standing alone cannot ratify a conflicted-controller transaction. Fourth, even if a stockholder vote could have a ratifying effect, it could not do so here due to multiple, material misstatements in the proxy statement. Each of these defects standing alone defeats the motion to revise>>

Quelli interessanti sono il 3 ° (sub C, p. 34 ss) e soprattutto il 4° (sub D, P. 41 SS) : ratifica invalda perchè senza basi nel common law e comunque perchè i soci erano disinformati (inesattezze nella delega di voto)

Riporto solo ciè che Tesla aveva detto ai suoi soci:

<<• Their vote could “extinguish claims for breach of fiduciary duty by
authorizing an act that otherwise would constitute a breach.”166
• “[T]he deficiencies, including disclosure deficiencies, procedural
deficiencies, and breaches of fiduciary duty, identified by the Delaware
Court in connection with the Board and our stockholders’ original
approval of the 2018 CEO Performance Award should be ratified and
remedied and any wrongs found by the Delaware Court in connection
with the 2018 CEO Performance award should be cured.”167
• “[I]f the 2018 CEO Performance Award is ratified, those options will be
restored to Mr. Musk. As a result, Mr. Tornetta may not be considered
to have rendered the ‘benefit’ to Tesla through his lawsuit that is
claimed by his attorneys.”168
• And “a new stockholder vote allows the disclosure deficiencies found by
the Tornetta court to be corrected, among other things>>.

Ebbene, dice il giudice, “All of this is materially false or misleading”.

Importanti studiosi di diritto societario USA pensano che i giudici del Delaware siano diventati un pò troppo pro-minoranze e troppo poco pro-amministratori:  ad es. Jonathan Macey e Stephen M. Bainbridge.. Di quest’ultimo v. il suo post 2 dicembre 2024 sulla seconda sentenza qui ricordata.

Ne parla ora il New York Times 8 febbraio u.s.

Ottima sintesi con suggerimenti pratici in Implications of Tornetta v. Musk II for Executive Compensation and for Stockholder Ratification by Gail Weinstein, Philip Richter, and Steven Epstein, Fried, Frank, Harris, Shriver & Jacobson LLP, Harvard law school Forum on Corpò Gov. , 15.02.2025 .

V mio precedente post sulla prima sentenza.

Dovere di agire informato e segnali di allerta per l’amministratore (bancario) non esecutivo

Segnali di allerta sono la natura strategica dell’operazione programmata e l’eccessiva sinteticità delle comunicazioni fornite dagli amministratori delegati.

In tali casi , cumulatisi i due segnali , il non esecutivo avrebbe dovuto mettersi in moto esercitando i poteri spettantigli.

Così Cass. sez. II, sent. 23/07/2024 n. 20.398, rel. Caponi: anche se a sua volta con eccessiva sinteticità, limitandosi a giudicare esatto questo passaggio della corte di appello ma senza motivare (<<L’orientamento è stato correttamente applicato al caso attuale, giacché “due circostanze avrebbero dovuto allertare il componente del consiglio di amministrazione non titolare di deleghe (…) ad esercitare in maniera pregnante il potere ispettivo interno, richiedendo dettagliate informazioni: in primo luogo la natura strategica dell’operazione Fresh; in secondo luogo le comunicazioni eccessivamente sintetiche fornite dagli organi delegati”>>).

Onere della prova della responsabilità dei sindaci azionata in via di eccezione da aprte della curatela

Non chiarissimo insegnamento in Cass. sez. I, ord. 24/01/2024  n. 2.343, rel. Terrusi:

<<I.- Ora nella giurisprudenza di questa Corte è invalsa la sottolineatura che nell’ipotesi dell’eccezione formulata per motivare l’esclusione di un credito professionale dal passivo di un fallimento non è dato al curatore prospettare l’eccezione solo sommariamente, senza indicare i fatti di inadempimento da imputare al creditore escluso (v. Cass. Sez. 6-1 n. 24794-18).

La ragione è che per i componenti del collegio sindacale di una società l’eccezione di inadempimento finisce col riprodurre la distinzione basica dell’art. 2407 cod. civ. tra responsabilità esclusiva e responsabilità concorrente dei sindaci con quella degli amministratori, per omessa vigilanza sui comportamenti di questi. E in questa seconda ipotesi implica doversi declinare l’ambito dei fatti alla luce del necessariamente variegato apporto che i sindaci, col proprio contegno di volta in volta integrante l’inosservanza dei doveri primari di cui all’art. 2403 cod. civ., possano aver dato nelle altrettante variegate situazioni gestorie caratterizzanti gli inadempimenti degli amministratori.

Poiché l’allegazione di un comportamento specifico e negligente, secondo quanto espresso appunto dalla proposizione di un’eccezione effettiva e non sommaria di inadempimento, si manifesta come fatto modificativo del diritto al compenso del creditore, non sarebbe coerente ipotizzarne l’esito senza che sull’eccipiente gravi anche la prova di quei fatti storici, attinenti alla gestione ovvero al concreto assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, sui quali si innesta la deviazione della condotta di vigilanza esigibile dal sindaco; quella condotta, cioè, che il sindaco, che poi agisce in sede concorsuale per l’adempimento del proprio credito stante il pregresso inadempimento del corrispettivo, avrebbe dovuto tenere – e non ha tenuto – in relazione al suo mandato. Solo, dunque, per essa appare sufficiente, nella ripartizione dell’onere della prova, che il creditore della prestazione di vigilanza (nella fattispecie, e per la società, il curatore fallimentare) possa anche limitarsi a eccepire, nei segnalati termini di specificità, l’inesatto adempimento, allegato come difetto di vigilanza rispetto a fatti specifici invece non solo descritti ma anche provati>>.

Sembra che la specificità dell’eccezione, così descritta, riguardi non solo  l’allegazione ma anche la prova delle negligenze amministrative, rimaste prime di reazione sindacale.

Responsabiità degli amministratori non esecutivi e di quelli indipendenti

Cass. sez. II, sent. 05/06/2024  n.15.685, rel. Scarpa, in tema di opposizione a sanzioni Consob:

<<In primo luogo, a tutti i componenti del consiglio di amministrazione è attribuibile la predisposizione dei prospetti, approvati nelle riunioni del 29/9/2014 e del 31/12/2014. È pur vero che, all’esito delle stesse, fu delegato al presidente del consiglio di amministrazione e al direttore generale il compito di completare il documento in oggetto e/o di modificarlo e/o di integrarlo secondo necessità e/o opportunità. È anche vero, tuttavia, che, con il conferimento della delega, gli altri consiglieri non avrebbero potuto ritenersi esautorati da ogni doveroso intervento, restando a loro carico, quanto meno, il compito di vigilare e di informarsi sull’operato degli organi e funzionari delegati, al fine di assicurarsi che fosse dagli stessi portato a termine il compito affidato in maniera puntuale e corretta (in tal senso, cfr. Cass. Sez. 2, n. 2737/2013; Sez. 1, n. 17799/2014; Sez. 2, n. 18683/2014; Sez. 2 n. 5606/2019)>>.

Poi:

<< Quanto poi all’elemento soggettivo, la Corte d’appello ha fatto legittimo ricorso alla presunzione iuris tantum in ragione delle cariche societarie rivestite dai ricorrenti, le cui singole posizioni sono state analizzate nelle pagine 28 e segg. della sentenza impugnata, ed in assenza di dimostrazione della estraneità dei medesimi ai fatti o all’impossibilità di evitarli tramite un diligente espletamento dei compiti connessi alle rispettive cariche.

Invero, doveri di particolare pregnanza sorgono in capo al consiglio di amministrazione di una società bancaria, doveri che riguardano l’intero organo collegiale e, dunque, anche i consiglieri non esecutivi, i quali sono tenuti ad agire in modo informato e, in ragione dei loro requisiti di professionalità, ad ostacolare l’evento dannoso, sicché rispondono del mancato utile attivarsi (fra le tante, Cass. n. 24851, n. 24081 e n. 16323 del 2019).

Le attività oggetto di causa avrebbero dovuto indurre gli amministratori, pure non esecutivi, rimasti inerti, ad esigere un supplemento di informazioni o ad attivarsi in altro modo. Il dovere di agire informati dei consiglieri non esecutivi delle società bancarie, sancito dagli artt. 2381, commi 3 e 6, e 2392 c.c., non va, del resto, rimesso, nella sua concreta operatività, alle segnalazioni provenienti dai rapporti degli amministratori delegati, giacché anche i primi devono possedere ed esprimere costante e adeguata conoscenza del business e, essendo compartecipi delle decisioni di strategia gestionale assunte dall’intero consiglio, hanno l’obbligo di contribuire ad assicurare un governo efficace dei rischi di tutte le aree della banca e di attivarsi in modo da poter efficacemente esercitare una funzione di monitoraggio sulle scelte compiute dagli organi esecutivi, non solo in vista della valutazione delle relazioni degli amministratori delegati, ma anche ai fini dell’esercizio dei poteri, spettanti al consiglio di amministrazione, di direttiva o avocazione concernenti operazioni rientranti nella delega. Questa interpretazione non vale ad accollare una responsabilità oggettiva agli amministratori non esecutivi, essendo gli stessi perseguibili ove ricorrano comunque sia la condotta d’inerzia, sia il fatto pregiudizievole antidoveroso, sia il nesso causale tra i medesimi, sia, appunto, la colpa, consistente nel non aver rilevato colposamente i segnali dell’altrui illecita gestione, pur percepibili con la diligenza della carica (anche indipendentemente dalle informazioni doverose ex art. 2381 c.c.), [ok, solo che non dice quali siano stati i segnali percepibili ulteriori rispetto alle informazioni ex 2381 cc] e nel non essersi utilmente attivati al fine di evitare l’evento. Sotto il profilo probatorio, ciò comporta che spetta al soggetto, il quale afferma la responsabilità, allegare e provare, a fronte dell’inerzia dei consiglieri non delegati, l’esistenza di segnali d’allarme (anche impliciti nelle anomale condotte gestorie) che avrebbero dovuto indurli ad esigere un supplemento di informazioni o ad attivarsi in altro modo (con la richiesta di convocazione del consiglio di amministrazione rivolta al presidente, il sollecito alla revoca della deliberazione illegittima od all’avocazione dei poteri, l’invio di richieste per iscritto all’organo delegato di desistere dall’attività dannosa, l’impugnazione delle deliberazione, la segnalazione al p.m. o all’autorità di vigilanza, e così via); assolto tale onere, è, per contro, onere degli amministratori provare di avere tenuto la condotta attiva dovuta o la causa esterna, che abbia reso non percepibili quei segnali o impossibile qualsiasi condotta attiva mirante a scongiurare il danno.

Non costituisce dato di per sé decisivo nemmeno la circostanza, posta a fondamento di alcune censure, attinente alla qualità di “consiglieri indipendenti” rivestita in seno all’organo amministrativo. Anche, infatti, gli amministratori indipendenti sono comunque “amministratori”, dotati di tutte le prerogative e gravati dei doveri tipici di questo ufficio, muniti di una competenza generale sul governo della società, parimenti incaricati di funzioni di management, di direzione e anche di controllo interno, sicché la loro “indipendenza” non li rende per ciò solo estranei alle dinamiche gestionali. Anzi, gli amministratori indipendenti cumulano le tipiche attribuzioni gestorie stricto sensu alle precipue competenze di monitoraggio dell’attività degli esecutivi, al punto che il loro ruolo attivo essenziale attiene proprio alla verifica dell’operato degli altri amministratori e dei manager, per evitare che vengano commessi abusi da parte di chi esercita il potere all’interno della società ed assicurare che la medesima società persegua nello svolgimento della propria attività i principi di trasparenza e correttezza. Resta quindi confermata pure per gli “amministratori indipendenti” l’interpretazione giurisprudenziale in forza della quale “a fronte di una vicenda di assoluta rilevanza per la gestione della società” – quale un’offerta al pubblico finalizzata ad un aumento di capitale – sussiste “in capo all’intera compagine amministrativa il dovere di attivarsi, e perciò la connessa rilevanza della loro condotta omissiva nella causazione dell’illecito” (Cass. n. 18846 del 2018)>>.

Responsabilità penale dell’amministratore senza delega per fatti di bancarotta

Inusualmente riferisco di una sentenza penale per la sua importanza anche civilistica.

Si tratta di Cass. pen. sez. 5 n. 20153 del 12-04.2024 (data ud.), rel. Borrelli:

<< 4. Se il punto cruciale del ragionamento del Collegio della cautela e del ricorso del pubblico ministero è, dunque, la consapevolezza di Mo.Ca. circa il mendacio e se tale consapevolezza passa attraverso la verifica di quella dell’esistenza delle distrazioni taciute o dissimulate nei bilanci, allora un altro doveroso passaggio preliminare è quello di ricostruire, sia pur brevemente, gli approdi di questa Corte sul tema del versante soggettivo della responsabilità dell’amministratore senza delega, tale potendo ritenersi Mo.Ca. ancorché munito di delega per alcune attività, delega, tuttavia, non concernente l’ambito interessato dalle distrazioni.

A tale riguardo, può affermarsi che la giurisprudenza di questa Corte – che il Collegio condivide e da cui non intende discostarsi – salvo qualche incertezza in tempi più risalenti, negli ultimi anni si è attestata su un’esegesi particolarmente rigorosa quanto alla responsabilità dell’amministratore senza delega e, in particolare, ai criteri in base ai quali ritenerlo consapevole e, quindi, responsabile di attività predatorie ai danni della società amministrata, commesse dall’amministratore munito di delega. Quello che oggi si richiede per ritenere dimostrato il dolo della distrazione in capo all’amministratore senza delega è che questi abbia “effettiva conoscenza” di fatti predatori ovvero di segnali di allarme di questi ultimi e non che le anomalie siano semplicemente “conoscibili”[a differenza dal civile in cui basta l’indempimento, irrilevante essendo l’elemento soggettivo. Semmai  il prob. quando ricorra inadempimento, in presenza di questo o quel segnala di allarme]

In questo senso va innanzitutto ricordato il recente approdo di Sez. 5, n. 33582 del 13/06/2022, Benassi, Rv. 284175, secondo cui “in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, il concorso per omesso impedimento dell’evento dell’amministratore privo di delega è configurabile quando, nel quadro di una specifica contestualizzazione delle condotte illecite tenute dai consiglieri operativi in rapporto alle concrete modalità di funzionamento del consiglio di amministrazione, emerga la prova, da un lato, dell’effettiva conoscenza di fatti pregiudizievoli per la società o, quanto meno, di “segnali di allarme” inequivocabili dai quali desumere, secondo i criteri propri del dolo eventuale, l’accettazione del rischio del verificarsi dell’evento illecito e, dall’altro, della volontà, nella forma del dolo indiretto, di non attivarsi per scongiurare detto evento, dovendosi infine accertare, sulla base di un giudizio prognostico controfattuale, la sussistenza del nesso causale tra le contestate omissioni e le condotte delittuose ascritte agli amministratori con delega”. La pronunzia, in particolare, ha preso in esame la figura dell’amministratore senza delega alla luce della riforma del diritto societario, evidenziando come questi non abbia più un generale obbligo di vigilanza sulla gestione attuata dagli organi delegati, ma, ai sensi dell’art. 2381, comma 6, cod. civ., un dovere di agire informato e di chiedere ragguagli al consiglio di amministrazione, dovere che si attualizza laddove vi sia la conoscenza o di fatti nocivi per la società oppure di indicatori di anomalie che riconducano ad attività nocive.

Tale pronunzia si pone sulla scia di altre decisioni che, per quanto di specifico interesse in questa sede, hanno sottolineato come la responsabilità dell’amministratore senza delega non possa prescindere dall’effettiva conoscenza dei fatti depauperativi o di segnali di allarme – inequivocabili – che ad essi riconducano e che siano stati volontariamente ignorati, scongiurando, così il rischio di un addebito del reato a titolo di colpa (per inettitudine, incapacità o imprudente fiducia nell’agire dell’organo delegato) o, addirittura, di responsabilità oggettiva da posizione (Sez. 1, n. 14783 del 09/03/2018, Lubrina e altri, Rv. 272614; Sez. 5, n. 42519 del 08/06/2012, Bonvino e altri, Rv. 253765; Sez. 5, n. 42568 del 19/06/2018, E. Rv. 273925; Sez. 5, n. 32352 del 07/03/2014, Tanzi e altri, Rv. 261938; Sez. 5 n. 21581 del 28/04/2009, Mare, Rv. 243889; Sez. 5, n. 23000 del 05/10/2012, dep. 2013, Berlucchi, Rv. 256939, concernente proprio la bancarotta impropria da reato societario; Sez. 5, n. 42519 del 08/06/2012, Bonvino, Rv. 253765)

Nella sentenza Tanzi, in particolare, oltre ad essere stato delineato il concetto di “segnale di allarme” – con la puntualizzazione che esso deve essere “conosciuto” e non meramente “conoscibile” e che deve essere eloquente della situazione critica sottesa – si è anche rimarcato il limite dello scrutinio di legittimità sulle valutazioni del Giudice di merito circa la responsabilità dell’amministratore senza delega in rapporto, appunto, alla conoscenza degli indicatori suddetti e al loro grado di significatività e di intellegibilità. “E’ dalla conoscenza dei segnali di allarme, intesi come momenti rivelatori, con qualche grado di congruenza, secondo massime di esperienza o criteri di valutazione professionale, del pericolo dell’evento” – così la pronunzia in discorso – “che può desumersi la prova della ricorrenza della rappresentazione dell’evento da parte di chi è tenuto – per la posizione di garanzia assegnatagli dall’ordinamento – ad uno specifico devoir d’alerte (che include in sé anche l’obbligo di una più pregnante sensibilità percettiva, oltre che il dovere di ostacolare l’accadimento dannoso). La sentenza richiamata ha anche precisato che “questa dimostrazione deve inquadrarsi nel bagaglio di esperienza e cognizione professionale proprio del preposto alla posizione di garanzia, la cui valutazione – in rapporto ai sintomo allarmante – deve esplicarsi in concreto, volta per volta: dal che consegue che la convinzione di questa percezione e del relativo grado di potenzialità informativa del fatto percepito, è rimessa alla valutazione del giudice di merito, insuscettibile di censura se accompagnata da adeguata giustificazione” >>.