Distinzione tra istituzione di erede e assegnazione di legato, instititutio ex re certa e cautela sociniana

La sempre interessante penna del rel. Criscuolo in materia successoria redige Cass. sez.2 28.11.2023 n. 33.011:

fatto:

<<Al fine di una migliore comprensione anche delle questioni che
pongono i successivi motivi, occorre ricordare che la vicenda trae
origine dalla successione di Rapisardi Matteo, il cui testamento
pubblico, recante la data del 9 agosto 1994, prevedeva
l’attribuzione alla moglie, Remer Anna Maria, dell’usufrutto vita
natural durante di tutto il suo patrimonio (immobili, mobili,
gioielli, argenteria, titoli di qualsiasi specie e natura, suppellettili,
ecc.), nonché la piena proprietà di tutti i crediti, dei titoli, dei mobili, arredi e suppellettili, gioielli e quant’altro si trova nelle
case di Catania e di Mascalucia e nel deposito mobili. Al figlio
Gaspare, a tacitazione dei suoi diritti di legittima, e con
l’eventuale eccedenza sulla disponibile, ha assegnato la piena
proprietà dell’intero palazzo di Catania e di quello di Mascalucia,
nonché il tratto di terreno su cui esisteva la fungaia, in S. Antonio
a Mascalucia.
A favore dei figli Caterina e Giovanni ha attribuito per il periodo
successivo al decesso dell’usufruttuaria, il diritto di abitazione nei
locali di cui gli stessi già disponevano nel palazzo di Catania,
aggiungendo, a chiusura del testamento, che nel resto delle
sostanze erano istituti eredi in parti eguali i figli Giovanni e
Caterina>>.

Diritto:

<<Quanto alla posizione della R., come detto beneficiaria dell’usufrutto generale sul patrimonio relitto e della piena proprietà di crediti, titoli, mobili, arredi, suppellettili e gioielli, ritiene il Collegio che debba darsi continuità al più recente orientamento di questa Corte che, nel dare risposta al dibattuto tema della qualificazione giuridica dell’attribuzione per testamento della qualità di usufruttuario generale (tema ampiamente dibattuto anche in dottrina), ha optato per la tesi dell’attribuzione a titolo particolare e precisamente a titolo di legato.

Trattasi di soluzione già sostenuta in passato (cfr. Cass. n. 986/1979, secondo cui l’attribuzione da parte del testatore del solo usufrutto non conferisce al beneficiario la qualità di erede, perché egli non succede in tal caso nell’universum ius del de cuius, così che il coniuge, nominato usufruttuario generale per disposizione testamentaria, non acquista la qualità di erede) e che deve reputarsi assolutamente prevalente nella più recente giurisprudenza che ha inteso superare la contraria affermazione di Cass. n. 13310/2002, allo stato rimasta pressoché isolata.

Infatti, Cass. n. 1557/2010 ha specificamente riaffermato che ove il testatore attribuisca il solo diritto di usufrutto, il beneficiario non succede “in universum ius” del defunto e, pertanto, non acquista la qualità di erede; nei suoi confronti, pertanto, non sussiste litisconsorzio necessario in sede di giudizio di divisione tra coeredi, trovando poi seguito anche in Cass. n. 13868/2018, secondo cui il lascito avente ad oggetto l’usufrutto, generale o pro quota, dell’asse ereditario costituisce legato, poiché l’usufruttuario non subentra in rapporti qualitativamente eguali a quelli del defunto e la sua responsabilità per i debiti deriva dal meccanismo dell’art. 1010 c.c. e non dalla qualità di erede (conf. anche Cass. n. 4435/2009).

Trattasi di esito interpretativo che risulta corrispondente a quello adottato dalla Corte d’Appello che a tal fine ha fatto rinvio ad un proprio precedente, senza che infici la correttezza della soluzione la mancata riproduzione delle motivazioni di quest’ultimo, trattandosi come detto di orientamento ormai assolutamente prevalente nella giurisprudenza di questa Corte.

La correttezza di tale esito non può poi essere posta in discussione per il rilievo che alla R., accanto all’usufrutto generale, era stata assegnata la piena proprietà di alcuni beni, ancorché indicati per categorie e non in maniera specifica, atteso che la Corte d’Appello, ha escluso che tale attribuzione fosse idonea a determinare una institutio ex certa re ex art. 588 c.c..

Va qui ribadito che in materia testamentaria, l’istituzione di beni in quota da parte del testatore impone di accertare, attraverso qualunque mezzo utile per ricostruirne la volontà, ma comunque secondo un’applicazione ermeneutica rigorosa della disposizione di cui all’art. 558 c.c., comma 2 se l’intenzione del testatore sia stata quella di attribuire quei beni e soltanto quelli come beni determinati e singoli ovvero, pur indicandoli nominativamente, di lasciarli quale quota del suo patrimonio, avendosi, nel primo caso, una successione a titolo particolare o legato e, nel secondo, una successione a titolo universale e istituzione di erede, la quale implica che, in seguito ad esame del complesso delle disposizioni testamentarie, resti accertata l’intenzione del testatore di considerare i beni assegnati come quota della universalità del suo patrimonio (Cass. n. 42121/2021)>>

E poi:

<<Inoltre (cfr. Cass. n. 24163/2013), in tema di distinzione tra erede e legatario, ai sensi dell’art. 588 c.c., l’assegnazione di beni determinati configura una successione a titolo universale (“institutio ex re certa”) qualora il testatore abbia inteso chiamare l’istituito nell’universalità dei beni o in una quota del patrimonio relitto, mentre deve interpretarsi come legato se egli abbia voluto attribuire singoli, individuati, beni, così che l’indagine diretta ad accertare se ricorra l’una o l’altra ipotesi si risolve in un apprezzamento di fatto, riservato ai giudici del merito e, quindi, incensurabile in cassazione, se congruamente motivato. Nella fattispecie emerge che la sentenza gravata, nel pervenire all’approdo interpretativo qui contrastato, è partita proprio dal tenore letterale delle espressioni usate nell’atto di ultima volontà, sottolineando che anche tenendo conto del differente tenore delle espressioni che prevedevano le attribuzioni fatte in favore della R. (“assegno”) da quelle che invece erano state effettuate in favore del figlio G. (“lascio”), doveva attribuirsi efficacia risolutiva in merito al dubbio posto circa la qualificazione delle attribuzioni, la volontà finale del testatore che, evidentemente consapevole della differenza tra la qualità di legatario e quella di erede, aveva riservato quest’ultima solo ai due figli C. e Gi., individuati come tali (ed inizialmente solo per la nuda proprietà) per quanto concerneva i beni>>. [non è accertamento di fatto, però, ma di diritto !!!]

Sulla cautela sociniana:

<<L’art. 550 c.c. ha sostanzialmente riprodotto nel codice l’istituto della cautela sociniana. Dispone infatti il comma 1 del citato articolo che, allorquando il testatore dispone di un usufrutto o di una rendita vitalizia il cui reddito eccede quello della disponibile, i legittimari ai quali è stata assegnata la nuda proprietà o di parte di essa, hanno la scelta o di eseguire tale disposizione o di abbandonare la nuda proprietà della porzione disponibile.

La norma, che si inserisce tra gli strumenti di tutela approntati dal legislatore in favore del legittimario, prevede un particolare effetto – derivante dalla legge e non già dalla volontà del testatore – in base al quale il legittimario, senza la necessità di dover ricorrere all’azione di riduzione, se voglia conseguire la piena proprietà della quota di riserva spettantegli ex lege, ha il diritto potestativo di variare gli effetti della successione, conseguendo in luogo della nuda proprietà, anche della disponibile, la sola quota di legittima, ma in piena proprietà.

L’istituto in oggetto, le cui origini si fanno erroneamente risalire all’elaborazione del giureconsulto S.M.j., il quale ben più limitatamente ebbe a sostenerne la validità in un parere datato intorno all’anno 1550, tende, a differenza dell’azione di riduzione, ad impedire il verificarsi di una lesione qualitativa della quota di legittima (una disposizione infatti quale quella in oggetto potrebbe in concreto attribuire al legittimario ben più di quanto spettantegli per legge, ma con l’imposizione anche sulla quota di legittima di un usufrutto, assimilabile ai pesi ed alle condizioni, la cui apposizione risulta vietata ex art. 549 c.c. – così Cassazione civile, sez. I, 29 dicembre 1970 n. 2782). La legge in tal caso, perseguendo un evidente scopo di semplificazione, volendo cioè evitare tutte quelle complesse controversie che potrebbero insorgere ove si dovesse procedere ad una stima del valore dell’usufrutto o della rendita in termini di capitale, al fine di accertare se vi sia stata o meno lesione quantitativa della quota di legittima, pone il legittimario di fronte alla scelta se accettare la nuda proprietà anche della porzione disponibile, esponendosi al dato aleatorio della durata della vita dell’usufruttuario, ovvero se abbandonare la disponibile, o quanto di essa avrebbe conseguito, per ottenere immediatamente la quota di legittima, senza limitazione alcuna.

Qualora quindi il legittimario opti per “l’abbandono” della nuda proprietà della disponibile, la stessa passa al legatario di usufrutto, il quale pertanto diviene pieno proprietario della disponibile (con una deroga al principio per qui il legatario non succede mai in una quota di proprietà del patrimonio ereditario), mentre l’usufrutto a questi lasciato per la parte relativa alla quota di legittima, viene automaticamente a cadere, dovendo andare a far parte della quota di riserva, verso cui si è indirizzata la scelta del legittimario.

Previsione analoga a quella ora esaminata è poi prevista nell’art. 550 c.c., comma 2 con riferimento alla diversa ipotesi in cui il legato concerna la nuda proprietà di una quota eccedente la disponibile, mentre il legittimario sia stato beneficiato dell’usufrutto anche su beni che eccedano la sua quota di legittima.

Così riassunta la ratio che sottende la norma in esame, diversamente da quanto sostenuto in ricorso, deve piuttosto sottolinearsi come sia del tutto costante l’orientamento del giudice di legittimità, sebbene manifestatosi in non frequenti occasioni, per cui il potere attribuito dalla norma al legittimario di incidere unilateralmente sulla successione, prescinde dall’esercizio dell’azione di riduzione, la quale, impostata sul concetto di lesione quantitativa, non assicura al legittimario la qualità (piena proprietà), oltre che la quantità della legittima (Cass. n. 511/1995, Cass. n. 141/1985; Cass. n. 2782/1970).

Risulta perciò conforme a diritto la soluzione del giudice di appello che ha sostenuto che, a voler inquadrare le previsioni testamentarie oggetto di causa nella disciplina di cui all’art. 550 c.c., risultava escluso che l’attrice potesse far valere il diritto alla quota di riserva avvalendosi dell’azione di riduzione, dovendo piuttosto esercitare il diritto potestativo di abbandono della parte di nuda proprietà eccedente la legittima.>>

Un caso di institutio ex re certa (art. 588.2 c.c.)

E’ spesso difficile capire quando ricorra l’institutio ex re certa (o la disposizione di legato) e, una volta capitolo, quale sia la sorte dei beni ivi non menzionati.

In Cass. sez. II, 5 agosto 2022 n. 24.310, rel. Tedesco, un riepilogo delle principali quistioni in tema.

la de cuius aveva dichiarato nel testamento <<di volere lasciare in eredità al coniuge Boscarol Giorgio «la parte di mia proprietà, equivalente a metà dell’immobile e del terreno, siti in Vermigliano in via P. Zorutti, adiacenti all’attuale abitazione del sig. Boscarol, situata al n. 7 di detta via  [,,,]>>.

Le corti di merito avevano accertato sia che si trattava appunto di institutio ex re certa sia che l’istituito (marito) fosse erede unico, non essendoci altri beni . O meglio, non essendocene altri conteggiabili,. dato che altri beni c’erano ma, essendo in sistema tavolare, non erano ancora stati oggetto di decreto tavolare di trasferimento (da altra successione m.c.).

Boccia la seconda parte del  ragionamento la SC.

Premesse generali sull’istituto:

<<La giurisprudenza della Suprema Corte ha chiarito in passato che l’institutio ex re certa vale a determinare la quota dell’istituito, non già ad attribuirgli la qualità di unico erede (Cass. n. 737/1963). La possibilità del concorso fra l’istituito ex re e l’erede legittimo è stata in tempi recenti riconosciuta da Cass. n. 17868/2019. E’ stato precisato che in mancanza di una manifestazione contraria all’apertura della successione legittima, i beni consapevolmente esclusi sono attribuiti al chiamato ex lege. (arg. ex art. 734 c.c.). La quota dell’istituito ex re è determinata, perciò, in base al rapporto fra le cose attribuite e il valore globale dei beni che il testatore sapeva di possedere in quel dato momento, tenuto conto anche di quelli non contemplati nel testamento. Nella quota differenziale, formata dalle altre cose dell’asse, succede l’erede legittimo; nella stessa proporzione, in forza della virtù espansiva che costituisce connotato essenziale della vocazione a titolo universale, si ripartiranno fra erede testamentario e legittimo i beni ignorati dal testatore o sopravvenuti dopo la confezione della scheda (Cass. n. 9487/2021).>>

<<1.3. Il connotato essenziale della istituzione ex re certa non va ricercato nell’implicita volontà del testatore di attribuire all’istituito la totalità dei beni di cui egli avrebbe potuto disporre al momento della confezione del testamento, ma nell’assegnazione del bene determinato o del complesso di beni come quota del suo patrimonio (Cass. n. 42121/2021). Ciò che è essenziale ai fini del riconoscimento del carattere universale della disposizione, piuttosto, è la possibilità di una partecipazione anche dell’erede istituito ex re anche all’acquisto di altri beni e quindi la sua attitudine a raccoglierli in proporzione della sua quota, da determinarsi in concreto attraverso il rapporto proporzionale tra il valore delle res certae attribuite e il valore dell’intero asse (Cass. n. 5773/1980; n. 2050/1976; n. 1368/1971). Se non vi è quella attitudine, ma l’acquisto è limitato esclusivamente a beni determinati, il chiamato, anche se designato erede, non può che essere considerato legatario (Cass. n. 42121/2021).

1.4. Consegue da quanto sopra che, in materia di interpretazione di una disposizione testamentaria di uno più beni determinati, l’indagine, sulla composizione del patrimonio del testatore al momento della formazione della scheda, è rilevante ad ampio raggio, non solo per stabilire se la disposizione sia legato o istituzione di erede, ma, in ipotesi risoltasi la questione interpretativa nel senso della istituzione ex re, al fine di stabilire se ci siano i presupposti del concorso dell’erede istituito con l’erede legittimo.>>

Quanto alla questione del se  si debba tener conto -per interpretrare la disposizione- anche dei beni già oggetto di titolo giuridico ma non ancora di pubblicità immobiliare tavolare (normalmente costitutiva, ma non nel caso di successione mortis causa), risolta in negativo dalla C. di appello :

<<Il ragionamento rivela duplice errore. In primo luogo la Corte d’appello non ha considerato che si discuteva di beni acquistati mortis causa, rispetto ai quali opera il seguente principio: “Per i beni soggetti al regime tavolare, ai sensi del R.D. n. 499 del 1929, l’efficacia costitutiva dell’iscrizione o intavolazione è limitata ai soli atti tra vivi e non è estensibile ai trasferimenti per successione ereditaria, in relazione ai quali, ex art. 3 del citato decreto, l’intavolazione nemmeno ha il valore di condizione di opponibilità, occorrendo verificare la qualità di erede secondo la normativa successoria; ne consegue che la sola intavolazione del certificato di eredità compiuta su iniziativa di un determinato soggetto, anche nell’interesse di altro beneficiario, non può di per sé determinare l’acquisto della qualità di erede in capo a quest’ultimo, in assenza di una esplicita ratifica – che non si esaurisca nella mera inerzia – necessaria per l’accettazione dell’eredità” (Cass. n. 9713/2017).

A un attento esame l’approccio seguito dalla Corte di merito risulta comunque improprio. Il giudice, chiamato a qualificare una disposizione testamentaria come eredità o legato, o chiamato a stabilire se la disposizione, in ipotesi considerata istituzione ex re, esaurisca o meno l’asse tenuto presente dal testatore, non potrebbe espungere dall’indagine i beni in ipotesi acquistati prima del testamento, soltanto perché non ancora intavolati. Il ragionamento della Corte d’appello, sviluppato nelle sue estreme conseguenze, porterebbe a dire che il giudice dovrebbe ignorare i beni intavolati il giorno successivo alla formazione del testamento, nonostante il titolo si fosse in quel momento già formato e il testatore ne fosse pienamente consapevole: il che è conclusione palesemente irragionevole, certamente non giustificata dal principio secondo cui, posta l’efficacia costitutiva della iscrizione, l’inscrivente consegue la titolarità del diritto reale solo a seguito della intavolazione di esso.>>