Diritto al’immagine vs. diritto di cronaca

La S.C. con sentenza 19.02.2021 n. 4477, rel. Campese, esamina in modo convincente una fattispecie forse non rara sul tema: la partecipazione di un personaggio famoso ad un evento privato e la successiva diffusione sui giornali delle fotografie scattate nell’occasione.

Nel caso specifico un calciatore famoso aveva fatto visita in ospedale ad una bambina gravemente malata ma le fotografie (alla bambina, col viso coperto, e  ai genitori) scattate dal personale medico erano poi state diffuse su svariati quotidiani.

L’analitica sentenza soprattutto distingue  tra diritto di cronaca -cioè il diritto di dare notizia dell’evento- e diritto alla riproduzione delle immagini delle persone cooinvolte: esistente il primo, non è detto che necessariamente ricorra pure il secondo: <<tali presupposti, in presenza dei quali il bilanciamento tra l’interesse individuale alla tutela di diritti della personalità quali l’onore, la reputazione e la riservatezza, e quello, costituzionalmente protetto, alla libera manifestazione del pensiero deve risolversi in favore di quest’ultimo, avuto riguardo al prevalente diritto dell’opinione pubblica ad essere informata ed a formarsi un convincimento in ordine a vicende di rilevante interesse collettivo, possono risultare idonei a giustificare la propalazione di informazioni in contrasto con i predetti diritti, ma non sono sufficienti a legittimare, sic et simpliciter, anche la diffusione della immagine della persona interessata, la quale trova un’autonoma e più rigorosa regolamentazione nell’art. 10 A.B. e della L. n. 633 del 1941, art. 97, di cui si è ampiamente detto in precedenza …. . In quest’ottica, la mera circostanza che l’immagine pubblicata appartenga ad un soggetto cui è riferibile una vicenda rispetto alla quale sia configurabile un interesse alla conoscenza da parte del pubblico non può considerarsi sufficiente a legittimarne la riproduzione e la diffusione, occorrendo a tal fine un quid pluris, consistente nella necessità che tale divulgazione risulti essenziale per la completezza e la correttezza dell’informazione fornita>>, § 2.7.2 e 2.7.3.

La diffusione dell’immagine infatti ha maggiore potenzialità lesiva: <<questa Corte, del resto, ha già avuto modo di affermare che l’accertamento della legittimità della pubblicazione dell’immagine di una persona senza o contro il consenso dell’interessato è un’indagine che va condotta caso per caso, nel rispetto sia dei parametri del diritto di cronaca e dell’essenzialità della diffusione della notizia, sia dei parametri specifici fissati dall’art. 8 citato a presidio della tutela della dignità umana (oltre che, ovviamente, a quello di cui al precedente art. 7 quanto alla tutela dei minori). La più accentuata potenzialità lesiva e la maggiore diffusività dell’immagine comportano inoltre che la relativa valutazione debba essere compiuta con maggior rigore rispetto a quella concernente la semplice pubblicazione della notizia, occorrendo verificare se la pubblicazione delle immagini fosse essenziale ai fini dell’informazione e inoltre considerare se tali immagini, per le loro caratteristiche intrinseche, fossero da considerare lesive della dignità della persona, in considerazione della particolare potenzialità offensiva connessa all’enfatizzazione tipica dello stesso strumento visivo (ed all’idoneità dell’immagine, una volta pubblicata, ad essere riprodotta anche a distanza di tempo sui più svariati mezzi di comunicazione, scissa dall’articolo di cronaca che ne poteva giustificare in origine la pubblicazione e sottratta al controllo del soggetto ritratto), il cui uso nell’attività giornalistica è per questo circondato da particolari cautele (cfr. Cass. n. 12834 del 2014)>>, § 2.7.6.

Inoltre, nel caso specifico <<l’avvenuta pubblicazione di foto centrate (anche) su di una minore allettata, non importa se con il viso oscurato, tra apparecchi e cavi, con medici ed infermieri e con la diffusione delle generalità, è certamente lesiva di quel preminente interesse del minore (soprattutto se in relazione ai principi di cui si è già dato precedentemente conto al p. 2.5.2, da intendersi qui ribaditi) che, dalla menzionata Convenzione di New York in poi, è al centro del diritto a livello internazionale>>, § 2.9. Sembra cioè di capire che sia di per sè lesiva: affermazione , allora, importante.

Pure importante (anche a livello teorico scontato)  è il seguente passo: <<la circostanza che i dati personali siano stati resi noti direttamente dagli interessati in una pregressa occasione non ha valore di consenso tacito al trattamento anche in contesti diversi dalla loro originaria pubblicazione, poichè l’interessato può essere contrario a che l’informazione da lui già resa nota riceva una ulteriore e più ampia diffusione, dovendosi ritenere che la deroga prevista dal D.Lgs. 30 giugno 2006, n. 196, art. 137, u.c., concerna solo l’essenzialità del dato trattato e non anche l’interesse pubblico alla sua diffusione, di cui va apprezzata autonomamente l’idoneità, in ispecie rispetto al diritto del minore alla riservatezza ed alla non diffusione dei sui dati anagrafici e del suo domicilio (cfr. Cass. n. 27381 del 2013)>>, § 2.9.3 (la SC si riferisce all’eccezione dei convenuti per cui poteva desumersi un consenso dei genitori dal fatto che avevano dato notizia dell’evento su una pagina Facebook).

Infine va rimarcato l’interesse della pronuncia per l’esame dei profili specificamente giornalistici del diritto di cronaca  e dunque degli artt. 136 e 137 cod. privacy.

In conclusione, i corpi normativi invocati in causa sono stati (la SC non menziona il GDPR, probabilmente perchè i fatti erano anteriori alla sua entrata in vigore):

  1. codice civile (art. 10).
  2. legge d’ autore (artt. 96-97)
  3. cod. privacy  nel testo anteriore al D LGS 101/2018, ratione temporis (spt. artt 136-137)
  4. Conv. New York del 1989 sui diritti del fanciullo
  5. codice deontologico dei giornalisti (dotato di dignità giuridica almeno ex artt-. 137 e 139 cod. privacy)