Un caso di institutio ex re certa (art. 588.2 c.c.)

E’ spesso difficile capire quando ricorra l’institutio ex re certa (o la disposizione di legato) e, una volta capitolo, quale sia la sorte dei beni ivi non menzionati.

In Cass. sez. II, 5 agosto 2022 n. 24.310, rel. Tedesco, un riepilogo delle principali quistioni in tema.

la de cuius aveva dichiarato nel testamento <<di volere lasciare in eredità al coniuge Boscarol Giorgio «la parte di mia proprietà, equivalente a metà dell’immobile e del terreno, siti in Vermigliano in via P. Zorutti, adiacenti all’attuale abitazione del sig. Boscarol, situata al n. 7 di detta via  [,,,]>>.

Le corti di merito avevano accertato sia che si trattava appunto di institutio ex re certa sia che l’istituito (marito) fosse erede unico, non essendoci altri beni . O meglio, non essendocene altri conteggiabili,. dato che altri beni c’erano ma, essendo in sistema tavolare, non erano ancora stati oggetto di decreto tavolare di trasferimento (da altra successione m.c.).

Boccia la seconda parte del  ragionamento la SC.

Premesse generali sull’istituto:

<<La giurisprudenza della Suprema Corte ha chiarito in passato che l’institutio ex re certa vale a determinare la quota dell’istituito, non già ad attribuirgli la qualità di unico erede (Cass. n. 737/1963). La possibilità del concorso fra l’istituito ex re e l’erede legittimo è stata in tempi recenti riconosciuta da Cass. n. 17868/2019. E’ stato precisato che in mancanza di una manifestazione contraria all’apertura della successione legittima, i beni consapevolmente esclusi sono attribuiti al chiamato ex lege. (arg. ex art. 734 c.c.). La quota dell’istituito ex re è determinata, perciò, in base al rapporto fra le cose attribuite e il valore globale dei beni che il testatore sapeva di possedere in quel dato momento, tenuto conto anche di quelli non contemplati nel testamento. Nella quota differenziale, formata dalle altre cose dell’asse, succede l’erede legittimo; nella stessa proporzione, in forza della virtù espansiva che costituisce connotato essenziale della vocazione a titolo universale, si ripartiranno fra erede testamentario e legittimo i beni ignorati dal testatore o sopravvenuti dopo la confezione della scheda (Cass. n. 9487/2021).>>

<<1.3. Il connotato essenziale della istituzione ex re certa non va ricercato nell’implicita volontà del testatore di attribuire all’istituito la totalità dei beni di cui egli avrebbe potuto disporre al momento della confezione del testamento, ma nell’assegnazione del bene determinato o del complesso di beni come quota del suo patrimonio (Cass. n. 42121/2021). Ciò che è essenziale ai fini del riconoscimento del carattere universale della disposizione, piuttosto, è la possibilità di una partecipazione anche dell’erede istituito ex re anche all’acquisto di altri beni e quindi la sua attitudine a raccoglierli in proporzione della sua quota, da determinarsi in concreto attraverso il rapporto proporzionale tra il valore delle res certae attribuite e il valore dell’intero asse (Cass. n. 5773/1980; n. 2050/1976; n. 1368/1971). Se non vi è quella attitudine, ma l’acquisto è limitato esclusivamente a beni determinati, il chiamato, anche se designato erede, non può che essere considerato legatario (Cass. n. 42121/2021).

1.4. Consegue da quanto sopra che, in materia di interpretazione di una disposizione testamentaria di uno più beni determinati, l’indagine, sulla composizione del patrimonio del testatore al momento della formazione della scheda, è rilevante ad ampio raggio, non solo per stabilire se la disposizione sia legato o istituzione di erede, ma, in ipotesi risoltasi la questione interpretativa nel senso della istituzione ex re, al fine di stabilire se ci siano i presupposti del concorso dell’erede istituito con l’erede legittimo.>>

Quanto alla questione del se  si debba tener conto -per interpretrare la disposizione- anche dei beni già oggetto di titolo giuridico ma non ancora di pubblicità immobiliare tavolare (normalmente costitutiva, ma non nel caso di successione mortis causa), risolta in negativo dalla C. di appello :

<<Il ragionamento rivela duplice errore. In primo luogo la Corte d’appello non ha considerato che si discuteva di beni acquistati mortis causa, rispetto ai quali opera il seguente principio: “Per i beni soggetti al regime tavolare, ai sensi del R.D. n. 499 del 1929, l’efficacia costitutiva dell’iscrizione o intavolazione è limitata ai soli atti tra vivi e non è estensibile ai trasferimenti per successione ereditaria, in relazione ai quali, ex art. 3 del citato decreto, l’intavolazione nemmeno ha il valore di condizione di opponibilità, occorrendo verificare la qualità di erede secondo la normativa successoria; ne consegue che la sola intavolazione del certificato di eredità compiuta su iniziativa di un determinato soggetto, anche nell’interesse di altro beneficiario, non può di per sé determinare l’acquisto della qualità di erede in capo a quest’ultimo, in assenza di una esplicita ratifica – che non si esaurisca nella mera inerzia – necessaria per l’accettazione dell’eredità” (Cass. n. 9713/2017).

A un attento esame l’approccio seguito dalla Corte di merito risulta comunque improprio. Il giudice, chiamato a qualificare una disposizione testamentaria come eredità o legato, o chiamato a stabilire se la disposizione, in ipotesi considerata istituzione ex re, esaurisca o meno l’asse tenuto presente dal testatore, non potrebbe espungere dall’indagine i beni in ipotesi acquistati prima del testamento, soltanto perché non ancora intavolati. Il ragionamento della Corte d’appello, sviluppato nelle sue estreme conseguenze, porterebbe a dire che il giudice dovrebbe ignorare i beni intavolati il giorno successivo alla formazione del testamento, nonostante il titolo si fosse in quel momento già formato e il testatore ne fosse pienamente consapevole: il che è conclusione palesemente irragionevole, certamente non giustificata dal principio secondo cui, posta l’efficacia costitutiva della iscrizione, l’inscrivente consegue la titolarità del diritto reale solo a seguito della intavolazione di esso.>>

l’eredità sui dati personali, ora, è regolata

la legge di adeguamento (d. lgs. 10 agosto 2018, n. 101) della nostra legislazione al reg. UE 2016/679 ha introdotto un art. 2 terdecies nel codice privacy (d. lgs. 196/2003) , che pone delle regole di rilievo successorio.

Dice infatti:

<<Art. 2-terdecies – Diritti riguardanti le persone decedute

1. I diritti di cui agli articoli da 15 a 22 del Regolamento riferiti ai dati personali concernenti persone decedute possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell’interessato, in qualità di suo mandatario, o per ragioni familiari meritevoli di protezione.

2. L’esercizio dei diritti di cui al comma 1 non è ammesso nei casi previsti dalla legge o quando, limitatamente all’offerta diretta di servizi della società dell’informazione, l’interessato lo ha espressamente vietato con dichiarazione scritta presentata al titolare del trattamento o a quest’ultimo comunicata.
3. La volontà dell’interessato di vietare l’esercizio dei diritti di cui al comma 1 deve risultare in modo non equivoco e deve essere specifica, libera e informata; il divieto può riguardare l’esercizio soltanto di alcuni dei diritti di cui al predetto comma.
4. L’interessato ha in ogni momento il diritto di revocare o modificare il divieto di cui ai commi 2 e 3.
5. In ogni caso, il divieto non può produrre effetti pregiudizievoli per l’esercizio da parte dei terzi dei diritti patrimoniali che derivano dalla morte dell’interessato nonché del diritto di difendere in giudizio i propri interessi>> (testo da altalex.com)

 

Volendo sintetizzare quanto sopra:

  • i principali diritti sui dati personali possono essere esercitati  anche dopo il decesso del titolare. La legittimazione è triplice, spettando a chi:  i) ha un interesse proprio, o ii) agisce a tutela dell’interessato, in qualità di suo mandatario, o iii) per ragioni familiari meritevoli di protezione.
    • resta da capire la portata di tali legittimazioni; la meno semplice sembra la prima (sub i) ).
  • questo non vale qualora  l’interessto lo abbia espressamente vietato; tale divieto però è possibile solo relativamente “all’offerta diretta di servizi della società dell’informazione”.
    • cioè? Social, posta elettronica, hosting di qualunque tipo, …?
  • il divieto non può essere generale, ma deve concernere l’esercizio di alcuni solo dei diritti indicati (quelli da 15 a 22 del reg. UE);
    • se li riguarda tutti, il divieto sarà verosimilmetne nullo per violazione di norma imperativa.
    • il difficile sarà capire quando è superata la soglia di validità.
  • tale divieto non può pregiudicare l’esercizio  da parte dei terzi :  i) dei diritti patrimoniali “derivanti” dalla successione de qua, nè ii) del diritto di difesa in giudizio
    • Circa l’ipotesi sub ii) :
      • qualunque sia l’oggetto del giudizio, parrebbe.
      • e solo per la tutela giudiziale. In fase stragiudiziale, invece, il divieto pare pienamente operante, costringendo in tale caso il terzo interessato ad andare in Tribunale se ritiene necessario avvalersi dei mezzi difensivi traibili dai dati personali del de cuius

L’Assonime ha già diffuso una  circolare sul punto: Circolare 25/2018 – Trattamento dei dati personali di persone decedute: le disposizioni del decreto legislativo n. 101/2018 ,  del 03.12.2018 (accesso riservato).