Accesso abusivo in conto corrente online e inadempimento contrattuale

Cass. 20.05.2022 n. 16.417, rel. Caiazzo, affronta (sommariamente) il tema della sottrazione di somme a seguito di accesso ad un conto on line, eseguito tramite le credenziali del titolare (che evidentemente il terzo in qualche modo si era illecitamente procurate).

In generale, <<in tema di prova dell’adempimento di un’obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento, deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della dimostrazione del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, o dall’eccezione d’inadempimento del creditore ex art. 1460 c.c. (Cass., n. 25584/18; n. 3587/21; SU, n. 13533/01).>>

In particolare, <<nell’ambito del rapporto di conto corrente, con modalità telematiche, tale regula juris declina la responsabilità della banca per operazioni effettuate a mezzo di strumenti elettronici, con particolare riguardo alla verifica della loro riconducibilità alla volontà del cliente mediante il controllo dell’utilizzazione illecita dei relativi codici da parte di terzi, ha natura contrattuale e, quindi, va esclusa se ricorre una situazione di colpa grave dell’utente. [non chiara la costrizione sintattica del periodo …]

Orbene, la Corte territoriale ha adottato una ratio erronea in quanto se, da un lato, riconosce che manca un comportamento colposo della M., violando la suddetta regola di diritto ex art. 1218 c.c., le attribuisce la responsabilità del prelievo dal conto corrente, senza peraltro indicarne il titolo.

Invero, la ricorrente ha correttamente allegato la fattispecie d’inadempimento ascritta alla banca, consistente nel non aver impedito l’illecito prelievo, mentre l’istituto bancario non ha eccepito un fatto estintivo o impeditivo della pretesa della controparte.

In sostanza, la sentenza impugnata ha ascritto alla ricorrente una responsabilità per fatto altrui del tutto estranea, come noto, al nostro ordinamento giuridico, presumendo del tutto astrattamente che la ricorrente avrebbe potuto omettere una misura di cautela inerente al corretto utilizzo dell’operatività del conto corrente online, senza alcun riferimento ad una concreta condotta, commissiva od omissiva, della correntista.

Invece, la banca non ha eccepito un fatto estintivo del diritto fatto valere dall’attrice consistente nella violazione delle norme prudenziali che informano le modalità d’uso dei rapporti di conto corrente telematico.>>

La maggior difficoltà teorico è se sia stata correttamente allegato l’inadempimento della banca semplicemente affermando che non aveva <impedito l’illecito prelievo>, senza altri aggiungere.

Astrattamente infatti l’allegazione è troppo generica , visto che da essa non si evince alcuna negligenza della banca (rimane infatti incerto se l’accesso abusivo sia avvenuto per negligenza della banca o della correntista).

Resta da capire se, data la enorme asimmetria di potere nel rapporto (il sistema informatico è totalmente in mano alla banca) , possa ugualmente bastare questa allegazione.

La SC non menziona alcuna norma speciale regolanti la materia , ad es. quelle sui servizi di pagamento in cui la fattispecie forse rientra.

Ad es. l’art. 126 bis. c. 4 T.U. Bancario , <<Spetta al prestatore dei servizi di pagamento l’onere della prova di aver correttamente adempiuto agli obblighi previsti dal presente capo>>

Oppure il d. lgs. 11 del 17.01.2010, artt. 7-14. Ad es. si v. l’art. 10 Prova di autenticazione ed esecuzione delle operazioni di pagamento, secondo cui :

<< 1. Qualora l’((utente)) di servizi di pagamento neghi di aver autorizzato un’operazione di pagamento gia’ eseguita o sostenga che questa non sia stata correttamente eseguita, e’ onere del prestatore di servizi di pagamento provare che l’operazione di pagamento e’ stata autenticata, correttamente registrata e contabilizzata e che non ha subito le conseguenze del malfunzionamento delle procedure necessarie per la sua esecuzione o di altri inconvenienti.

((1-bis. Se l’operazione di pagamento e’ disposta mediante un prestatore di servizi di disposizione di ordine di pagamento, questi ha l’onere di provare che, nell’ambito delle proprie competenze, l’operazione di pagamento e’ stata autenticata, correttamente registrata e non ha subito le conseguenze del malfunzionamento delle procedure necessarie per la sua esecuzione o di altri inconvenienti connessi al servizio di disposizione di ordine di pagamento
prestato.))
((2. Quando l’utente di servizi di pagamento neghi di aver autorizzato un’operazione di pagamento eseguita, l’utilizzo di uno strumento di pagamento registrato dal prestatore di servizi di pagamento, compreso, se del caso, il prestatore di servizi di disposizione di ordine di pagamento, non e’ di per se’ necessariamente sufficiente a dimostrare che l’operazione sia stata autorizzata dall’utente medesimo, ne’ che questi abbia agito in modo fraudolento o non abbia adempiuto con dolo o colpa grave a uno o piu’ degli obblighi di cui all’articolo 7. E’ onere del prestatore di servizi di pagamento, compreso, se del caso, il prestatore di servizi di disposizione di ordine di pagamento, fornire la prova della frode, del dolo o della colpa grave dell’utente.))
>>.

Decadenza dal marchio per non uso quinquennale e relativo onere della prova

La Corte di Giustizia UE del 10.03.2022, C-183/21, Maxxus Group GmbH c. Globus Holding GmbH, inteviene sull’oggetto precisando che :

i) la questione dell’onere della prova del non uso decadenziale è armonizzata : quindi non è lasciata ai diritti nazionali, § 33.

ii) spetta al titolare della registrazione provare il proprio uso, non alla controparte provare il fatto negativo del non uso (quest’ultima quindi avrà solo l’onere di allegazione, però piuttosto semplice: basta letteralmente affermare il non uso protratto per cinque annu), §§ 35 ss.

Nessun ragionamento particolarmente interessante.

Nel caso specifico la Corte ha deciso quindi che osta a tale interpretazione la normativa nazionale che pone qualche onere probatorio anche in capo all’impugnante il marchio.

Da noi la questione è pacificamente disciplinata nello stesso senso, alla luce dell’attuale versione dell’art. 121 cod.propr. ind.

Oscuro tentativo di distinguere tra onere di allegazione e onere della prova da parte del giudice del rinvio (v. questione sollevata sub a), al § 23)

Violazione del dovere di gestione conservativa da parte del liquidatore (art. 2486 cc)

Cass, n. 198 del 05.01.2022 , rel. Fidanzia, affronta la non facile questione del riparto di onere probatorio (ma anche allegatorio) per la curatela, quando cita in giudizio il liquidatore per violazione del dovere di gestione conservativa.

< 3. (….) In ordine al primo requisito, va osservato che questa Corte ha specificamente affrontato la questione degli oneri di allegazione e probatori relativi alla violazione dell’obbligo dell’amministratore, dopo il verificarsi di una causa di scioglimento, di porre in essere solo operazioni di natura conservativa dell’integrità e del valore del patrimonio nella pronuncia n. 2156/2015, nella quale è stato perentoriamente affermato che la sentenza che ponga a carico della curatela l’onere di dimostrare l’assenza della finalità liquidatoria degli atti posti in essere dagli amministratori incorre nella violazione del precetto legale sulla ripartizione dell’onere della prova ex art. 2697 c.c., ed è come tale censurabile in Cassazione per violazione di legge.

E’ stato, in particolare, osservato che la parte che agisce in giudizio (la curatela) ha l’onere di allegare e provare l’esistenza dei fatti costitutivi della domanda, cioè la ricorrenza delle condizioni per lo scioglimento della società e il successivo compimento di atti negoziali da parte degli amministratori, ma non è tenuta, invece, a dimostrare che tali atti siano anche espressione della normale attività d’impresa e non abbiano una finalità liquidatoria. Spetta, infatti, agli amministratori convenuti di dimostrare che tali atti, benché effettuati in epoca successiva allo scioglimento, non comportino un nuovo rischio d’impresa (come tale idoneo a pregiudicare il diritto dei creditori e dei soci) e siano giustificati dalla finalità liquidatoria o necessari.>>

Questione difficile, probabilmente non scioglibile in generale, ma solo in base ai fatti specifici dedotti: per alcuni di essi, spetterà alla curatela l’onere di provare la violazione;  per altri, spetterà al liquidatore provare che , nonostante l’apparenza, l’atto censurato era coerente col fine conservativo.

Responsabilità sanitaria da emotrasfusiioni e onere della prova a carico del danneggiato

Cass. 22.04.2021 n. 10.592 si è occupata dell’onere della prova in tema di danno derivato da emotrasfusioni di sanguie ingfetto (virus HCV).

All’attrice va bene in prim ogrado ma male in secondo.

Ricorre dunque perchè <erroneamente la Corte d’appello ha addossato ad essa attrice l’onere di allegare e provare che l’ospedale di Caltagirone eseguì la trasfusione con sacche di plasma prelevate da un proprio centro trasfusionale>.

La SC accoglie così:

<<Il motivo è fondato. In primo grado l’attrice a fondamento della colpa dell’azienda ospedaliera aveva allegato – in sintesi – che l’obbligo di assistenza sanitaria gravante sull’ospedale comportava la garanzia del risultato di non infettare il paziente, ed aveva invocato il principio res ipsa loquitur, in virtù del quale il fatto stesso dall’infezione dimostrava di per sé che l’ospedale aveva tenuto una condotta colposa.

L’attrice dunque, nell’atto introduttivo del giudizio, aveva: -) allegato di avere subito un danno alla salute in conseguenza di un trattamento sanitario; -) invocato la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria.

L’attrice, pertanto, aveva compiutamente assolto in primo grado l’onere di allegazione dei fatti costitutivi della domanda: tale onere, infatti, quando venga invocata la responsabilità contrattuale si esaurisce nella allegazione dell’esistenza del contratto e di una condotta inadempiente.

L’attrice, di conseguenza, non aveva alcun onere di allegare e spiegare come, quando e in che modo l’ospedale di Caltagirone si fosse approvvigionato delle sacche di plasma risultate infette. Ad essa incombeva il solo onere di allegare una condotta inadempiente del suddetto ospedale.

Era, per contro, onere della struttura sanitaria allegare e dimostrare, ai sensi dell’articolo 1218 c.c., di avere tenuto una condotta irreprensibile sul piano della diligenza. Ne discende che la Corte d’appello, dinanzi alla domanda attorea sopra descritta, avrebbe dovuto in concreto accertare se l’assessorato, successore dell’azienda ospedaliera, avesse o non avesse provato la “causa non imputabile”  di cui all’articolo 1218 c.c., a nulla rilevando che l’attrice non avesse “allegato che l’ospedale abbia provveduto alle trasfusioni approvvigionandosi di sangue tramite un proprio centro trasfusionale”.

Per quanto detto, infatti, la circostanza che l’ospedale provvedesse o non provvedesse da sé all’approvvigionamento di plasma non era un fatto costitutivo della domanda, ma era un fatto impeditivo della stessa, che in quanto tale andava allegato e provato dall’amministrazione convenuta. Trascurando di stabilire se l’assessorato avesse fornito tale prova, pertanto, la Corte d’appello ha effettivamente violato gli articoli 1218 e 2697 c.c..>>

Più o meno giusto, ci pare, difficile dire stante la scarsa comprensibilità dei fatti storici.

Solo due considerazioni:

1) la SC si occupa dell’onere di allegazione, non dell’onere della prova (questa è la lettera della motivazione; e poi , altrimenti pensando, avrebbe dovuto occuparsi della distribuzione del relativo tema , alla luce di Cass. sez.un. n. 13.533 del 30 ottobre 2001 ) ;

2) è vero che basta allegare l’inadempimento del debitore, ma appunto ciò significa anche individuarlo con precisione. Non basta dire <sei stato inadempiente>: bisogna dire in che mdo. Il punto allora  è capire se ciò fu fatto. Se si tiene conto di quanto esposto sub 2.1 (In primo grado l’attrice a fondamento della colpa dell’azienda ospedaliera aveva allegato – in sintesi – che l’obbligo di assistenza sanitaria gravante sull’ospedale comportava la garanzia del risultato di non infettare il paziente, ed aveva invocato il principio res ipsa loquitur, in virtù del quale il fatto stesso dall’infezione dimostrava di per sé che l’ospedale aveva tenuto una condotta colposa), la cosa  è dubbia. Si può però dire che dal passo esposto l’attrice aveva dedotto la violazione di una garanzia, più che di un obbligo; oppure che -ma si tratta di onere della prova, non dell’allegazione- che fossa stata data pure la prova in base al riparto dell’onere prova distribuito come insegnato dalla cit. Cass. s.u. 13.533/2001 (criterio della vicinanza alla prova).

Sull’autonomia del danno morale da quello biologico

Il danno morale  è concettualmente e giuridicamente distinto dal danno biologico.

Lo dice Cass. 10.11.2020 n. 25.164.

Cita alcuni precedenti in § 3.1

Per poi dire: <<Trova definitiva conferma normativa, come già da tempo  affermato da questa Corte, il principio della autonomia del danno morale rispetto al danno biologico, atteso che il sintagma “danno morale” 1) non è suscettibile di accertamento medico-legale; 2) si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d’animo di sofferenza interiore, che prescinde del tutto (pur potendole influenzare) dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato.>>, § 3.1.2.

A ciò segue che nella liquidazione del danno alla salute, il giudice del merito dovrà:

<< 1) accertare l’esistenza, nel singolo caso di specie, di un eventuale concorso del danno dinamico-relazionale e del danno morale;        2) in caso di positivo accertamento dell’esistenza (anche) di quest’ultimo, determinare il quantum risarcitorio applicando integralmente le tabelle di Milano, che prevedono la liquidazione di entrambe le voci di danno, ma pervengono (non correttamente, per quanto si dirà nel successivo punto  3) all’indicazione di un valore monetario complessivo (costituito dalla somma aritmetica di entrambe le voci di danno);        3) in caso di negativo accertamento, e di conseguente esclusione della componente morale del danno (accertamento da condurre caso per caso, secondo quanto si dirà nel corso dell’esame del quarto motivo di ricorso), considerare la sola voce del danno biologico, depurata dall’aumento tabellarmente previsto per il danno morale secondo le percentuali ivi indicate, liquidando, conseguentemente il solo danno dinamico-relazionale,           4) in caso di positivo accertamento dei presupposti per la cd. personalizzazione del danno, procedere all’aumento fino al 30% del valore del solo danno biologico, depurato, analogamente a quanto indicato al precedente punto 3, dalla componente morale del danno automaticamente (ma erroneamente) inserita in tabella, giusta il disposto normativo di cui al già ricordato art. 138, punto 3, del novellato codice delle assicurazioni.>>, § 3.1.3.

Sotto il profilo allegatorio probatorio, scema l’importanza della distinzione onere allegatorio/onere probatorio, <<atteso che, considerata la dimensione eminentemente soggettiva del danno morale, alla sua esistenza non corrisponde sempre una fenomenologia suscettibile di percezione immediata e, quindi, di conoscenza ad opera delle parti contrapposte al danneggiato.>>, § 4.1.4.

Ad un così puntuale onere di allegazione, <<la cui latitudine riflette la complessità e multiformità delle concrete alterazioni in cui può esteriorizzarsi il danno non patrimoniale che, a sua volta, deriva dall’ampiezza contenutistica dei diritti della persona investiti dalla lesione ingiusta – non corrisponde, pertanto, un onere probatorio parimenti ampio. Esiste, difatti, nel territorio della prova dei fatti allegati, un ragionamento probatorio di tipo presuntivo, in forza del quale al giudice è consentito di riconoscere come esistente un certo pregiudizio in tutti i casi in cui si verifichi una determinata lesione – sovente ricorrendosi, a tal fine, alla categoria del fatto notorio per indicare il presupposto di tale ragionamento inferenziale, mentre il riferimento più corretto ha riferimento alle massime di esperienza (i fatti notori essendo circostanze storiche concrete ed inoppugnabili, non soggette a prova e pertanto sottratte all’onere di allegazione)>>, § 4.1.5.

La massima di esperienza, difatti, <<non opera sul terreno dell’accadimento storico, ma su quello della valutazione dei fatti, è regola di giudizio basata su leggi naturali, statistiche, di scienza o di esperienza, comunemente accettate in un determinato contesto storico-ambientale, la cui utilizzazione nel ragionamento probatorio, e la cui conseguente applicazione, risultano doverose per il giudice, ravvisandosi, in difetto, illogicità della motivazione, volta che la massima di esperienza può da sola essere sufficiente a fondare il convincimento dell’organo giudicante.                     Tanto premesso, non solo non si ravvisano ostacoli sistematici al ricorso al ragionamento probatorio fondato sulla massima di esperienza specie nella materia del danno non patrimoniale, e segnatamente in tema di danno morale, ma tale strumento di giudizio consente di evitare che la parte si veda costretta, nell’impossibilità di provare il pregiudizio dell’essere, ovvero della condizione di afflizione fisica e psicologica in cui si è venuta a trovare in seguito alla lesione subita, ad articolare estenuanti capitoli di prova relativi al significativo mutamento di stati d’animo interiori da cui possa inferirsi la dimostrazione del pregiudizio patito.                   Del resto, alla base del parametro standard di valutazione che è alla base del sistema delle tabelle per la liquidazione del danno alla salute, altro non v’è se non un ragionamento presuntivo fondato sulla massima di esperienza per la quale ad un certo tipo di lesione corrispondono, secondo l’id quod plerumque accidit, determinate menomazioni dinamico-relazionali, per così dire, ordinarie.               Un attendibile criterio logico-presuntivo funzionale all’accertamento del danno morale quale autonoma componente del danno alla salute (così come di qualsiasi altra vicenda lesiva di un valore/interesse della persona costituzionalmente tutelato: Corte costituzionale n. 233 del 2003) è quella della corrispondenza, su di una base di proporzionalità diretta, della gravità della lesione rispetto all’insorgere di una sofferenza soggettiva: tanto più grave, difatti, sarà la lesione della salute, tanto più il ragionamento inferenziale consentirà di presumere l’esistenza di un correlato danno morale inteso quale sofferenza interiore, morfologicamente diversa dall’aspetto dinamico relazionale conseguente alla lesione stessa>>, § 4.1.6.

In controtendenza quindi rispetto alla tendenza ad unificare dette due voci di danno.