Riproduzione televisiva dell’immagine di un minore

Cass. sez. III dep. 01/02/2024 , n. 2.978, rel. Spaziani, con un interessante obiter dictum sulla tutela del minore (indicato in rosso; infatti non è la ratio della decisione che non diversifica tra minori e maggiorenni , applicando la gisciplina consueta).

Nel caso i genitori avevano agito per inibitoria e danno contro la RAI per aver ripreso il loro figlio durante un un servizio relativo alla cattura di un latitante.

La SC fa un ripasso generale dapprima:

<<.1.a. Il diritto all’immagine è tutelato nel nostro ordinamento nel codice civile (art.10) e nella legge n. 633 del 1941 sulla protezione del diritto d’autore (artt.96 e 97), che detta il completamento della disciplina codicistica.

Dal combinato disposto della disposizione del codice civile e delle disposizioni della legge speciale, si desume la regola che pone il divieto di esporre o pubblicare l’immagine di una persona.

Il divieto non è assoluto nell’ipotesi in cui l’esposizione o la pubblicazione non rechi pregiudizio all’onore, al decoro o alla reputazione della persona ritratta, perché in questa ipotesi l’esposizione o la pubblicazione è eccezionalmente ammessa quando sussista il consenso della persona medesima (art.96 legge n. 633 del 1941) o quando ricorra una delle fattispecie tassativamente stabilite dalla legge in deroga al divieto stesso (notorietà della persona; ufficio pubblico da essa ricoperto; necessità di giustizia o di polizia; sussistenza di scopi scientifici, didattici o culturali; collegamento della riproduzione con fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico: art. 97, primo comma, l. n. 633 del 1941).

Il divieto è, invece, assoluto nella contraria ipotesi in cui l’esposizione o la pubblicazione rechi pregiudizio all’onore, al decoro o alla reputazione della persona ritratta, perché in questa ipotesi l’esigenza del rispetto dell’intimità della persona prevale sull’esigenza sociale di pubblica conoscenza della sua immagine, sicché non sono ammesse deroghe al divieto di divulgazione (art.97, secondo comma, l. n.633 del 1941).

2.1.b. Il diritto all’immagine – configurato in dottrina talora come manifestazione del più ampio diritto alla riservatezza, talaltra come autonomo diritto della personalità – ha un duplice contenuto, negativo e positivo.

Sotto il primo profilo, il diritto tutela l’interesse del titolare a che la sua immagine non venga diffusa o esposta in pubblico; la correlativa situazione giuridica soggettiva passiva posta in capo alla totalità (erga omnes) dei consociati consiste in un dovere di astensione.

Sotto il secondo profilo, il diritto tutela l’interesse del titolare ad apparire in pubblico nella misura in cui abbia interesse a farlo; la correlativa situazione giuridica soggettiva passiva posta in capo alla totalità (erga omnes) dei consociati consiste in un obbligo di pati.

Tanto il primo quanto il secondo aspetto del diritto hanno avuto, nell’elaborazione giurisprudenziale, una rilevante capacità espansiva, evolvendo verso forme di tutela più estese di quelle circoscritte dalle norme di diritto positivo dianzi ricordate.

Con riguardo al contenuto positivo del diritto, il crescente riconoscimento sociale della facoltà della persona di apparire in pubblico nella misura in cui abbia interesse a farlo, si è tradotto nel giudizio di meritevolezza di tutela (art. 1322, secondo comma, cod. civ.) dell’interesse patrimoniale del soggetto allo sfruttamento commerciale della propria immagine verso un corrispettivo, ponendo le basi, da un lato, per la diffusione del contratto atipico di sponsorizzazione (Cass. n. 9880 del 1997; Cass. n. 7083 del 2006; Cass. n.12801 del 2006; Cass. n.18218 del 2009); dall’altro lato, per il riconoscimento della risarcibilità del pregiudizio economico rappresentato dalla perdita del corrispettivo dell’utilizzazione della propria immagine a fini pubblicitari (Cass. n. 22513 del 2004; Cass. n. 1875 del 2019), così autorizzandosi la dottrina a ritenere esistente, anche nel nostro ordinamento, la figura, di derivazione americana, del right of publicity.

Con particolare riguardo al contenuto negativo del diritto – ovverosia l’aspetto che assume rilievo nella presente sede – deve osservarsi che nella giurisprudenza di questa Corte si è affermato, ed è andato consolidandosi, l’orientamento tendente ad operare una integrazione delle fonti della disciplina del diritto soggettivo in esame, individuandole, non più soltanto nella norma codicistica (art.10 cod. civ.) e nelle disposizioni della legge sul diritto d’autore (artt. 96 e 97 della legge n. 633 del 1941), ma anche nel Codice in materia di protezione dei dati personali (D.Lgs.30 giugno 2003, n.196).

In tema di informazione fornita con il servizio televisivo (e con specifico riguardo al caso di diffusione dell’immagine di persone riprese di nascosto) è stato, ad es., ripetutamente affermato che la presenza delle condizioni legittimanti l’esercizio del diritto di cronaca non implica, di per sé, la legittimità della pubblicazione o diffusione anche dell’immagine delle persone coinvolte, la cui liceità è subordinata, oltre che al rispetto delle prescrizioni contenute negli artt. 10 cod. civ., 96 e 97 della legge n. 633 del 1941, anche all’osservanza di quelle contenute nell’art. 137 del D.Lgs. n. 196 del 2003 e nell’art. 8 del codice deontologico dei giornalisti, nonché alla verifica in concreto della sussistenza di uno specifico ed autonomo interesse pubblico alla conoscenza delle fattezze dei protagonisti della vicenda narrata, nell’ottica della essenzialità di tale divulgazione ai fini della completezza e correttezza della informazione fornita (Cass. n. 15360 del 2015; Cass. n. 18006 del 2018).

Sempre in tema di attività giornalistica (con riguardo alla fattispecie di pubblicazione su quotidiano di fotografia di persona in stato di detenzione) è stato inoltre statuito che la pubblicazione è legittima se sia rispettosa, oltre che dei limiti, fissati dagli artt. 20 e 25 della legge n. 675 del 1996 (ratione temporis applicabili) e, comunque, riprodotti nell’art. 137 del D.Lgs. n. 196 del 2003, di essenzialità per illustrare il contenuto della notizia e quelli dell’esercizio del diritto di cronaca, anche delle particolari cautele imposte a tutela della persona ritratta, previste dall’art. 8 del codice deontologico dei giornalisti, che costituisce fonte normativa integrativa; si è inoltre puntualizzato che l’osservanza dei suddetti limiti va accertata con maggior rigore rispetto alla semplice pubblicazione della notizia, per la maggiore potenzialità lesiva dello strumento visivo e la maggiore idoneità ad una diffusione decontestualizzata e insuscettibile di controllo da parte della persona ritratta (Cass. n. 12834 del 2014).

2.1.c. Il consolidarsi dell’orientamento giurisprudenziale tendente ad integrare le fonti regolatrici del diritto della personalità in esame, si è tradotto nel riconoscimento di una sua maggiore estensione e di una più penetrante e satisfattiva protezione in sede giudiziaria, comportando implicazioni sul giudizio di comparazione tra l’esigenza di tutela dell’interesse della persona a non veder diffusa o esposta in pubblico la propria immagine e l’esigenza di tutela del contrario interesse sociale di pubblica conoscenza dell’immagine medesima, che giustifica la deroga al divieto di esposizione o pubblicazione nelle specifiche ipotesi tassativamente indicate dalla legge.

L’individuazione della fonte regolatrice del diritto anche nelle norme del codice della privacy, implica, infatti, che nel giudizio di bilanciamento assuma un peso maggiore l’esigenza di protezione della sfera privata della persona rispetto alla contraria esigenza di consentirne l’esposizione e la diffusione dell’immagine in quelle tassative fattispecie in cui – escluso comunque il pregiudizio all’onore, al decoro o alla reputazione – sussista un interesse generale a renderla pubblica.

2.1.d. L’esigenza di protezione della sfera privata rispetto a quella di tutela dell’interesse pubblico alla diffusione della sua immagine assume particolare preminenza nell’ipotesi in cui si tratti di persona minore d’età.[è il passaggio più importante, solo che è lasciato in bianco l’esito. Il  bilanciamento col diritto alla data protection non ha alcun criterio per la sua esecuzione , come invece per il 96-97 l. aut. e 10 cc]

Con riferimento a tale fattispecie, questa Corte ha infatti affermato che anche quando non ricorra il caso limite della lesione del decoro, della reputazione o dell’onore della persona di cui all’art. 97, secondo comma, della legge n. 633 del 1941 e si integri, al contrario, in astratto, una delle fattispecie (in particolare il collegamento con un evento di interesse pubblico o comunque svoltosi in pubblico) indicate dal primo comma della detta disposizione, può nondimeno escludersi che operi, in concreto, la deroga legale al divieto di riproduzione dell’immagine prevista dalla stessa norma, allorché alla circostanza soggettiva della minore età della persona si accompagni quella, oggettiva, della non casualità della ripresa, espressamente diretta a polarizzare l’attenzione sull’identità del minore e sulla sua riconoscibilità (Cass. 13/05/2020, n. 8880)>> [NB regola probabilmente applicabile pure ai maggiorenni, valendo la stessa ragione] .

Poi va ai fatti di causa, col consueto rigetto del ricorso perchè censurante una valutaizone di fatto e non di diritto:

<< 2.1.e. Nella vicenda in esame, il Tribunale ha debitamente tenuto conto delle fonti regolatrici del diritto e dei limiti del divieto di pubblicazione dell’immagine della persona e ha debitamente svolto l’accertamento di merito alla luce degli illustrati principi di diritto.

Il giudice del merito, infatti, ha accertato, per un verso, la sussistenza di una delle tassative ipotesi in cui la pubblicazione dell’immagine della persona è consentita dalla legge a prescindere dal suo consenso, in quanto giustificata dal suo collegamento con un evento – l’arresto di un latitante nell’ambito del contesto sociale in cui si era nascosto – connotato dall’interesse pubblico all’informazione e, per di più, svoltosi in luogo pubblico; per altro verso, l’insussistenza delle circostanze obiettive che avrebbero escluso la liceità della pubblicazione dell’immagine di una persona minore di età, la quale era stata ripresa nell’ambito di un servizio di cronaca televisiva in modo del tutto casuale, all’interno di una massa indistinta di persone, senza alcun intento di renderla identificabile o riconoscibile da parte di chi avesse veduto il filmato.

Nell’obiettare a tale motivato accertamento l’opposto rilievo che, al contrario, la pubblicazione dell’immagine sarebbe stata compiuta in pregiudizio all’onore, alla reputazione e al decoro della persona minorenne e con l’intento di polarizzare l’attenzione sulla sua identità e riconoscibilità, il motivo di ricorso in esame, ad onta della formale intestazione, non denuncia un error in iudicando ma tende a suscitare dalla Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito in contrapposizione a quello motivatamente formulato dal Tribunale nel rispetto dei principi di diritto applicabili alla fattispecie.

Pertanto, anche il secondo motivo di ricorso deve essere dichiarato inammissibile>>.

Si v. ora, oltre alla nota redazionale, quella successiva firmata da Palmieri in Foro it., 2024/2, 404 ss (l’a. rileva la novità del bilanciamento esteso alla data protection, ma non ne rileva la difficoltà data dall’assenza di un criterio dirimente).

Lecita riprodizione dell’immagine altruji su qutodiano in occasione di pubblico evento

Cass. sez. III del 25/01/2023 n. 2.304, rel. Dell’Utri, sul tema.

Non ci sono elaborazioni particolari.

Mi pare dubbio assai un paio di passaggi.

1°  <<vale peraltro rilevare come la questione di fatto posta ad oggetto dell’odierno censura attenga ad un aspetto del tutto marginale della vicenda in esame, apparendo del tutto evidente che il profilo di consenso rilevante, ai fini della legittimazione alla diffusione dell’immagine, non deve tanto riguardare lo scatto della fotografia in sé, bensì la diffusione della stessa su un organo di stampa, apparendo, conseguentemente, del tutto irrilevante la circostanza che le persone ritratte abbiano manifestato la propria disponibilità ‘ad essere fotografate’, ben potendo conservare la propria volontà contraria alla diffusione di tale fotografie su un organo ad ampia diffusione come un giornale quotidiano: questione, quest’ultima, rimasta del tutto estranea ai termini dell’odierna censura;>>.

Non si chiede la SC se il consenso alla foto comprendesse (tacitamente magari, cioè alla luce delle circostanze) anche quello alla successiva diffusione via stampa (perchè mai, potrebbe taluno pensare,  una persona si fa fotografare magari da un fotografo professionsta del quotidiano? Andava approfondito il fatto).

2°  <<peraltro, in tema di autorizzazione dell’interessato alla pubblicazione della propria immagine, le ipotesi previste dalla L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 97, comma 2, ricorrendo le quali l’immagine può essere riprodotta senza il consenso della persona ritratta, sono giustificate dall’interesse pubblico all’informazione, determinando una pretesa risarcitoria solo se da tale evento derivi pregiudizio all’onore o al decoro della medesima.>.

L’art. 97.2 cit. dice “non può essere esposto o messo in commercio>>: per cui non c’è solo il diritto al risarcimento, ma anche quello di vietare l’esposizione (tutela reale, non solo obbligatoria).

Il caso Gianni Rivera c. RCS: tra right of publicity , libertà di informazione e data protection

Cass. sez. 1  n. 19.515 del 16 giugno 2022 decide il ricordo nella lite RCS c. Gianni Rivera.

Il noto calciatore e poi parlamentare aveva lamentato la diffusione abusiva della sua immagine inserita in un DVD e poi in medagliette.

La SC regola solo la prima fattispecie (l’altra era stata processualmente abbandonata).

Le foto inserite nel DVD rigurardavano : << 7. … Una, menzionata in ricorso e materialmente incorporata nella memoria illustrativa, raffigura R.G. che scende dall’aereo brandendo la Coppa intercontinentale appena vinta (cfr ricorso, pag.14, penultimo capoverso).

Un’altra, menzionata in ricorso, raffigura R.G., insieme ad altri noti calciatori della (OMISSIS) dell’epoca, M.S., D.S.G. e I.A., in un ritiro della Nazionale (cfr ricorso, pag.13, primo paragrafo); un’altra ancora (sempre in ricorso, pag.13, primo paragrafo) lo ritrarrebbe presumibilmente nel corso di un’intervista; nulla si sa di più preciso, salvo la connotazione descrittiva in negativo operata dalla sentenza impugnata (esclusione della raffigurazione di R. in azione di gioco o in divisa da calciatore).>>

Per la SC , che riforma la decisione di appello, il contesto era legato al settore di provenienza della notorietà e dunque la pubblicazione rispettata gli art. 10 cc – 97 l. aut.       A nulla c’entra che Rivera fosse in abito civile anzichè in tenuta sportiva, come vorrebbe la corte di appello.

L’affermazione è esatta, anche se quasi scontata: è ovvio che i due contesti sopra indicato rientrino nell’ambito di lecita riproduzione ex art. 97 l. aut.

In particolare: <<Il punto è quindi se la notorietà di un personaggio possa essere rigorosamente delimitata allo stretto ambito delle attività in cui si è inizialmente delineata e da cui è emersa. ,…

18. Il Collegio conviene con il Procuratore generale che non si tratta di addivenire a una lettura estensiva dell’art. 97 L.d.a., ma più semplicemente di diagnosticare e riconoscere l’ambito della notorietà effettivamente raggiunta da un personaggio pubblico e il correlativo spazio di operatività della deroga prevista dalla legge alla necessità del consenso del personaggio ritratto.

19. Pare tuttavia eccessivo spingersi sino a sostenere che i ritratti fotografici dei personaggi dello sport, come pure quelli dei protagonisti della musica di consumo o del cinema, per limitarsi ai casi esemplificati nella requisitoria del Procuratore generale, possano essere divulgati, senza il loro consenso, anche in contesti del tutto avulsi da quelli che hanno reso noti tali personaggi.

Occorre pur sempre verificare non solo il rispetto del decoro, della convenienza e della reputazione, ma anche quello della sfera di riservatezza che la persona ritratta ha inteso legittimamente proteggere dalle ingerenze altrui.

20. Il Collegio ritiene dunque che la corretta applicazione dell’esimente dell’art. 97 L.d.a. renda lecita la divulgazione di ritratti fotografici di personaggi famosi non solo allorché essi siano raffigurati nell’espletamento dell’attività specifica che li ha consegnati alla pubblica notorietà (vale a dire: per lo sportivo l’attività agonistica, per il cantante l’esibizione sul palco, per l’attore la recitazione in scena), come troppo restrittivamente perimetrato dalla Corte milanese, ma anche quando la fotografia li ritrae nello svolgimento di attività accessorie e connesse, che rientrano nel cono di proiezione della loro immagine pubblica e quindi nella sfera di interesse pubblico dedicato dalla collettività alla loro attività.

Vi rientrano pertanto certamente le fotografie che ritraggono un noto calciatore in partenza o al rientro per una competizione sportiva, o mentre esibisce un trofeo vinto, o nell’atto di rilasciare a un giornalista una intervista legata alla sua attività, o ancora insieme ad altri calciatori, per di più se in un ritiro organizzato dalla sua squadra o dalla (OMISSIS).

Ipotesi tutte in cui l’atleta, pur non indossando la divisa e non praticando attualmente il proprio sport, viene raffigurato in stretta connessione con l’ambito di attività per cui ha conseguito la notorietà, e in cui è oggetto di interesse da parte del pubblico proprio in quanto sportivo noto.

E’ evidente che nei casi esemplificati l’interesse del pubblico è rivolto proprio al personaggio sportivo, per vedere come gioisca dei propri trionfi, come si relazioni con la stampa specializzata, come si prepari alle partite e come si rilassi dopo di esse, come interagisca con altri atleti famosi: per personaggi di quel calibro non si può circoscrivere la notorietà all’ambito originario da cui è germinata (nel caso il calcio) per escludere situazioni in cui l’atleta viaggia, parla con altri calciatori, o appare in pubblico in abiti borghesi ma in connessione con la propria attività.

Per giunta, la diversa interpretazione, troppo restrittiva dell’art. 97 L.d.a., accolta dalla Corte milanese, dovrebbe valere anche per la stampa ordinaria, come osserva persuasivamente la ricorrente.>>

Resta invece fuori dall’ambito dell’esimente la fotografia del personaggio <<ritratto in occasioni private, prive di alcun collegamento, anche indiretto, con l’attività che ha determinato la celebrità e per le quali, del tutto lecitamente, il personaggio noto ha esercitato il diritto di ammantare di riservatezza, attraverso uno jus excludendi alios, la propria sfera privata>>.

Interessante è il punto sul se vi sia stato uso commerciale dell’immagine, annosa questione: <<22. Nella fattispecie, inoltre, l’immagine di R.G. non è stata utilizzata a fini pubblicitari e promozionali, che non possono essere desunti meccanicamente dalla natura imprenditoriale dell’attività di RCS.

Non bisogna infatti confondere la natura professionale dell’attività di cronaca informativa e documentazione didattico-culturale, che comporta la pubblicazione di informazioni e di immagini, con le finalità di utilizzo dell’immagine in senso stretto.

Altrimenti – come osserva efficacemente la ricorrente – si finirebbe per interdire l’esercizio stesso della cronaca giornalistica: suona assai convincente l’argomentazione della difesa di RCS che obietta che, così ragionando, le sarebbe stato interdetto pubblicare le foto anche sui quotidiani o settimanali del gruppo editoriale.

E difatti l’attività informativa, didattica e culturale, ben può essere rivolta anche con lo sguardo al passato, per raccontare e illustrare in modo organico vicende pregresse, e non solo con l’attenzione al presente per aggiornare sugli eventi in corso>>

Qui sarei meno sicuro, dipendendo dal contenuto del DVD: un record di immagini giustapposte senza approfondimento storico/sportivo, ad es., sarebbe lecito?

Sfruttamento della notorietà altrui (dopo la cessazione del rapporto contrattuale): un esempio “da manuale” (sul caso Canalis)

Il Tribunale di Milano nello scorso giugno ha deciso sulla lite promossa da Elisabetta Canalis e dal concessionario per lo sfruttamento dei suoi diritti d’immagine (tale Lidia Corp.[-oration?], società di diritto statunitense) nei confronti della società, produttrice di biancheria intima, con cui aveva stipulato un contratto di sfruttamento della propria immagine e del proprio nome (Trib. MI , sez. specializzata in materia di impresa A, 06.06.2018 , sentenza n. 6355/2018, RG 25844/2018).

La durata del rapporto era stata fissata in tredici mesi (1 marzo 2013 – 31 marzo 2014).

Secondo la sig.ra Canalis, attrice in causa, la controparte aveva continuato a sfruttare la sua notorietà anche dopo la cessazione del rapporto,  caricandone  (o mantenendo) alcune fotografie e video sul sito aziendale .

Il Tribunale ha accolto le domande della sig.ra Canalis .

Propongo alcuni passaggi interessanti del provvedimento. Il Tribunale:

  1. ha utilizzato come prova (compreso il profilo temporale, naturalmente, decisivo in causa) alcune pagine del sito della convenuta, estratte dal servizio wayback machine di archive.org (§ 1);
  2. ha inserito in sentenza (era ora che qualche giudice iniziasse a farlo) immagini tratte del sito della convenuta, ritenute pertinenti e probanti;
  3. circa la natura dell’illecito, ha affermato la violazione (p. 8):
    1. dell’art. 2043 cod. civ.;
    2. dell’art. 10 cod. civ.;
    3. degli artt. 96 e 97 l. autore;
    4. degli artt. 6, 7 e 9 cod. civ.  e dell’art. 8 co. 3 d. lgs. 30/2005 cod. propr. ind. (circa lo pseudonimo “ELI”);
  4. ha fatto assistere l’inibitoria da una penale di € 5.000,00 per ogni giorno di ritardo per rimozioni e cessazione e da una di € 50,00 per ogni prodotto immesso in comercio in violazione (p.9);
  5. sul danno patrimoniale, ha ritenuto che <<il risarcimento vada commisurato non solo all’importo che il titolare del diritto e il licenziatario avevano concordato in normali condizioni di mercato, bensì nell’importo che avrebbero concordato ad illecito già accertato, quando quindi il titolare del diritto – nello scenario ipotetico funzionale alla liquidazione equitativa – concederebbe lo sfruttamento a fronte di un diritto ormai violato: contesto in cui il prezzo è ragionevole ritenere sarebbe stato maggiore rispetto a quello determinato nelle ordinarie condizioni di mercato, perché necessario, appunto, funzionale a fra si che il titolare rilasciasse ex post il proprio consenso allo sfruttamento del diritto>> e accertato che lo sfruttamento illecito è durato per circa un anno , il Tribunale ha applicato il criterio del c.d. giusto prezzo del consenso, concretizzandolo in un importo di poco superiore a quello pattuito nel contratto (€ 120.000,00), oltre ad interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data [di inizio] dell’evento lesivo (p. 10);
  6. ha liquidato il danno non patrimoniale in € 30.000,00 : un quarto di quello patrimoniale. 

 Sarebbe interessante approfondire in linea teorica il rapporto reciproco (cioè la cumulabilità processuale) tra le azioni basate su ciascuna delle norme citate al punto 3 (soprattutto di quelle da 1 a 3 del punto 3)