Responsabilità del Comune ex art. 2051 cc per danni da caduta in motocicletta causata da griglia a terra mal collocata

Cass. sez. III,  ord. 24/04/2024 n. 11.060, rel. Guizzi, offre un ripasso della disciplina ex art. 2051 applicato all’insidia presente nel fondo stradale:

<<9.1.1. Nello scrutinarlo, occorre muovere dal principio – che risulta consolidato nella giurisprudenza di questa Corte – secondo cui la responsabilità da cose in custodia è ravvisabile anche in relazione ai beni demaniali (tra le più recenti, Cass. Sez. 3, sent. 22 settembre 2023, n. 27137, non massimata), e quindi pure alle strade pubbliche, di talché “agli enti pubblici proprietari di strade aperte al pubblico transito è in linea generale applicabile l’art. 2051 cod. civ., in riferimento alle situazioni di pericolo immanentemente connesse alla struttura o alle pertinenze della strada, indipendentemente dalla sua estensione” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 29 luglio 2016, n. 15761, Rv. 641162-01; nello stesso senso, tra le molte, già Cass. Sez. 3, sent. 29 marzo 2007, n. 7763, Rv. 596965-01, nonché, successivamente, Cass. Sez. 3, ord. 1° febbraio 2018, n. 2481, Rv. 647935-01). È stato, inoltre, precisato, sempre con riferimento alla specifica fattispecie della custodia di strade pubbliche, che “la responsabilità ex art. 2051 cod. civ. postula la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa stessa, tale da consentire il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa”, sussistendo – in questo, e in ogni altro caso in cui la suddetta norma risulti applicabile – “un’ipotesi di responsabilità oggettiva, il cui unico presupposto è l’esistenza di un rapporto di custodia”, essendo “del tutto irrilevante”, per contro, “accertare se il custode sia stato o meno diligente nell’esercizio della vigilanza sulla cosa” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. n. 2481 del 2018, cit.). Di conseguenza, “il danneggiato ha il solo onere di provare l’esistenza di un valido nesso causale tra la cosa ed il danno, mentre il custode ha l’onere di provare che il danno non è stato causato dalla cosa, ma dal caso fortuito, ivi compreso il fatto dello stesso danneggiato o del terzo” (cfr., nuovamente in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. n. 2481 del 2018, cit.).

Alla stregua di questi principi, pertanto, è stato pure affermato – con specifico riferimento alla fattispecie che viene in rilievo nel presente caso – che, in tema di sinistro stradale, “il danneggiato che agisca per il risarcimento dei danni subiti in conseguenza di una caduta avvenuta, mentre circolava sulla pubblica via alla guida del proprio ciclomotore” (ma il principio è estensibile ad ogni veicolo a due ruote), “a causa di una grata o caditoia d’acqua, è tenuto alla dimostrazione dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con la cosa in custodia, non anche dell’imprevedibilità e non evitabilità dell’insidia o del trabocchetto, né della condotta omissiva o commissiva del custode, gravando su quest’ultimo, in ragione dell’inversione dell’onere probatorio che caratterizza la responsabilità ex art. 2051 cod. civ., la prova di aver adottato tutte le misure idonee a prevenire che il bene demaniale presentasse, per l’utente, una situazione di pericolo occulto” (così Cass. Sez. 3, sent. 9 giugno 2016, n. 11802, Rv. 640205-01).

In altri termini, in materia di responsabilità ai sensi dell’art. 2051 cod. civ. (come puntualizza, da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 28 novembre 2023, n. 33074, non massimata), già con ordinanza 1° febbraio 2018, n. 2482 (e, nello stesso senso, con ordinanze nn. 2479 e 2480 del 2018) si è avuto modo di precisare che “la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione – anche ufficiosa – dell’art. 1227, comma 1, cod. civ. , richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost. , sicché, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro“.[la stampella costituzionale di mengoniana memoria è inutile e quindi errata, data l’esplicita regola posta dall’art. 1227 cc, richiamata nella resp. aquiliana]

Tale principio di diritto – successivamente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. 6-3, ord. 30 ottobre 2018, n. 27724, Rv. 651374-01; Cass. Sez. 3, ord. 26 luglio 2019, n. 20312, Rv. 654924-01; Cass. Sez. 3, ord. 2 dicembre 2021, n 38089, Rv. 663300 – 02; Cass. Sez. 3, ord. 1° dicembre 2022, n. 35429, Rv. 666487-01; Cass. Sez. 3, ord. 23 maggio 2023, n. Rv. 667836-02 e Cass. Sez. 3, ord. 20 luglio 2023, n. 21675, Rv. 668745-01), anche a Sezioni Unite (Cass. Sez. Un., sent. 30 giugno 2022, n. 20943, Rv. 665084-01) – è stato poi ancor più di recente riaffermato, statuendosi (Cass. Sez. 3, sent. 27 aprile 2023, n. 11152, Rv. 667668 – 01) che la responsabilità ex art. 2051 cod. civ. ha natura oggettiva – in quanto si fonda unicamente sulla dimostrazione del nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, non già su una presunzione di colpa del custode – e può essere esclusa o dalla prova del caso fortuito (che appartiene alla categoria dei fatti giuridici), senza intermediazione di alcun elemento soggettivo, oppure dalla dimostrazione della rilevanza causale, esclusiva o concorrente, alla produzione del danno delle condotte del danneggiato o di un terzo (rientranti nella categoria dei fatti umani), caratterizzate, rispettivamente, la prima dalla colpa ex art. 1227 cod. civ. (bastando la colpa del leso: Cass. Sez. 3, ord. n. 21675 del 2023, cit.) o, indefettibilmente, la seconda dalle oggettive imprevedibilità e non prevenibilità rispetto all’evento pregiudizievole.

A tanto deve aggiungersi che la valutazione del giudice del merito sulla rilevanza causale esclusiva della condotta del leso costituisce un tipico apprezzamento di fatto, come tale incensurabile in sede di legittimità, ove scevro – come nella specie – da quei soli vizi logici o giuridici ancora rilevanti ai fini del n. 5) dell’art. 360 cod. proc. civ. (tra cui l’apparenza della motivazione per manifesta fallacia o falsità delle premesse od intrinseca incongruità o inconciliabile contraddittorietà degli argomenti: Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 637781 – 01).

Da quanto appena osservato deriva, pertanto, che – nel caso all’esame di questa Corte – nessuna inversione dell’onere della prova può essere addebitata alla sentenza impugnata, giacché, come detto, il soggetto danneggiato dalla caduta su una grata o caditoia d’acqua, che agisca a norma dell’art. 2051 cod. civ., è solo “tenuto a dare la prova che i danni subiti derivano dalla cosa, in relazione alle circostanze del caso concreto”, prova che “consiste nella dimostrazione del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con la cosa in custodia”, da raggiungersi “anche con presunzioni, giacché la prova del danno è di per sé indice della sussistenza di un risultato “anomalo”” rispetto alla custodia del bene (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 11802 del 2016, cit.).

Si deve, quindi, ribadire che “l’insidia o trabocchetto determinante pericolo occulto non è elemento costitutivo dell’illecito”, né di quello “previsto dalla regola generale ex art. 2043 cod. civ.”, né di quello di cui alla norma “speciale di cui all’art. 2051 cod. civ”, essendo invece “frutto dell’interpretazione giurisprudenziale”, da ritenersi ormai del tutto superata, giacché essa, “al fine di limitare le ipotesi di responsabilità” finiva “per indebitamente gravare del relativo onere probatorio il danneggiato, con correlativo ingiustificato privilegio per la P.A.”, in aperto “contrasto con il principio cui risulta ispirato l’ordinamento di generale favor per il danneggiato, titolare della posizione giuridica soggettiva giuridicamente rilevante e tutelata invero lesa o violata dalla condotta dolosa o colposa altrui, che impone al relativo autore di rimuovere o ristorare, laddove non riesca a prevenirlo, il danno inferto” (cfr., nuovamente in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 11802 del 2016, cit.).

Al di là, dunque, dell’uso di formule apparentemente “perplesse” (quali “sembrerebbe”, o “non convince”), sulle quali insiste il motivo di ricorso, deve rimarcarsi la sostanziale conformità a diritto della conclusione cui perviene Corte peloritana, secondo cui “incombeva sulla convenuta dimostrare di avere adottato tutte le misure idonee a prevenire che il bene demaniale presentasse, per l’utente, una situazione di pericolo occulto, nel cui ambito rientra anche la prevedibilità e visibilità della grata o caditoia, prova che nel caso di specie non è stata data”, con le conseguenze, in termini di accoglimento della domanda risarcitoria proposta, alla luce dei principi di cui sopra si diceva>>.

Responsabilità da cose in custodia e prova liberatoria

Cass. sez. II, ord.  22/03/2024 n. 7.789 rel. gianniti:

<<Occorre premettere che questa Corte, con ordinanza 01/02/2018, n. 2482 (e, nello stesso senso, con ordinanze nn. 2479 e 2480 del 2018) ha avuto modo di precisare che:

«In tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione – anche ufficiosa – dell’art. 1227, comma 1, c.c., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost., sicché, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro».

Tale principio di diritto – successivamente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 27724/2018; n. 20312/2019; n. 38089/2021; n. 35429/2022; nn. 14228 e 21675/2023), anche a Sezioni Unite (Cass. n. 20943/2022) – è stato poi ancor più di recente riaffermato, statuendosi (Cass. n. 11152/23) che la responsabilità ex art. 2051 c.c. ha natura oggettiva – in quanto si fonda unicamente sulla dimostrazione del nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, non già su una presunzione di colpa del custode – e può essere esclusa o dalla prova del caso fortuito (che appartiene alla categoria dei fatti giuridici), senza intermediazione di alcun elemento soggettivo, oppure dalla dimostrazione della rilevanza causale, esclusiva o concorrente, alla produzione del danno delle condotte del danneggiato o di un terzo (rientranti nella categoria dei fatti umani), caratterizzate, rispettivamente, la prima dalla colpa ex art. 1227 c.c. (bastando la colpa del leso: Cass., ord. 20/07/2023, n. 21675, Rv. 668745-01) o, indefettibilmente, la seconda dalle oggettive imprevedibilità e imprevenibilità rispetto all’evento pregiudizievole. (…)

Orbene, dando corretta applicazione ai suddetti principi la corte territoriale – dopo aver ribadito che il Pi.Gi.si era visto crollare addosso il cancello di notevoli dimensioni (avente un peso di circa 300 kg ed una lunghezza di quasi 3 metri) mentre stava svolgendo nei pressi la propria attività lavorativa; e che l’immobile, ove è avvenuto l’evento, risultava essere di proprietà della società Ca., <<per cui deve ritenersi che tale società abbia acquisito, tra l’altro, la disponibilità in concreto della cosa che specificatamente ha cagionato il danno>> -ha ritenuto (p. 15) che la relativa responsabilità fosse a carico della società Ca., che, quale proprietaria, sul bene poteva esercitare attività di controllo non senza aggiungere che: <<tale doverosa attività neppure può ritenersi venuta meno per il fatto che la posa in opera del cancello sia stata affidata a terzi, facendo pur sempre carico al proprietario la relativa verifica>>.

B) Ciò posto, la società ricorrente censura la sentenza, come sopra rilevato, nella parte in cui la corte territoriale ha affermato che resterebbe a carico del custode anche l’ipotesi del c.d. fatto ignoto, mentre, nel caso di specie, a dire della società ricorrente, si sarebbe verificata un’ipotesi di fatto imputabile al terzo (rimasto ignoto), che aveva costituito una causa interruttiva del nesso causale tra la res e l’evento dannoso.

Contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, ciò che è rimasto ignoto non è l’individuazione del terzo, cui sarebbe imputabile il fatto; ma è l’individuazione della causa remota del danno, essendo tuttavia provata la sua derivazione dalla res di cui la Ca. era custode, quale proprietaria dello stabilimento in cui essa si trovava.

Orbene, se è vero che la responsabilità del custode, ai sensi dell’art. 2051 c.c., può essere esclusa solo dall’accertamento positivo che il danno è stato causato dal fatto del terzo o dello stesso danneggiato, il quale deve avere avuto efficacia causale esclusiva nella produzione del danno (Cass. n. 20359/2005; n. 10556/1998), è anche vero che, nel caso di specie, la società proprietaria del cancello non ha fornito la prova che il crollo fosse stato causato dal fatto del terzo o da un evento imprevedibile od eccezionale, considerato che, per ottenere l’esonero dalla responsabilità al custode, è richiesta la prova che il fatto del terzo o quello naturale abbiano i requisiti dell’autonomia, dell’eccezionalità, dell’imprevedibilità, dell’inevitabilità, quindi, dell’idoneità a produrre l’evento, escludendo fattori causali concorrenti (Cass. n. 20359 e n. 1655/2005; n. 2062/2004).

D’altronde, Cass. n. 25029/2008, nell’affermare (sulla scia di Cass. n. 21244 e n. 3651/2006) il principio di diritto richiamato nella sentenza impugnata (p. 15) – dopo aver premesso che <<Per ottenere l’esonero dalla responsabilità, il custode deve provare, in particolare, che il fatto del terzo abbia i requisiti dell’autonomia, dell’eccezionalità, dell’imprevedibilità e dell’inevitabilità e che sia, quindi, idoneo a produrre l’evento, escludendo fattori causali concorrenti>> ha significativamente aggiunto: <<L’individuazione precisa del terzo non costituisce elemento essenziale per la prova dell’interruzione del nesso eziologico, nel caso in cui sia, comunque, certo l’effettivo ruolo del terzo stesso nella produzione dell’evento. Qualora, invece, (come nel caso di specie ndr) persista l’incertezza sull’individuazione della concreta causa del danno, pur essendo certo che essa derivi dalla cosa, la responsabilità rimane a carico del custode, non essendo il fatto ignoto idoneo ad eliminare il dubbio in ordine allo svolgimento eziologico dell’accadimento, difettando in concreto la prova Daèfucaso fortuito>>.

Occorre aggiungere che la corte territoriale ha ritenuto (p. 17) che, quand’anche si fosse riusciti ad accertare la causa del crollo del cancello, ciò non poteva comunque valere a liberare da responsabilità la società proprietaria, la quale avrebbe dovuto vigilare affinché la cosa non causasse danni a terzi, <<facendo pur sempre carico al proprietario la relativa verifica, che non esclude né altrimenti limita il generale obbligo civilistico della idonea custodia, acquisendo il proprietario la disponibilità del bene di modo che la responsabilità verso i terzi, secondo le previsioni del citato art. 2051 c.c., grava soltanto su di esso>> (cfr. p. 16 della sentenza di appello).

Tanto costituisce una corretta estrinsecazione descrittiva del contenuto della responsabilità oggettiva per danni da cosa in custodia, che prescinde totalmente, com’è noto e per la oramai consolidata giurisprudenza di questa Corte regolatrice, da qualunque colpa o condotta del custode>>.

Il ragionamento pare esatto.

REsponsabilità del proprietario per danni al vicino, causati da negligenza dell’appaltatore nell’esecuzione di lavori di ristrutturazione

Secondo Cass. 12.07.2022 n. 21.977, sez. 3, rel. Rossetti, il proprietario è responsabile ex art. 2051 cc (cose in custodia)  per i danni all’appartamento sottostante anche se causati da neglienza dell’impresa da lui incaricata per lavori di ristrutturazione.

<<1.2. Questa Corte a tal riguardo ha ripetutamente affermato che l’art. 2051 c.c., trova applicazione sia quando il danno sia stato arrecato dalla cosa in virtù del suo intrinseco dinamismo, sia quando sia stato arrecato dalla cosa in conseguenza dell’agente dannoso in essa fatto insorgere dalla condotta umana (così già Sez. 3, Sentenza n. 987 del 27/03/1972, Rv. 357287 – 01, ma il principio è rimasto sempre immutato: più di recente, ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 10649 del 04/06/2004, Rv. 573386 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 4480 del 28/03/2001, Rv. 545243 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 2331 del 16/02/2001, Rv. 543914 – 01).

E’ di conseguenza irrilevante, al fine di escludere la responsabilità ex art. 2051 c.c., che il processo dannoso sia stato provocato da elementi esterni, quando la cosa sia obbiettivamente suscettibile di produrre danni (ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 6121 del 18/06/1999, Rv. 527663 – 01).

1.3. Ciò posto in diritto, rileva il Collegio in punto di fatto che tanto una tubazione idrica, quanto l’acqua in essa contenute, sono “cose” per i fini di cui all’art. 2051 c.c., ed a tali fini nulla rileva se abbiano arrecato un danno perché guaste per vetustà o perché guastate dall’uomo. Nell’uno, come nell’altro caso, infatti, grava pur sempre sul custode l’onere di vigilare affinché la propria cosa non arrechi danno a terzi.

In applicazione di questi principi, già in passato questa Corte ha ammesso l’invocabilità dell’art. 2051 c.c., nei confronti del custode d’un immobile che abbia arrecato danni a terzi in conseguenza dei lavori di restauro su esso eseguiti (così Sez. 3, Sentenza n. 723 del 27/01/1988, Rv. 457158 – 01, la quale ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto la responsabilità d’un Comune ex art. 2051 c.c. per i danni da infiltrazioni di acqua piovana ad un immobile, conseguenti alla difettosa esecuzione di opere di scavo lungo la contigua strada comunale).>>

Nè ha rilevanza che essita un contratto di appalto , in eseczine del quale sia stato cagionato ildanno:

<<1.4. Ne’ la responsabilità del custode può escludersi per il solo fatto che questi abbia affidati a terzi lavori di restauro.

E’ infatti altrettanto pacifico, nella giurisprudenza di questa Corte, che salva l’ipotesi in cui l’appalto comporti il totale trasferimento all’appaltatore del potere di fatto sull’immobile nel quale deve essere eseguito il lavoro appaltato, non viene meno per il committente detentore dell’immobile stesso che continui ad esercitare siffatto potere, il dovere di custodia e di vigilanza. (Sez. 3 -, Sentenza n. 41435 del 23/12/2021, Rv. 663448 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 31601 del 04/11/2021, Rv. 662646 – 01; Sez. 3 -, Sentenza n. 7553 del 17/03/2021, Rv. 660915 – 01).>>

Il primo punto è esatto, il secondo meno. Infatti nell’esecuzione di una ristrutturazione il potere di fatto lo esercita l’impresa, quanto meno circa le modalità esecutive dei lavori.

Il caso fortuito nella responsabilità da cose in custodia (art. 2051 cc) in relazione ad eventi atmosferici avversi

Cass. 11.02.2022 n. 4.588 , rel. Iannello, affronta il tema in oggetto in una domanda di danni ad immobili siti in un residence, cagionati da ingenti precipitaizoni atmosferiche.

Convenuti erano il Comune e il costruttore del residence: “le responsabilità in tesi ascritte, rispettivamente, alla società per aver realizzato il complesso in una zona notoriamente soggetta allo scorrimento delle acque in assenza di adeguate soluzioni costruttive, ed all’amministrazione comunale, quale ente proprietario e gestore delle opere di urbanizzazione primaria e delle strade limitrofe.”

Seguendo la giurisprudenza precedente, premesse alcune delucidazioni sull’art. 2051 cc in generale, così insegna circa i danni da precipitazioni atmosferiche:

<<(Cass. 2382 del 2018) ha rimarcato (in sintesi) che:

– la riconducibilità all’ipotesi di “caso fortuito”, di cui (anche, ma non solo) alla fattispecie legale disciplinata dall’art. 2051 c.c., è condizionata dal possesso dei caratteri dell’eccezionalità e della imprevedibilità, mentre quello della inevitabilità rimane intrinseco al fatto di essere evento atmosferico;

– per caso fortuito deve intendersi un avvenimento imprevedibile, un quid di imponderabile che si inserisce improvvisamente nella serie causale come fattore determinante in modo autonomo dell’evento; il carattere eccezionale di un fenomeno naturale, nel senso di una sua ricorrenza saltuaria anche se non frequente, non e’, quindi sufficiente, di per sé solo, a configurare tale esimente, in quanto non ne esclude la prevedibilità in base alla comune esperienza;

– al fine di poter ascrivere le precipitazioni atmosferiche nell’anzidetta ipotesi di esclusione della responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c., “la distinzione tra “forte temporale”, “nubifragio” o “calamità naturale” non rientra nel novero delle nozioni di comune esperienza ma – in relazione alla intensità ed eccezionalità (in senso statistico) del fenomeno – presuppone un giudizio da formulare soltanto sulla base di elementi di prova concreti e specifici e con riguardo al luogo ove da tali eventi sia derivato un evento dannoso” (Cass. n. 522 del 1987); ciò anche perché “il discorso sulla prevedibilità maggiore o minore di una pioggia a carattere alluvionale certamente impone oggi, in considerazione dei noti dissesti idrogeologici che caratterizzano il nostro Paese, criteri di accertamento improntati ad un maggior rigore, poiché è chiaro che non si possono più considerare come eventi imprevedibili alcuni fenomeni atmosferici che stanno diventando sempre più frequenti e, purtroppo, drammaticamente prevedibili”;

– in tale ottica, dunque, l’accertamento del “fortuito”, rappresentato dall’evento naturale delle precipitazioni atmosferiche, deve essere essenzialmente orientato da dati scientifici di stampo statistico (in particolare, i dati c.d. pluviometrici) riferiti al contesto specifico di localizzazione della res oggetto di custodia;

– all’ambito di tale indagine rimangono estranei profili inerenti alla colpa del custode nella predisposizione di cautele (specifiche e/o generiche) atte a rendere la res idonea a non arrecare pregiudizio allo scopo; sicché, l’allegazione dello “stato” del sistema di smaltimento di dette acque, nella sua effettiva consistenza attualizzata al momento del sinistro, viene ad assumere rilievo unicamente ai fini della dimostrazione del nesso causale tra la “cosa” medesima e l’evento lesivo.

Questi rilievi la citata pronuncia ha quindi condensato nel principio secondo cui “le precipitazioni atmosferiche integrano l’ipotesi di caso fortuito, ai sensi dell’art. 2051 c.c., allorquando assumano i caratteri dell’imprevedibilità oggettiva e dell’eccezionalità, da accertarsi con indagine orientata essenzialmente da dati scientifici di tipo statistico (i c.d. dati pluviometrici) riferiti al contesto specifico di localizzazione della res oggetto di custodia, la quale va considerata nello stato in cui si presenta al momento dell’evento atmosferico”.>

Interessante è poi l’applicazione all’esame della sentenza di appello censurata, anche inrelazione all’onere della prova:

<<La motivazione poggia, invero, essenzialmente sul rilievo, già sopra ricordato, secondo cui non era stata “fornita la prova, gravante sul custode, che questi abbia mantenuto la condotta diligente nel caso concreto e che le piogge siano state talmente intense che gli allagamenti si siano ciononostante, e nella stessa misura, verificati”, essendo piuttosto emersa l’inidoneità (o meglio l’inesistenza) dei sistemi di deflusso.

In tal modo, però, la corte attribuisce rilievo ad elementi che dovevano invece rimanere estranei alla propria indagine, ossia: da un lato alla diligenza osservata dal custode; dall’altro, allo stato dei sistemi di deflusso, il quale (stato), come detto, assume rilievo unicamente ai fini della dimostrazione del nesso causale tra la “cosa” e l’evento lesivo.

Per converso, con riferimento al fatto che doveva invece costituire oggetto centrale della sua disamina (l’evento meteorologico), la corte esprime una valutazione eccentrica, oltre che sostanzialmente apodittica.

Come detto, al riguardo la corte avrebbe dovuto infatti (solo) valutare se l’evento fosse da considerare “eccezionale e imprevedibile” e ciò avrebbe dovuto fare non sulla base di criteri o parametri generici e sostanzialmente soggettivi e non verificabili, bensì sulla base di “dati scientifici di stampo statistico (in particolare, i dati c.d. pluviometrici) riferiti al contesto specifico di localizzazione della res oggetto di custodia”: sempre che, naturalmente, tali dati fossero stati acquisiti in giudizio nel rispetto del criterio di riparto del relativo onere (nella specie gravante sul custode).

La valutazione condotta dai giudici a quibus non considera però alcuno di tali elementi e si limita a ritenere dirimente la mancata prova, da parte del comune, che ove gli impianti di deflusso fossero stati realizzati o lo fossero stati in modo più accorto, l’evento dannoso, indipendentemente dall’entità del fenomeno, non si sarebbe verificato.

Si tratta, però, con evidenza di un ragionamento tautologico, oltre che estraneo al paradigma normativo surricordato.

Intanto la prova, che secondo la corte pugliese avrebbe dovuto darsi, avrebbe potuto rilevare al fine di escludere la responsabilità del custode, in quanto fosse prevedibile – secondo criterio oggettivo di regolarità causale – l’evento e quindi la necessità di adottare maggiori cautele. Se tale prevedibilità non era invece predicabile, non poteva nemmeno assumere rilievo la mancata prova che maggiori cautele (ovvero un migliore sistema di deflusso) avrebbero potuto evitare l’evento dannoso.

Sul punto, peraltro, può segnalarsi altro implicito errore di impostazione. La inevitabilità che connota il caso fortuito deve essere riferita non all’evento dannoso ma, appunto, al caso fortuito, ossia al fattore esterno al rapporto causale che lega la cosa all’evento dannoso: nel caso in esame all’evento naturale che però, come detto, trattandosi di fenomeno meteorico e’, per definizione, inevitabile.

La verifica dunque, va ribadito, andava limitata alla eccezionalità e imprevedibilità dell’evento naturale: da operarsi, come ricordato, sulla base di soli dati obiettivi, ritualmente somministrati dalla parte onerata (cioè dal custode), riferiti ad un lasso temporale amplissimo – quanto meno di numerosi decenni – e non limitato all’angusto intervallo preso in considerazione.>>