Swap, (in-)validità del contratto e costi impliciti

Cass. sez. I,  ord. 19/03/2024 n. 7.368, rel. Falabella:

<<2.3. -Il dibattito sugli swap si è addensato, negli ultimi decenni, intorno a vari temi, ma quello di maggior rilievo è probabilmente legato ai cosiddetti costi impliciti del derivato (costi che integrano, in buona sintesi, il margine di remunerazione dell’intermediario) e alla conoscenza, da parte dell’investitore, dei predetti costi. Il presupposto è che gli swap, che hanno un contenuto non eteroregolamentato e che non sono standardizzati, siano normalmente caratterizzati da un disallineamento tra il prezzo teorico che lo strumento finanziario ha sul mercato e il prezzo di negoziazione del prodotto finanziario.

Tale disallineamento trova ragione nel fatto che l’intermediario che negozia per conto proprio è in grado di conoscere con maggior precisione le caratteristiche del prodotto (e quindi, essenzialmente, gli scenari probabilistici che sono associati ai flussi monetari che il contratto programma). Il rilievo dei costi impliciti – espressione di conio giurisprudenziale (anche se di “costi (…) che gravano (…) implicitamente sul cliente” parla anche la comunicazione Consob 9019104 del 2 marzo 2009, su cui infra) – non nasce però dall’esigenza che lo swap, al momento della sua stipula, dia origine a prestazioni di contenuto equivalente, giacché come è stato osservato, in dottrina, non vi è necessità che vi sia proporzione (o addirittura piena corrispondenza) tra i flussi di pagamento: il rapporto di valore tra le prestazioni di un negozio patrimoniale oneroso è estraneo alla causa di quel negozio e la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di precisare che nei contratti di scambio lo squilibrio economico originario delle prestazioni delle parti non può comportare la nullità del contratto per mancanza di causa, perché nel nostro ordinamento prevale il principio dell’autonomia negoziale, che opera anche con riferimento alla determinazione delle prestazioni corrispettive (Cass. 4 novembre 2015, n. 22567; in tema di vendita si reputa, così, che solo l’indicazione di un prezzo assolutamente privo di valore, meramente apparente e simbolico, possa determinare la nullità del contratto per difetto di uno dei suoi requisiti essenziali, mentre la pattuizione di un prezzo, notevolmente inferiore al valore di mercato della cosa venduta, ma non del tutto privo di valore, ponga solo un problema concernente l’adeguatezza e la corrispettività delle prestazioni ed afferisca, quindi, all’interpretazione della volontà dei contraenti e all’eventuale configurabilità di una causa diversa del contratto: Cass. 19 aprile 2013, n. 9640).

L’importanza dei costi impliciti nasce, piuttosto, dal fatto che l’occultamento del reale valore dello strumento finanziario è stato alternativamente considerato, nelle diverse prospettive ricostruttive che hanno trovato espressione in dottrina e in giurisprudenza, ora come un risultato non coerente con la causa del contratto, ora, come una condizione che rende indeterminabile l’oggetto di questo, ora come un inadempimento dell’intermediario agli obblighi informativi nei confronti dell’investitore: sicché la presenza dei detti costi potrebbe alternativamente rilevare sul piano genetico, determinando la nullità del contratto, oppure sulla dinamica attuativa del rapporto obbligatorio, traducendosi nella mancata osservanza, da parte dell’intermediario, dell’obbligo, posto dall’art. 23, lett. a), t.u.f., di “comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza per servire al meglio l’interesse del cliente”: con conseguente applicazione dell’apparato rimediale operante per il caso di inadempimento>>.

Poi la SC richiama Cass. sez. un. 8770/2020 (anche qui postata)

Poi ancora:

<< 2.5. – Come è stato rilevato in altra occasione da questa Corte, la nullità che viene qui in discorso non è quella, virtuale (art. 1418, comma 1, c.c.), di cui si sono occupate in passato due ben note pronunce delle Sezioni Unite (Cass. Sez. U. 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725) per escludere che essa abbia a prospettarsi in caso di inosservanza degli obblighi informativi da parte dell’intermediario; la nullità in esame è, invece, una nullità strutturale (art. 1418, comma 2, c.c.) inerente ad elementi essenziali del contratto (Cass. 10 agosto 2022, n. 24654, in motivazione, punto 5). (…)

2.6. – Quel che conta, nella presente sede, è che il contratto per cui è lite non recasse menzione del mark to market e dei costi impliciti (pag. 13 della sentenza impugnata) e mancasse in conseguenza di esplicitare il fair value (e cioè il valore) negativo del derivato (ivi, pag. 14). La Corte di appello avrebbe dovuto considerare che le richiamate carenze erano incidenti sulla validità del contratto e tali da determinarne la nullità>>.

V. anche Trib. Roma 04.04.2024  n. 5912/2024, RG 64516/2018 per un caso di nullità di un IRS interest rate swap sostanzialmente per mancanza di causa: <<La domanda di nullità, sufficientemente specifica ed ancorata al ragionamento diffusamente proposto dalla difesa attorea circa lo sbilanciamento dell’alea contrattuale, l’assenza ab origine di convenienza per il cliente e l’inidoneità originaria dello swap a svolgere la dichiarata funzione di copertura, è fondata ed il suo accoglimento rende superfluo l’esame delle altre domande formulate>> (presente in Banca dati del merito e in ilcaso.it).

Swap, costi occulti e nullità del contratto: sulla scia di Cass. sez. un. 12 maggio 2020 n. 8770)

Così Cass. sez. 1 , 10 agosto 2022, n. 24.654, rel. Falabella , sulla validità di swap stipulati con opacità di costi da parte della banca:

<< La Corte di appello ha escluso che la violazione di regole di condotta gravanti sull’intermediario, e afferenti l’informazione sul derivato potesse determinare la nullità del contratto concluso tra il detto soggetto e l’investitore. Ha precisato che l’occultamento di costi a svantaggio del cliente, tanto per una valutazione iniziale sfavorevole all’investitore (mark to market negativo), quanto per l’apparente erogazione di somme a parziale indennizzo della posizione sfavorevole assunta dal cliente (upfront), rileverebbe, “nella normalità dei casi, sul piano della violazione delle regole di condotta, sia in punto di obblighi informativi, sia, ove l’intermediario collochi in contropartita diretta i prodotti derivati, in relazione al conflitto di interessi”.

Il Giudice del gravame ha inteso quindi escludere che il profilo relativo all’implicazione, nelle operazioni in derivati, di costi occulti, quali quelli lamentati, nel giudizio di merito, dalla società investitrice (cfr. sentenza impugnata, pag. 16), si ripercuotesse sulla validità del contratto.

Una tale conclusione non è conforme alla giurisprudenza che questa Corte ha espresso nella sua articolazione più autorevole. Le Sezioni Unite hanno infatti avuto modo di precisare che, in tema di interest rate swap, occorre accertare, ai fini della validità del contratto, se si sia in presenza di un accordo tra intermediario ed investitore sulla misura dell’alea, calcolata secondo criteri scientificamente riconosciuti ed oggettivamente condivisi: accordo che non si può limitare al mark to market, ossia al costo, pari al valore effettivo del derivato ad una certa data, al quale una parte può anticipatamente chiudere tale contratto od un terzo estraneo all’operazione è disposto a subentrarvi, ma deve investire, altresì, gli scenari probabilistici e concernere la misura qualitativa e quantitativa della menzionata alea e dei costi, pur se impliciti, assumendo rilievo i parametri di calcolo delle obbligazioni pecuniarie nascenti dall’intesa, che sono determinati in funzione delle variazioni dei tassi di interesse nel tempo (Cass. Sez. U. 12 maggio 2020, n. 8770).

Il Collegio, pur consapevole che la materia prospetta profili di delicata complessità, come evidenziato dalla banca controricorrente nella propria memoria, reputa condivisibile ex art. 374, comma 3, c.p.c. il richiamato principio di diritto, il quale colloca sul piano della nullità del contratto la tutela dell’investitore a fronte di un’operazione in derivati connotata da costi occulti: nullità che – è bene precisare -non è quella, virtuale (art. 1418 c.c., comma 1), di cui si sono occupate due ben note pronunce delle Sezioni Unite (Cass. Sez. U. 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725) per escludere che essa abbia a prospettarsi in caso di inosservanza degli obblighi informativi da parte dell’intermediario, ma una nullità strutturale (art. 1418, comma 2, c.c.), inerente ad elementi essenziali del contratto (nella pronuncia del 2020 si richiama, a tale proposito, l’oggetto – punto 9.8 -, ma anche la causa del negozio: cfr., segnatamente, punto 9.3 della sentenza). In tale prospettiva, la sentenza impugnata, che ha escluso in radice il vizio genetico degli swap oggetto di giudizio, merita censura>>

Il motivo del ricorso è così riassunto appena sopra dalla stessa SC: <<Il quinto motivo denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1323 e 1418 c.c., oltre che dell’art. 21 t.u.f.. Si assume che, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, gli obblighi di informazione e di trasparenza della banca imponevano a questa di fornire una chiara indicazione dei reali costi dell’operazione: costi che incidevano sull’oggetto del contratto, “sia sotto il profilo della pattuizione del compenso della banca, sia sotto il profilo dell’esatta determinazione delle alee rispettivamente assunte”.

Col sesto motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1323 e 1418 c.c.. Si deduce l’erroneità della sentenza per violazione dei principi dettati in materia di causa del contratto anche nella parte in cui la stessa sostiene che la valutazione dell’impossibilità di funzionamento dei derivati in termini di copertura del rischio di rialzo dei tassi di interesse sarebbe effettuabile solo ex post dovrebbe risolversi nella generica impossibilità di funzionamento del contratto. Si deduce che i due contratti di swap erano nulli anche per mancanza di causa e che il profilo della violazione dei doveri di correttezza e trasparenza si aggiungeva a tale profilo di nullità, senza escluderlo.

I due motivi, che si prestano a una trattazione congiunta, sono fondati nei termini che si vengono a esporre..>>

Sentenza assai frettolosa, dato che A) richiama sia l’oggetto (assente? indeterminato? indeterminabile?) che la causa e dunque due diversi motivi di invalidità; B)  ciascuno di essi avrebbe dovuto essere spiegato.

Il contratto stipulato a seguito di estorsione è nullo per contrarietà a norma imperativa e non solo annullabile per violenza

Così Cass. 31 maggio 2022 n. 17.568, sez. 2, rel. Varrone.

La disposizione di riferimento, allora, è l’art. 1418 c.1 c.c.

Passi salienti:

<<La sentenza della Corte d’Appello di Ancona ha seguito l’orientamento secondo il quale deve escludersi la nullità del contratto frutto di una condotta estorsiva perché il vizio della volontà è causa di annullabilità e non di nullità.

6.1 Il collegio ritiene erronea tale affermazione, in quanto non tiene conto dell’evoluzione giurisprudenziale sulla c.d. “nullità virtuale” per violazione di norme penali, ovvero sul tema tradizionale del regime di invalidità del contratto stipulato per effetto diretto della consumazione di un reato>>.

<<Ed invero si deve osservare che la nullità del negozio è lo strumento predisposto dal legislatore per realizzare o non frustrare, per il tramite di esso (e non soltanto della condotta dei contraenti, anche quando si tratti di violazione di divieti soggettivi di contrarre), interessi di carattere generale protetti dall’ordinamento. Pertanto, la violazione della norma penale dà luogo ad un negozio nullo ogni qual volta la disposizione violata si connoti come norma penale di ordine pubblico nel senso che l’interesse o il bene giuridico protetto dalla norma assume una connotazione pubblicistica (secondo una tesi dottrinale che restringe la nozione di norma inderogabile a quella, appunto, di interesse e di ordine pubblico; seguita, da ultimo, da Cass. n. 7785/16) ovvero solo quando la norma penale, tenuto conto della sua ratio, tutela interessi generali di rilevanza pubblica.>>

Domanda: ci sono norme penali che non sono di ordine pubblico? Se si, quali? Solo le contravvenzioni o anche quallcjhe delitto? Nel secondo caso, quali delitti?

<<6.5 Sulla base di tali considerazioni si è affermato che la fattispecie penale del delitto di estorsione è posta indiscutibilmente a tutela di interessi non soltanto di tipo patrimoniale, ma anche di diritti inviolabili della persona, quali appunto la libertà personale, e di interessi generali della collettività. Il contratto concluso per mezzo di una condotta estorsiva, pertanto, è stipulato in violazione di norme imperative e, pur in assenza di una sanzione esplicita, è nullo per lesione dell’interesse generale di ordine pubblico tutelato dalla norma violata.>>

Legittimazione del socio di SRL ad agire in nullità contro vendita stipulata dalla società

Cass. 21.10.2021 n. 29.325, rel. Abete, LE GROTTAGLIE CHIARA c. MB – SVILUPPO INDUSTRIALE s – Parco dell’aniene soc. cons. a r.l., affronta (fugacemente) il tema; appare quasi trattarsi di obiter dictum in quanto introdotto solo ad abundantiam.

La Sc liquida sbrigativamente il questito rispondendo in modo negativo dato che la nullità potrebbe essere fatta valere solo dalla società

La censura della ricorrente era questa : << 13 .  Con il secondo motivo la ricorrente principale denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c..      Deduce che, contrariamente all’assunto della corte distrettuale, era senza dubbio interessata e legittimata ad agire anche ai sensi dell’art. 2900 c.c., ai fini della declaratoria di nullità dell’atto di compravendita in data 4.8.2010.     Deduce che, per un verso, non è dotata di poteri che le consentono di influenzare le scelte gestorie o di vigilare sulle scelte gestorie da compiersi dagli organi della “Società Generale di Partecipazioni” e della “MB – Sviluppo Industriale”; che, per altro verso, è stata direttamente ed indirettamente danneggiata dalla illiceità della vendita per notar A. del 4.8.2010.>>.

La SC  così risponde : << 16   In ogni caso, questa Corte spiega che l’interesse del socio al potenziamento ed alla conservazione della consistenza economica dell’ente è tutelabile esclusivamente con strumenti interni, tra cui la possibilità di insorgere contro le deliberazioni invalide, ma non implica la legittimazione ad agire, nei confronti dei terzi, per far annullare o dichiarare nulli anche i negozi intercorsi fra questi ultimi e la società, potendo tale validità essere contestata solo dalla società, come si evince dall’obbligo, facente capo all’amministratore, di attivarsi nelle dovute forme per l’eliminazione degli effetti conseguenti all’accertato vizio (cfr. Cass. 25.2.2009, n. 4579).

In questi termini vanamente la ricorrente reitera la sua legittimazione ad agire, il suo interesse ad agire, “per ottenere la declaratoria di nullità del contratto di compravendita di che trattasi” (così ricorso principale, pag. 14).>>

Sfugge la ragione di tale perentorietà: par dimenticare la regola generale per cui la nullità è domandabile da chiunque vi abbia interesse (art. 1418 cc; ed è dichiarabile d’ufficio dal giudice). L’interesse, a far “rientrare” nel patrimonio sociale un bene venduto sottocosto, è palese.

Nemmeno menziona la possibiltà (almeno astratta) di (ri-)qualificare l’azione svolta come surrogatoria.

Sentenza milanese sulla riscossione dell’equo compenso da sfruttamento cinematografico ex art. 46 bis l. aut.

Viene fatta circolare ora Trib, Milano n° 7903/2020 del 03.12.2020, Rg 57224/2018, Sky italia c. SIAE ,che decide la lite sulla raccolta del compenso ex art. 46 bis l. aut.

I punti principali:

– tale raccolta non rientra nell’esclusiva di legge a favore della SIAE (dopo la dir. UE 26/2014 e il d. lgs. 35/17)

– la richiesta generalizzata dei compensi in mancanza di esclusiva ex lege e di incarico contrattuale costituisce abuso di posizione dominante nel mercato, merceologicamente determinato nel <<mercato specifico che attiene alla riscossione e ripartizione dell’equo compenso previsto dall’art. 46 bis l.a. che si pone in via del tutto autonoma ed indipendente rispetto ad altri diritti.>>, p. 19

<<Se infatti è del tutto pacifico in atti che attualmente SIAE gestisce la riscossione di tutti i proventi ex art. 46 bis l.a. per la totalità degli autori delle opere cinematografiche utilizzate dalle emittenti e cioè anche di quelli dovuti ad autori ad essa non associati o che non abbiano ad essa conferito alcun mandato la mancanza di una riserva legale che giustifichi l’attività di un unico ente di riscossione consente di individuare l’esistenza di un mercato concorrenziale potenziale che vale ad integrare un  ambito di sostituibilità dell’offerta di tali servizi da parte degli altri operatori indicati nel d.lsvo 35/17 (organismi di gestione collettiva ed enti di gestione indipendente).>>

La condotta di SIAE costituituisce abuso di posizione dominante laddove <<si è presentata dinanzi agli utilizzatori deelle opere cinematografiche come unico ente di riscossione dell’equo compenso con funzione di ripartizione di esso rispetto alla generalità degli autori delle opere stesse, a prescindere dall’esistenza di un rapposto volontario di rappresentanza ad essa conferito da ciascuno di essi in base alla manifestata volontà di associazione a SIAE o di conferire ad essa specifico mandato>>, 21-22

Tra le parti (e a seguito di precedente processo) era stata stipulato accordo nel 2015 che stabiliva gli obblighi di SKY per l’equo compenso cinema. Che SKY l’avesse liberamente sotto scritto non fa venir meno la sua impugnabilità: v. ad es. Corte giustizia 20.09.2001, C-453/99, caso Courage , come pure è pacifico se lo si ritiene nullo per violazione di norma imperativa (il passaggio sulla nullità: <<La clausola abusiva posta in essere da soggetto in posizione dominante viola in effetti l’ordine pubblico del mercato e la necessaria razionalità del suo assetto, violazione che connota il patto negoziale in termini di illiceità cui consegue la sua nullità (virtuale). La natura escludente dell’abuso induce infatti a ritenere l’esistenza di causa illecita, non già la mera violazione di una regola di comportamento.  L’eccezione di nullità dell’Accordo 13.2.2015 ai sensi dell’art. 1418 c.c.deve dunque essere ritenuta fondata >>, p. 23).

A maggiore ragione non fa venir meno l’impugnabilità (cioè non costituisce un venire contra factum proprium) la libera sottoscrizione del predetto accordo: infatti non era probabilmente tanto “libera”, se conseguente ad esercizio abusivo di posizione dominante

Infine, è processualmente  interessante la dichiarazione di inammissibilità e l’ordine di espunzione dal fascicolo (“dal giudizio”) dei doceumenti tardivamente introdotti.   Resta da vedere come si concretizzerà l’espunzione