Risarcimento del danno subito dal possessore per spoglio illecito: ricorre l’ingiustizia del danno ma resta salva la tutela petitoria

Cass. sez. III dell’ 11/12/2023 n. 34.540, rel. Iannello, in un’azione di danno da spoglio possessorio, la cui illiceità era stata accertata con sentenza passata in giudicato ex art. 1168 cc contro l’IACP di Palermo :

<<La pretesa risarcitoria trova nella specie fondamento, ex art. 2043 c.c., nel fatto illecito compiuto dall’Iacp, ossia nelle modalità con le quali l’Istituto è rientrato nel possesso dell’immobile occupato dalla C., al contempo spogliandone quest’ultima: fatto, questo, integrante spoglio meritevole di tutela di reintegra, secondo accertamento giudiziale passato in giudicato e, come tale, non più suscettibile di sindacato sotto tale profilo qualificatorio.

Rispetto a tale fatto costitutivo del vantato credito risarcitorio nessun rilievo impeditivo può assumere l’eventuale insussistenza di un effettivo ius possidendi in capo alla parte illecitamente privata del possesso.

Alcune precisazioni concettuali si rendono al riguardo opportune:

– la lesione del possesso o della detenzione può provocare danni non riparabili con il mero ripristino della situazione anteriore, che si identificano sia nella diminuzione patrimoniale che la vittima subisce per il ristabilimento dello status quo antea, sia nel mancato esercizio del potere di fatto;

– il risarcimento può però pure avere funzione sostitutiva del recupero della situazione possessoria, nell’ipotesi in cui quest’ultimo si presenti impossibile (di fatto) per distruzione della cosa o smarrimento o perdita irrecuperabile di essa dopo lo spoglio, ovvero (giuridicamente) perché la medesima è stata alienata ad un terzo ignaro, che ne ha acquistato il possesso (arg. ex art. 1169);

– in entrambi i casi la lesione del possesso che consegua ad un’attività di spoglio rilevante ai sensi dell’art. 1168 c.c., mette in essere una tipica fattispecie di illecito extracontrattuale, a condizione che, ovviamente, il fatto materiale compiuto dal terzo si traduca in un danno effettivo per il titolare della situazione possessoria;

– proprio su tale piano (quello cioè della possibilità di configurare un danno risarcibile conseguente alla lesione del possesso) si era in passato, nella dottrina, affacciata una tesi restrittiva (ora echeggiata dalla motivazione della sentenza impugnata) secondo la quale, essendo la tutela possessoria delineata dalla legge sotto il profilo della “mera azione” e non del diritto soggettivo, le restrizioni apportate alla situazione di fatto non potrebbero essere qualificate “ingiuste” ai sensi dell’art. 2043, non avendo il sistema lo scopo “di garantire incondizionatamente al possessore senza titolo i vantaggi economici del godimento del bene”;

tale tesi non ha però più ragion d’essere a fronte della ormai pacifica diversa ricostruzione del concetto di “danno ingiusto” ex art. 2043 c.c., come danno arrecato non iure, ossia in assenza di una causa giustificativa, e risolventesi nella “lesione di un interesse rilevante per l’ordinamento, a prescindere dalla sua qualificazione formale, ed, in particolare, senza che assuma rilievo la qualificazione dello stesso in termini di diritto soggettivo” (Cass. Sez. U. 22/07/1999, n. 500);

– essendo dunque ormai superato l’antico dogma dell’illecito come lesione di un diritto soggettivo assoluto, deve ritenersi acquisito che anche colui il quale, per circostanze contingenti, si trovi ad esercitare su di una cosa un potere soltanto di fatto può, dal danneggiamento di essa, risentire un danno risarcibile, indipendentemente dall’esistenza del diritto all’esercizio di quel potere (v. in tal senso già Cass. 24/02/1981, n. 1131 secondo cui “qualsiasi possessore o detentore può, agendo in possessorio a tutela del suo rapporto col bene, chiedere anche il ristoro dei danni determinati dall’attività illecita del terzo”, giacché “l’azione di responsabilità extracontrattuale non postula necessariamente una identità tra il titolo al risarcimento e il titolo giuridico di proprietà o di godimento”, con la conseguenza che nel giudizio risarcitorio non è necessario per l’attore dimostrare il suo diritto sul bene, ma è sufficiente dimostrare di trovarsi in una relazione di fatto con la cosa e di avere subito un danno patrimoniale per la mancata disponibilità di essa; v. anche, conff., Cass. 14/05/1979, n. 2780; 14/05/1993, n. 5485; 29/01/2014, n. 1964, in motivazione);

– ne discende anche che alcun rilievo impeditivo può nemmeno avere la pretesa della nuova assegnataria di ottenere il pieno godimento dell’immobile a lei successivamente locato: trattandosi di pretesa derivata la stessa non varrebbe di per sé a rendere meno illecita l’azione spoliatrice dell’Iacp ed a privare dunque di fondamento la conseguente pretesa risarcitoria;

– il diritto dell’Iacp sul bene, e quello derivato della nuova locataria, agiscono sul diverso e non incompatibile terreno della tutela petitoria;

entrambi, in particolare, rimangono tutelabili con azioni reali o personali di rilascio del bene, pur tenendo ferma la riconosciuta illiceità dello spoglio in precedenza compiuto dall’ente proprietario e salvi gli effetti dell’eventuale mala fede del possessore, che rimane possibile far valere al fine di ottenere, in seno ad eventuale giudizio di rivendica, la restituzione del bene o il controvalore di questo, insieme con i frutti dovuti per legge dal possessore di mala fede (v. Cass. 12/05/1987, n. 4367)>>.

L?interverrrsione del possesso nella estensione del diritto da diritto sulla quopta di contitolarità a diritto sull’intero

Cass. sez. 2 del 30/11/2023 n. 33.453, rel. Oliva, secondo cui l’interversione in tale caso non è quella dell’art. 1164 cc,  dovendo essere rivolta ai comproprietari.

La seconda parte mi pare esatta, ma non la prima: le condotte verso i comproprietari son sempre quelle tradizionalmente ascritte al concetto di interversio possessionis-

<<E, quanto all’interversio possessionis, va del pari ribadito che il “Il partecipante alla comunione che intenda dimostrare l’intenzione di possedere non a titolo di compossesso, ma di possesso esclusivo (“uti dominus”), non ha la necessità di compiere atti di interversio possessionis alla stregua dell’art. 1164 c.c., dovendo, peraltro, il mutamento del titolo consistere in atti integranti un comportamento durevole, tali da evidenziare un possesso esclusivo ed animo domini della cosa, incompatibile con il permanere del compossesso altrui, non essendo al riguardo sufficienti atti soltanto di gestione, consentiti al singolo compartecipante o anche atti familiarmente tollerati dagli altri, o ancora atti che, comportando solo il soddisfacimento di obblighi o l’erogazione di spese per il miglior godimento della cosa comune, non possono dare luogo ad una estensione del potere di fatto sulla cosa nella sfera di altro compossessore” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9100 del 12/04/2018, Rv. 648079; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 16841 del 11/08/2005, Rv. 584306; principio valido anche ai rapporti tra coeredi, prima della divisione, in forza di Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 9359 del 08/04/2021, Rv. 660860, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10734 del 04/05/2018, Rv. 648439 e Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1370 del 18/02/1999, Rv. 523346). Il semplice godimento della cosa comune da parte di uno dei compossessori, dunque, non è di per sé idoneo a far ritenere lo stato di fatto funzionale all’esercizio del possesso ad usucapionem, poiché ben potrebbe trattarsi della conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte degli altri compossessori; è dunque necessario, ai fini dell’usucapione, la manifestazione del dominio esclusivo sulla cosa attraverso un’attività apertamente e inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l’onere della relativa prova su chi invoca l’avvenuta usucapione del bene>>.

Servitù apparenti e servitù discontinue nel possesso ad usucapionem

Utili precisazioni al pratico da Cass. sez. II ord. del 227-11-2023, n. 32.816 , rel. Mocci (testo da Altalex)

<<4.1) Sul punto, la Corte d’appello ha testualmente affermato
“Invero ed in particolare, non solo non risulta allegato, ma neppure
provato, l’intervenuto iniziale acquisto dell’effettivo esercizio del
potere di fatto uti domini della servitù, quale momento da cui far
decorrere il ventennio utile per il maturare dell’usucapione non
potendosi far coincidere questo momento con quello
dell’ultimazione dell’opera, che costituisce, in relazione alla
fattispecie reale invocata, un antecedente logico-naturale,
differente dall’esercizio del possesso esclusivo, della situazione di
fatto corrispondente al relativo diritto reale, non potendosi del
resto neppure omettere di aggiungere che difetta anche la prova
rigorosa (gravante sull’attore), del possesso pacifico, di cui anche
con riferimento alla servitù discontinua, è pur sempre necessaria
l’allegazione e la prova”.
4.2) In sostanza, la Corte distrettuale ha negato la declaratoria di
usucapione della servitù di veduta per la mancanza di prova sia
sull’effettivo esercizio del potere di fatto, sia sul possesso pacifico.
I giudici di secondo grado hanno però mancato di confrontarsi con
la giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui il
requisito dell’apparenza della servitù discontinua, richiesto al fine
della sua costituzione per usucapione, si configura quale presenza
di segni visibili d’opere di natura permanente obiettivamente
destinate al suo esercizio, tali da rivelare in maniera non equivoca
l’esistenza del peso gravante sul fondo servente per l’utilità del
fondo dominante, dovendo dette opere, naturali o artificiali che
siano, rendere manifesto trattarsi non di un’attività posta in essere
in via precaria, o per tolleranza del proprietario del fondo servente,
comunque senza “animus utendi iure servitutis”, bensì d’un onere
preciso, a carattere stabile, corrispondente in via di fatto al
contenuto di una determinata servitù che, peraltro, non implica
necessariamente un’utilizzazione continuativa delle opere stesse, la
cui apparenza e destinazione all’esercizio della servitù permangono,
a comprova della possibilità di tale esercizio e pertanto, della
permanenza del relativo possesso, anche in caso di utilizzazione
saltuaria (Sez. 2, n. 3076 del 16 febbraio 2005; Sez. 2, n. 8736 del
26 giugno 2001).
4.3) In altri termini, in tema di servitù discontinue, l’esercizio
saltuario non è di ostacolo a configurarne il possesso, dovendo lo
stesso essere determinato con riferimento alle peculiari
caratteristiche ed alle esigenze del fondo dominante.
4.4) Ma la sentenza impugnata si rivela carente anche con riguardo
al tema della visibilità delle opere, ai sensi dell’art. 1061 cod. civ., che deve essere tale da escludere la clandestinità del possesso e da
far presumere che il proprietario del fondo servente abbia contezza
dell’obiettivo asservimento della proprietà a vantaggio del fondo
dominante. Sotto tale profilo, esattamente censurato dalla
ricorrente, la Corte d’appello omette qualunque motivazione, ed
anche il richiamo a Sez. 2, n. 24401 del 17 novembre 2014 risulta
lacunoso e difficilmente comprensibile.
4.5) Siffatta indagine appare, per converso, doverosa, posto che,
secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’esistenza di un’opera
muraria munita di parapetti e di muretti, dai quali sia
obiettivamente possibile guardare e affacciarsi comodamente verso
il fondo del vicino, è sufficiente a integrare una veduta e il possesso
della relativa servitù, senza che occorra anche l’esercizio effettivo
dell’affaccio (essendo la continuità dell’esercizio della veduta
normalmente assorbito nella situazione oggettiva dei luoghi), ne’
che tali opere siano sorte per l’esercizio esclusivo della veduta,
essendo sufficiente che le stesse tale esercizio rendano possibile
(Sez. 2, n. 20205 del 13 ottobre 2004; Sez. 2, n. 866 del 16
gennaio 2007)>

La quota di s.r.l. è suscettibile di possesso e quindi è pure usucapibile

Analitica sentenza del Trib. Milano 22.12.2021 n. 5.552 RG 25346/2019, rel. est. Astuni, che si pronuncia come in oggetto, cher ripercorre il processo normtivo di smaterialzizazine dei titoli anche nelle s.p.a.

<<Anche dopo l’abolizione del libro soci e la previsione (art. 2470 c.c.) dell’iscrizione dell’atto di trasferimento nel registro delle imprese, al fine di rendere efficace l’acquisto nei confronti della società, la giurisprudenza ha continuato a riconoscere nell’iscrizione la condizione necessaria e sufficiente all’esercizio dei diritti di socio, e quindi la fonte di un potere di fatto. Trib. Roma, in funzione di giudice del registro, con decreto 12.1.2018 (su Jus Explorer) ha convincentemente negato all’acquirente, che ancora non aveva depositato a registro delle imprese l’atto di trasferimento, il potere di decidere come socio unico la sostituzione dell’amministratore: “in epoca anteriore [al deposito], l’acquirente della quota sociale non può esercitare i diritti sociali. Conseguentemente, egli non può assumere alcuna decisione che sia imputabile alla società e ciò neppure differendo gli effetti della propria dichiarazione di volontà (in quanto tale dichiarazione nel momento in cui viene posta in essere non è imputabile in alcun modo alla società medesima)”. A sua volta, Trib. Milano sez. impresa 5.12.2017 ha ritenuto sufficiente l’iscrizione a libro soci per l’individuazione del titolare dei diritti nei confronti della società, “senza che tale qualità possa essere contestata dagli organi sociali relativamente
a vicende di invalidità riguardanti i rapporti tra cedente e cessionario delle partecipazioni (i.e. rapporti tra i soci quali privati e non in quanto soci)”. Nel medesimo senso cfr. ancora Trib. Torino sez. impresa 13.1.2021 n. 111 e 4.6.2021 n. 2839, in tema di spettanza del diritto al dividendo al socio iscritto, ancorché obbligato a trasferire ad altri soci la propria quota, in virtù di una clausola statutaria di riscatto. Ammessa la natura della quota di S.r.l. come posizione obiettivata in un bene mobile e la nozione estensiva di possesso della quota per il tramite dell’iscrizione a libro soci, appare logico e coerente trarre da queste premesse di diritto la conclusione che la quota di S.r.l. può essere usucapita>>.

Coprire con propri annunci concorrenti il sito web dell’azienda, cercata col motore di ricerca, è illecito da parte di Google?

La risposta è positiva.

I fatti sono semplici: quando un un utente cerca sul campo di ricerca Google, installato sulla home page dei telefoni android, una certa azienda (Best carpet) , e poi clica sulla sua home page , Google sovrappone ad essa propri annunci oscurandola per tre quarti.

L’azienda ha citato Google proponendo più domande e ha ottenuto ragione .

Qui   interessa solo quella c.d. trespass to chattels e cioè turbativa possessoria : qualcosa di simile alla nostra reintegrazione o (forse meglio) manutenzione possessoria ex art. 1170 cc)

Si tratta della molto interessante sentenza Best CArpets c. Google, Case No. 5:20cv04700, NORTHERN DISTRICT OF CALIFORNIA SAN JOSE DIVISION del 24.09.2021.

Limpstazione è qui_: <<Here, there are two potential chattels: the computers hosting Plaintiffs’ websites and the copies of Plaintiffs’ websites appearing on users’ screens. Google contends the trespass to chattels claim fails as a matter of law as to both potential types of chattel because its Search App does not cause physical injury (i.e., intrusion, interference or harm) to any tangible property. Mot. at 6. In making this argument, Google implicitly acknowledges that the computers hosting Plaintiffs’ websites are tangible property, but contends that the Search App does not interact with those computers, much less damage them. As for the copies of Plaintiffs’ websites appearing on users’  screens, Google contends that they are not tangible property, and therefore cannot be the subject of a trespass claim. >>

Ma la corte dice che un website può essere ogetto di una trespass to chattels claim. p.8.

Gli atto  dicono che  un <<website ownership grants them a right to be paid for the advertising space occupied by Google on their websites. And like a domain name, a website is a form of intangible property that has a connection to an electronic document. “A website is a digital document built with software and housed on a computer called a ‘web server,’ which is owned or controlled in part by the website’s owner. A  website occupies physical space on the web server, which can host many other documents as well.” Compl. ¶ 34. Plaintiffs’ website is also connected to the DNS through its domain name, bestcarpetvalue.com, just as Kremen’s domain name was connected to the DNS. Under the Kremen court’s reasoning, Plaintiffs’ website has a connection to a tangible object, which satisfies
the Restatement’s merger requirement>>, p. 10

E non si può negare che sia stata avanzata la pur necessaria allegazione di danno: <<Here, although Plaintiffs are not alleging physical harm to their websites, they do allege functional harm or disruption.  Specifically, Plaintiffs allege that “[b]y obscuring and blocking the contents of [Plaintiffs’] website homepages when viewed on Android’s Search App, Google’s ads substantially interfered with and impaired the websites’ published output and exposed the website owners to unwanted risks of lost advertising revenues and lost sales to competitors, thereby materially reducing the websites’ value and utility to the website owners.  Defendant’s unauthorized interferences proximately caused Plaintiffs . . . actual damage by impairing the condition, quality and value of their websites.”  Id. ¶ 186.  Plaintiffs seek damages equal to the diminished market value of their websites and a permanent injunction requiring Google to disable the ad-generating feature of its Search App on every Android phone on which it is installed and preventing Google from installing any similar feature in the future.  Id. ¶¶ 187-90.  Google argues that there is no cognizable injury because its Search App does not affect how Plaintiffs’ websites function or how they are displayed by other programs.  Mot. at 2.  Google explains that its Search App does not alter Plaintiffs’ websites at all, but rather “displays additional content in a separate, user-controlled frame that overlays and coexists on phone screens with Plaintiffs’ sites.”  Mot. at 7 (citing Compl. ¶¶ 73-74).  But at the pleading stage, Plaintiffs’ factual allegations must be taken as true.  Ashcroft, 556 U.S. at 678.  Plaintiffs allege that the ads obscured and blocked their websites, which if true, would interfere with and impair their websites’ published output.  Google’s ad allegedly obscured the “Cove Base” product link on Best Carpet’s home page.  Compl. ¶ 73.  Although Google’s ad may not have disabled or deactivated the “Cove Base” product link, it nevertheless allegedly impaired the functionality of the website: an Android phone user cannot engage a link that cannot be seen.  At the pleading stage, the alleged decrease in functionality of Plaintiffs’ website is sufficient to plausibly state a cognizable injury for a trespass to chattels claim.  See Compuserve Inc. v. Cyber Promotions, 962 F. Supp. 1015, 1026 (S.D. Ohio 1997) (plaintiff asserting injury aside from physical impact on computer equipment stated cognizable trespass to chattels claim based on decreased utility of plaintiff’s e-mail service and resulting customer complaints); eBay, Inc. v. Bidder’s Edge, Inc., 100 F. Supp. 2d 1058, 1070 (N.D. Cal. 2000) (granting injunction based on likelihood of success on merits of trespass to chattels claim based, in part, on showing that web crawlers diminished the quality or value of eBay’s computer system, even though eBay did not claim physical damage>>, p. 12-13