La mascherina del radiatore, sagomata sì da ricordare il marchio Audi per fungere da supporto e fissarci l’emblema originale, è uso del marchio ma non fruisce dell’eccezione dell’uso referenziale lecito

Avevo già dato conto della posizione dell’AG Medina   nella lite.

Ricordo il marchio azionato da Audi:

Ora la Corte di giustizia 25.01.2024, C-334/22, Audi AG c. GQ, decide il rinvio pregiudiziale in senso diverso.  In particolare ritiene che :

1) il supporto per l’emblema  Audi , fissato sulla e facente parte della mascherina del radiatore, costituisce uso del segno;

2) il supporto così sagomato al citato scopo non fruisce dell’eccezione di uso referenziale lecito ex art. 14.1.c) reg. 2017/1001 (“per identificare o fare riferimento a prodotti o servizi come prodotti o servizi del titolare di tale marchio, specie se l’uso di tale marchio è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio.”).

Entrambe questioni non semplici. Sul secondo punto ecco il passaggio della CG:

premessa generale:

<<54  L’obiettivo della limitazione, prevista da tale ipotesi, del diritto esclusivo conferito dal marchio è di consentire ai fornitori di prodotti o di servizi complementari a prodotti o servizi offerti dal titolare di un marchio di utilizzare tale marchio al fine di informare, in modo comprensibile e completo, il pubblico sulla destinazione del prodotto che commercializzano o del servizio che offrono o, in altri termini, sul nesso utilitaristico esistente tra i loro prodotti o i loro servizi e quelli del suddetto titolare del marchio (v., per analogia, sentenze del 17 marzo 2005, Gillette Company e Gillette Group Finland, C‑228/03, EU:C:2005:177, punti 33 e 34, nonché dell’11 gennaio 2024, Inditex, C‑361/22, EU:C:2024:17, punto 51).

55 Pertanto, l’uso di un marchio da parte di un terzo per designare o menzionare prodotti o servizi come quelli del titolare di tale marchio quando tale uso è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto commercializzato da tale terzo o di un servizio offerto da quest’ultimo rientra, ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), del regolamento 2017/1001, in una delle ipotesi in cui l’uso del marchio non può essere vietato dal suo titolare (v., in tal senso, sentenza dell’11 gennaio 2024, Inditex, C‑361/22, EU:C:2024:17, punto 52). Tale limitazione del diritto esclusivo conferito al titolare del marchio dall’articolo 9 di tale regolamento si applica, tuttavia, solo se detto uso di tale marchio da parte del terzo è conforme alle pratiche di lealtà in campo industriale e commerciale, ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 2, di detto regolamento>>

Applicando al caso de quo (con linguaggio non chiarissimo):

<<Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio risulta che l’elemento della griglia per radiatori la cui forma è identica o simile al marchio AUDI consente di fissare l’emblema che rispecchia tale marchio su detta griglia. Come risulta altresì dalla decisione di rinvio e dalle osservazioni delle parti, la scelta della forma di tale elemento è guidata dalla volontà di commercializzare una griglia per radiatori che assomigli nel modo più fedele possibile alla griglia per radiatori originale del costruttore degli autoveicoli di cui trattasi.

57 Orbene, occorre distinguere una siffatta situazione, nella quale un’impresa non economicamente collegata al titolare del marchio appone un segno identico o simile a tale marchio sui pezzi di ricambio da essa commercializzati e destinati ad essere integrati nei prodotti di tale titolare, da una situazione in cui una tale impresa, senza tuttavia apporre un segno identico o simile al marchio su tali pezzi di ricambio, faccia un uso di tale marchio per indicare che detti pezzi di ricambio sono destinati ad essere integrati nei prodotti del titolare di detto marchio. Sebbene la seconda di tali situazioni rientri nell’ipotesi di cui al punto 55 della presente sentenza, la prima di dette situazioni non vi rientra. L’apposizione di un segno identico o simile al marchio sul prodotto commercializzato dal terzo eccede, come osservato dall’avvocato generale al paragrafo 57 delle sue conclusioni, l’uso a scopo di riferimento di cui all’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), del regolamento 2017/1001 e non rientra quindi in alcuna delle ipotesi coperte da tale disposizione.

58 Ne consegue che, quando un segno, identico o simile a un marchio dell’Unione europea, costituisce un elemento di un pezzo di ricambio per autoveicoli, progettato per il fissaggio dell’emblema del costruttore di tali veicoli su quest’ultimo e non è utilizzato per designare o fare riferimento a prodotti o servizi come prodotti o servizi del titolare di tale marchio, ma per riprodurre nel modo più fedele possibile un prodotto di tale titolare, un siffatto uso di detto marchio non rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), del regolamento 2017/1001>>.

Mi pare dubbio cher la sagomatura del supporto sul radiatore non sia <<necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio>>.

Pubblicità di concorso a premi riproducente il marchio apposto sul prodotto dato in premio: uso referenziale lecito o no?

Risposta pilatesca della Corte di Giustizia nella sentenza 24.01.2024, C-361/22, Inditex v. Bongiorno Myalert (segnalazione di Alessandro Cerri in IPKat).

La norma di riferimento è l’art. 6.1.c) della dir. 2008/95 (il titolare non può lvietare l’uso altrui del proprio marchio “se esso è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio”).

La CG , dopo aver detto che la norma è più restrittiva di quella corrispondente della dir. 20115/2436 (non può vietare l’uso “del marchio d’impresa per identificare o fare riferimento a prodotti o servizi come prodotti o servizi del titolare di tale marchio, specie se l’uso del marchio è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio.”), conclude che tocca al giudice nazionale stabilire se nel caso de quo sia invocabile o no.

Nessun aiuto per il giudice nazionale, dunque.

Letteralmente non è invocabile. DAto però che per la successiva dir. 2436 lo sarebbe , è da vedere se ciò possa indurre ad una latissima interpretazione tale da renderla applicabile.

Si potrebbe invece pensare di invocare la lett. b) (indicaizoni descrittive etc.). Infatti il marchio ZARA sul prodotto dato a premio serve a dare un ‘idea del suo valore economico e/o attrattivo,  per indurre i potenziali consumatore a partecipare al concorso.

Diritto di marchio tra parodia e free speech: nuova applicazione di Jack Daniel’s Properties, Inc. v. VIP Products LLC, del 2023 da parte del 9 circuito

Lisa Ramsey su Mastodon ci notizia di PUNCHBOWL, INC., vs. AJ PRESS, LLC, appello 9 circuito, 12.01.2024, No.21-55881.

La decisione è abbastanza facile.

Applica la regola, posta da Jack Daniel’s Properties, Inc. v. VIP Products del 2023, per cui il Roger test (esonero da legge marchi se c’è A) vero free speech/rilevanza artistica, e B) assenza di esplicit misleading del consumatori) non si applica quando il segno altrui è usato come marchio.

REgola di buon senso, emergente pure dal nostro art. 21 cod. propr. ind. (ove però manca una previsione regolante il conflitto tra marchio ed esercizio della livbertà di espressione)

Diritto di marchio vs. diritto alla parodia del marchio stesso : la lite sul marchio VANS

Lisa Ramsey su Twitter (X)  segnala  un articolo da Bloomberg law che offre il link all‘Appello del 2 circuito 5 dicembre 2023, docket No. 22-1006, Vans v. MSCHF.

Il caso è intreressante , affrontando un tema di attualità: il rapporto tra diritto di marchio e quello di parodia, da inserire nel diritto alla libetà di parola.

Il problema nasce quando il secondo è esercitato da imprenditori (anche gli artisti allora possono esserlo ed anzi lo sono nel diritto della concorrenza): c’è infatti il sospetto che vogliano lucrare sulla notorietà altrui.

La corte fa qui prevalere il diritto di marchio, appellandosi alla sentenza Supreme Court del 2023  Jack Daniel’s Properties, Inc. v. VIP Products LLC e a un precedente imprtante in del 2 circuito Rogers v. Grimaldi dek 1989  per cui la parodia va bene solo se e fino a che non generi confondibilità:

<<The Supreme Court’s decision in Jack Daniel’s forecloses MSCHF’s argument
that Wavy Baby’s parodic message merits higher First Amendment scrutiny under Rogers. As the Court held, even if a defendant uses a mark to parody the
trademark holder’s product, Rogers does not apply if the mark is used “‘at least in
part’ for ‘source identification.’” Id. at 156 (quoting Tommy Hilfiger Licensing, Inc.,
v. Nature Labs, LLC, 221 F. Supp. 2d 410, 414–15 (S.D.N.Y. 2002)).
Here, MSCHF used Vans’ marks in much the same way that VIP Products
used Jack Daniel’s marks—as source identifiers. As discussed above and
illustrated below, VIP Products used the Jack Daniel’s bottle size, distinctive
squared-off shape, and black and white stylized text to invoke an image of Jack
Daniel’s famous whiskey bottle.
Jack Daniel’s, 599 U.S. 148–49.
Likewise, MSCHF’s design evoked myriad elements of the Old Skool
trademarks and trade dress. Among other things, MSCHF incorporates, with
distortions, the Old Skool black and white color scheme, the side stripe, the
perforated sole, the logo on the heel, the logo on the footbed, and the packaging.
See Part I, above. MSCHF included its own branding on the label and heel of the
Wavy Baby sneaker, just as VIP Products placed its logo on the toy’s hangtag. But
even the design of the MSCHF logo evokes the Old Skool logo. And unlike VIP
Products, MSCHF did not include a disclaimer disassociating it from Vans or Old
Skool shoes. See Jack Daniel’s, 599 U.S. at 150 (noting the dog toy included a
disclaimer that read: “This product is not affiliated with Jack Daniel Distillery”).
A trademark is used as a “source identifier” when it is used “to identify or
brand a defendant’s goods or services” or to indicate the “‘source or origin’ of a
product.” Id. at 156 (alterations adopted). MSCHF used Vans’ trademarks—
particularly its red and white logo—to brand its own products, which constitutes
“quintessential ‘trademark use’” subject to the Lanham Act. Id. at 155 (citation
omitted); see also Harley-Davidson, Inc. v. Grottanelli, 164 F.3d 806, 812–13
(mechanic’s use of Harley-Davidson’s bar and shield motif in his logo, despite
the “humorous[]” message, was traditional trademark use subject to the
likelihood of confusion analysis).
Moreover, although MSCHF did not purport to sell the Wavy Baby under
the Vans brand, it admitted to “start[ing]” with Vans’ marks because “[n]o other
shoe embodies the dichotomies—niche and mass taste, functional and trendy,
utilitarian and frivolous—as perfectly as the Old Skool.” Jt. App’x at 353. In
other words, MSCHF sought to benefit from the “good will” that Vans—as the
source of the Old Skool and its distinctive marks—had generated over a decades-
long period. See Jack Daniel’s, 599 U.S. at 156. Notwithstanding the Wavy Baby’s
expressive content, MSCHF used Vans’ trademarks in a source-identifying
manner. Accordingly, the district court was correct when it applied the
traditional likelihood-of-confusion test instead of applying the Rogers test>>.

La composizione del conflitto di interssi è ragionevole: ok alla parodia e alla libertà di espressine, ma in termini chiari e non equivoci (cioè senza alcun rischio di confondibilità).

La parodia come interesse antagonista della privativa di marchio è tema ancora non affrontato sistematicamente.

Pur se non espressamente previsto  (art. 14 dir. 2015/2436; a differenza dal diritto di autore: dir. 29-2001 art. 5.3.k), è però in generale da ammettere. Resta il compito di individuarne i confini e cioè di conciliarlo con il diritto di marchio.

Marchio “Emoji” usato solo a fini descrittivi della propria attività

Eric Goldman dà notizia di NORTHERN DISTRICT Court OF ILLINOIS
EASTERN DIVISION 29 settembre 2023, No. 22-cv-2378, Emoji company v. vari soggetti .

La convenuta aveva usato il marchio denominativo (la parola) “Emoji” nel descrivere i propri prdotti, dato che vendeva stickers che ricordavano la forma di emojis.

Si tratta di fair use secondo il diritto dei marchi usa  (da noi art. 21 c.1 c.p.i., xa vedere se lettere b) o c)), dice la corte.

Là è l’argt. 15 US Core § 1115.b. (4): << That the use of the name, term, or device charged to be an infringement is a use, otherwise than as a mark, of the party’s individual name in his own business, or of the individual name of anyone in privity with such party, or of a term or device which is descriptive of and used fairly and in good faith only to describe the goods or services of such party, or their geographic origin;>> (la Corte non menziona la fattispecie sub (4), ma altre paiono non adatte)

Interessante è anche la questione della volgarizzazione del segno.

La corte dice che, impregiudicato se lo sia per digital icons, non lo è per altri prodottio come gli stickers fisici sub iudice: <<But those facts do not strip Emoji Company of trademark protection for the term “emoji”
on classes of products other than digital icons, such as, as relevant here, stickers. That’s because
“emoji” is not a generic term for stickers or emoji-themed stickers. See McCarthy, supra at 12:1
(stating that when a name is generic, “the name of the product answers the question ‘What are
you?’”); see also H.D. Michigan, Inc., 496 F.3d at 760 (“A company’s name may be generic as to
one of its products, but not generic as to its other products, even those related to the first
product. Two Second Circuit decisions illustrate this principle. In one, the court . . . held that the
word ‘safari’ is generic as applied to a type of khaki hat and jacket, but not generic as applied to
boots, shoes, shirts, ice chests, and tobacco. See Abercrombie & Fitch Co. v. Hunting World Inc.,
537 F.2d 4, 11-12 (2d Cir. 1976). In another, the court held that the word ‘self-realization’ is a
generic name for a yoga organization (people performing yoga attempt to attain self-realization),
but descriptive as applied to yoga books and classes. See Self–Realization Fellowship Church v.
Ananda Church of Self–Realization, 59 F.3d 902, 909-10 (9th Cir. 1995).”). Thus, Winlyn has not
shown that Emoji Company has a less-than-likely shot at success on the merits on the basis that its
mark is generic and therefore unprotectable>>.

Questa la pubblicità della covnenuta (su Amazon; immagine rpesa dal blog di Eric Goldman):

Marchio e ricambisti indipendenti : il caso della mascherina del radiatore riproducente il marchio Audi nel supporto per fissarci il marchio originale

Molto intessante (pure se assai altrettanto particolare…) caso C-334/22 Audi AG v. GQ, nel quale l’avvocato generale Medina ha presentato il 21.09.2023 le sue conclusioni.

Ne dà notizia Marcel Pemsel in IPKat ove anche una riproduzione della mascherina (assente nel documento con le Conclusioni):

Per l’ AG,  non si impinge nella privativa.

La risposta è condivisibile.

Successivamente l’AG si occupa del caso in cui la Corte non lo segua. Dice che allora non si può applicare la limitazione posta dall’art. 14.1.c) del reg. 2017/1001, per  cui <<Il diritto conferito dal marchio UE non consente al titolare di impedire ai terzi l’uso in commercio: (…) c) del marchio UE per identificare o fare riferimento a prodotti o servizi come prodotti o servizi del titolare di tale marchio, specie se l’uso di tale marchio è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio>>.

Letteralmente non è applicabile, è vero. La questione è intricata : una risposta affermativa non mi parrebbe a prima vista impossibile, anche se meriterebbe analisi approfondita

Sfruttamento della rinomanza del marchio altrui o lecita parodia? La Corte Suprema parteggia per il titolare del marchio in JACK DANIEL’S PROPERTIES, INC. v. VIP PRODUCTS LLC

Ecco la decisione della Corte Suprema 8 giugno 2023, No. 22–148, in JACK DANIEL’S PROPERTIES, INC. v. VIP PRODUCTS LLC.

Il tema dei confini della lecita parodia/satira rispetto allo sfruttamento della notorietà altrui è sempre difficile da trattare. O meglio, quello del se e in che limiti possa darsi diritto di espressione ad imprese commerciali: agendo per lucro, infatti,  è plausibile che le loro condotte mirino al lucro , invece che contribuire al democratico dibattito nella società (marketplace of ideas). Ma allora il problema potrebbe allargarsi dato che qualunque artista professionista agisce anche per lucro: viene meno la creatività? No di certo.

Comunque la Corte taglia corto: non si può nemmeno discutere di diritto di parola e di parodia (espresamente prevista, si badi,  dal 15 US code § 1125.(c)(3)(A)(ii)) quando avviene nell’ambito di attività commerciale e integrando direttamente la fattispecie tipica di violazione di marchio altriu.

Il noto Rogers test che si applica appunto nella questione violazione di privativa vs. diritto di parola (per gli expressive works)  non si applica, cassando la decisione di appello del 9 circuito.

Dal Syllabo:

<<(b) In this case, VIP conceded that it used the Bad Spaniels trademark and trade dress as source identifiers. And VIP has said and done more in the same direction with respect to Bad Spaniels and other similar products. The only question remaining is whether the Bad Spaniels trademarks are likely to cause confusion. Although VIP’s effort to parody Jack Daniel’s does not justify use of the Rogers test, it may make a difference in the standard trademark analysis. This Court remands that issue to the courts below. Pp. 17–19.
2. The Lanham Act’s exclusion from dilution liability for “[a]ny noncommerical use of a mark,” §1125(c)(3)(C), does not shield parody, criticism, or commentary when an alleged diluter uses a mark as a designation of source for its own goods. The Ninth Circuit’s holding to the contrary puts the noncommercial exclusion in conflict with the statute’s fair-use exclusion. The latter exclusion specifically covers uses “parodying, criticizing, or commenting upon” a famous mark owner, §1125(c)(3)(A)(ii), but does not apply when the use is “as a designation of source for the person’s own goods or services,” §1125(c)(3)(A). Given that carve-out, parody is exempt from liability only if not used to designate source. The Ninth Circuit’s expansive view of the noncommercial use exclusion—that parody is always exempt, regardless whether it designates source—effectively nullifies Congress’s express limit on the fair-use exclusion for parody. Pp. 19–20.>>

e poi da p. 2 della sentenza:

<<Today, we reject both conclusions. The infringement issue is the more substantial. In addressing it, we do not decide whether the threshold inquiry applied in the Court of Appeals is ever warranted. We hold only that it is not appropriate when the accused infringer has used a trademark to designate the source of its own goods—in other words, has used a trademark as a trademark. That kind of use falls within the heartland of trademark law, and does not receive special First Amendment protection. The dilution issue is more simply addressed. The use of a mark does not count as non commercial just because it parodies, or otherwise comments on, another’s products>>.

Da noi l’art. 21 c.p.i. non prevede l’uso lecito come parodia nè diritto di espressione.

V. ora il post 21 giugno u.s. di Lisa Ramsey, Resolving Conflicts Between Trademark and Free Speech Rights After Jack Daniel’s v. VIP Products (Guest Blog Post).  e tra i saggi più impegnati Jack Daniel’s vs. Bad Spaniels—Does a Dog Toy Get Heightened First Amendment Protection? di Jelena Laketić nel Berkeley Technology Law Journal.

V. ora l’interessante saggio dei proff. Tushnet e Lemley, 11.01.2024, “First Amendment Neglect in Supreme Court Intellectual Property Cases” .

Ferrari perde la lite in Cassazione circa la proteggibilità del suo marchio nel caso di riproduzione su modellini

Cass. sez. 1 del 3 novembre 2022 n° 32.408, rel. Fidanzia, Ferrari spa c. Brumm snc [per incidens: ragione sociale “leggermente” descrittiva e per nulla distintiva, come però presupposto dall’art. 2567 cc], conferma la sentenza di appello bolognese, secondo la quale  è lecita la riproduizione del mrchi Ferrari sui modellini di automobile.

Non ci sono ragionamenti giuridici di rilievo, limitandosi la SC a censurare i motivi di ricorso perchè non atti a scalfire l’argomentazione della sentenza di secondo grado.

L’unico spunto è quello del dover dare pedisequa attuazione ai comandi presenti nel precedente europeo della corte di giustizia nell’analoga lite promossa da Opel contro un produttore tedesco di modellini (CG 25.01.2007, C-48/05, Adam Opel aG c. Autec AG).

Riporto solo questo passo:

<<In sostanza, la Corte di Giustizia, nell’escludere che l’uso del segno sui modellini in miniatura di autoveicoli abbia natura descrittiva e sia quindi, come tale, sempre lecito (purché comunque conforme ai principi della correttezza professionale), non ha, d’altra parte, ritenuto che lo stesso uso, effettuato in funzione chiaramente non distintiva (ma ornamentale), sia illecito solo perché non scriminato a norma dell’art. 6 n. 1 lett b) n. 89/104: dovrà essere il giudice di merito a valutare in concreto se l’uso in oggetto sia stato “privo di giusta causa” tale da consentire all’utilizzatore di trarre “indebitamente” vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio, in quanto marchio registrato per autoveicoli, ovvero abbia arrecato pregiudizio a tali caratteristiche del marchio.

L’accertamento della sussistenza o meno della contraffazione del marchio che gode di rinomanza non può quindi che avvenire sulla base dei parametri di cui all’art. 5 n. 2 della direttiva, che corrispondono a quelli del D.Lgs. n. 30 del 2005, art. 20, lett. c).

Orbene, la Corte d’Appello di Bologna, facendo corretto uso dei principi di diritto sopra enunciati, con argomentazioni idonee che non sono state minimamente censurate sotto il profilo del vizio di motivazione di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (come interpretato dalle S.U. di questa Corte con sentenza n. 8053/2014), ha, in primo luogo, osservato che le fedeli riproduzioni della autovetture Ferrari realizzate dalla Brumm non hanno arrecato alcun pregiudizio neppure potenziale alle funzioni dei marchi Ferrari, essendo, anzi, emersa in giudizio la prova contraria.

In particolare, il giudice di secondo grado, sul rilievo che alcuni modellini Brumm di autovetture Ferrari d’epoca sono addirittura esposti nella stessa galleria Ferrari a (Omissis), e che recensioni di automodelli Ferrari prodotti a Brumm sono rinvenibili in varie riviste di settore, inclusa la “Ferrari Wordl”, ha tratto la coerente conclusione che l’uso del segno Ferrari da parte della Brumm non ha abbia in alcun modo danneggiato il marchio celebre della società ricorrente.

Inoltre, se è pur vero che la Corte d’Appello ha, in modo impreciso, affermato la natura descrittiva dell’uso, da parte della Brumm, del segno Ferrari sui modellini in oggetto – sul punto la motivazione della Corte territoriale deve essere corretta a norma dell’art. 384 c.p.c., u.c. – tuttavia, il giudice d’appello, oltre ad escludere per tale uso l’effetto confusorio sul consumatore medio finale (sul punto, le censure della ricorrente si appalesano chiaramente inammissibili) ha, altresì, escluso che l’indicazione del marchio “Cavallino Rampante” sulle confezioni contenenti i modellini, in quanto apposta accanto al marchio Brumm, non avesse una funzione evocativa del marchio e della qualità del prodotto Ferrari (vedi pagg. 5 e 8 sentenza impugnata)>>.

Diritto di marchio bloccato dal diritto di espressione (Primo Emendamento)

Saber è licenzitario esclusvii di diritto di IP su un trattore, che usa nei videgiochi da lui prodotti. Si accorge che un concorrente (Oovee) usa il medesimo trattore nei suoi videogiochi (e sulla medesima piattaforma)  : agisce  allora in corte.

Questione assi interessante a livello teorico.

La West. D.C. of Washingotn at Seattle 6 ottobre 2022 Case 2:21-cv-01201-JHC Saber INteractive c. Oovee + 3 , tuttavia, rigetta perchè i videogiochi del convenuto costituiscono expressive speech protetto dal Primo Emendamento.

<<Generally, courts apply the “likelihood-of-confusion test” when evaluating an
infringement claim under the Lanham Act.
Gordon v. Drape Creative, Inc., 909 F.3d 257, 264
(9th Cir. 2018) (citation omitted). But when “artistic expression is at issue,” the likelihood-ofconfusion test “fails to account for the full weight of the public’s interest in free expression.”
VIP Prod. LLC v. Jack Daniel’s Properties, Inc., 953 F.3d 1170, 1174 (9th Cir. 2020) (quoting
id.). “Section 43(a) protects the public’s interest in being free from consumer confusion about
affiliations and endorsements, but this protection is limited by the First Amendment, particularly
if the product involved is an expressive work.”
>>

Se l’uso del marchio altrui costituisca artistic expression, è giudicato in base alle regole poste da Rogers v. Grimaldi del 1989: precedente importante, invocato ad es. di recente anche dal giudice newyorkese nel decidere il caso sugli NFTs Hermes v. Rotschild,  su cui mio post ).

La Corte ritiene che il videogioco sia un expressive work: < Saber’s complaint states that “Spintires is an off-roading simulation that allows users to
navigate a wilderness environment in particular vehicles,” that “
Spintires allows a user to pick a
vehicle and then drive it around in the simulated world,” and that it tries to “duplicate the realworld experience of driving a particular vehicle.”
Id. at 9–10. Users interact with the virtual
world by selecting a vehicle (which is like a character) and by navigating the virtual environment
(which is like a plot). These features render the work expressive, like the video games in Brown
and VIRAG. See also Novalogic, Inc. v. Activision Blizzard, 41 F. Supp. 3d 885, 898 (C.D. Cal.
2013) (holding that the video game
Call of Duty
is an expressive work because the game features
“distinctive characters,” requires that the players “interact with the virtual environment as they
complete a series of combat missions,” and allows players to “control the fate of characters and
the world they inhabit”)>>.

Passaggi successivi: l’attore non dimosra che la artisticità prodotta dal trattore altrui è inconsistente, p. 11, nè che l’inserimento del medesimo nel videogioco è  “esplicitly misleading”, p. 11 ss.

Quindi la domanda è rigettata.

E’ poi rigettata anche quella basata su trade dress (imitazione servile, suppergiù)

Da noi in un caso analogo potrebbe forse essere pertinente l’art. 21  cod. propr. ind. (spt. c.2 oppure c.1 n. 3) , che vieta al titolare del marchio di usarlo in modo da ledere altrui diritti esclusivi di terzi, o la tutela costituzionale della libertà artistica.

Si trata della scivolosa questiopne degli usi c.d referenziali del marchio altrui.

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)