“Trump too small”: incostituzionale il rifiuto di registrazione di marchio denominativo evocante l’ex presidente Trump

La domanda di registrazione del marchio denominativo <TRUMP TOO SMALL> per magliette era stata respinta dall’USPTO, perchè non c’era il consenso del titolare del nome e perchè indicava falsamente un’associazione con lui.

La frase si riferisce al noto scambio di battute “fisico-dimensionali” tra Trump e Marc Rubio, di qualche anno fa.

L’impugnazione fondata sulla violazione del diritto di parola venne respinta dal Board amministrativo.

Ma la corte di appello federale 24.02.2022, n° 2020-2205, in re: Steve Elster, rifroma: il rifiuto di registrazione è incostituzionale perchè contrastante appunto col diritto di parola del Primo Emendamento.

Irrilevanti sono sia l’eccezione di privacy (assente per un personagigo pubblico, sub IV, p. 11),  che di right of publicity , non essendoci nè uno sfruttamento della notorietà di Trump (qui è però difficile veder quale legittimazione abbia il Governo) nè un’induzione del pubblico a pensare che egli abbia dato il suo endorsement al prodotto (su cui avrebbe legittimazione il Governo: sub V, p. 12/4).

Del resto la domanda di marchio e il suo uso costituiscono private speech, p. 5, che può invocare il 1° Emend., anche se per uso commerciale, p. 9.

In conclusione il rifuto di registrazione è annullato.

Mi pare in realtà trattarsi di uso parodistico o meglio satirico.

In UE è discusso se possa invocarsi l’uso parodistico di un marchio altrui, magari rinomato.

In prima battuta potrebbe rispondersi positivamente sulla base di un diritto di parola o di critica (da un lato l’art. 21 cpi e .art. 14 dir. UE 2015/2436 sono muti sul punto ; dall’altro il diritto di manifestazione del pensiero,  se ravvisato nel caso specifico, non sarebbe inibito dalla mancanza di espressa sua previsione).

A ben riflettere, però,  la cosa non è semplice, potendo l’operazione nascondere uno sfruttamento abusivo della notorietà altrui.

Marchio contenente il nome di Trump con modalità allusiva: è free speech

La registrazione per abbigliamento del marchio denominativo TRUMP TOO SMALL è stata negata dal reclamo amministrativo dell’USPTO per violazione del 15.us code § 1052.c, secondo cui <<No trademark …  shall be refused registration … unless it … (c) Consists of or comprises a name, portrait, or signature identifying a particular living individual except by his written consent, or the name, signature, or portrait of a deceased President of the United States during the life of his widow, if any, except by the written consent of the widow>> (norma crrispondente al nostro art. 8.2 cod. propr. ind.).

la corte di appello federale riforma la decisione e afferma che qui ricorre il free speech,  per cui l’azione della sua inibizione è incostituzionale (sentenza 02.24.2022, caso 20.2205, IN RE: STEVE ELSTER).

Irrilevanti -rectius non pertinenti, direi-  sono le eccezioni di  violazione diprivacy e di right of publicity sollevate dal governo.

Dunque:

– anche un marcbio costituisce espressione di diritto di parola

– anche se ha fini commerciali, non perde tale qualificazione.

– nessun interesse pubblico si oppone alla tutela da Primo Emendamento: The question here is whether the government has an interest in limiting speech on privacy or publicity grounds if that speech involves criticism of government officials speech that is otherwise at the heart of the First Amendment.  Nè privacy nè right of publicity , come detto: The right of publicity does not support a government restriction on the use of a mark because the mark is critical
 of a public official without his or her consent, p. 15)

Dal punto di vista italiano, è incomprensibile l’eccezioone di violazione di privacy e right of publicity, mancando ogni legittimazione in capo al governo.

(notizia e link alla sentenza da Lisa Ramsey nel blog del prof. Eric Goldman)

Marchio rinomato cede a marchio anteriore non rinomato

il Trib UE decide l’opposiizone alla registazione di mrachio da prate del Ac Milan: Trib. Ue 10.11.2021, T-353/20, aC Milan spa c. EUIPO. L’oppositore è titolare di marchio denominativo <Milan> del 1984, § 53, mentre il deposito di marchio figurativo (§ 2) dell’AC Milano è del 2o17.

I prodotti o servizi sono quasi identici (penne, carte, quaderni e materiali di cancelleria) , per cui la lite si giuoca sulla somiglianza tra marchi.

Centrale è , comprensibilmente, il giudizio sulla preminenza o meno del segno figurativo nei due marchi. Contraraumetne a quanto di solito si ritiene, qui non lo è per il marhcio anteriore, date laa sua ridotta evidenza, § 57 ss.

Analoga preminenza anche per il segno del depositante AC Milan, § 84 ss.

Pertanto la somiglianza tra segni è quasi scontata.

La soc. del team calcistico perde dunque sia la fase amminsitrativa sia il primo grado giudiziale.

Ricordo solo due aspetti:

  1. le iniziali considerazioni generali, slegate dal (ma poi applicate al) caso de quo:

    << In interpreting the concept of genuine use, account must be taken of the fact that the ratio legis for the requirement that the earlier mark must have been put to genuine use is not intended to assess the commercial success or control the economic strategy of an undertaking or to restrict the protection of marks only to their quantitatively significant commercial exploitation (judgments of 8 July 2004, T‑203/02, Sunrider v OHIM – Espadafor Caba(VITAFRUIT), T‑203/02, EU:T:2004:225, paragraph 38, and of 2 February 2016, Benelli Q. J. v OHMI – Demharter (MOTOBI B PESARO), T‑171/13, EU:T:2016:54, paragraph 68). A trade mark is put to genuine use when it is used, in accordance with its essential function of guaranteeing the identity of origin of the goods or services for which it is registered, in order to create or maintain an outlet for those goods or services, to the exclusion of uses of a symbolic nature the sole purpose of which is to maintain the rights conferred by the trade mark (see judgment of 8 June 2017, W. F. Gözze Frottierweberei and Gözze, C‑689/15, EU:C:2017:434, paragraph 37 and the case-law cited).

    24      In order to examine, in a particular case, the genuineness of the use of an earlier mark, an overall assessment must be made, taking into account all the relevant factors of the case. That assessment implies a certain interdependence between the factors taken into account. Therefore, a low volume of goods marketed under that mark may be offset by a high intensity or consistency of use of that mark over time, and vice versa. Furthermore, the turnover achieved and the quantity of sales of goods under the earlier mark cannot be assessed in absolute terms, but must be assessed in relation to other relevant factors, such as the volume of commercial activity, the production or marketing capacities or the degree of diversification of the undertaking exploiting the mark and the characteristics of the goods or services on the market concerned (see judgment of 8 July 2004, VITAFRUIT, T‑203/02, EU:T:2004:225, paragraph 42 and the case-law cited).

    25      Moreover, genuine use of a trade mark cannot be demonstrated by probabilities or presumptions, but must be based on concrete and objective elements which prove actual and sufficient use of the trade mark on the relevant market (see judgments of 16 June 2015, Polytetra v OHIM – EI du Pont de Nemours (POLYTETRAFLON), T‑660/11, EU:T:2015:387, paragraph 47 and the case-law cited, and of 9 September 2015, Inditex v OHIM – Ansell (ZARA), T‑584/14, not published, EU:T:2015:604, paragraph 19 and the case-law cited).

    26      Genuine use of the trade mark presupposes that it is used publicly and externally, and not only within the undertaking concerned (see, to that effect, judgment of 11 March 2003, Ansul, C‑40/01, EU:C:2003:145, paragraph 37). However, external use of a trade mark is not necessarily equivalent to use directed towards final consumers. Actual use of the mark relates to the market in which the proprietor of the mark carries on business and in which he or she hopes to exploit his or her mark. Thus, to consider that the external use of a trade mark, within the meaning of the case-law, necessarily consists of use directed towards final consumers would be tantamount to excluding trade marks used solely in business-to-business relationships from the protection of Regulation No 207/2009. The relevant public to which trade marks are intended to be directed does not include only final consumers, but also specialists, industrial customers and other professional users (see judgment of 7 July 2016, Fruit of the Loom v EUIPO – Takko (FRUIT), T‑431/15, not published, EU:T:2016:395, paragraph 49 and the case-law cited)>>.

  2. i fatti dedotti dallopponente per provare il suo <uso effettivo>, § 29:

    –     an undated affidavit from its Managing Director certifying annual turnover figures for the period 2010 to 2016;

    –        advertising material in German (numerous copies of catalogues and leaflets) dating from 2009 to 2014 for goods bearing the earlier mark;

    –        a copy of 43 invoices issued in the period between 2008 and 2014, addressed to various customers in Germany;

    –        documents concerning turnover and sales figures, dating from the years 2008 to 2016;

    –        price lists from 2008 to 2014 showing the suppliers of the products of the other party to the proceedings before the Board of Appeal.

Non si discute della validità del marchio anteriore, che potrebbe a sua volta essere stato anticipato dall’uso di fatto (non dalla registrazione, suppontgo, interventua appunto nel 2017) del segno da aprte del team calcistico.

Probabilmente difettava l’affinità merceologica, essendo assai discutibile che possa essere superata dalla rinomanza qualora non vi sia registrazione ma appunto solo uso di fatto.

Registrazione di marchio SUSSEX ROYAL e successiva perdita del titolo reale

La vicenda di Harry e Maghan d’Inghilterra ha anche interessante risvolto  di proprietà industriale (o intellettuale che dir si voglia).

La giovane coppia aveva Infatti chiesto la registrazione nel Regno Unito  del marchio denominativo SUSSEX ROYAL (n° UK00003408516) nonchè SUSSEX ROYAL THE FOUNDATION OF THE DUKE AND DUCHESS OF SUSSEX (n° UK00003408521), domande depositate il 21.06.2019. Le domande erano state presentate a nome di <<Sussex Royal The Foundation Of The Duke And Duchess Of Sussex>>

Notizia appresa da Nedim Malovic su IPKat del 3 gennaio 2020.

I due hanno anche aperto <<the official website of the Duke   § Duchess of Sussex>> sotto il dominio https://sussexroyal.com/  : risulta creato il 15 marzo 2019 nel database Whois di register.it .  Hanno aperto pure un account Instagram.

I media (v. ad es. CNN del 20.01.2020) hanno dato notizia dell’accordo raggiunto tra i due e i rimanenti familiari, a seguito della scelta di vivere in modo indipendnete.

Qualche blog di proprietà itntellttuale ha ricordato che son già fiorite iniziative commerciali che hanno cercato di registrare segni distintivi uguali o analoghi: v. Bonadio-De Cristofaro su Kluwer Trademark blog del 20.01.2020.

Una delle conseguenze (dei patti?) dell’accordo tra la giovane coppia e gli altri familari prevede la perdita del titolo reale, evidentemente secondo l’ordinamento nobiliare a cui appartengono (ora si legge che la Regina starebbe per vietare l’uso del ‘Sussex Royal’ label: così il Telegraph dl 19.02.2020). Il che genera qualche riflessione di proprietà intellettuale.

Avendo i due inserito nella domanda di marchio il titolo nobiliare , ci si può chiedere se la perdita del (rinuncia al) diritto al titolo abbia conseguenze sulla concedibilità del marchio stesso. Non si può rispondere con precisione, non conoscendosi l’esatta ampiezza di tale perdita : tuttavia ragiono come se fosse totale.

Se fosse applicabile il diritto italiano, si potrebbe ipotizzare un motivo di decettività oppure una mancanza di diritto su un segno che ha una notorietà extracommerciale ex art. 8/3 C.P.I..

Se poi fosse comunque concesso, si potrebbe ipotizzare una rivendica ex art. 118 c.p.i.

Non parrebbe invece ipotizzabile una domanda in malafede ex art. 19 comma 2: a meno -forse- che il soggetto interessato (e legittimato: chi sarà nell’ordinamento nobiliare?) provi che la registrazione era stata chiesta, quando già la questione della perdita del titolo era stata discussa o comunque era già emersa.

La decettività sarebbe da escludere, dal momento che dell’accordo citato e della perdita del titolo reale hanno dato ampia notizia i mass media di tutto il mondo. Tuttavia potrebbe sempre sostenersi che servisse la dichiarazione di decadenza per fare ulteriore totale chiarezza

Circa la rivendica,  si presuppone che il diritto di registrare spetti a qualcun altro: anche qui evidentemente secondo l’ordinamento nobiliare. Se questo avviene, il legittimato può ottenere i provvedimenti indicati dal comma 2 oppure dal comma 3. A meno che -ad esempio- l’ordinamento nobiliare escluda in radice l’utilizzo commerciale del titolo reale. E sempre che lo Stato dia riconoscimento a questo ordinamento particolare (nobiliare), che in tal modo influirebbe sull’ordinamento statale (il che sarà probabile, trattandosi di monarchia).

Il motivo principale di opposizione  parrebbe l’art. 8 c.3 cod. propr. ind. (o norma corrispondente). Sebbene il titolo reale, stando al dettato della disposizione, non vi rientri, un’intepretazione estensiva potrebbe riuscire a farlo rientrare nella sua area applicativa.

Lo sfruttamento della notorietà altrui: il caso napoletano Maradona contro Dolce § Gabbana

Il tribunale di Napoli  con sentenza n. 11374/2019  del 9 dicembre 2019, RG 41088/2017, decide la lite tra Diego Armando Maradona eDolce§Gabbana. I fatti risultano i seguenti (testo della sentenza preso da Elenora Rosati su IPKat che ringrazio).

Dolce§Gabbana in un evento mondano del luglio del 2009  (citazione notificata nel luglio 2017!) per clienti illustri o istituzionali, consistente in una sfilata di presentazione di simboli della città partenopea, aveva fatto sfilare una modella con una maglia del numero dieci, storica posizione calcistica di Maradona (sembra di capire: modella indossante la maglia del Napoli Calcio recante sul retro il n. 10, probabilmente quella a strisce bianche e azzurre verticali).

Sembra di capire -anche se non è detto in modo esplicito- che si trattasse di una maglia col numero 10 creata o ricreata dagli stilisti: altrimenti non si spiega la successiva affermazione per cui, dopo la diffida, D§G hanno omesso di mettere in produzione il capo di abbigliamento..

Maradona lamentava l’indebita utilizzazione e sfruttamento commerciale del proprio  nome e/o marchio.

il Tribunale accoglie la domanda affermando la violazione del diritto sul nome.

In realtà l’affermazione non è chiarissima, dal momento che il segno riprodotto abusivametne pare fosse un segno distintivo diverso dal nome: precisamente pare si fosse trattato della divisa ufficiale usata in partita e che l’ha reso famoso in tutto il mondo durante la sua esperienza italiana. La fattispecie ricorda la violazione -sempre di un segno distintivo personale  diverso dal nome che riguardò il cantante Lucio Dalla, del quale vennero abusivamente riprodotte le caratteristiche -anche qui assai note-  degli occhialetti tondi e del berrettino a zucchetto. A meno di pensare (allora il riferimento al diritto sul nome sarebbe esatto, anche se avrebbe dovuto essere esplicitato) che sul retro della maglia, oltre al numero, comparisse il nome “Maradona”, come spesso avveniva.

La domanda è accolta sotto il profilo dell’ articolo 8 codice di proprietà industriale: Dolce e Gabbana avrebbero mirato “ad appropriarsi delle componenti attrattive insite nel richiamo alla prestigiosa storia sportiva del mitico calciatore”.

La quantificazione del danno viene operata tramite il riferimento al criterio del cosiddetto prezzo del consenso.

l’attore aveva chiesto l’importo di € 1.000.000,00 e prodotto a sostegno , oltre a altri materiali irrilevanti, quattro contratti precedenti. Il tribunale, valutata  la modestia di uso del segno altrui (limitata ad una sfilata) ha invece liquidato € 70.000,00  più accessori

Il caso è interessante per l’anomalia consistente nel fatto che lo sfruttamento non autorizzato del segno distintivo altrui avviene da parte di due imprenditori della moda i quali pure sono provvisti di notorietà mondiale. Ci si può dunque chiedere se non fosse stato opportuno per il giudice accertare se veramente c’era stato uno sfruttamento della notorietà altrui: ma forse tale accettamento sarebbe stato superfluo ai fini del’art. 8 cpi.

Anzi a monte sarebbe stato necessario accertare che la maglia del Napoli col numero 10 fosse veramente qualificabile come segno distintivo di Maradona su cui questi avesse un diritto esclusivo: ad esempio potendo rilevare la regolazione pattizia di Maradona con la società del Napoli (a meno che contenesse il suo nome, come sopra ipotizzato)