Sull’efficacia probatoria della relazione investigativa e delle fotografie nei processi di separazione personale

Cass. sez. I, sent. 14/02/2024 n. 4.038, rel. Parise:

<<La censura in esame investe non un fatto inteso in senso storico e avente valenza decisiva, ma elementi probatori suscettibili di valutazione, come appunto la relazione investigativa, rientrante tra le prove atipiche liberamente valutabili nel giudizio civile ai sensi dell’art. 116 cod. proc. civ., di cui il giudice è legittimato ad avvalersi, atteso che nell’ordinamento processuale vigente manca una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova (così in fattispecie sovrapponibile alla presente Cass. n. 15196/2023; tra le tante, Cass. n. 7712/2023; Cass. n. 1593/2017; Cass. n. 18025/2019; Cass. n. 3689/2021; su accertamenti tramite agenzia investigativa v. anche Cass. n. 15094/ 2018; Cass. n. 11697/2020).

Nella specie, la relazione scritta redatta da un investigatore privato è stata utilizzata correttamente dai giudici di merito come prova atipica, avente valore indiziario, ossia è stata valutata unitamente ad altri elementi di prova ritualmente acquisiti.

Sotto ulteriore profilo, occorre rimarcare, come rilevato anche dalla Procura Generale, che le relazioni investigative erano formate anche da materiale fotografico, la cui utilizzabilità a fini decisori è espressamente riconosciuta dall’art. 2712 cod. civ., anche in presenza di un disconoscimento della parte contro la quale il materiale fotografico viene prodotto; nel senso che, neppure il disconoscimento esclude l’autonoma valutazione della veridicità di detto materiale fotografico da parte del giudice, mediante il ricorso ad altri mezzi probatori. In particolare, è stato chiarito da questa Corte che, in tema di efficacia probatoria delle riproduzioni fotografiche, il disconoscimento delle fotografie non produce gli stessi effetti del disconoscimento previsto dall’art. 215, secondo comma, cod. proc. civ., perché mentre questo, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo di questa, preclude l’utilizzazione della scrittura, il primo non impedisce che il giudice possa accertare la conformità all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni (Cass. n.13519/2022).

Ciò posto, in ordine alle risultanze del materiale fotografico, valorizzate nella sentenza impugnata, non si rinviene in ricorso una critica compiuta e specifica e anche le doglianze relative alla relazione investigativa, oltre ad essere impropriamente formulate perché non concernenti un fatto storico, neppure sono pertinenti nel senso che si è precisato>>.

La registrazione abusiva di telefonata può provare l’infedeltà matrimoniale: intorno al concetto di “prova illecita”

Di un certo itneresse Appello Reggio Calabria 11.05.2022, RG 760/2019, sent. n° 345/2022.

Il figlio aveva lasciato il suo cell. acceso nell’auto della madre, presumendo che avrebbe incontrato un amante e di poterla quindi registrare. Così fu.

Il padre utilizzo tale registrzione producendola come CD nel processo di dovorzio e trascrivendone il contenuto nell’atto introduttivo.

Particolarità processuale: aveva ritirato il fascicolo diparte (col  CD) in udienza di precisazione  delle concluisioni, per restituirlo solo dopo il termine per le conclusionali.

I problemi son due:

i) se tale registrazione è lecita o illecita;

ii) nel secondo caso, se sia producibile/utilizzabile nel giudizio divile.

Vecchi temi quello delle prove illecite e delle prove atipiche nel processo civile (scritti importanti di Ricci ed oggi di Passanante). Un tempo illecite  erano spt. i documenti rubati, oggi i documenti informatici violanti la privacy.

La Corte ritiene utilizzabile tale prova come prova atipica, mancando una norma che ne sancisca l’inutilizzabilità come nel c.p.p.

<<Intanto, può escludersi che la condotta in questione abbia determinato la commissione di un reato, non ricorrendo, in particolare, tutti gli elementi costitutivi delle fattispecie di cui agli artt. 615 bis e 617 c.p..
In ogni caso, è opinione della Corte che anche la ravvisabile violazione della sfera di riservatezza altrui non impedisca l’acquisizione e la valutazione della prova nel presente procedimento.
L’ordinamento processuale civile, infatti, non prevede alcuna norma che, come l’art. 191 c.p.p. nell’ordinamento penale, sanzioni l’inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge.
Esso è, invece, governato dai principi della atipicità della prova e del libero convincimento del giudice, in virtù dei quali, in assenza di divieti di legge, quest’ultimo può formare il proprio convincimento anche, per esempio, in base a prove atipiche, come quelle raccolte in un altro giudizio tra le stesse o tra altre parti, senza che rilevi la divergenza delle regole, proprie di quel procedimento,
relative all’ammissione e all’assunzione della prova (ex plurimis, cfr. Cass. Civ., sez. I, n. 25067/2018; sez. III, n. 13229/2015).
L’applicazione di eventuali sanzioni – anche di carattere procedurale – conseguenti a condotte poste in essere in violazione delle norme contenute negli altri ambiti ordinamentali è a tali sede riservata e non incide sulla libera apprezzabilità della prova in ambito civile.
Ciò premesso, nel caso in esame si è comunque in presenza di una registrazione fonografica, riconducibile al disposto dell’art. 2712 c.c..
La giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare che la registrazione su nastro magnetico di una conversazione può costituire fonte di prova, ex articolo 2712 del c.c., se colui contro il quale la registrazione è prodotta non contesti che la conversazione sia realmente avvenuta, né che abbia avuto il tenore risultante dal nastro; il “disconoscimento” che fa perdere alle riproduzioni la loro qualità di prova deve essere però chiaro, circostanziato ed esplicito, nel senso che deve concretizzarsi nell’allegazione di elementi che attestino la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta (ex plurimis: Cass. Civ., sez. II, n. 1220/2019; sez. II, n. 313/2019; sez. III, n. 1250/2018).
Nel caso in esame, nella memoria integrativa depositata dopo la costituzione in giudizio del marito, con la produzione della registrazione e della relativa trascrizione, la difesa della B. si è limitata ad affermare che le frasi riportate erano state pronunciate in un contesto burlesco tra amici, con espressioni forzate frutto di ironia, ed ha, solo in termini del tutto generici ed ipotetici, dedotto la necessità di opportuni riscontri e verifiche.
Solo, tardivamente, nella comparsa ex art. 183, comma VI, n. 3, c.p.c. la stessa difesa ha, in termini peraltro altrettanto generici, evidenziato la necessità della “esibizione” in giudizio dello smartphone utilizzato per la registrazione, al fine di “correlare” il compact disk con questo.
Va detto, ancora, che, rendendo l’interrogatorio formale deferitole, la stessa B____ ha espressamente riconosciuto la propria voce ed ammesso di aver parlato con un uomo di nome Angelo (“Ho ascoltato la registrazione prodotta in atti su c.d., riconosco la mia voce e riconosco di aver fatto più telefonate in quella circostanza…Riconosco che ho anche parlato con un uomo di nome Angelo”).
Infine, occorre evidenziare che il supporto contenente la registrazione, ritirato insieme al fascicolo di parte all’atto della assegnazione della causa a sentenza, è stato prodotto nuovamente in sede di giudizio di impugnazione, come pacificamente consentito (ex plurimis: Cass. Civ., sez. VI, n. 29309/2017; sez. III, n. 28462/2013; sez. II, n. 3466/1982).
Peraltro, e per inciso, correttamente il primo Giudice aveva utilizzato la trascrizione della conversazione riportata nella comparsa di risposta del resistente e, come visto, di fatto non contestata.
Ciò posto, le valutazioni compiute in sentenza circa la rilevanza causale della violazione dell’obbligo di fedeltà da parte della odierna appellante – chiaramente evincibile dal colloquio telefonico intrattenuto dalla B____  con un uomo di nome Angelo – appaiono pienamente condivisibili.
E’ vero, infatti, che nella memoria integrativa la ricorrente non ha contestato la circostanza del repentino mutamento di abitudini di vita a partire dal mese di giugno 2013 e, soprattutto, non ha adeguatamente allegato, né tanto meno provato che la crisi della coppia fosse preesistente e legata alla violazione dei doveri coniugali da parte del marito, del tutto generiche e non ricollegate a comportamenti ed eventi concreti risultando le relative deduzioni.
Il tenore della conversazione registrata il 27 febbraio 2014 lascia invece intendere, come sottolineato in sentenza, l’esistenza di un rapporto e di una consuetudine risalenti fra la B____ ed il suo interlocutore, con cui peraltro la donna parlava del Bar R____  proprio il luogo che, a partire dall’estate precedente, aveva preso a frequentare con assiduità nelle ore notturne (si rimanda ai brani riportati in sentenza)>>.

Manca però ogni accesso all’inquadramento tramite il GDPR , spt. trmite l’art. 9.1.lett. f) , secondo cui non applica il divieto di trattamento se <<il trattamento è necessario per accertare, esercitare o difendere un diritto in sede giudiziaria o ogniqualvolta le autorità giurisdizionali esercitino le loro funzioni giurisdizionali;>>.

Se vale per i dati biometrici , tale eccezione varrà anche per i dati meno “delicati”.

Prova del credito verso la curatela fallimentare: data certa ex art. 2704 cc ed efficacia delle scritture contabili ex art. 2710 cc

Cass. n° 33.728 del 16.11.2022, rel. Pazzi, sez. 1, Veneto Banca scpa c. Fall. Un MOndo di infissi srl, sull’oggetto.

Circa il primo aspetto:

<<5.2 Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (si veda, per tutte, Cass., Sez. U., 4213/2013) il curatore, in sede di formazione dello stato passivo, deve considerarsi terzo rispetto al rapporto giuridico posto a base della pretesa creditoria fatta valere con l’istanza di ammissione, conseguendone l’applicabilità della disposizione contenuta nell’art. 2704 c.c., comma 1, (erroneamente contestata dal nono motivo), norma che, come dimostra la sua collocazione sistematica all’interno del codice civile, regola l’efficacia dell’atto senza incidere in alcun modo sulla sua validità.

Ne discende che l’onere probatorio incombente sul creditore istante in sede di ammissione al passivo può ritenersi soddisfatto soltanto ove questi produca documentazione idonea – anche sotto il profilo dell’efficacia nei confronti della procedura concorsuale – a dimostrare la fondatezza della pretesa formulata.

L’eventuale mancanza di data certa nelle scritture prodotte dal creditore si configura come fatto impeditivo all’accoglimento della domanda ed oggetto di eccezione in senso lato, in quanto tale rilevabile anche d’ufficio dal giudice.

Malgrado l’affermazione del collegio di merito secondo cui la prova dell’anteriorità al fallimento del credito è elemento costitutivo del diritto di partecipare al concorso (pag. 3 del decreto impugnato) non sia conforme a questi principi (e debba essere corretta, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4), l’errore classificatorio compiuto dal giudice di merito è ininfluente sull’esito della decisione impugnata, per il quale rileva, invece, che il fatto impeditivo costituito dalla mancanza di data certa formi oggetto di un’eccezione in senso lato, come tale rilevabile d’ufficio.

Una simile eccezione attiene, poi, a un fatto negativo, che non abbisogna di prova, cosicché spetta alla parte che invoca l’opponibilità del credito di contrastarla.

Il che significa che la mancanza di data certa impedisce che possa essere fatta valere l’efficacia dell’atto nei confronti del curatore, stante la sua posizione di terzietà, e, di conseguenza, che possa ritenersi adeguatamente assolto l’onere probatorio incombente sul creditore di dare prova delle proprie ragioni creditorie, e non certo (come erroneamente sostengono i motivi di ricorso 1, 2, 3, 15 e 17, predicando, sotto vari profili, un’inversione dell’onere probatorio in conseguenza del rilievo della mancanza, nella documentazione prodotta, del requisito in discorso) che rimanga a carico di chi contesta la data certa della documentazione prodotta (e tanto meno del giudice che rileva d’ufficio questo fatto impeditivo) l’onere di fornire la dimostrazione della posteriorità dell’insorgere del credito rispetto al fallimento>>.

Circa il secondo aspetto:

<<5.5 Il tribunale ha affermato che il curatore non agisce in qualità di terzo solo quando propone domanda giudiziale di adempimento di un’obbligazione contratta dal terzo nei confronti del fallito, ovvero quando esercita un’azione rinvenuta nel patrimonio di questi, mentre è terzo, sia rispetto ai creditori, sia rispetto allo stesso fallito, nei procedimenti in materia di formazione dello stato passivo; di conseguenza, ha escluso che in sede di verifica e di opposizione L.Fall., ex art. 98 possa trovare applicazione il disposto degli artt. 2709 e 2710 c.c. in tema di efficacia probatoria delle scritture contabili dell’imprenditore.

L’assunto, nella sua prima parte, non può essere interpretato nel senso preteso dalla ricorrente, ovvero come attributivo del ruolo di imprenditore al curatore che agisca per il recupero dei crediti del fallito o per la ricostruzione del suo patrimonio, dato che questi per dirla con Cass., Sez. U., 4213/2013 – “certamente non è un imprenditore”; esso, piuttosto, sottolinea come solo in tale ipotesi il curatore, facendo valere diritti propri (utendo iuribus) del fallito, subentri nella sua posizione sostanziale e processuale, anziché in quella di semplice gestore del suo patrimonio.

La statuizione fa dunque puntuale applicazione del principio espresso dalla sentenza più volte richiamata, secondo cui l’art. 2710 c.c., che conferisce efficacia probatoria tra imprenditori, per i rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa, ai libri regolarmente tenuti, non trova applicazione nei confronti del curatore del fallimento il quale agisca non in via di successione di un rapporto precedentemente facente capo al fallito, ma nella sua funzione di gestione del patrimonio del medesimo, non potendo egli, in tale sua veste, essere annoverato tra i soggetti considerati dalla norma in questione, operante soltanto tra imprenditori che assumano la qualità di controparti nei rapporti d’impresa>>.

Notifica di cartella esattoriale con firma illeggibile, atto pubblico e impugnabilità con querela di falso

Una cartella esattoriale dell’Agenzia delle Entrate, notificata ex art. 26 dpr 602/1973, che sia stata notificata tramite le Poste ma con firma ileggibile nello spazio del destinatario, può essere impugnata con querela di falso?

Cioè l’attestazione, che il plico è stato ricevuto dal destinatario o dal suo addetto, costituisce atto publbico?

La risposta è positiva secondo Appello Milano 03.07.2020 n. 1662/2020, RG 4060/2018, pres. ed est. Ranieri C.R..

Sentenza che si appoggia largamente a Cass. sez. un. 9962/2010 (riguardante notifca ex L. 890/1992)

Valenza probatoria degli SMS: conferma della Cassazione

La Cassazione conferma la sua linea circa la valenza probatoria degli SMS.

L’ordinanza 19.155 del 17.07.2019, KMY c. GE, così dice in motivazione:

<<Questa Corte ha di recente statuito (Cass. 5141/20119) che “lo “short message service” (“SMS”) contiene la rappresentazione di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti ed è riconducibile nell’ambito dell’art. 2712 c.c., con la conseguenza che forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne contesti la conformità ai fatti o alle cose medesime. Tuttavia, l’eventuale disconoscimento di tale conformità non ha gli stessi effetti di quello della scrittura privata previsto dall’art. 215 c.p.c., comma 2, poichè, mentre, nel secondo caso, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo della stessa, la scrittura non può essere utilizzata, nel primo non può escludersi che il giudice possa accertare la rispondenza all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni” (nella specie, veniva in questione il disconoscimento della conformità ad alcuni “SMS” della trascrizione del loro contenuto). Sempre questa Corte (Cass.11606/2018), in tema di efficacia probatoria dei documenti informatici, ha precisato che “il messaggio di posta elettronica (cd. e-mail) costituisce un documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti che, seppure privo di firma, rientra tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all’art. 2712 c.c. e, pertanto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime”.

Ora, sempre in tema di efficacia probatoria delle riproduzioni informatiche di cui all’art. 2712 c.c., il disconoscimento idoneo a fare perdere ad esse la qualità di prova, pur non soggetto ai limiti e alle modalità di cui all’art. 214 c.p.c., deve tuttavia essere chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendosi concretizzare nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta, anche se non ha gli stessi effetti del disconoscimento previsto dall’art. 215 c.p.c., comma 2, perchè mentre questo, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo di questa, preclude l’utilizzazione della scrittura, il primo non impedisce che il giudice possa accertare la conformità all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni (cfr. Cass. 3122/2015, nella quale questa Corte ha confermato la sentenza impugnata, laddove aveva ritenuto utilizzabile un DVD contenente un filmato, considerato che la parte aveva contestato del tutto genericamente la conformità all’originale della riproduzione informatica prodotta e che il giudice di merito aveva ritenuto l’assenza di elementi che consentissero di ritenere il documento non rispondente al vero; conf. 17526/2016; in termini, Cass.1250/2018)>>

Breve nota di M. Cometto, La valenza probatoria degli SMS, Giur. it., 2020, 1, 90 ss