Summa della disciplina del pagamento tramite intermediari finanziari

Cass. sez. I, ord. 25/06/2024  n. 17.415, rel. Campese, circa l’errore compiuto dalla banca mandataria eseguendo un bonifico ordinato dalla sua cliente (accredito a beneficiario errato).

I passi principali:

<<2.3. Fermo quanto precede, rileva il Collegio che l’odierna controversia si inserisce in un filone consistente di procedimenti instaurati dal solvens o (come accaduto nella specie) dal creditore effettivo avverso un istituto di credito per esecuzione di un bonifico in favore di un soggetto diverso da quello voluto dal cliente. Come sottolineatosi in dottrina, al suo interno si possono distinguere scenari diversi: lo sbaglio può spiegarsi per un errore materiale nella digitazione di un IBAN che pure era noto correttamente al cliente (ad esempio, per distrazione), oppure può discendere da una condotta, magari anche truffaldina, che lo abbia indotto a ritenere che il conto del beneficiario corrispondesse ad un IBAN che, in realtà, si riferiva al conto del truffatore. Se l’attore è il debitore, viene generalmente convenuto l’istituto che ha effettuato l’accredito, che ben può essere un altro rispetto a quello cui era stato impartito l’ordine di bonifico, qualora debitore e beneficiario effettivo abbiano aperto conti presso banche differenti. Se l’attore è il creditore reale (come nell’odierna vicenda), al quale mai è giunto il pagamento, vengono generalmente convenuti l’intermediario del pagatore o quello del beneficiario o entrambi>>.

<<2.5.1. Può ritenersi, dunque, che la disciplina specifica sui servizi di pagamento, per quanto riguarda la responsabilità dell’intermediario ai sensi dell’art. 25 del D.Lgs. n. 11/2010, attribuisce all’IBAN la centrale funzione di filtro per determinare i casi in cui la responsabilità della mancata o inesatta esecuzione è attribuibile all’utente e quelli in cui si può procedere per accertare quale degli intermediari coinvolti nel procedimento abbia causato il malfunzionamento dell’operazione e, quindi, ne sia responsabile. Il legislatore comunitario (poi Eurounitario), come quello nazionale, ha adottato una soluzione tesa a migliorare l’efficienza e la rapidità dei pagamenti, eliminando così l’obbligo degli intermediari di controllare la congruenza dei dati bancari forniti dall’utente; tale scelta, coerente con i principi ispiratori della normativa, sebbene sembri sacrificare la tutela dell’utente rispetto a quella che gli garantirebbero i principi di diritto comune in tema di diligenza e buona fede nell’esecuzione del contratto, viene controbilanciata dall’obbligo degli intermediari di agire per cercare di recuperare la somma erroneamente trasferita>>.

<<2.6.5. Da quanto fin qui riportato si può ricavare, allora, che, ove l’intermediario, pur consapevole dell’incongruenza delle informazioni relative al pagamento, abbia dato seguito all’operazione di pagamento in favore di un beneficiario erroneo, potrà essere ritenuto responsabile nei confronti dell’utente del servizio; responsabilità che ha natura indubbiamente contrattuale se il conto corrente corrispondente all’IBAN errato è radicato presso lo stesso intermediario che detiene anche il conto del legittimo beneficiario. In questo caso, infatti, tra il prestatore del servizio ed il beneficiario che avrebbe dovuto ricevere il pagamento è in essere un rapporto contrattuale e, di conseguenza, sull’intermediario grava l’obbligo di conformare la propria condotta ai principi di buona fede e diligenza nell’esecuzione del contratto. Ciò significa che egli deve agire, nello svolgimento del mandato conferitogli, salvaguardando gli interessi dell’altra parte contrattuale, tra i quali rientra l’esecuzione corretta dell’operazione. Di conseguenza, nel caso in cui egli, consapevole dell’errore esistente nelle coordinate bancarie, abbia eseguito l’operazione secondo l’IBAN errato, può essere ritenuto responsabile ai sensi del combinato disposto degli artt. 1856,1710 e 1172 cod. civ.

2.6.5.1. Diversamente, nel caso in cui (come nella concreta fattispecie oggi all’esame del Collegio) il conto corrente di accredito sia detenuto presso un prestatore di servizi con il quale il legittimo beneficiario del pagamento non ha alcun rapporto contrattuale, la responsabilità in cui l’intermediario incorre può essere considerata contrattuale giusta la teoria del cosiddetto “contatto sociale qualificato”, in ragione della quale sulla banca grava un obbligo professionale di protezione nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine dell’operazione. Alternativamente, il legittimo beneficiario che non ha ricevuto il pagamento può agire nei confronti dell’intermediario invocandone la sua responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., con tutto ciò che ne consegue in termini di onere della prova e risarcibilità del danno patito>>.

<<

.7. Tutto quanto finora riportato dimostra, in realtà, che l’aspetto decisivo della questione di cui si discute si rivela essere, non già (o, comunque, non solo) il perimetro applicativo del disposto dell’art. 24 del D.Lgs. n. 11 del 2010, bensì il rapporto tra la norma speciale e le regole di diritto comune.

2.7.1. L’interrogativo da porsi, cioè, è se sia possibile ritenere che l’esimente da responsabilità contenuta nella normativa di settore, soprattutto ove la si ritenga applicabile, come ha mostrato di fare la corte distrettuale, anche al rapporto tra prestatore del servizio di pagamento e beneficiario che non sia titolare presso di essa di alcun conto di accredito – diversamente da quanto, invece, opinato dal Tribunale, secondo cui essa si riferiva ai rapporti tra prestatore del servizio di pagamento (banca) e utilizzatore del servizio, identificato, secondo quanto indicato alle lett. h) e f) dell’art. 1 del D.Lgs. n. 10 del 2011 (contenente la descrizione delle definizioni utilizzate nel corpo del testo), con il soggetto che utilizza il servizio bancario di pagamento in veste di pagatore o quale destinatario dei fondi oggetto dell’operazione; la norma, cioè, sarebbe applicabile (e regola la responsabilità in caso di errori nell’operazione di pagamento) esclusivamente al rapporto tra il cliente e banca inteso come rapporto tra l’ordinante il pagamento ed il proprio istituto di credito che materialmente effettua il pagamento e/o tra il destinatario del pagamento (identificato dall’identificativo unico) e la banca di quest’ultimo che riceve l’ordine di bonifico e lo accredita sul conto corrente indicato -assorba gli obblighi previsti dalla normativa generale in tema di diligenza e buona fede, escludendone l’applicazione, o se, invece, si debba tener conto di entrambe le normative, conciliandole>>.

<<2.7.3. Ne deriva, altresì, che alla base dell’esecuzione di uno o più servizi di pagamento vi è un rapporto che può definirsi come di carattere contrattuale (fosse anche solo per effetto del mero “contatto sociale qualificato” di cui si è detto) tra l’utente e l’intermediario, sicché, quest’ultimo è soggetto non soltanto alla disciplina dei servizi di pagamento (ciò vale, innanzitutto, nei rapporti tra prestatore del servizio di pagamento (banca) e utilizzatore del servizio, identificato, secondo quanto indicato alle lett. h) e f) dell’art. 1 del D.Lgs. n. 10 del 2011, – contenente la descrizione delle definizioni utilizzate nel corpo del testo – con il soggetto che utilizza il servizio bancario di pagamento in veste di pagatore o quale destinatario dei fondi oggetto dell’operazione) ma anche (allorquando, cioè, come nel caso di specie, il beneficiario non sia titolare di alcun conto di accredito presso il prestatore del servizio di pagamento) alle regole di diritto comune che gli impongono di agire secondo i principi di diligenza professionale e di eseguire l’incarico salvaguardando, nei limiti del possibile, gli interessi dell’altra parte. Si è già detto, infatti, che il disposto dell’art. 24 del D.Lgs. n. 11 del 2010 non impone agli intermediari di eseguire l’ordine di pagamento secondo l’identificativo unico, ma si limita a contemplare questo caso tra quelli in cui si può escludere la sua responsabilità ai sensi dell’art. 25 D.Lgs. n. 11/2010.

2.7.4. Muovendo, allora, dalla premessa che sull’intermediario gravano, a seconda delle due ipotesi precedentemente individuate, tanto gli obblighi di condotta previsti dalla normativa speciale quanto quelli contenuti nella normativa generale, si può giungere – coerentemente con la dottrina cui si è fatto ripetutamente cenno in precedenza – alla duplice ragionevole conclusione per cui: i) non è possibile ipotizzare che, tra gli obblighi derivanti dai principi di correttezza e diligenza professionale, ricavabili dalla normativa generale, rientri anche quello di controllare sempre che le informazioni fornite dall’utente siano corrette. Tanto, invero, non solo inficerebbe di fatto il disposto dell’art. 24 del D.Lgs. n. 11 del 2010, ma costringerebbe gli intermediari ad adottare, oltre al sistema di pagamento introdotto con la SEPA, un ulteriore sistema in grado di rilevare l’errore nei dati bancari forniti dall’utente, imponendo loro, quindi, un onere troppo gravoso e contrario agli obiettivi di efficienza e velocità nei pagamenti, perseguiti dalla disciplina comunitaria (e poi Eurounitaria); ii) le norme in tema di esecuzione del contratto non impongono all’intermediario un determinato comportamento, e, quindi, non intervengono nella sua scelta di adottare un sistema interamente automatizzato eliminando il controllo di congruità, ma intervengono solo in un momento successivo ed eventuale, cioè nella valutazione della sua condotta qualora egli, in qualunque modo, sia divenuto consapevole di un’incoerenza dei dati fornitigli e, quindi, di un presumibile errore dell’utente. In altri termini, le norme in tema di diligenza professionale e buona fede gli impongono, non già di adottare preventivamente metodi per la rilevazione dell’errore, bensì di evitare che l’errore, una volta scoperto, infici la corretta esecuzione dell’operazione di pagamento: ciò sarebbe possibile interrompendo il procedimento ed informando l’utente dell’errore e della procedura da seguire per correggerlo, conformemente a quanto disposto dall’art. 16 D.Lgs. n. 11/2010. Se, al contrario, l’intermediario, pur consapevole dell’errore, porti a termine l’operazione, egli può essere ritenuto responsabile nei confronti dell’utente per essere venuto meno ai propri doveri di diligenza e buona fede e, di conseguenza, oltre a doversi adoperare per cercare di recuperare la somma trasferita ad un beneficiario diverso da quello legittimato, così come prescritto dall’art. 24, comma 2, del citato D.Lgs., resta esposto al rischio di dover risarcire l’utente per gli eventuali danni subiti a causa dell’esecuzione dell’operazione secondo un IBAN errato. La diligenza, quindi, diventa il criterio per valutare la condotta tenuta dall’intermediario che ha avuto conoscenza dell’incongruità delle informazioni di pagamento>>.

Principio di diritto:

“In tema di responsabilità di una banca per operazioni effettuate a mezzo di strumenti elettronici, allorquando il beneficiario, nominativamente indicato, di un pagamento da eseguirsi tramite bonifico sia sprovvisto di conto di accredito presso la banca intermediaria, sicché nemmeno è utilizzabile la specifica disciplina ex art. 24 del D.Lgs. n. 11 del 2010, si applicano le regole di diritto comune, per cui grava sull’intermediaria stessa, responsabile, secondo la teoria del “contatto sociale qualificato”, nei confronti del beneficiario rimasto insoddisfatto a causa dell’indicazione, rivelatasi inesatta, del proprio IBAN, l’onere di dimostrare di aver compiuto l’operazione di pagamento, richiestagli dal solvens, adottando tutte le cautele necessarie al fine di scongiurare il rischio di un’erronea individuazione di detto beneficiario, o quanto meno, di essersi adoperata per consentirgli la individuazione del soggetto concretamente gratificato del pagamento destinato, invece, al primo, anche comunicandogli, ove necessario, i relativi dati anagrafici o societari”.

Di assai dubbia esattezza è invocare il contatto sociale qualificato: non pare possa far sorgere obbligazioni ex lege.

Diligenza dovuita dal medico del Pronto Soccorso

Cass. sez. III, ord. 25/03/2024  n. 8.036, Vincenti (testo preso da DeJure Giuffrè).

Il fatto processuale e la conferma della valutazione di appello:

<<la Corte territoriale ha, infatti, adottato un impianto giustificativo della propria decisione ben lungi dal presentare quella anomalia motivazionale (tra cui, per l’appunto, la contraddittorietà intrinseca che si coglie nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili) suscettibile di tramutarsi in violazione di legge (art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c.) costituzionalmente rilevante (art. 111 Cost.), in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (tra le tante: Cass., S.U., n. 8053/2014; Cass. n. 23940/2017; Cass. n. 6758/2022; Cass. n. 7090/2022).

8.1. – Il giudice di appello – proprio in riferimento alle doglianze dell’Im. incentrate sull’omessa effettuazione di RMN nel corso dell’accesso al P.S. del 29 settembre 2012, ritenuto “unico esame diagnostico veramente necessario, ma sufficiente, per comprendere l’avvenuta insorgenza” della mielopatia – ha, anzitutto, escluso (sulla scorta delle risultanze della consulenza tecnica medico-legale ex art. 696-bis c.p.c.) che la condotta tenuta nell’occasione dalla El.Ve. potesse integrare inadempimento della prestazione sanitaria di “emergenza od urgenza” in ragione del fatto che in siffatto perimetro non erano riconducibili le condizioni cliniche dell’Im., il quale presentava una “sintomatologia … non univoca ed in un certo qual senso aspecifica”, inducente alla verifica della sussistenza di una “manifestazione cardiaca acuta” oppure di “problematiche ortopediche” (e verso quest’ultime essendosi risolte le effettuate indagini strumentali), senza che vi fosse “”alcun sintomo suggestivo” che deponesse “per una patologia neurologica””, tale da rendere necessario che il paziente fosse trattenuto in Pronto Soccorso ovvero fosse ricoverato, risultando, invece, corretta la decisione di “rinviarlo all’attenzione del medico curante suggerendo una visita ortopedica e una terapia antinfiammatoria”.

La Corte territoriale ha, poi, preso in ulteriore considerazione la circostanza che la El.Ve., nonostante che non vi fosse traccia nel referto del P.S., avesse effettivamente consigliato all’Im. di effettuare una RMN; tuttavia, il giudice di appello ha evidenziato che, “(i)n ogni caso” – ossia, pur prescindendo dal fatto se un tale consiglio vi sia o meno stato -, la RMN non rappresentava un esame di “primo livello”, da eseguirsi, pertanto, in pronto soccorso e ciò, segnatamente, tenuto conto delle “condizioni cliniche presentate dal sig. Im.Ci. al momento dell’accesso” in data 29 settembre 2012, essendo la prescrizione della risonanza magnetica nucleare da rimettersi alla decisione dello specialistica ortopedico all’esito della relativa visita.

Infine, la Corte d’appello – pur reputando sufficienti le argomentazioni anzidette per il rigetto dell’appello – ha esaminato la censura dell’Im. basata “sulla supposizione … affacciata dal collegio peritale, secondo cui la patologia degenerativa neurologica e la sofferenza midollare potevano essere già attuali a fine settembre 2012”, così da potersi dire integrata la colpa medica nell’esecuzione di indagini diagnostiche solo parziali. Sul punto, il giudice di secondo grado ha evidenziato che un tale quadro clinico non era dimostrabile come sussistente alla data del 29 settembre, sebbene “non escludibile a priori”, ma che, “(i)n ogni caso” (seppure la patologia neurologica fosse stata già in atto a quella data), rimanevano valide le considerazioni già svolte sull’assenza di colpa della El.Ve.; ossia, quelle relative ad una condotta coerente, in sede di medicina d’urgenza e di emergenza, con la presenza di una sintomatologia non univoca e aspecifica tale da non evidenziare sintomi di una patologia neurologica e da consigliere, quindi, ulteriori indagini in pronto soccorso o anche un ricovero>>.

Cioè il secondo giudice ha esattamente tenuto conto delle peculiarità dell’inTervento in una sede urgente come il PS.

Motivaizone quindi congrua: <<8.2. – La motivazione della sentenza impugnata (cfr. sintesi al Par. 2 del “Ritenuto che”; segnatamente pp. 10/12 della sentenza di appello) si sviluppa, quindi, in base ad un iter argomentativo pienamente intelligibile e privo di radicali aporie, dando contezza in modo coerente delle ragioni a fondamento della decisione di rigetto delle doglianze dell’appellante.

Queste, infatti, si snodano in base ad una ratio decidendi portante – quella per cui la El.Ve., nell’occasione dell’accesso dell’Im.Ci. al P.S. in data 29 settembre 2012, ha tenuto, “nell’approccio diagnostico e terapeutico”, una condotta “corrispondente alle regole dell’arte”, in quanto affatto coerente con la sintomalogia aspecifica che presentava il paziente -, intorno alla quale gravitano ulteriori rationes decidendi (consiglio di effettuare una RMN e presenza di patologia neurologica già alla data anzidetta) che, però, non smentiscono, né contraddicono quella, autonoma e da sola idonea a sorreggere la pronuncia di rigetto del gravame, che attiene all’esclusione – di volta in volta ribadita dal giudice di appello – di profili di colpa medica nell’operato della El.Ve.>>.

Segue la generalizzazione della disciplina in simili contesti:

<< 10. – Il sesto motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

10.1. – E’ infondato là dove censura la sentenza impugnata per non essersi conformata al principio secondo cui la medicina di urgenza/emergenza richiede un approccio volto anzitutto “al rapido inquadramento diagnostico e alla determinazione degli accertamenti indispensabili al pronto intervento, per confermare la diagnosi, in modo da predisporre con speditezza e le azioni per la risoluzione della patologia che ha determinato l’accesso al pronto soccorso”, giacché la Corte territoriale ha valutato la condotta della El.Ve. proprio sotto lo specifico profilo di esser stata resa come prestazione sanitaria in ambito di pronto soccorso, in armonia con le relative linee guida, avendo il medico operato la diagnosi – e di conseguenza disposto le opportune indagini diagnostiche e provveduto alla successive indicazioni terapeutiche – in ragione della sintomatologia aspecifica del paziente, inducente alla verifica soltanto dell’alternativa tra una patologia cardiaca e una di rilevanza ortopedica.

Né, peraltro, è concludente il richiamo al precedente di questa Corte (Cass. n. 19372/2021) in forza del quale si è affermato, rispetto alla prestazione di guardia medica, che sussiste la responsabilità del sanitario per la morte del paziente visitato e dimesso, con apposita prescrizione farmacologica, se sia configurabile il suo inadempimento nella forma di una condotta omissiva o di una diagnosi errata o di una misura di cautela non presa, ove l’evento di danno si ricolleghi deterministicamente, o in termini di probabilità, alla condotta del sanitario.

Il principio enunciato in quel caso era, infatti, giustificato in ragione (cfr. pp. 4, 5, 9, 10 e 13 della sentenza n. 19372/2021, da cui sono tratte le citazioni che seguono) della “mancata prosecuzione dell’iter diagnostico di fronte ad una sintomatologia dolorosa toracica persistente che necessitava di un approfondimento clinico-strumentale al fine di pervenire all’accertamento della natura del dolore”; ossia – a differenza di quanto accertato nel caso qui in esame – per la presenza di un sintomo specifico della patologia di cui era affetto il paziente (poi deceduto a seguito di dissecazione aortica) corroborato dal suo “quadro clinico”, dovendo un sanitario “sempre prendere in considerazione l’ipotesi che un dolore toracico sottenda un problema cardio-vascolare e quindi procedere ad un approfondimento diagnostico” (là dove in quell’occasione il medico aveva dimesso il paziente con la diagnosi di “dolore da stress”)>>.

Massima di DeJure Giuffrè: <<In caso di prestazione sanitaria resa in ambito di pronto soccorso, in presenza di una sintomatologia aspecifica del paziente, la valutazione della diligenza del medico deve essere operata avuto riguardo alla rapidità dell’inquadramento diagnostico e alla determinazione degli accertamenti indispensabili al pronto intervento per confermare la diagnosi e predisporre con speditezza le azioni per la risoluzione della patologia che ha determinato l’accesso al pronto soccorso. (In applicazione del principio, la S.C. ha rigettato il ricorso avverso la sentenza che aveva respinto la domanda di risarcimento dei danni conseguenti al ritardo della diagnosi di una mielopatia cervicale in ernie discali, proposta da un paziente che, al momento dell’accesso al pronto soccorso, presentava sintomi non specifici di tale malattia neurologica e tali da indurre alla verifica soltanto dell’alternativa tra una patologia cardiaca e una di rilevanza ortopedica e che era stato dimesso nella stessa giornata, dopo che erano stati esclusi, all’esito di esami strumentali, disturbi cardiaci, con diagnosi di artrosi acromion-claveare sinistra, con segni di conflitto sub acromiale ed artrosi cervicale e consiglio di sottoporsi a visita ortopedica).>>

Non mi pronuncio sull’applicazione al fatto sub iudice. Ma la regola astrata enunciata è esatta pur se ovvia: la diligenza si applica sempre alle circostanze del caso.

1) La petizione ereditaria non si applica al credito da conto corrente. 2) Unico legittimato all’azione di restituzione dell’indebito è il percettore diretto, non il terzo cui questi ne abbia trasferito una parte

Interessante (e frequente …) fattispecie concreta decisa da Cass. sez. 2, n° 19.936 del 21.06.2022, rel. Tedesco.

Muoino a breve distanza di tempo i due contitolari, coniugi, di un  conto bancario cointestato.

Il procuratore del secondo deceduto (moglie) ritira il saldo dal conto e ne traferisce metà ad un terzo.

Essendosi però  estinta la procura col decesso, il procuratore non aveva titolo : pertanto il vero erede esperisce azione nei suoi confronti e nei confronti del terzo beneficiario

La SC riforma la corte di appello laddove aveva applicato la petizioone di eredità (art. 534 cc) e nega che questa si applichi al credito da conto corrente.

Inoltre nega che il terzo beneficiario della metà del conto corrente abbia legittimazione passiva: .

Avendo natura di indebito, l’azione di restituzione delle somme illegittimamente prelevate dall’ex procuratore è strettamente personale, per cui solo quest’ultimo è legittimato passivo.    Del resto è proprio questa l’azione data al reale creditore verso il creditore apparente (art. 1189 c. 2 cc)

Principio di diritto: “L’art. 1189 c.c., in tema di pagamento al creditore apparente, è applicabile anche nell’ipotesi di pagamento delle somme depositate in conto corrente, effettuato dalla banca dopo la morte del correntista in favore di un soggetto non legittimato a riceverlo; conseguentemente l’azione accordata all’erede per la restituzione è quella disciplinata dall’art. 2033 c.c., che è esperibile solo nei confronti del destinatario del pagamento e non anc:he nei confronti di colui al quale la somma sia stata trasferita dall’accipens dopo che egli l’abbia indebitamente riscossa dalla banca debitrice

Non è però chiaro come possa dirsi che l’ex procuratore fosse creditore apparente e cioè <legittimato a riceverlo in base a circostanze univoche>, se la perocura si estingue ex lege in caso di decesso (§ 5 sentenza di Cass.)! Tanto più che il debitore (banca) è un soggetto abituato a trattare questo tipo di vicende giuridiche e operatore professionale qualificato!

Accettazione di adempimento parziale ex art. 1181 c.c. e risoluzione del contratto di appalto: possono coesistere?

L’accettazione di adempimento parziale ex art. 1181 cc non preclude al creditore di chiedere la risoluzione ricorrendone i presupposti (la non scarsa importanza dell’inademnpouimento, spt..).

Così Cass. 2223 del 25.01.2022, rel. Penta:

<<Questa Corte (Sez. 2, Sentenza n. 3786 del 17/02/2010) ha affermato
che nel contratto d’appalto il committente può rifiutare, ai sensi dell’art.
1181 c.c., l’adempimento parziale oppure accettarlo e, anche se la
parziale esecuzione del contratto sia tale da giustificarne la risoluzione,
può trattenere la parte di manufatto realizzata e provvedere direttamente
al suo completamento, essendo, poi, legittimato a chiedere in via
giudiziale che il prezzo sia proporzionalmente diminuito e, in caso di colpa
dell’appaltatore, anche il risarcimento del danno.

Inoltre, il committente può rifiutare l’adempimento parziale (art. 1181
c.c.) oppure accettarlo, secondo la propria convenienza, sicché,
quand’anche la parziale o inesatta esecuzione del contratto sia tale da
giustificarne la risoluzione, ciò non impedisce al committente stesso di
trattenere la parte di manufatto realizzata e di provvedere direttamente al
completamento e alla eliminazione degli eventuali difetti riscontrati,
chiedendo poi (al giudice) il risarcimento dei danni, che può tradursi in
una riduzione del prezzo pattuito, tenuto conto sia del valore dell opera
ineseguita che dell’ammontare delle spese sostenute dal suddetto (Sez. 2,
Sentenza n. 2573 del 12/04/1983).

E’ chiaro, poi, che la parte contraente la quale, di fronte all’inadempienza
dell’altra, anziché ricorrere alla domanda di risoluzione (o all’eccezione di
inadempimento), preferisce comunque dare esecuzione al contratto,
dimostra con tale comportamento di attribuire scarsa importanza,
nell’economia del negozio, all’inadempimento della controparte, con la
conseguenza che non sussiste per la risoluzione del contratto il
presupposto costituito dall’inadempimento di non scarsa importanza
secondo il disposto dell’art. 1455 c.c. (Sez. 2, Sentenza n. 4630 del
12/05/1994).

Senza tralasciare che, ai sensi dell’art. 1665, comma 4, c.c., è necessario
distinguere tra atto di “consegna” e atto di “accettazione” dell’opera,
atteso che, mentre la consegna costituisce un atto puramente materiale
che si compie mediante la messa a disposizione del bene a favore del
committente, l’accettazione esige, al contrario, che il committente esprima
(anche per facta concludentia) il gradimento dell’opera stessa, con
conseguente manifestazione negoziale la quale comporta effetti ben
determinati, quali l’esonero dell’appaltatore da ogni responsabilità per i
vizi e le difformità ed il conseguente suo diritto al pagamento del prezzo
(cfr. Sez. 1, Sentenza n. 19019 del 31/07/2017)
>>

In conclusione, <<l’accettazione, da parte del creditore, dell’adempimento
parziale che, a norma dell’art. 1181 c.c., egli avrebbe potuto rifiutare
non estingue il debito, ma semplicemente lo riduce, non precludendo
conseguentemente al creditore stesso di azionare la risoluzione del
contratto, nè al giudice di dichiararla, ove la parte residuale del credito
rimasta scoperta sia tale da comportare ugualmente la gravità
dell’inadempimento (Sez. 1, Sentenza n. 20 del 08/01/1987).

Nella fattispecie in esame, del resto, la risoluzione del contratto si pone
sullo sfondo, laddove la domanda principale della originaria opponente
accolta dalla corte di merito è quella di risarcimento dei danni, che può
anche essere sganciata dalla prima>>

La SC si dilunga anche sulla differenza: i) tra accettazione e consegna nell’appalto; ii) tra eccezione e mera difesa nel diritto processuale

diligenza e linee guida nella responsabilità medica: recentissime dalla Cassazione (con un cenno all’onere dela prova del nesso causale)

La valenza giuridica delle linee guida è ben sintetizzata dal § 3.2.1 della sentenza (soprattutto dalla parte in blu)

Secondo Cass. Cass. , sez. III, 30 novembre 2018 N. 30.998 (rel. Rossetti), infatti:

<< Il motivo è infondato, poichè nessuna delle tre circostanze sopra indicate è “decisiva”, nel senso richiesto dall’art. 360 c.p.c., n. 5.
3.2.1. Che i sanitari non si attennero alle “linee-guida” generalmente condivise per la somministrazione di eparina è un fatto non decisivo per due ragioni.
In primo luogo non è decisivo perchè le c.d. linee guida (ovvero le leges artis sufficientemente condivise almeno da una parte autorevole della comunità scientifica in un determinato tempo) non rappresentano un letto di Procuste insuperabile.
Esse sono solo un parametro di valutazione della condotta del medico: di norma una condotta conforme alle linee guida sarà diligente, mentre una condotta difforme dalle linee guida sarà negligente od imprudente. Ma ciò non impedisce che una condotta difforme dalle linee guida possa essere ritenuta diligente, se nel caso di specie esistevano particolarità tali che imponevano di non osservarle (ad esempio, nel caso in cui le linee guida prescrivano la somministrazione d’un farmaco verso il quale il paziente abbia una conclamata intolleranza, ed il medico perciò non lo somministri); e per la stessa ragione anche una condotta conforme alle linee-guida potrebbe essere ritenuta colposa, avuto riguardo alle particolarità del caso concreto (ad esempio, allorchè le linee guida suggeriscano l’esecuzione d’un intervento chirurgico d’elezione ed il medico vi si attenga, nonostante le condizioni pregresse del paziente non gli consentissero di sopportare una anestesia totale).
Sicchè, non costituendo le linee-guida un parametro rigido ed insuperabile di valutazione della condotta del sanitario, la circostanza che il giudice abbia ritenuto non colposa la condotta del sanitario che non si sia ad esse attenuto non è, di per sè e da sola, sufficiente per ritenere erronea la sentenza, e di conseguenza per ritenere “decisivo” l’omesso esame del contenuto di quelle linee-guida.
In secondo luogo, nel caso di specie la Corte d’appello ha spiegato che la riduzione della somministrazione di eparina fu giustificata dalla necessità di prevenire il rischio di emorragie, rischio che rispetto ai casi analoghi si presentava aumentato per tre ragioni: sia perchè il paziente era stato sottoposto ad un intervento chirurgico; sia perchè il paziente doveva iniziare un programma fisioterapico che, comportando la mobilitazione degli arti, aumentava il rischio di emorragia; sia perchè il paziente era stato sottoposto a splenectomia.
La Corte d’appello, in definitiva, ha individuato ben tre circostanze concrete che nel caso specifico giustificavano l’allontanamento dalle linee guida: il che denota, da un lato, che quelle linee-guida furono effettivamente (sebbene implicitamente) tenute in considerazione, altrimenti non avrebbe avuto senso alcuno la motivazione sopra riassunta; e dall’altro lato che, anche se il giudice avesse omesso di considerarle, il loro esame non avrebbe portato ad esiti diversi, per la già rilevata sussistenza di peculiarità del caso concreto che imponevano di derogarvi.>>

Secondo la legge c.d. Gelli Bianco 8 marzo 2017 n. 24,  art. 5  :

<<Gli esercenti le professioni sanitarie, nell’esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalita’ preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, si attengono, salve le specificita’ del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida (…) . In mancanza delle suddette raccomandazioni, gli esercenti le professioni sanitarie si attengono alle buone pratiche clinico-assistenziali.>>

Dunque la sentenza applica i concetti della legge (anche se non la menziona, forse perchè norma successiva ai fatti di causa).

La norma del 2017 peraltro ha un tasso di innovatività assai ridotto, prossimo allo zero (salvo forse la maggior forza probatoria delle linee guida, emanate secondo i commi 1 e 3 dell’art. 5 della legge stessa, rispetto ad eventuali altre non frutto di tale procedura): si poteva , anzi doveva, infatti ricavare le stesse regole già dal generale dovere di eseguire la prestazione con diligenza.

Per il cenno all’onere della prova v. l’articolo apposito, pure di oggi