Prova del credito verso la curatela fallimentare: data certa ex art. 2704 cc ed efficacia delle scritture contabili ex art. 2710 cc

Cass. n° 33.728 del 16.11.2022, rel. Pazzi, sez. 1, Veneto Banca scpa c. Fall. Un MOndo di infissi srl, sull’oggetto.

Circa il primo aspetto:

<<5.2 Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (si veda, per tutte, Cass., Sez. U., 4213/2013) il curatore, in sede di formazione dello stato passivo, deve considerarsi terzo rispetto al rapporto giuridico posto a base della pretesa creditoria fatta valere con l’istanza di ammissione, conseguendone l’applicabilità della disposizione contenuta nell’art. 2704 c.c., comma 1, (erroneamente contestata dal nono motivo), norma che, come dimostra la sua collocazione sistematica all’interno del codice civile, regola l’efficacia dell’atto senza incidere in alcun modo sulla sua validità.

Ne discende che l’onere probatorio incombente sul creditore istante in sede di ammissione al passivo può ritenersi soddisfatto soltanto ove questi produca documentazione idonea – anche sotto il profilo dell’efficacia nei confronti della procedura concorsuale – a dimostrare la fondatezza della pretesa formulata.

L’eventuale mancanza di data certa nelle scritture prodotte dal creditore si configura come fatto impeditivo all’accoglimento della domanda ed oggetto di eccezione in senso lato, in quanto tale rilevabile anche d’ufficio dal giudice.

Malgrado l’affermazione del collegio di merito secondo cui la prova dell’anteriorità al fallimento del credito è elemento costitutivo del diritto di partecipare al concorso (pag. 3 del decreto impugnato) non sia conforme a questi principi (e debba essere corretta, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4), l’errore classificatorio compiuto dal giudice di merito è ininfluente sull’esito della decisione impugnata, per il quale rileva, invece, che il fatto impeditivo costituito dalla mancanza di data certa formi oggetto di un’eccezione in senso lato, come tale rilevabile d’ufficio.

Una simile eccezione attiene, poi, a un fatto negativo, che non abbisogna di prova, cosicché spetta alla parte che invoca l’opponibilità del credito di contrastarla.

Il che significa che la mancanza di data certa impedisce che possa essere fatta valere l’efficacia dell’atto nei confronti del curatore, stante la sua posizione di terzietà, e, di conseguenza, che possa ritenersi adeguatamente assolto l’onere probatorio incombente sul creditore di dare prova delle proprie ragioni creditorie, e non certo (come erroneamente sostengono i motivi di ricorso 1, 2, 3, 15 e 17, predicando, sotto vari profili, un’inversione dell’onere probatorio in conseguenza del rilievo della mancanza, nella documentazione prodotta, del requisito in discorso) che rimanga a carico di chi contesta la data certa della documentazione prodotta (e tanto meno del giudice che rileva d’ufficio questo fatto impeditivo) l’onere di fornire la dimostrazione della posteriorità dell’insorgere del credito rispetto al fallimento>>.

Circa il secondo aspetto:

<<5.5 Il tribunale ha affermato che il curatore non agisce in qualità di terzo solo quando propone domanda giudiziale di adempimento di un’obbligazione contratta dal terzo nei confronti del fallito, ovvero quando esercita un’azione rinvenuta nel patrimonio di questi, mentre è terzo, sia rispetto ai creditori, sia rispetto allo stesso fallito, nei procedimenti in materia di formazione dello stato passivo; di conseguenza, ha escluso che in sede di verifica e di opposizione L.Fall., ex art. 98 possa trovare applicazione il disposto degli artt. 2709 e 2710 c.c. in tema di efficacia probatoria delle scritture contabili dell’imprenditore.

L’assunto, nella sua prima parte, non può essere interpretato nel senso preteso dalla ricorrente, ovvero come attributivo del ruolo di imprenditore al curatore che agisca per il recupero dei crediti del fallito o per la ricostruzione del suo patrimonio, dato che questi per dirla con Cass., Sez. U., 4213/2013 – “certamente non è un imprenditore”; esso, piuttosto, sottolinea come solo in tale ipotesi il curatore, facendo valere diritti propri (utendo iuribus) del fallito, subentri nella sua posizione sostanziale e processuale, anziché in quella di semplice gestore del suo patrimonio.

La statuizione fa dunque puntuale applicazione del principio espresso dalla sentenza più volte richiamata, secondo cui l’art. 2710 c.c., che conferisce efficacia probatoria tra imprenditori, per i rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa, ai libri regolarmente tenuti, non trova applicazione nei confronti del curatore del fallimento il quale agisca non in via di successione di un rapporto precedentemente facente capo al fallito, ma nella sua funzione di gestione del patrimonio del medesimo, non potendo egli, in tale sua veste, essere annoverato tra i soggetti considerati dalla norma in questione, operante soltanto tra imprenditori che assumano la qualità di controparti nei rapporti d’impresa>>.