Sul risarcimento del danno da violazione di copyright (art. 158 legge d’autore)

Interviene con buon dettaglio sul tema in oggetto Cass. sez. I ord. n. 39762 del 13.12.2021 rel. Scotti (caso Mondadori-Saviano: l’attore originario – editore locale campano- aveva lamentato  l’illecita riproduzione di propri articoli).

Vediamo in passaggi più significativi:

– <2.6. Secondo la giurisprudenza di questa Corte in tema di tutela del diritto d’autore, la violazione di un diritto di esclusiva integra di per sé la prova dell’esistenza del danno da lucro cessante e resta a carico del titolare del diritto medesimo solo l’onere di dimostrarne l’entità (Sez. 3, n. 8730 del 15.4.2011, Rv. 617890 01; Sez. 1, n. 14060 del 7.7.2015, Rv. 635790 – 01), a meno che l’autore della violazione fornisca la prova dell’insussistenza nel caso concreto di danni risarcibili nei limiti di cui all’art. 1227 c.c. (come ha avuto cura di precisare Sez. 1, n. 12954 del 22.6.2016, Rv. 640103 – 01)>.

Affermazione poco coerente con la disciplina comune civilsitica e che andrebbe spiegata.

– <2.7. Questa Corte, con l’ordinanza n. 21833 del 29.7.2021, ha recentemente affrontato in modo sistematico l’interpretazione delle regole fissate dall’art. 158 l.d.a. in tema di determinazione e quantificazione del danno conseguente alla violazione del diritto d’autore, chiarendo che:

a) il risarcimento del danno è liquidato nel rispetto degli artt. 1223,1226 e 1227 c.c., disposizione questa fin anche pleonastica, che serve solo a manifestare espressamente l’esigenza del rispetto delle regole comuni di liquidazione del danno, quanto a nesso causale, potere di liquidazione equitativa e concorso del fatto dello stesso debitore;

b) il lucro cessante è valutato dal giudice ai sensi dell’art. 2056 c.c., comma 2, ossia “con equo apprezzamento delle circostanze del caso”, dunque ancora una volta ex art. 1226 c.c., cui si aggiunge però l’indicazione di un parametro esplicito, relativo agli “utili realizzati in violazione del diritto”;

c) è prevista infine la possibilità di liquidazione “in via forfettaria sulla base quanto meno dell’importo dei diritti che avrebbero dovuto essere riconosciuti, qualora l’autore della violazione avesse chiesto al titolare l’autorizzazione per l’utilizzazione del diritto”.

La norma prevede quindi due criteri alternativi, iscritti entrambi nella cornice di una liquidazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c.; anche se non è scandito esplicitamente un ordine rigido di preferenza fra i due criteri, l’espressione utilizzata dal Legislatore (“quanto meno”) sta ad indicare che il criterio del cosiddetto “prezzo del consenso” di cui al terzo periodo del comma 2, (detto anche della “royalty virtuale”) rappresenta una soglia minima della liquidazione.

Si è dunque osservato che due criteri si pongono come cerchi concentrici, in cui il secondo permette una liquidazione minimale, mentre il primo, che associa nella funzione risarcitoria anche una componente deterrente e dissuasiva, permette di attribuire al danneggiato i vantaggi economici che l’autore del plagio abbia in concreto conseguito, certamente ricomprendenti anche l’eventuale costo riferibile all’acquisto dei diritti di sfruttamento economico dell’opera, ma ulteriormente aumentati dai ricavi conseguiti dal plagiario sul mercato.>

Che la royalty ragionevole sia il minimo , la legge non lo dice e pure questo è poco coerente con la disciplioa comune, in assenza di dato testuale; per cui l’affermaziuobne andrebbe meglio argomentata.

– <2.13. Si è detto in precedenza che il criterio del prezzo del consenso ha natura sussidiaria e residuale.

In tal senso si impone una interpretazione del diritto nazionale armonizzata con la Direttiva Europea che per le violazioni dolose o colpose pretende che l’entità del risarcimento da riconoscere al titolare tenga conto di tutti gli aspetti pertinenti, quali la perdita di guadagno subita dal titolare dei diritti o i guadagni illeciti realizzati dall’autore della violazione e considera solo come alternativa – da esperirsi ad esempio, in caso di difficoltà di determinazione dell’importo dell’effettivo danno subito la parametrazione dell’entità dal risarcimento alla royalty virtuale.

Il diritto Europeo esige infatti un risarcimento effettivo e proporzionalmente adeguato, calibrato su di una accurata considerazione di tutti gli elementi specifici e pertinenti del caso, tra i quali debbono essere inclusi il mancato guadagno subito dalla parte lesa e i benefici realizzati illegalmente dall’autore della violazione.

Che gli utili realizzati dal contraffattore siano un criterio fondamentale nella liquidazione completa ed effettiva del danno è dimostrato anche dal paragrafo 2 dell’art. 13 della Direttiva che permette agli Stati membri di disporre il recupero dei profitti fin anche nel caso di violazioni non dolose o colpose (violazioni c.d. inconsapevoli).

Le disposizioni della legge nazionale sono ispirate allo stesso criterio, come sopra ricordato, con l’inequivoco impiego della formula “quanto meno”, che colora il criterio alternativo del prezzo del consenso con il tratto della residualità.

In questo senso, sia pur con riferimento all’art. 125 c.p.i., comunque riconducibile anch’esso alla matrice della stessa disposizione della Direttiva enforcement, è stato osservato nella recente giurisprudenza di questa Corte che il criterio della “giusta royalty” o “royalty virtuale” segna solo il limite inferiore dei risarcimento del danno liquidato in via equitativa e che però esso non può essere utilizzato a fronte dell’indicazione, da parte del danneggiato, di ulteriori e diversi ragionevoli criteri equitativi, il tutto nell’obiettivo di una piena riparazione del pregiudizio risentito dal titolare del diritto di proprietà intellettuale (Sez. 1, n. 5666 del 2.3.2021, Rv. 660575 – 01).

2.14. Tale scansione preferenziale fra i due criteri ben si comprende, ove ci si soffermi a riflettere sull’esigenza di un pieno, completo ed effettivo ristoro risarcitorio del danno subito dal titolare di un diritto di proprietà intellettuale o industriale, perseguito dalla Direttiva Europea e si consideri la ratio del criterio del “prezzo del consenso”.

Questo criterio infatti finisce con l’imporre al contraffattore o al plagiario il pagamento all’esito del contenzioso di quello stesso importo che avrebbe potuto pattuire in via negoziale ove si fosse comportato correttamente, tanto che la giurisprudenza merito, tenuto conto del riferimento normativo al limite minimo indicato dalla norma e dell’esigenza di evitare la “premialità” di tale tecnica liquidatoria per il contraffattore, ritiene equa una congrua maggiorazione dell’importo rispetto alle tariffe di mercato.>

Solo che la legge prescrive il <quanto meno> solo per il prezzo del consenso e non per il risarcimento ordinario.

Diritto all’immagine e riproduzione abusiva in DVD musicale

Una signora viene riprodotta in un DVD musicale mentre si intrattiene in spazio pubblico con un signore che non è il marito, palesando una relazione che doveva restare nascosta.

La signora agisce per il risarcimento dei danni (patrimoniali e non, parrebbe).

In primo grado la domanda è rigettata, ravvisando il Tribunale un consenso tacitto, dovendosi interpretare la ripresa visiva come messa in scena concordata per la commercialzizazine del  DVd.

In appello la sentenza è riformata e viene riconosciuto alla signora il c.d. prezzo del consenso ipotizzabile.  Pertanto il titolare del diritto sul dvd (casa discografica) ricorre in cassazione: la quale decide con sentenza 25.11.2021 n°  36.754, rel. Vella    , rigettando il ricorso.

Tre punti:

1) la SC implicitamente ritiene che la competenza delle sezioni specializzate ex art. 3 d. lgs. 168/2003, laddove riferita al diritto di autore, comprende pure la riprodizone dell’immagine altrui ex art. 96 e 97 l. aut..  Conferma infatti la competenza solo perchè non di immaguine si discuteva ma di riservatezza (§ 3.3).

 Ora, che il diritto alla riservatezza sia diverso da quello sulla propria immagine (ex art. 10 cc e citt. artt. l. aut.) è possibile , ma richiederebbe approfondimento.

Che invece la competenza giurisdizionale, relativa al diritto di autore ex art. 3,.1.b d. l.g. s 168 cit (<<b) controversie in materia di diritto  d’autore  e  di  diritti connessi al diritto d’autore;>>; v-. pure ora il c. 3 bis dell’art. 156 l. aut.) comprenda pure le questioni sul diritto all’immagine ex art. 96-97 l. aut.,  è errato.    Il diritto all’immagine è certamente altro dal diritto di autore e dai diritti connessi; a nulla rileva la sedes materiae e cioè che sia regolato (anche) nella legge che regola il diritto di autore

2) interessante per i pratici, poi, è la distinzione tra l’affermare che il danno non patrimoniale sia in re ipsa e l’affermare invece che possa ritenersi presuntivamente provato (§ 6.1).

3) c’è una (nota) difficoltà logico-concettuale nel riconoscere il danno (patrimoniale, naturalmetne) ex prezzo del consenso a favore di chi mai avrebbe dato il consenso (come nel caso de quo di relazione sentimetnale da tenere nascosta). Non può infatti dirsi ristorare un pregiudizio (lucro cessante)  e cioè restituiRE un’opportunità di guadagno che era stata tolta. La somma in realtà ha carattere penale , ma allora c’è un duplice problema: 1) l’art. 156 l. aut. non prevede una sanzione ma solo una compensazione (dubbio parecchio che possa estendersi analogicamente l’art. 125/3 cod. propr. ind.); 2) come che sia, la medesima disposizione , riferendosi a <violazione di un diritto di utilizzazione economica>) è assai dubbio che comprenda pure il diritto all’immagine ex art. 96-97 l. aut. (e art. 10 cc)

Il prezzo del consenso ex art. 125/2 cod. propr. ind. spetta non automaticamente ma solo se c’è prova del danno subito

Cass. sez. 1 n. 24.635 del 13.09.2021, rel. Caiazzo, offre utili precisazioni sul prezzo del consenso ex art. 125 c.2 cpod. propr. ind.

In breve, non spetta automaticamente al soggetto violato ma solo se dà una qualche prova -anche indiziaria, pare- di aver subito un danno.

Secondo il collegio , tale norma <<non costituisce una deroga in senso stretto alla regola ordinaria sul risarcimento dei danni e al relativo onere probatorio, ma rappresenti una semplificazione probatoria che pur presuppone un indizio della sussistenza dei danni arrecati, attuali o potenziali, dalla condotta di contraffazione del marchio. Ne’ va trascurata la ratio dei criteri risarcitori in caso di illeciti concorrenziali i quali sono configurati come un aspetto del ripristino di corrette condizioni di svolgimento della concorrenza in un mercato che ammette l’esistenza di esclusive.

Al riguardo, se è vero che la norma di cui all’art. 125 c.p.c., comma 2, può configurare una fattispecie di danno liquidabile equitativamente, mediante il criterio del “prezzo del giusto consenso”, inteso quale parametro agevolatore dell’onere probatorio gravante sull’attore, è altresì vero che tale liquidazione non possa essere effettuata, come invoca la ricorrente, sulla base di un’astratta presunzione, ovvero attraverso un’automatica applicazione del predetto criterio.>>

Ne segue che determinazione e liquidazione del danno ex art. 125 c.2  presuppone <<l’applicazione degli artt. 1223 c.c. e segg.>> e che <<non può prescindere dalla prova di un adeguato rapporto di causalità tra l’atto illecito e i danni sofferti ed allegati, secondo i criteri ordinari probatori.

Depongono in tal senso, in conformità della suddetta giurisprudenza, sia ragioni sistematiche, afferenti alla coerenza della norma in questione con i principi generali dell’ordinamento civilistico, sia motivi ermeneutici desunti dall’esegesi letterale e logica dell’art. 125, comma 2, c.p.i..

Invero, tale comma dispone che “..”. . Tale norma segue significativamente quella dettata nel comma 1, a tenore del quale “…” . La successione letterale e logica tra le norme dei primi due commi esprime l’intento del legislatore di non sganciare il criterio risarcitorio del “giusto prezzo del consenso” dalla norma generale di cui al comma 1, che richiama, appunto, i principi generali dettati dagli artt. 1223 c.c. e segg..

Pertanto, dal combinato disposto delle due norme in esame può ragionevolmente desumersi che l’introduzione del criterio contemplato dal comma 2, risponda a finalità indubbiamente agevolatorie dell’onere probatorio gravante sull’attore che può equivalere ad un’attenuazione del medesimo onere, ma non può certo tradursi in un’assoluta esenzione dal rispetto dello stesso, in quanto tale interpretazione “atomistica” del comma 2, svuoterebbe di significato la ratio e la stessa lettera del comma 1.>>

La precisazione è utile. Che non vi sia automatismo di prezzo del consenso, una volta accertata la violazione, parrebbe in effetti discendere dalla disposizione. In cosa consista però l’attenuiazione, diversa sia dalla prova piena che dall’esclusione della prova, resta al momento poco chiaro

Riproduzione non autorizzata di opera fotografica in una collezione di vestiti (Antonio Marras c. Daniel J. Cox)

Il tribunale di Milano decide sulla lite promossa dal fotografo naturalista Daniel J Cox nei confronti un’impresa da abbigliamento e del suo distributore per riproduzione non autorizzata di una suo scatto nella collezione autunno-inverno 2014-2015 e commercializzazione su piattaforma on-line di abbigliamento di lusso.

Si tratta della sentenza 2539/2020 del 23.04.2020, RG 14054/2018, pres. rel. Marangoni, scaricabile da questo link offerto da ipkat.com / darts-IP.

La fotografia è la seguente:

© Daniel J. Cox-NaturalExposures.com

(tratta da qui).

L’abito è il seguente:

(qui la foto del lupo è meno nitida).

Ma l’immagine dell’abito più significativa (perchè a sfondo blu, come nella fotografia dell’animale)  è quella presente in ipkat.com :

Nella sentenza il nome dell’attore è oscurato ma in molti siti internet il nome viene invece diffuso: v. ad es. qui e qui.  In ogni caso la diffusione integrale è ammessa dalla legge, non ricorrendo le eccezionali ipotesi contrarie previste dall’art. 52 cod. priv.

L’attore aveva chiesto la condanna in solido delle due convenute.

IDENTITà O DIVERSITà DI FOTOGRADIA?  La prima difesa di Antonio Marras è quella per cui non si tratterebbe della stessa fotografia.

L’impresa aveva peraltro  ammesso <<di avere effettivamente, nel corso dell’attività di studio e progettazione della collezione donna 2014/2015, reperito sul web la fotografia scattata dall’attore (peraltro priva di indicazioni circa il titolare dello scatto e resistenza di privativa autorale), ma di non averla poi direttamente utilizzata, limitandosi a inserirla nel moodboard della collezione, quale fonte di ispirazione per la successiva creazione dei capi da parte dello stilista.>>, p. 7

Ammissione che ricorda la condotta di Jimmy Page nella lite Skidmore v. Led Zeppelin circa le canzoni Taurus (degli Spirit) e Stairway to heaven. Pure il chitarrista inglese aveva infatti ammesso di possedere nella propria collezione privata una copia del disco degli Spirit contenente Taurus,  in un ordinamento come quello americano in cui è decisiva la prova dell’accesso all’opera.

V. il mio post sulla sentenza statunitense 9 marzo 2020.

Il giudice milanese però rigetta questa difesa e afferma che l’immagine è la stessa. Qui è interessante a livello probatorio il ragionamento condotto per giungere alla conclusione:

<<tale convincimento è suffragato innanzitutto dall’oggettiva sovrapponibilità tra l’immagine riprodotta sul lato sinistro dell’abito femminile realizzato dalla convenuta e lo scatto rivendicato dal fotografo, come fedelmente rappresentato nel doc. 26 di parte attrice, reperto non contestato dalle convenute. Segnatamente, dall’attento esame della predetta immagine si percepisce chiaramente la perfetta coincidenza tra le due figure, e, in particolare, di alcuni loro elementi caratterizzanti, quali: la posizione del cranio del lupo, avente la medesima rotazione e inclinazione rispetto all’asse del corpo; le fauci del canide, che mostrano la medesima apertura e dalle quali spunta un canino avente uguale posizione e dimensione in entrambe le immagini; la perfetta sovrapponibilità dell’occhio del lupo; le identiche cromature, macchie e pieghe del pelo presente sul collo dell’animale.

Tali riscontri obiettivi assumono particolare significato anche alla luce della fotografia sub doc. 25 prodotta da parte attrice – anch’essa non contestata dalle convenute – nella quale è ritratto lo stilista Antonio Marras intento a studiare il mainboard della collezione, dove risulta ben visibile, tra le altre immagini, anche lo scatto in questione>>, p. 8.

Non è chiaro come l’attore sia riuscito a procurarsi una fotografia dello stilista mentre esamina la propria collezione

Non inficia il ragionamento , dice il Tribunale, il fatto che la Antonio Marras abbia maldestramente tentato di sviare la percezione del giudice, riproducendo negli atti di causa solo un lato dell’abito, in modo che l’immagine del lupo fosse diversamente orientata (pagina 8/9). Il tribunale poi ritiene che questo tentativo, di dare una diversa rappresentazione della realtà, sia contrario ai doveri di lealtà processuale e irroga la sanzione ex articolo 96/1 CPC, pagina 9

PATERNITA’ –  la paternità dell’Opera non viene contestata e comunque dal tribunale viene affermata anche sulla base del certificato di protezione, concesso dall’ufficio statunitense e dalla pubblicazione in una monografia nella quale la paternità viene appunto attribuita a Daniel Cox. Quest’ultimo andrà inteso come fatto indiziario, anche se ultroneo, visto che nel caso specifico -come detto-  non ce ne era bisogno, stante la non contestazione.

TIPO DI TUTELA – Circa l’oggetto della tutela il dubbio è tra la tutela piena come opera dell’ingegno (art. 2 n. 7 l. aut.) e la tutela “dimezzata” come diritto connesso ex articolo 87 seguenti l. aut. (v. paragrafo 3).

Secondo i giudici milanesi, è esatta la prima alternativa (§ 3.1) e spiega perchè.

Premesse alcune considerazioni consuete circa i criteri  astratti per avvisare opera fotografica, il tribunale procede ad applicarli al caso specifico: anche qui, si tratta della parte più interessante  dell’iter motivatorio, perché si capisce cosa sta in mente iudicis per arrivare a formulare il giudizio:

<<orbene, nel caso di specie, l’attore ha innanzitutto dedotto in giudizio come la [1] scelta del soggetto da rappresentare (nello specifico, un lupo nel suo ambiente naturale), sia stata frutto di studio e d’attenta analisi del campo fotografico. professionista ha altresì colto l’animale [2] mentre lo stesso era intento a ululare – indice sintomatico di una precisa volontà creativa – scegliendo di rappresentarlo in primo piano, attraverso una [3] sapiente sfocatura dell’ambiente circostante, esaltando così l’espressione del soggetto rappresentato, pur facendo emergere i fiocchi di neve che, copiosamente, cadevano nell’ambiente circostante ed evocando, in questo modo, peculiari suggestioni nell’osservatore tali da travalicare la mera rappresentazione grafica deH’animale. E altresì evidente [4] un sapiente uso del chiaroscuro e l’utilizzo, con finalità creative, dei giochi di luce e ombre distinguibili sullo sfondo blu dell’immagine e, soprattutto, [5] dal contrasto generato tra i fiocchi di neve rispetto alla cromatura del pelo del lupo.

Avvalorano inoltre la natura artistica della fotografia sia [6] lo specifico riconoscimento autorale in territorio statunitense (doc. 6 attore), sia [7] la sua collocazione all’intemo di un’opera monografica alla quale è stata data dignità di pubblicazione e stampa (docc. 2, 2a attore), nonché [8] la sostanziale identità, sul piano della qualità creativa, della predetta immagine rispetto ad altre rappresentazioni naturalistiche scattate dallo stesso apparse su prestigiose riviste di settore, quali «National Geographic» e «Nikon Leam&Explore» (docc. 3, 3a, 3b, 3c e 3d attore).

Infine, è significativo, in punto di qualificazione dei diritti connessi all’immagine, che essa sia stata [9] particolarmente apprezzata dagli operatori commerciali, a riprova dell’oggettiva e intrinseca capacità di evocare particolari suggestioni nei consumatori (docc. 33 e 34 attore). [10] Anche il noto motore di ricerca Google pone la fotografia oggetto di causa tra le prime immagini associate alla stringa «holwing wolj» o «lupo ululante» (cfr. docc. 22 – 24 attore).>> pp.10-11

Ho scomposto il ragionamento in unità logiche mimime, che tutte assieme portano a ravvisare la creatitivà nella fotografia de qua.  Si notino quelle sub 6 (riconoscimento autorale in USA) e sub 7-9-10 (riconoscimento sul mercato)

LA LICEITA’ PER ESSERE REPERIBILE SU GOOGLE IMAGES – Il tribunale affronta poi di eccezione di Marras secondo cui lo scatto era lì era legittimamente utilizzabili essendo reperibile sul motore di ricerca Google. Il tribunale ha buon gioco nel rispondere che, secondo lo stesso Google Images, l’immagine può essere oggetto di copyright.

Aggiunge poi la mera <<disponibilità sul web di una foto non costituisce presunzione di assenze di privative, gravando semmai sull’intemauta l’onere di accertare l’esistenza, o meno, di diritti in capo a soggetti terzi>>, p. 11. Infatti <<appartiene al bagaglio nozionistico del medio professionista, in particolar modo se operatore del c d. fashion business, il noto principio secondo il quale l’utilizzo di una fotografia senza richiedere la liberatoria dell’autore o senza comunque sincerarsi che l’immagine sia di libera riproduzione costituisce, pacificamente, ipotesi di contraffazione (Trib. Milano, 1.03.2004).>>p. 12.

In effetti anche se non ci fosse la dichiarazione cautelativa di Google Images, sarebbe comunque condotta colposo il non tentare di verificare la libera riproducibilità dell’immagine, potendo essere stata illecitamente messa on line da terzi.

RISARCIMENTO DEL DANNO – Circa il  risarcimento, il tribunale accetta il criterio del prezzo del consenso suggerito dall’attore, ma ne rigetta il quantum proposto.

 il tribunale si limita infatti a prendere per buono l’importo che lo stesso attore sembrava disposto a concedere in un tentativo stragiudiziale conciliativo, secondo un documento prodotto in causa dalla Antonio Marras: € 16.000,00.

Ll’attore aveva invece chiesto un prezzo molto più elevato, pari a € 188.000,00, sulla base di  precedenti atti dispositivi: questi però sono giudicati da un lato  mal documentati e dall’altro relativi ad utilizzi molto più ampi di quello per cui era causa.

Il tribunale concede anche il danno non patrimoniale che liquida in euro 9’000,00. Qui non è chiaro il cenno secondo cui in tal modo aderisce agli ordinari canoni di responsabilità civile <<informati a un criterio compensativo>>: in materia di danno non patrimoniale, parlare di <compensazione> richiederebbe qualche spiegazione. Ma l’affermazione non è ratio decidendi, essendo la lqiudaizione certgamente equitativa.

Sulla risarcibilità del danno non patrimoniale, sarebbe stato utile qualche passaggio argomentativo, data la sua tipicità e dato che l’art. 168 l. aut. si limita a rinviare ai diritti patromoniali col limite della compabilità, senza prevedere espressamente il risarci,mento. A parte ciò, la disciplina generale del risarcimento del danno non patrimonale (nelle sue due componenti del pretium doloris, danno morale, e della compromissione delle abitudini di vita: distinzione non menzionata dal giudice) prevede che vada allegato e provato, potendo l’equità solo servire alla traduzione monetaria.

LA POSIZIONE DELL’IMPRESA  DISTRIBUTRICE – Interessante poi è il giudizio sulla posizione del distributore Drexcode srl . Questa si era difesa dicendo di non aver potuto esercitare alcuna attività di controllo sul produttore.

Ma per il tribunale ciò non rileva, visto che <<non ha dato alcuna dimostrazione di avere ottenuto, da parte dell’ANTONIO MARRAS S.R.L., specifica attestazione circa la piena titolarità dei diritti di sfruttamento commerciale dei capi d’abbigliamento e delle immagini sugli stessi riprodotte, sussistendo pertanto evidenti profili di colpevolezza in capo al distributore, quantomeno sub specie di culpa in vigilando, rispetto all’attività posta in essere dalla casa di moda. Ritiene pertanto il Collegio di doversi conformare, nel caso di specie, al consolidato orientamento pretorio secondo il quale il distributore di merce contraffatta è chiamato a rispondere, in solido con il produttore secondo lo schema di cui all’art. 2055 c.c., dell’attività da quest’ultimo posta in essere, concorrendo sul piano causale alla commissione dell’illecito e all’aggravamento dello stesso (Trib. Milano, 1 luglio 2004), fatta salva la possibilità di agire in manleva per avere confidato nella liceità del comportamento altrui (Trib. Milano, 30 giugno 2004).>>, p. 14-15.

Per vero l’elemento soggettivo richiesto ai compartecipanti legati in solidarietà ex art. 2055 non è chiaramente desumibile dall’ordinamento e ci sono opinioni discordanti.

E’ poi importante l’affermazione per cui il distributore ha ogni volta l’onere di farsi consegnare dal cliente documentazione probatoria della legittimità di uso di tutti i segni presenti sul prodotto: pare che simili liberatorie, anche se diventassero dichairazioni di stile, varrebbero ad esentare dalla responabilità esterna ex art. 2055 cc.

Questo, appunto, nei rapporti esterni cioè verso i terzi (=le vittime dell’illecito).

Nei rapporti interni invece il tribunale accoglie la domanda di manleva, proposta dal distributore Drexcode nei confronti di Antonio Marras: condanna infatti quest’ultimo a rifondere al primo ogni somma che fosse costretto a pagare verso l’attore (vedi punto 5 del dispositivo)

SPESE – infine  il tribunale, come anticipato, condanna Antonio Marras ex articolo 96 comma 1 CPC a pagare all’attore una somma di euro 6000 sia per la accennata sleale condotta processuale sia perché ante causam aveva dimostrato un chiaro intento conciliativo e un’inclinazione a transigere ad una somma inferiore a quella riconosciuta dal tribunale in sentenza (p. 16).

Non è chiaro però quale sia la pertinenza di quest’ultimo ragionamento. La disponibilità a transigere non significa disponibilità riconoscere la propria violazione , dato che anzi il proprium della transazione è quello di prescindre da ogni accertamento sul diritto e sul torto intorno ai fatti di causa. E’ cioè solo prospettica, non retrospettiva. Per lo stesso motivo la somma a suo tempo ipotizzata ante causam e quella liquidata dal giudice non hanno alcuna relazione logico-cocnettuale: quindi non è traibile alcun elemenot di slealtà processuale, inmancanza di norma ad hoc (come avviene ad es. per la mediazione: art. 13 d. lgs. 28/2010).