Il caso fortuito nella responsabilità da cose in custodia (art. 2051 cc) in relazione ad eventi atmosferici avversi

Cass. 11.02.2022 n. 4.588 , rel. Iannello, affronta il tema in oggetto in una domanda di danni ad immobili siti in un residence, cagionati da ingenti precipitaizoni atmosferiche.

Convenuti erano il Comune e il costruttore del residence: “le responsabilità in tesi ascritte, rispettivamente, alla società per aver realizzato il complesso in una zona notoriamente soggetta allo scorrimento delle acque in assenza di adeguate soluzioni costruttive, ed all’amministrazione comunale, quale ente proprietario e gestore delle opere di urbanizzazione primaria e delle strade limitrofe.”

Seguendo la giurisprudenza precedente, premesse alcune delucidazioni sull’art. 2051 cc in generale, così insegna circa i danni da precipitazioni atmosferiche:

<<(Cass. 2382 del 2018) ha rimarcato (in sintesi) che:

– la riconducibilità all’ipotesi di “caso fortuito”, di cui (anche, ma non solo) alla fattispecie legale disciplinata dall’art. 2051 c.c., è condizionata dal possesso dei caratteri dell’eccezionalità e della imprevedibilità, mentre quello della inevitabilità rimane intrinseco al fatto di essere evento atmosferico;

– per caso fortuito deve intendersi un avvenimento imprevedibile, un quid di imponderabile che si inserisce improvvisamente nella serie causale come fattore determinante in modo autonomo dell’evento; il carattere eccezionale di un fenomeno naturale, nel senso di una sua ricorrenza saltuaria anche se non frequente, non e’, quindi sufficiente, di per sé solo, a configurare tale esimente, in quanto non ne esclude la prevedibilità in base alla comune esperienza;

– al fine di poter ascrivere le precipitazioni atmosferiche nell’anzidetta ipotesi di esclusione della responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c., “la distinzione tra “forte temporale”, “nubifragio” o “calamità naturale” non rientra nel novero delle nozioni di comune esperienza ma – in relazione alla intensità ed eccezionalità (in senso statistico) del fenomeno – presuppone un giudizio da formulare soltanto sulla base di elementi di prova concreti e specifici e con riguardo al luogo ove da tali eventi sia derivato un evento dannoso” (Cass. n. 522 del 1987); ciò anche perché “il discorso sulla prevedibilità maggiore o minore di una pioggia a carattere alluvionale certamente impone oggi, in considerazione dei noti dissesti idrogeologici che caratterizzano il nostro Paese, criteri di accertamento improntati ad un maggior rigore, poiché è chiaro che non si possono più considerare come eventi imprevedibili alcuni fenomeni atmosferici che stanno diventando sempre più frequenti e, purtroppo, drammaticamente prevedibili”;

– in tale ottica, dunque, l’accertamento del “fortuito”, rappresentato dall’evento naturale delle precipitazioni atmosferiche, deve essere essenzialmente orientato da dati scientifici di stampo statistico (in particolare, i dati c.d. pluviometrici) riferiti al contesto specifico di localizzazione della res oggetto di custodia;

– all’ambito di tale indagine rimangono estranei profili inerenti alla colpa del custode nella predisposizione di cautele (specifiche e/o generiche) atte a rendere la res idonea a non arrecare pregiudizio allo scopo; sicché, l’allegazione dello “stato” del sistema di smaltimento di dette acque, nella sua effettiva consistenza attualizzata al momento del sinistro, viene ad assumere rilievo unicamente ai fini della dimostrazione del nesso causale tra la “cosa” medesima e l’evento lesivo.

Questi rilievi la citata pronuncia ha quindi condensato nel principio secondo cui “le precipitazioni atmosferiche integrano l’ipotesi di caso fortuito, ai sensi dell’art. 2051 c.c., allorquando assumano i caratteri dell’imprevedibilità oggettiva e dell’eccezionalità, da accertarsi con indagine orientata essenzialmente da dati scientifici di tipo statistico (i c.d. dati pluviometrici) riferiti al contesto specifico di localizzazione della res oggetto di custodia, la quale va considerata nello stato in cui si presenta al momento dell’evento atmosferico”.>

Interessante è poi l’applicazione all’esame della sentenza di appello censurata, anche inrelazione all’onere della prova:

<<La motivazione poggia, invero, essenzialmente sul rilievo, già sopra ricordato, secondo cui non era stata “fornita la prova, gravante sul custode, che questi abbia mantenuto la condotta diligente nel caso concreto e che le piogge siano state talmente intense che gli allagamenti si siano ciononostante, e nella stessa misura, verificati”, essendo piuttosto emersa l’inidoneità (o meglio l’inesistenza) dei sistemi di deflusso.

In tal modo, però, la corte attribuisce rilievo ad elementi che dovevano invece rimanere estranei alla propria indagine, ossia: da un lato alla diligenza osservata dal custode; dall’altro, allo stato dei sistemi di deflusso, il quale (stato), come detto, assume rilievo unicamente ai fini della dimostrazione del nesso causale tra la “cosa” e l’evento lesivo.

Per converso, con riferimento al fatto che doveva invece costituire oggetto centrale della sua disamina (l’evento meteorologico), la corte esprime una valutazione eccentrica, oltre che sostanzialmente apodittica.

Come detto, al riguardo la corte avrebbe dovuto infatti (solo) valutare se l’evento fosse da considerare “eccezionale e imprevedibile” e ciò avrebbe dovuto fare non sulla base di criteri o parametri generici e sostanzialmente soggettivi e non verificabili, bensì sulla base di “dati scientifici di stampo statistico (in particolare, i dati c.d. pluviometrici) riferiti al contesto specifico di localizzazione della res oggetto di custodia”: sempre che, naturalmente, tali dati fossero stati acquisiti in giudizio nel rispetto del criterio di riparto del relativo onere (nella specie gravante sul custode).

La valutazione condotta dai giudici a quibus non considera però alcuno di tali elementi e si limita a ritenere dirimente la mancata prova, da parte del comune, che ove gli impianti di deflusso fossero stati realizzati o lo fossero stati in modo più accorto, l’evento dannoso, indipendentemente dall’entità del fenomeno, non si sarebbe verificato.

Si tratta, però, con evidenza di un ragionamento tautologico, oltre che estraneo al paradigma normativo surricordato.

Intanto la prova, che secondo la corte pugliese avrebbe dovuto darsi, avrebbe potuto rilevare al fine di escludere la responsabilità del custode, in quanto fosse prevedibile – secondo criterio oggettivo di regolarità causale – l’evento e quindi la necessità di adottare maggiori cautele. Se tale prevedibilità non era invece predicabile, non poteva nemmeno assumere rilievo la mancata prova che maggiori cautele (ovvero un migliore sistema di deflusso) avrebbero potuto evitare l’evento dannoso.

Sul punto, peraltro, può segnalarsi altro implicito errore di impostazione. La inevitabilità che connota il caso fortuito deve essere riferita non all’evento dannoso ma, appunto, al caso fortuito, ossia al fattore esterno al rapporto causale che lega la cosa all’evento dannoso: nel caso in esame all’evento naturale che però, come detto, trattandosi di fenomeno meteorico e’, per definizione, inevitabile.

La verifica dunque, va ribadito, andava limitata alla eccezionalità e imprevedibilità dell’evento naturale: da operarsi, come ricordato, sulla base di soli dati obiettivi, ritualmente somministrati dalla parte onerata (cioè dal custode), riferiti ad un lasso temporale amplissimo – quanto meno di numerosi decenni – e non limitato all’angusto intervallo preso in considerazione.>>