Cessione di locazione commerciale e soggetto responsabile per i canoni (art. 36 L. 392/78)

Cass. sez. III, ord. 19/02/2024  n.4.405, rel. Tassone, contiene utili precisazioni per la pratica sul tema:

<<4.1. Tanto premesso, questa Corte, con orientamento cui si intende dare continuità, ha già avuto modo di affermare che “in caso di cessione del contratto di locazione (contestualmente a quella dell’azienda) effettuata ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 36, senza il consenso del locatore, mentre tra (l’unico) cedente e (l’unico) cessionario intercorre un vincolo di responsabilità sussidiaria (contraddistinta dal beneficium ordinis, che consente, perciò, al locatore di rivolgersi al cedente, con l’esperimento delle relative azioni giudiziali per il soddisfacimento delle obbligazioni inerenti il suddetto contratto, solo dopo che si sia configurato l’inadempimento del cessionario), nell’ipotesi di verificazione di plurime cessioni a catena, caratterizzate ciascuna dalla dichiarazione di non liberazione dei distinti cedenti, viene a configurarsi tra tutti i cedenti “intermedi” del contratto stesso (compreso il primo) un vincolo di corresponsabilità, rispetto al quale, in assenza di qualsivoglia limitazione ex lege, deve ritenersi normalmente applicabile la regola generale della presunzione di solidarietà (prevista dall’art. 1294 c.c.), in virtù della quale tutti i cedenti (a loro volta cessionari) non liberati dal locatore risponderanno, in solido tra loro, dell’obbligazione inadempiuta dall’attuale conduttore” (così Cass. n. 9486/2007)

4.2. La giurisprudenza successiva ha poi consolidato i seguenti principi:

a) a differenza della cessione del contratto, a struttura trilaterale (il consenso del contraente ceduto è elemento essenziale della cessione, e non co-elemento di efficacia della stessa) la cessione ex art. 36 si perfeziona con la semplice comunicazione al locatore, senza che, rispetto alla sua struttura, incida l’eventuale opposizione del locatore per gravi motivi;

b) in caso di cessione (o locazione) di azienda, con contestuale cessione del contratto di locazione dell’immobile nel quale l’azienda è esercitata, la disciplina recata dalla predetta norma (deviando in parte da quella generale di cui all’art. 1408 cod. civ.) comporta che, se il locatore non può opporsi alla sublocazione o alla cessione del contratto di locazione, unitamente alla cessione o locazione dell’azienda, tuttavia lo stesso può contare sul protrarsi della responsabilità del cedente per il pagamento del canone, nel caso di inadempimento del cessionario, salvo che egli stesso dichiari espressamente di liberarlo (Cass., 28809/2019; Cass. 30/09/2015, n. 19531).

c) il cedente è obbligato in via sussidiaria nei confronti del cessionario, alla stregua di una interpretazione storica e letterale dell’art. 36 in negativo, non essendo stata riprodotta la disposizione della legge n. 19 del 1965, art. 5 che prevedeva testualmente la responsabilità solidale tra cedente e cessionario;

d) la sussidiarietà si sostanzia, peraltro, nel semplice beneficium ordinis (e non anche nel più gravoso beneficium excussionis) in favore del cedente;

e) il rispetto di tale principio postula la semplice messa in mora senza esito del cessionario (con relativa prova a carico del locatore);

f) solo dopo aver rivolto senza esito la richiesta di inadempimento al cessionario ovvero all’ultimo cessionario in caso di cd. cessioni a catena, il locatore potrà rivolgersi, indifferenziatamente e solidalmente, a ciascuno dei cedenti intermedi, che non godono di alcun beneficium ordinis tra loro, e senza alcuna esigenza di integrare il contraddittorio tra i potenziali co-obbligati (da questo principio consegue la configurabilità del litisconsorzio facoltativo, che comporta rapporti scindibili sotto il profilo processuale: v. la già citata Cass., n. 9486/2007: “la illustrata struttura della coobbligazione solidale tra i conduttori convenuti in lite, escluso ogni rapporto di dipendenza o di subordinazione tra le posizioni degli stessi (escluso cioè che la responsabilità dell’un conduttore presupponga o consegua alla responsabilità dell’altro), determina l’autonomia delle domande cumulativamente proposte nei confronti degli stessi, impedendo la configurabilità di un rapporto unico ed inscindibile. Si versa, cioè, in una tipica fattispecie di litisconsorzio facoltativo con rapporti processualmente scindibili”; per cui: “con specifico riferimento alla cessione del contratto di locazione correlata alla cessione di azienda, si è espressa, in maniera reiterata, questa Corte, univoca nell’affermare che sussiste litisconsorzio necessario tra cedente, cessionario e ceduto soltanto quando siano in questione l’avvenuta conclusione, validità ed efficacia del contratto di cessione, ma non quando si controverta unicamente delle vicende del rapporto, potendo in questo caso il locatore esperire separate e distinte azioni nei riguardi dei soggetti tra loro obbligati in solido”; v. ex plurimis, Cass. 09/12/1997, n. 12454; Cass. 29/11/1993, n. 11847; Cass. 31.03.1987, n. 3102)”.

4.3. Questo consolidato orientamento della Corte da un lato è rispettoso della ratio del citato art. 36, che è quella di agevolare il trasferimento di aziende esercenti la loro attività in immobili condotti in locazione dall’imprenditore e di tutelare l’avviamento commerciale (con riferimento a tale ratio v. Cass. 19/01/2010, n. 685), ma, per altro verso, stante l’irrilevanza del consenso del locatore alla cessione della locazione contestuale alla cessione dell’azienda, evenienza questa che rende peculiare l’intera fattispecie speciale di detta cessione, valorizza l’opzione ermeneutica che risulti compatibile con una tutela “rafforzata” del soggetto ceduto al quale, in evidente spregio dei principi di successione nel debito, si nega la facoltà di esprimere la propria volontà ed il proprio assenso.

A tal proposito, perciò, da un lato tra il cedente ed il cessionario divenuto successivo conduttore dell’immobile esiste un vincolo di responsabilità sussidiaria, caratterizzata dal mero beneficium ordinis, che consente, perciò, al locatore di rivolgersi al cedente, con l’esperimento delle relative azioni giudiziali per il soddisfacimento delle obbligazioni inerenti il suddetto contratto, solo dopo che si sia consumato l’inadempimento di detto nuovo conduttore, nei cui confronti è necessaria la preventiva richiesta di adempimento mediante la semplice modalità della messa in mora. Dall’altro deve ritenersi legittima la configurabilità di una fattispecie di responsabilità cumulativa tra cessionari intermedi, che di per sé integra patente violazione del generale principio della incedibilità delle posizioni passive del rapporto obbligatorio senza il consenso del contraente ceduto, in quanto tuttavia giustificata alla luce della riconduzione ad equilibrio dell’intera vicenda contrattuale in fieri, mediante il meccanismo della “cumulatività indeterminata” della responsabilità tra coobbligati (Cass. 20/04/2007, n. 9486; Cass., 29/08/2019, n. 21794), alla quale si applica la regola generale della presunzione di solidarietà prevista dall’art. 1294 cod. civ., in virtù della quale tutti i cedenti (a loro volta cessionari) non liberati dal locatore risponderanno, in solido tra loro, dell’obbligazione inadempiuta dall’attuale conduttore (cfr. Cass. n. 9486/2007)>>.

Locazione dissimulata da comodato accertabile sia verso il locatore che il terzo acquirente

Cass. sez. III, ord. 04/12/2023 n. 33.727, rel. Sestini:

<<il ricorrente assume che, quando venga stipulato un contratto di comodato dissimulante un contratto di locazione, deve trovare applicazione la norma dell’art. 1599 c.c., comma 1 e il requisito della data certa del contratto di locazione (dissimulato) deve essere accertato e valutato in relazione al contratto simulato di comodato (scritto e registrato); sostiene altresì che, ai sensi dell’art. 1417 c.c., comma 3, è sempre ammissibile la prova per testi (e, quindi, anche quella presuntiva) quando si intenda far valere la illiceità del contratto dissimulato (nel caso di specie, perché in violazione del canone legale);

orbene, l’assunto che il contratto di comodato dissimulasse una locazione con canone difforme da quanto consentito dalla legislazione sui patti in deroga deve intendersi certamente come volto ad evidenziare un profilo di illiceità per contrasto con normativa imperativa della locazione dissimulata e, dunque, la prova testimoniale era ammissibile (al pari di quella presuntiva);

il rilievo di cui al punto 11 della motivazione, circa il non essersi dedotto in iure che il canone era eccedente il dovuto non è condivisibile, in quanto si riferisce ad una questione che è logicamente successiva alla prova del contratto locativo e della sua opponibilità agli acquirenti;

peraltro, fissando la legge una durata del contratto locativo e le modalità di rinnovazione, la deduzione della simulazione del contratto di comodato e della dissimulazione di un contratto locativo evidenzia comunque un profilo di illiceità del comodato quale contratto dissimulato, la cui prova sarebbe contraddittorio vincolare alla regola dettata per la forma stessa della stipula del contratto di locazione: la contraddizione è resa evidente dal fatto che pretendere la forma del contratto dissimulato per la stipula di quello simulato e sottrarre la prova di quest’ultimo alla regola normale dettata per la prova della simulazione servirebbe a “coprire” l’illiceità;

deve dunque ritenersi che, se il contratto effettivo è quello di locazione (benché “mascherato” come comodato), non c’e’ ragione per non applicare dell’art. 1599 c.c. il comma 1 e che, quando è dedotta l’illiceità del contratto dissimulato di locazione per violazione di norme imperative, deve essere consentito alla parte conduttrice di provare la simulazione (nei confronti sia della originaria parte locatrice, che degli aventi causa) con prove testimoniali e per presunzioni;

nello specifico, è la stessa Corte di Appello che, pur affermando (al punto 9) che le limitazioni alla prova testimoniale e a quella presuntiva non operano quando si tratti di far valere l’illiceità del contratto dissimulato e pur richiamando (al punto 10) Cass. n. 11017/2005 -che dichiara ammissibili dette prove quando siano dirette a far valere l’illiceità dell’accordo simulatorio-, afferma contraddittoriamente che la prova della simulazione avrebbe potuto essere fornita soltanto mediante controdichiarazione (sull’ammissibilità della p.t. e delle presunzioni, fra tante, anche Cass. n. 1288/2001, Cass. n. 11611/2010 e Cass. n. 9672/2020);>>

Per dare in locaizone validamente un bene non serve essere proprietaio: basta averne un sufficiente potere giuridico di disponibilità

Cass. sez. III del 03/10/2023 n. 27.910, rel. Tassone:

<<1.2 Orbene, la corte territoriale, pur invocando in motivazione l’art. 295 e non l’art. 337, comma 2, c.p.c., ha comunque esercitato un suo potere di valutazione della fattispecie ed ha ritenuto di escludere la sospensione del giudizio di appello, affermando in via dirimente che ai fini della stipula del contratto di locazione fosse sufficiente che la (Omissis) avesse la sola disponibilità del bene, a prescindere da ogni questione concernente l’asserita simulazione dell’atto di acquisto.

1.3 Con tale motivazione, congrua e scevra da vizi logico-giuridici, la corte di merito ha fatto corretta applicazione dell’orientamento di questa Suprema Corte, secondo cui il detentore non è tenuto a dimostrare di avere un diritto reale sul bene per poterlo concedere in locazione e per poter esercitare i diritti derivanti dal rapporto, essendo sufficiente che del bene stesso egli abbia la disponibilità, sulla base di un rapporto (o di un titolo) giuridico che comprenda il potere di trasferire al conduttore la detenzione o il godimento del bene stesso (Cass. civ. Sez. 3, 10 dicembre 2004 n. 23086; Cass., 11 aprile 2006 n. 8411; Cass., 27 maggio 2010 n. 12976; Cass., 22 ottobre 2014 n. 22346).

Come già questa Corte ha avuto modo di affermare, ciò non significa, ovviamente, che sia liberamente ammessa la locazione di cosa altrui e che la mancanza di titolarità del diritto reale sul bene sia sempre e comunque irrilevante.

Significa solo che la dimostrazione della sussistenza del diritto reale non può essere pretesa dal conduttore per sottrarsi all’adempimento degli obblighi nascenti dal rapporto (così come non potrebbe essere opposta dal locatore per rendersi a sua volta inadempiente verso il conduttore).

Il diritto di proprietà del locatore assume rilievo solo quando alla controversia centrata sui rapporti meramente personali fra locatore e conduttore si sovrappongano o si aggiungano questioni che investano la titolarità del diritto reale sul bene locato: se per esempio vi sia controversia fra il locatore e il terzo che si affermi proprietario dell’immobile e si debba decidere dei conseguenti effetti sul rapporto locativo (cfr. sul tema i perspicui rilievi di Cass., 11 aprile 2006, n. 8411).

Vale a dire, solo quando si discuta degli effetti del contratto nel rapporto interno tra locatore e conduttore vale il principio sopra richiamato, nel senso che la natura personale dei diritti e degli obblighi che ne derivano preclude alle parti – ed in particolare al conduttore, la cui posizione interessa in questa sede – di opporre al locatore la mancata titolarità del diritto reale, per sottrarsi alle sue obbligazioni (Cass., 20/8/2015 n. 17030)>>.

Non è chiarito quale fosse il potere giuridico nel caso specifico, essendo solo stata dedotta la simulaizne dell’acquisto (nonchè della locazione, per vero …).

E se il potere è solo fattuale (come quello di chi sta usucapendo)?

La prelazione d’acquisto a favore del conduttore commerciale non spetta se la vendita riguarda solo una quota ideale anzichè l’intero

Sensata conferma dell’orientamento di gran lunga domaninate da parte di Cass. sez. III del 24/07/2023  n. 22.063, rel. Dell’Utri:

<<osserva il Collegio come secondo l’orientamento fatto proprio dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, in tema di locazione di immobili urbani ad uso non abitativo, al conduttore non spettano il diritto di prelazione ed il conseguente diritto di riscatto dell’immobile, secondo la disciplina della L. 27 luglio 1978, n. 392, artt. 38 e 39, qualora il locatore intenda alienare, ad un terzo ovvero al comproprietario dell’immobile locato, la quota del bene oggetto del rapporto di locazione (Sez. U, Sentenza n. 13886 del 14/06/2007, Rv. 597371 – 01; conf. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 17992 del 28/08/2020, Rv. 659011 – 02 e Sez. 3, Sentenza n. 13838 del 09/06/2010, Rv. 613309 – 01);

nel giustificare sul piano argomentativo la soluzione adottata, le Sezioni unite della Corte evidenziano in primo luogo la necessità di te-ner conto di come nella materia delle prelazioni – in particolare in quelle assistite dal carattere di realità assicurato dal diritto di riscatto – il relativo diritto si sovrapponga all’autonomia contrattuale “e la limitazione del potere dispositivo del proprietario trova giustificazione nella funzione sociale della proprietà (art. 42 Cost.), sicché il sacrificio imposto in funzione dell’interesse superindividuale conferisce alla norma che lo prevede l’inevitabile carattere della eccezionalità, con la conseguenza della inapplicabilità della disciplina oltre i casi tipici regolati, tra i quali non è stata inserita l’ipotesi specifica della alienazione della quota. Inserimento questo che sarebbe stato, invece, certamente indispensabile, quando si consideri anche che, nel sistema complessivo della L. n. 392 del 1978, la previsione dei commi 5, 6 e 7 dell’art. 38 della c.d. prelazione congiunta (nella quale, in caso di pluralità di conduttori, il diritto può essere esercitato o unitamente da tutti i conduttori ovvero, nella rinuncia da parte di taluni di essi, ad opera degli altri o dell’unico conduttore che voglia avvalersene e che diventa sempre proprietario dell’intero immobile e non della sola quota corrispondente alla misura già in suo godimento) è particolarmente significativa dell’intenzione del legislatore di evitare il formarsi di una comunione tra locatore e conduttore per la evidente difficoltà che potrebbe derivarne nella gestione della cosa comune, oggetto di interessi potenzialmente contrastanti. Soccorre, poi, il principio – evincibile con carattere di generalità dalla pacifica posizione di dottrina e giurisprudenza sull’inapplicabilità della prelazione alla c.d. vendita in blocco e dal rilievo, condiviso in dottrina, che la sussistenza dei presupposti del retratto successorio ex art. 732 c.c. esclude la stessa ipotizzabilità della prelazione urbana e non pone il problema di un conflitto tra diversi diritti di prelazione – che vi deve essere identità tra l’immobile alienato e l’immobile oggetto della locazione, identità che manca nell’alienazione della quota astratta del bene. E’ utile aggiungere che la pretesa “graduale” attuazione dello scopo della norma, realizzabile con l’acquisto della proprietà completa dell’immobile da parte del conduttore in momenti successivi con l’acquisizione progressiva della proprietà di tutte le altre quote, non solo, secondo quanto già ha indicato la sentenza di questa Corte n. 18648 del 2003, è del tutto eventuale (presupponendo essa sia che alla vendita della prima quota seguano poi effettivamente le vendite delle altre quote, sia che per queste il conduttore si avvalga del diritto di preferenza, cui ben potrebbe rinunciare), ma richiederebbe che a dette vendite successive il proprietario-locatore si determini nella perdurante vigenza della locazione in corso, giacché altrimenti, per le alienazioni compiute dopo la cessazione della locazione, al soggetto già conduttore il diritto di prelazione più non spetta. Inoltre, all’argomento per il quale la cogente disciplina, che limita il suo potere dispositivo dell’immobile, potrebbe essere elusa dal proprietario-locatore con la predisposizione di successive alienazioni di quote, correttamente è stato opposto che, in tal caso, l’ordinamento offre, alternativamente, i rimedi dell’esercizio del diritto di riscatto, questo sul presupposto della dissimulata vendita dell’intero, e del risarcimento dei danni. Infine, devesi osservare che il mancato riconoscimento della prelazione del conduttore nell’acquisto della quota non significa limitazione della tutela privilegiata che la legge riconosce alle locazioni ad uso imprenditoriale, poiché il diritto del conduttore alla stabilità del rapporto continua ad essere garantito dal diritto alla indennità per l’avviamento commerciale, al cui pagamento la parte locatrice continua ad essere tenuta e dal quale, invece, è esonerata quando il conduttore, mediante l’acquisto in prelazione dell’intero immobile, viene a confondere in sé le due qualità di locatore e di conduttore”;

a tale orientamento della giurisprudenza di legittimità – destinato ad essere adattato al caso di specie che, pur quando non esattamente corrispondente alla vicenda concreta illo tempore condotta all’esame delle Sezioni unite, a quest’ultima appare in ogni caso assimilabile sul piano dei principi di diritto e delle rationes decidendi ad esse comuni – il Collegio intende integralmente richiamarsi, condividendone l’impianto argomentativo, gli spunti interpretativi e le soluzioni privilegiate (a cui, nel loro complesso, si rinvia), al fine di assicurarne continuità;

in particolare, tale continuità (al contrario di quanto sostenuto dalla società ricorrente) si giustifica nonostante la particolarità della situazione venutasi a creare attraverso la stipulazione, da parte dei comproprietari, di tre distinti contratti di locazione pro quota indivisa: va considerato, infatti, come, nella situazione in esame, ognuno dei comproprietari abbia riconosciuto, per le due restanti quote, un’attività di gestione indiretta del godimento da parte degli altri comproprietari (per il tramite della locazione della relativa quota), con il conseguente sostanziale (benché indiretto) ingresso nel rapporto locativo pro quota dei medesimi (considerando al riguardo gli insegnamenti di cui a Sez. U, Sentenza n. 11135 del 04/07/2012, Rv. 623019 – 01) e la derivata assimilabilità del risultato finale del collegamento negoziale a quello che si sarebbe realizzato attraverso la stipulazione di un unico contratto di locazione dell’intero bene (e tanto, a tacere della circostanza per cui, a livello gestionale, la stipulazione dei tre distinti contratti in esame ha comportato, per la conduttrice, la realizzazione della stessa forma di godimento sull’intero immobile che si sarebbe determinata attraverso la stipulazione di un unico contratto esteso all’intero bene);

da tanto il riscontro del carattere meramente apparente della distonia della fattispecie in esame rispetto a quella sottoposta al giudizio delle Sezioni unite in precedenza richiamato, con la conseguente applicabilità, anche in questa sede, dei principi di diritto ivi sanciti;

in forza di tali premesse, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso;>>

I gravi motivi per il recesso del conduttore da locazione commerciale ex art. 27 c. 8 L. 392/1978

Cass. sez. III, 17.07.2023 n. 20.503, rel.  Condello.

<<Trattandosi di recesso ‹‹titolato››, e in ciò distinguendosi dal recesso ad nutum, la comunicazione del conduttore non può, tuttavia, prescindere dalla specificazione dei motivi, con la conseguenza che tale requisito inerisce al perfezionamento della stessa dichiarazione di recesso e, al contempo, risponde alla finalità di consentire al locatore la precisa e tempestiva contestazione dei relativi motivi sul fattuale o della loro idoneità a legittimare il recesso medesimo (Cass., sez. 3, 17/01/2012, n. 549; Cass. 26/11/2002, n. 16676; Cass. 29/03/2006, n. 7241; Cass., 24/04/2008, n. 10677), dovendo conseguentemente escludersi che il conduttore possa esplicitare successivamente le ragioni della determinazione assunta (Cass., sez. 3, 30/06/2015, n. 13368). In tal senso si è espressa anche la sentenza di questa Corte n. 24266/2020, richiamata dalla ricorrente nella memoria illustrativa a supporto della doglianza.
Le ragioni che consentono al locatario di liberarsi del vincolo contrattuale devono, inoltre, essere determinate da avvenimenti estranei alla sua volontà, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto, tali da rendere oltremodo gravosa per il conduttore la sua prosecuzione. Inoltre, con riferimento
all’andamento dell’attività aziendale, può integrare grave motivo, legittimante il recesso del conduttore, non solo un andamento della congiuntura economica sfavorevole all’attività di impresa, come è di intuitiva evidenza (Cass., sez. 3, 24/09/2019, n. 23639; Cass., sez.  3, 09/05/2023, n. 12461), ma anche uno favorevole – purché sopravvenuto e oggettivamente imprevedibile (al momento della stipula del contratto) – che lo obblighi ad ampliare la struttura aziendale in misura tale da rendergli particolarmente gravosa la persistenza del rapporto locativo (cfr. Cass., sez. 3, 10/12/1996, n. 10980; Cass., sez. 3, 20/02/2004, n. 3418; Cass., sez. 3, 21/04/2010, n. 9443).
Nel caso di sopravvenuto andamento favorevole della congiuntura aziendale, i fatti, per essere tali da rendere oltremodo gravosa la prosecuzione del contratto, devono innanzitutto presentare una connotazione oggettiva, non potendo risolversi nella unilaterale valutazione effettuata dal conduttore in ordine all’opportunità ed alla mera vantaggiosità di continuare a occupare l’immobile locato, poiché, in tal caso, si ipotizzerebbe la sussistenza di un recesso ad nutum, contrario all’interpretazione letterale, oltre che allo spirito della suddetta norma (cfr. Cass., sez. 3, 28/02/2008, n. 5293; Cass., sez. 3, 08/03/2007, n. 5328).
In tal caso, pertanto, la gravosità della persistenza del rapporto locativo deve essere valutata oggettivamente ed in concreto utilizzando come parametri comparativi, da una parte, la dimensione e le caratteristiche del bene locato e del nuovo locale e, dall’altra, le sopravvenute nuove esigenze di produzione e di commercio dell’azienda. Ne consegue che il giudice del merito non può limitarsi a prendere in considerazione il fatto che vi sia stato un aumento del fatturato aziendale o un aumento del personale lavorante, indici di per sé soli, utili ma non sufficienti al fine propostosi, ma deve altresì verificare, sulla base delle prove raccolte – il cui onere spetta al conduttore recedente secondo i principi generali in materia di ripartizione dell’onere probatorio – se nello specifico ed in concreto le caratteristiche dell’immobile oggetto di locazione siano divenute inadeguate alla accresciuta dimensione dell’azienda così da rendere oltremodo gravosa per il conduttore la prosecuzione del rapporto locativo (Cass., sez. 3, 26/06/2012, n. 10624; Cass., sez. 3, 29/04/2015, n. 8706)>>

L’acquisto dell’immobile locato determina anche la cessione della locazione, ma non retroattivamente: quindi il credito per canoni arretrati rimane in capo al venditore

Questa la posizione di Cass. sez. I del 22.05.2023 n. 14.079, rel. Guizzi, invocando propri precedenti:

<<- che va dato ulteriore seguito al principio, già affermato da questa Corte, secondo cui, se “la regola emptio non tollit locatum dettata dall’art. 1599 c.c., con specifico riguardo al trasferimento a titolo particolare della cosa locata, comporta, in deroga alla normale relatività dei rapporti obbligatori, la cessione legale del contratto, con continuazione dell’originario rapporto e assunzione, da parte dell’acquirente, della stessa posizione del locatore”, essa “non implica tuttavia, certamente, il diritto dell’acquirente al pagamento dei canoni non corrisposti dall’affittuario prima del trasferimento del bene: titolare del relativo diritto, invero, era e resta il precedente proprietario, perché la successione a titolo particolare nel contratto di locazione, imposta dal legislatore, non ha effetto retroattivo”, ovvero, altrimenti detto, “perché la cessione legale del contratto di locazione non determina anche, salvo diverso accordo delle parti, la cessione dei crediti già maturati in capo all’originario contraente” (così da ultimo, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 14 agosto 2014, n. 17986, Rv. 632682-01);

– che, difatti, “l’acquirente dell’immobile locato, pur subentrando in tutti i diritti e gli obblighi correlati alla prosecuzione del rapporto di locazione, deve considerarsi terzo rispetto agli obblighi già perfezionatisi ed esauritisi a favore e a carico delle parti originarie fino al giorno del suo acquisto” (Cass. Sez. 3, sent. 13 maggio 2008, n. 11895, Rv. 603076-01), sicché “il rapporto di locazione viene a scindersi in due periodi distinti, rispetto a ciascuno dei quali l’unico contratto spiega i suoi effetti nei confronti di colui che in quel periodo ha la qualità di locatore” (Cass., Sez. 3, sent. 2 dicembre 2004, n. 22669, Rv. 578316-01)>>.

Posizione teoricamente significativa,  che andrebbe però motivata dato che parrebbe in contrasto con la disciplina generale dell’istituto (art-. 1406 cc)

Inoltre, e a monte, è da vedere se sia proprio esattto parlate di “cessione del contratto” a proposito della inopponibilità disposta dall’art. 1599 cc

Locazione commerciale, deposito cauzionale e mancato guadagno da non reperimento di nuovo conduttore

Cass. sez. 6 del 05.01.2023 n. 194, rel. Guizzi, per la quale la cauzione di una locaizone commerciale copre qualunque danno prodoto da qualunque violazione contrattuale: quindi anche il lucro cessante per non reperimento di nuovo conduttore dopo la risoluzione da inadempimento per mancato pagamento canoni.

Principi di diritto:

<<  – “il locatore può sottrarsi all’obbligo di restituzione del deposito cauzionale, a condizione che proponga domanda giudiziale per l’attribuzione dello stesso, in tutto o in parte, a copertura di specifici danni subiti, di qualsiasi natura, e non solo di quelli subiti dalla “res locata”, ovvero di importi rimasti impagati”;ù

– “in caso di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, spetta al locatore non inadempiente il diritto di pretendere quanto avrebbe potuto conseguire se le obbligazioni fossero state adempiute, detratto l’utile ricavato o che, con l’uso della norma diligenza, avrebbe potuto ricavare dall’immobile nel periodo intercorso tra la risoluzione prematura ed il termine convenzionale del rapporto inadempiuto” >>

Sui gravi motivi perchè il conduttore possa recedere dalla locazione commerciale

Sentenza di legittimità di dubbia esattezza sull’oggetto.

Secondo la’rt. 27 u.c. legge equo canone (392 del 78) il conduittore può smepre recedere con rpeeavviso di sei mesi se ricorrono “gravi motivi”.

Ebbene, secondo Cass. sez.III del 9 settembre 2022 n. 26.618, rel.Condello, la comuncaizone del motivo “per cessata attività” non integra trale requisito, dovendosi anche sopecificare uil motivo di tale cessazione.

6.6. Orbene la decisione impugnata incorre in un errore di sussunzione, giacché, nel caso in esame, la ragione di recesso indicata nella comunicazione era assolutamente inidonea a integrare a livello di indicazione come motivo del negozio di recesso una circostanza integrante “grave motivo”, giacché il dire che si vuole recedere per cessazione dell’attività nei locali (questo significa il “per cessazione dell’attività in essi”) sottende una motivazione che, non esternando la ragione giustificativa della cessazione, ne impedisce la riconduzione ad una ragione apprezzabile come idonea a determinare l’interruzione dell’impegno al rispetto del sinallagma.

Peraltro, la Corte d’appello adducendo che “cessazione dell’attività in essi” significasse, in contrasto con il tenore del recesso, cessazione dell’attività imprenditoriale e, collocandosi al di fuori del percorso segnato dai principi sopra indicati, non ha considerato che la ragione di recesso indicata dalla conduttrice costituisce una mera dichiarazione di volontà di cessare l’attività commerciale in quei locali, riconducibile ad una libera scelta della conduttrice e non ad un fatto estraneo alla sua volontà, come tale non idonea ad integrare i “gravi motivi” di cui all’art. 27, u.c., citato, posto che, in difetto di specificazione dei motivi sottesi alla volontà di non proseguire l’attività, essa non può che essere ricondotta ad una soggettiva valutazione imprenditoriale non conseguente a fattori obiettivi.

Neppure rileva, diversamente da quanto ritenuto dai giudici di appello, che l’odierna ricorrente nella corrispondenza intercorsa con la conduttrice non abbia mosso contestazioni “in fatto” in ordine alla fondatezza del motivo indicato nella comunicazione di recesso, atteso che alla genericità del motivo addotto dalla conduttrice a giustificazione del recesso anticipato non può corrispondere l’onere, della parte locatrice, di una contestazione tempestiva e specifica dello stesso, e ciò anche in chiave di tendenziale contemperamento dei diritti e degli interessi delle parti del contratto, in una prospettiva di equilibrio e di correttezza dei comportamenti economici e di certezza delle situazioni giuridiche.”

Direi invece che la cessazione dell’attività è un fatto imprenditrioalmente così significativo che al proprietario può bastare: conoscerne i motivi è un di più e potrebbe anche ledere la privacy del conduttore.

La disdetta locatizia , pattuita per raccomandata A/R, può essere inviata anche via PEC

Così insegna Cass.  11.808 del 12.04.2022, rel.  Fidanzia, circa un contratto in cui il recesso era stata pattuito nella forma della raccomandata A.R.

Alla luce dell’art. 48.2 d. lkgs. 82/2005 (codice dell’amministrazine digitale

1. La trasmissione telematica di comunicazioni che  necessitano  di
una ricevuta di invio e di una ricevuta di consegna avviene  mediante
la posta elettronica certificata ai sensi del decreto del  Presidente
della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, o mediante altre  soluzioni
tecnologiche individuate con le Linee guida. 
  2. La trasmissione del documento informatico  per  via  telematica,
effettuata ai sensi  del  comma  1,  equivale,  salvo  che  la  legge
disponga diversamente, alla notificazione per mezzo della posta.>>,

la soluzione è esatta.

Stante la chiarezza del dettato normativo, è strano che il Tribunale a quo (Bologna) avesse negato l’efficacia della disdetta via pec

Rifiuto di ricevere la consegna dell’immobile locato in caso di danneggiamento dello stesso

Può il prorpietario rifiutare di ricevere la resttiuzione formale del’limmobile qualora sia danneggiato e l’iniquilino non versi una somma sufficiente a rimetterlo inpristino stato? Si , secondo Cass. n° 39.179 del 09.12.2021, rel. Dell’Utri.

Precusanebte; <<secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, in tema di locazione, allorché il conduttore abbia arrecato gravi danni all’immobile locato, o compiuto sullo stesso innovazioni non consentite, tali da rendere necessario per l’esecuzione delle opere di ripristino l’esborso di somme di notevole entità, in base all’economia del contratto e tenuto comunque conto delle condizioni delle parti, il locatore può legittimamente rifiutare di ricevere la restituzione del bene finché tali somme non siano state corrisposte dal conduttore, il quale, versando in mora, agli effetti dell’art. 1220 cod. civ., rimane tenuto altresì al pagamento del canone ex art. 1591 cod. civ., quand’anche abbia smesso di servirsi dell’immobile per l’uso convenuto (cfr. Sez. 3, ordinanza n. 7424 del 17 marzo 2021; Sez. 3, ordinanza n. 30960 del 27 dicembre 2017; Sez. 3, ordinanza n. 10394 del 27 aprile 2017; Sez. 3, Sentenza n. 12977 del 24/05/2013, Rv. 626376 – 01).>>