La prova scritta del contratto di assicurazione ex art. 1888 cc può consistere in uno scambio di email normali ?

Potrebbe anche darsi risposta postiiva: dipende dalle circostanze indicate dagli 20 e 21 del Cod. amm. dig. (quindi direi di si, in conclusione).

Così il dr. Rossetti rel. nell’impostante sentenza Cass. sez. III, 21/05/2024  n. 14.046:

<<2.3. Questa valutazione della Corte territoriale non fu conforme a diritto: sia per quanto attiene la questione (di diritto sostanziale) della forma che un atto deve possedere per soddisfare il requisito dello “scritto” di cui all’art. 1888 c.c.; sia per quanto attiene il problema (di diritto processuale) delle condizioni da osservare affinché una prova documentale possa essere utilizzata in giudizio.

2.4. La prima questione andava risolta muovendo dalla premessa che il messaggio di posta elettronica è un documento informatico.

Le condizioni richieste dalla legge affinché un documento informatico potesse ritenersi uno “scritto”, idoneo a soddisfare il requisito della forma ad probationem del contratto assicurativo, erano stabilite all’epoca dei fatti di causa (novembre 2009) dagli artt. 20 e 21 del D.Lgs. 82/2005 (nel testo applicabile ratione temporis, cioè successivo al D.Lgs. 4 aprile 2006, n. 159, ed anteriore alle modifiche di cui al D.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 235).

Tali norme distinguevano i documenti informatici sottoscritti con firma elettronica “semplice”, da quelli sottoscritti con firma elettronica “qualificata” o “digitale”.

Il nostro caso riguarda un documento con firma elettronica “semplice”.

Per questi documenti l’art. 20, comma 1-bis, D.Lgs. 82/05 stabiliva: “l’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta è liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di (qualità,) sicurezza, integrità ed immodificabilità” (l’abrogazione del sostantivo “qualità”, sopravvenuta nelle more del giudizio, come accennato non muta la portata precettiva della norma).

La Corte d’appello, pertanto, non avrebbe potuto limitarsi a negare tout court che un messaggio di posta elettronica con firma elettronica “semplice” potesse soddisfare il requisito della forma scritta.

Avrebbe dovuto, invece, previamente esaminare e vagliare le “caratteristiche oggettive” menzionate nell’art. 20 cit.

Le suddette caratteristiche di “qualità, sicurezza, integrità, immodificabilità”, poiché debbono essere “oggettive”, andranno desunte dal corpus mechanicum a disposizione del giudicante: e quindi – in particolare – dal formato del file in cui il messaggio di posta è stato salvato; dalle proprietà di esso; dalla sintassi adottata; dalla grafica.

Questa valutazione andrà condotta alla luce del consolidato principio per cui la prova scritta del contratto di assicurazione può essere desunta anche da documenti diversi dalla polizza (e, a fortiori, dalle specifiche appendici o dai modelli adottati dall’assicuratrice, benché usuali: ciò a cui si è ridotta, in estrema sintesi, la contestazione dell’odierna controricorrente), purché provenienti dalle parti e da questi sottoscritti, dai quali sia possibile desumere l’esistenza ed il contenuto del patto (Sez. 3, Sentenza n. 1486 del 27/04/1976 (in motivazione); Sez. 3, Sentenza n. 888 del 05/05/1967, Rv. 327075 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 760 del 10/04/1961, Rv. 881422 – 01). Sulla base di tale principio questa Corte ha già ritenuto:

-) che possa costituire prova idonea dell’esistenza del contratto di assicurazione la quietanza di pagamento dell’indennizzo rilasciata dall’assicurato (Sez. 3, Sentenza n. 1501 del 17/05/1972, Rv. 358174 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 2648 del 26/10/1967, Rv. 330051 – 01);

-) che la “ricevuta provvisoria” rilasciata dall’agente munito del potere di rappresentanza possa essere idonea a dimostrare l’estensione della copertura assicurativa ad eventi espressamente esclusi dalle condizioni generali di contratto (Sez. 3, Sentenza n. 1875 del 18/02/2000, Rv. 534101 – 01)>>.

Quanto all’efficacia probatoria generale, la SC prosegue:

<<2.5. Detto dei presupposti richiesti dalla legge affinché un messaggio di posta elettronica sottoscritto con “firma semplice” possa soddisfare il requisito della forma scritta, occorre passare ora alle regole stabilite dalla legge, affinché un documento informatico possa essere utilizzato come prova in giudizio.

Queste regole all’epoca dei fatti erano dettate dall’art. 21, comma 1, D.Lgs. 82/05 (nel testo applicabile ratione temporis, come s’è detto; la norma oggi è stata abrogata dall’art. 21, comma 1, lettera b), del D.Lgs. 13 dicembre 2017, n. 217, ma trasfusa nell’art. 20, comma 1-bis, D.Lgs. 82/05).

Tale norma stabiliva che “il documento informatico, cui è apposta una firma elettronica, sul piano probatorio è liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità”.

2.6. Il sistema della legge, in definitiva, all’epoca dei fatti – così come oggi – dettava un identico criterio di giudizio tanto per Stabilire se un documento informatico fosse idoneo a soddisfare il requisito della forma scritta, tanto per stabilire se fosse una prova idonea: il criterio della “libera valutabilità” in base alle “caratteristiche oggettive” del documento.

I principi desumibili dalla legge sono dunque pochi e semplici, e possono così riassumersi:

(a) il messaggio di posta elettronica sottoscritto con firma “semplice” è un documento informatico ai sensi dell’art. 2712 c.c.;

(b) se non ne sono contestati la provenienza od il contenuto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate (così già Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 11606 del 14/05/2018, Rv. 648375 – 01; Sez. 2, Ordinanza n. 30186 del 27.10.2021 (in motivazione, pag. 4); Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 3540 del 6.2.2019; una conferma a contrario di tali principi si ricava anche da Sez. 2 – , Ordinanza n. 22012 del 24/07/2023, la quale ha negato che una e-mail priva di firma elettronica avanzata soddisfi il requisito della forma scritta, ma solo se tale forma sia richiesta ad substantiam negotii);

(c) se ne sono contestati la provenienza od il contenuto, il giudice non può espungere quel documento dal novero delle prove utilizzabili, ma deve valutarlo in una con tutti gli altri elementi disponibili e tenendo conto delle sue caratteristiche intrinseche di sicurezza, integrità, immodificabilità.

2.7. Nel caso di specie, pertanto, alla luce dei suesposti principi la Corte d’appello non avrebbe potuto scartare in introitu, dal materiale probatorio, la e-mail inviata da Vo.Fu. al broker Pi., in base ai soli rilievi della pacifica carenza della firma elettronica qualificata o digitale o della mancata adozione dei modelli o stampati usualmente impiegati (ma certo non imposti appunto ad substantiam negotii). Avrebbe certamente potuto giungere a tale risultato, nell’esercizio del suo potere-dovere di accertamento dei fatti, ma solo all’esito delle puntuali valutazioni prescritte dagli artt. 20 e 21 D.Lgs. 82/05 e, cioè, esaminando analiticamente le caratteristiche oggettive del documento informatico sotto il profilo: a) della qualità; b) della sicurezza; c) della integrità; d) della immodificabilità.

In tal senso, del resto, si è – in modo, sul punto, condivisibile – espresso anche il Procuratore Generale nella sua requisitoria, osservando che “se c’è un vulnus (nella sentenza), può essere solo la mancata valutazione delle circostanze (sopra indicate) da parte del giudice di merito”.

Ciò che, invece, non può condividersi è la conclusione della pretesa, non codificata in modo espresso da alcuna disposizione di legge applicabile ratione temporis e così in via di mera interpretazione, di un requisito formale, vale a dire la firma elettronica certificata, quale unica garanzia dell’assoluta certezza contrattuale in ordine alla diversa regolamentazione degli assetti assicurativi e, quindi, quale unica modalità di estrinsecazione delle volontà delle parti contraenti: tanto, in base all’assetto normativo come ricostruito, si infrange contro il principio della insopprimibile libertà delle forme, una volta esclusa l’inidoneità per definizione o in introitu del messaggio di posta elettronica certificata privo di firma avanzata o digitale o qualificata>>.

Sull’efficacia probatoria della relazione investigativa e delle fotografie nei processi di separazione personale

Cass. sez. I, sent. 14/02/2024 n. 4.038, rel. Parise:

<<La censura in esame investe non un fatto inteso in senso storico e avente valenza decisiva, ma elementi probatori suscettibili di valutazione, come appunto la relazione investigativa, rientrante tra le prove atipiche liberamente valutabili nel giudizio civile ai sensi dell’art. 116 cod. proc. civ., di cui il giudice è legittimato ad avvalersi, atteso che nell’ordinamento processuale vigente manca una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova (così in fattispecie sovrapponibile alla presente Cass. n. 15196/2023; tra le tante, Cass. n. 7712/2023; Cass. n. 1593/2017; Cass. n. 18025/2019; Cass. n. 3689/2021; su accertamenti tramite agenzia investigativa v. anche Cass. n. 15094/ 2018; Cass. n. 11697/2020).

Nella specie, la relazione scritta redatta da un investigatore privato è stata utilizzata correttamente dai giudici di merito come prova atipica, avente valore indiziario, ossia è stata valutata unitamente ad altri elementi di prova ritualmente acquisiti.

Sotto ulteriore profilo, occorre rimarcare, come rilevato anche dalla Procura Generale, che le relazioni investigative erano formate anche da materiale fotografico, la cui utilizzabilità a fini decisori è espressamente riconosciuta dall’art. 2712 cod. civ., anche in presenza di un disconoscimento della parte contro la quale il materiale fotografico viene prodotto; nel senso che, neppure il disconoscimento esclude l’autonoma valutazione della veridicità di detto materiale fotografico da parte del giudice, mediante il ricorso ad altri mezzi probatori. In particolare, è stato chiarito da questa Corte che, in tema di efficacia probatoria delle riproduzioni fotografiche, il disconoscimento delle fotografie non produce gli stessi effetti del disconoscimento previsto dall’art. 215, secondo comma, cod. proc. civ., perché mentre questo, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo di questa, preclude l’utilizzazione della scrittura, il primo non impedisce che il giudice possa accertare la conformità all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni (Cass. n.13519/2022).

Ciò posto, in ordine alle risultanze del materiale fotografico, valorizzate nella sentenza impugnata, non si rinviene in ricorso una critica compiuta e specifica e anche le doglianze relative alla relazione investigativa, oltre ad essere impropriamente formulate perché non concernenti un fatto storico, neppure sono pertinenti nel senso che si è precisato>>.

La registrazione abusiva di telefonata può provare l’infedeltà matrimoniale: intorno al concetto di “prova illecita”

Di un certo itneresse Appello Reggio Calabria 11.05.2022, RG 760/2019, sent. n° 345/2022.

Il figlio aveva lasciato il suo cell. acceso nell’auto della madre, presumendo che avrebbe incontrato un amante e di poterla quindi registrare. Così fu.

Il padre utilizzo tale registrzione producendola come CD nel processo di dovorzio e trascrivendone il contenuto nell’atto introduttivo.

Particolarità processuale: aveva ritirato il fascicolo diparte (col  CD) in udienza di precisazione  delle concluisioni, per restituirlo solo dopo il termine per le conclusionali.

I problemi son due:

i) se tale registrazione è lecita o illecita;

ii) nel secondo caso, se sia producibile/utilizzabile nel giudizio divile.

Vecchi temi quello delle prove illecite e delle prove atipiche nel processo civile (scritti importanti di Ricci ed oggi di Passanante). Un tempo illecite  erano spt. i documenti rubati, oggi i documenti informatici violanti la privacy.

La Corte ritiene utilizzabile tale prova come prova atipica, mancando una norma che ne sancisca l’inutilizzabilità come nel c.p.p.

<<Intanto, può escludersi che la condotta in questione abbia determinato la commissione di un reato, non ricorrendo, in particolare, tutti gli elementi costitutivi delle fattispecie di cui agli artt. 615 bis e 617 c.p..
In ogni caso, è opinione della Corte che anche la ravvisabile violazione della sfera di riservatezza altrui non impedisca l’acquisizione e la valutazione della prova nel presente procedimento.
L’ordinamento processuale civile, infatti, non prevede alcuna norma che, come l’art. 191 c.p.p. nell’ordinamento penale, sanzioni l’inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge.
Esso è, invece, governato dai principi della atipicità della prova e del libero convincimento del giudice, in virtù dei quali, in assenza di divieti di legge, quest’ultimo può formare il proprio convincimento anche, per esempio, in base a prove atipiche, come quelle raccolte in un altro giudizio tra le stesse o tra altre parti, senza che rilevi la divergenza delle regole, proprie di quel procedimento,
relative all’ammissione e all’assunzione della prova (ex plurimis, cfr. Cass. Civ., sez. I, n. 25067/2018; sez. III, n. 13229/2015).
L’applicazione di eventuali sanzioni – anche di carattere procedurale – conseguenti a condotte poste in essere in violazione delle norme contenute negli altri ambiti ordinamentali è a tali sede riservata e non incide sulla libera apprezzabilità della prova in ambito civile.
Ciò premesso, nel caso in esame si è comunque in presenza di una registrazione fonografica, riconducibile al disposto dell’art. 2712 c.c..
La giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare che la registrazione su nastro magnetico di una conversazione può costituire fonte di prova, ex articolo 2712 del c.c., se colui contro il quale la registrazione è prodotta non contesti che la conversazione sia realmente avvenuta, né che abbia avuto il tenore risultante dal nastro; il “disconoscimento” che fa perdere alle riproduzioni la loro qualità di prova deve essere però chiaro, circostanziato ed esplicito, nel senso che deve concretizzarsi nell’allegazione di elementi che attestino la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta (ex plurimis: Cass. Civ., sez. II, n. 1220/2019; sez. II, n. 313/2019; sez. III, n. 1250/2018).
Nel caso in esame, nella memoria integrativa depositata dopo la costituzione in giudizio del marito, con la produzione della registrazione e della relativa trascrizione, la difesa della B. si è limitata ad affermare che le frasi riportate erano state pronunciate in un contesto burlesco tra amici, con espressioni forzate frutto di ironia, ed ha, solo in termini del tutto generici ed ipotetici, dedotto la necessità di opportuni riscontri e verifiche.
Solo, tardivamente, nella comparsa ex art. 183, comma VI, n. 3, c.p.c. la stessa difesa ha, in termini peraltro altrettanto generici, evidenziato la necessità della “esibizione” in giudizio dello smartphone utilizzato per la registrazione, al fine di “correlare” il compact disk con questo.
Va detto, ancora, che, rendendo l’interrogatorio formale deferitole, la stessa B____ ha espressamente riconosciuto la propria voce ed ammesso di aver parlato con un uomo di nome Angelo (“Ho ascoltato la registrazione prodotta in atti su c.d., riconosco la mia voce e riconosco di aver fatto più telefonate in quella circostanza…Riconosco che ho anche parlato con un uomo di nome Angelo”).
Infine, occorre evidenziare che il supporto contenente la registrazione, ritirato insieme al fascicolo di parte all’atto della assegnazione della causa a sentenza, è stato prodotto nuovamente in sede di giudizio di impugnazione, come pacificamente consentito (ex plurimis: Cass. Civ., sez. VI, n. 29309/2017; sez. III, n. 28462/2013; sez. II, n. 3466/1982).
Peraltro, e per inciso, correttamente il primo Giudice aveva utilizzato la trascrizione della conversazione riportata nella comparsa di risposta del resistente e, come visto, di fatto non contestata.
Ciò posto, le valutazioni compiute in sentenza circa la rilevanza causale della violazione dell’obbligo di fedeltà da parte della odierna appellante – chiaramente evincibile dal colloquio telefonico intrattenuto dalla B____  con un uomo di nome Angelo – appaiono pienamente condivisibili.
E’ vero, infatti, che nella memoria integrativa la ricorrente non ha contestato la circostanza del repentino mutamento di abitudini di vita a partire dal mese di giugno 2013 e, soprattutto, non ha adeguatamente allegato, né tanto meno provato che la crisi della coppia fosse preesistente e legata alla violazione dei doveri coniugali da parte del marito, del tutto generiche e non ricollegate a comportamenti ed eventi concreti risultando le relative deduzioni.
Il tenore della conversazione registrata il 27 febbraio 2014 lascia invece intendere, come sottolineato in sentenza, l’esistenza di un rapporto e di una consuetudine risalenti fra la B____ ed il suo interlocutore, con cui peraltro la donna parlava del Bar R____  proprio il luogo che, a partire dall’estate precedente, aveva preso a frequentare con assiduità nelle ore notturne (si rimanda ai brani riportati in sentenza)>>.

Manca però ogni accesso all’inquadramento tramite il GDPR , spt. trmite l’art. 9.1.lett. f) , secondo cui non applica il divieto di trattamento se <<il trattamento è necessario per accertare, esercitare o difendere un diritto in sede giudiziaria o ogniqualvolta le autorità giurisdizionali esercitino le loro funzioni giurisdizionali;>>.

Se vale per i dati biometrici , tale eccezione varrà anche per i dati meno “delicati”.