Satira legittima o diffamazione?

Cass. sez. III, ord. 14/03/2024  n. 6.960, rel. Ambrosi:

premessa generale:

<<2.1. In via generale, vale rammentare che questa Corte ha già più volte avuto modo di affermare che la satira, quale specie del più ampio genere del diritto di critica, rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 21 Cost. che tutela la libertà della manifestazione del pensiero nella comunicazione ma che allo stesso tempo non può consistere in un esercizio indiscriminato, che può entrare in conflitto con alcuni valori fondamentali della persona, quali la reputazione, l’onore, il decoro, l’immagine etc., definiti dalla Corte Costituzionale “patrimonio irretrattabile di ogni essere umano” (Corte Cost. 24/01/1994 n. 13).

Il diritto di satira ha un fondamento complesso individuabile nella sua natura di creazione dello spirito, nella sua dimensione relazionale ossia di messaggio sociale, nella sua funzione di controllo esercitato con l’ironia ed il sarcasmo nei confronti dei poteri di qualunque natura.

Comunque si esprima e, cioè, in forma scritta, orale, figurata, la satira costituisce una critica corrosiva e spesso impietosa basata su una rappresentazione che enfatizza e deforma la realtà per provocare il riso; ne è espressione anche la caricatura e, cioè, la consapevole ed accentuata alterazione dei tratti somatici, morali e comportamentali di una persona realizzata con lo scritto, la narrazione, la rappresentazione scenica. In altri termini, la satira è espressione artistica nella misura in cui opera una rappresentazione simbolica quale metafora caricaturale.

Può al riguardo richiamarsi quanto autorevole dottrina ha osservato in tema di satira e parodia e cioè che esse offrono all’interprete “un altrove” ove il paradosso e la provocazione mutano il disincanto e la severità del diritto di critica e di cronaca, in riso o in burla.

Diversamente dalla cronaca, infatti, la satira è sottratta all’obbligo di riferire fatti veri, in quanto essa assume i connotati dell’inverosimiglianza e dell’iperbole per destare il riso e sferzare il costume ed esprime mediante il paradosso e la metafora surreale un giudizio ironico su di un fatto, pur rimanendo assoggettata al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito.

Sul piano della continenza, il linguaggio essenzialmente simbolico e frequentemente paradossale della satira – in particolare di quella esercitata in forma grafica – è svincolato da forme convenzionali, per cui è inapplicabile il metro della correttezza dell’espressione.

In tale perimetro concettuale, è stato affermato da questa Corte che la satira, al pari di ogni altra manifestazione del pensiero, non può infrangere il rispetto dei valori fondamentali della persona.

Nello specifico, in ambito penale, non è stata riconosciuta la scriminante di cui all’art. 51 c.p. per le attribuzioni di condotte illecite o moralmente disonorevoli, gli accostamenti volgari o ripugnanti, la deformazione dell’immagine in modo da suscitare disprezzo o dileggio (Cass. pen. sez. 5, 2/12/1999 n. 2128, V.; Cass. pen. Sez. 5, 23/05/2013 n. 37706, R.; Cass. Sez. 5 15/11/2022 n. 9953, P.) e più nello specifico, è stata esclusa la scriminante nella satira che, trasmodando da un attacco all’immagine pubblica del personaggio, si risolva in un insulto o in un’aggressione gratuite alla persona in quanto tale (Cass. pen., Sez. 5, 11/5/2006 n. 23712, G. e altro) o nella rappresentazione caricaturale e ridicolizzante di alcuni magistrati posta in essere allo scopo di denigrare l’attività professionale da loro svolta attraverso l’allusione a condotte lesive del dovere funzionale di imparzialità (Cass. pen., Sez. 5, 4/6/2001, n. 36348, F.; Cass. Sez. 5, 27/10/2010 n. 3356, M. e altro).

In ambito civile, nello stesso solco, è stato affermato come nella formulazione del giudizio critico e tanto più in quello satirico, possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall’opinione o comportamento preso di mira e non si risolvano in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato (Cass. Sez. 1, 20/03/2018 n.6919; Cass. Sez. 6-3, 17/09/2013, n. 21235; Cass. Sez. 3, 28/11/2008, n. 28411; Cass. Sez. 3, 08/11/2007 n. 23314; Cass. Sez. 3, 29/05/1996 n. 4993); ad esempio, nessuna scriminante può ammettersi allorché la satira diventa forma pura di dileggio, disprezzo, distruzione della dignità della persona (Cass. Sez. 24 marzo 2015, n. 5851), ovvero quando comporta l’impiego di espressioni gratuite, volgari, umilianti o dileggianti, non necessarie all’esercizio del diritto (Cass. Sez. 3, 11/09/2014 n. 19178), comportanti accostamenti volgari o ripugnanti o tali da comportare la deformazione dell’immagine pubblica del soggetto bersaglio e da suscitare il disprezzo della persona o il ludibrio della sua immagine pubblica (Cass. Sez. 3, 17/09/2013 n. 21235);

viceversa, è stato ravvisato il legittimo esercizio del diritto di satira posto, in essere attraverso l’impiego di un detto popolare avente ad oggetto una facezia di carattere scatologico, se contestualizzata e riconosciuta sorretta da un intento di esasperazione grottesca ed iperbolica dell’impraticabilità di un ipotizzato paragone od accostamento della condotta tenuta dalla persona attinta dalla satira, o da essa pubblicamente ammessa o riconosciuta, rispetto ad altra vicenda storica (Cass. Sez. 3, 07/04/2016 n. 6787).

2.2. Sul piano della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo satirico perseguito, va tenuto conto di un ulteriore presupposto necessario alla espressione satirica, e cioè della rilevanza dell’interesse del pubblico all’esposizione del fatto in tale peculiare forma ovvero della dimensione pubblica della vicenda o della notorietà del personaggio preso di mira volto solo ed esclusivamente al fine di suscitare il riso nel lettore.

La sussistenza di tale presupposto è ritenuta necessaria sia dalla giurisprudenza interna, come veduto, sia da quella sovranazionale.

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, difatti, con riferimento ad una vignetta satirica dal forte carattere politico, ha riaffermato l’inviolabilità del principio di non discriminazione, così come sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea all’articolo 21, paragrafo 1, (CGUE Grande Sezione, 3/09/2014 Causa C – 201/13, JohanDeckmyn e Vrijheidsfonds VZW c. Helena Vandersteen et al.).

Nella stessa prospettiva, la Corte dei diritti dell’uomo ha affermato che la protezione offerta dall’art. 10 della Carta, a tutela della libertà di espressione, non può prevalere di fronte ad uno spettacolo comico dalla forte connotazione antisemita (Corte EDU n. 25239/13, del 20/10/2015, M’bala M’bala c. France, in ordine allo spettacolo negazionista del comico Dieudonnè).

La lente utilizzata nei richiamati arresti europei mette a fuoco la necessità di escludere dall’ontologia delle espressioni satiriche, quelle che non rivolgono i propri strali verso i potenti, ma che infieriscono su categorie deboli, oggetto di discriminazione, razzismo, sessismo etc., non suscitando il sorriso amaro che la satira dovrebbe provocare, bensì semplice dileggio o disprezzo.

In tale contesto, efficacemente, gli odierni ricorrenti hanno richiamato un arresto della Corte EDU che ha ritenuto come nei periodi elettorali sia necessario garantire una libertà ancora più ampia, che include satira e parodia, nel caso di discorsi politici e di questioni di interesse per la collettività inseriti in un contesto generale di polemica in ordine al sostegno economico e politico ad alcuni candidati piuttosto che ad altri (Corte EDU 22/11/2016, Grebneva e Alisimchik vs Russia; nella specie, nell’immagine rappresentata si faceva un parallelismo tra il volto di un candidato, procuratore della regione di Primorskiy, e un corpo di donna avvolta in una banconota, sottolineandone l’evidente carattere provocatorio, che non era certo equiparabile a un attacco gratuito, tanto più che non si richiamava alcun aspetto della vita privata del raffigurato)>>.

Nel caso specifico, con cassazione e rinvio:

<<In particolare, la Corte romana, sebbene abbia assunto a monte del proprio convincimento il principio in diritto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte fornisce le coordinate dell’esercizio legittimo della satira, richiamando in particolare la massima ricavata dalla ordinanza n. 6919/2018, a mente della quale, “La satira costituisce una modalità corrosiva e spesso impietosa del diritto di critica, sicché, diversamente dalla cronaca, è sottratta all’obbligo di riferire fatti veri, in quanto esprime mediante il paradosso e la metafora surreale un giudizio ironico su di un fatto, pur soggetta al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito. Conseguentemente, nella formulazione del giudizio critico, possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall’opinione o comportamento preso di mira e non si risolvano in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato”; immediatamente dopo, alla stregua di tale massima, ha affermato “non vi è dubbio che la fotografia del Collegio giudicante al momento della lettura del dispositivo della sentenza nel procedimento penale contro @5Be@, con la didascalia dal titolo “Giustizia da fiction su @6Ca@”, sotto la quale i tre componenti del collegio della Corte di Appello ivi ritratti (tra cui l’odierna appellata) vengono testualmente definiti: “un gruppo di attori milanesi durante le prove estive di @7Ze@” abbia carattere diffamatorio” (pag. 2 della sentenza impugnata), evidenziando che “il destinatario della rappresentazione satirica era un Collegio giudicante all’atto della lettura del dispositivo di una sentenza che, condivisa o meno che fosse, non legittimava il Se.Mi. a ledere l’onore dei componenti del collegio, con una immagine caricaturale già di per sé sgradevole e del tutto gratuita, ma a svilire l’esercizio della funzione giurisdizionale da questi svolta. Definire i componenti del collegio un gruppo di attori di un programma comico equivale sostanzialmente a rimarcare l’assoluta inaffidabilità degli stessi, non veri magistrati che emettono una sentenza sgradita, ma semplici attori, per di più di un programma comico (…)”. La Corte territoriale ha altresì aggiunto che “l’affermazione pure contenuta nell’articolo che “il principio sancito dalla Costituzione per cui la legge è uguale per tutti è una delle più celebri battute di spirito della storia”, vale a rimarcare non solo l’inaffidabilità soggettiva dei magistrati, ma a negarne l’onestà intellettuale ed il difetto di imparzialità che è una delle più gravi accuse che possa essere rivolta ad un magistrato, essendo indipendenza, imparzialità ed equilibrio i fondamenti della funzione” (pagg. 2 e 3 della sentenza impugnata), concludendo, infine, nel rilevare che “il collegamento a @6Ca@ e alla trasmissione @7Ze@ per i rapporti dell’emittente con l’imputato @5Be@ valgono sotto altro profilo a rimarcare la parzialità del Collegio, un collegio di attori di un programma dell’imputato” (pag. 3 della sentenza impugnata).

2.4. Ebbene, nella specie, è del tutto mancato l’esame del contesto in cui si inseriva la fotografia e la didascalia pubblicate all’interno dell’inserto in oggetto.

Difatti, è mancato l’esame dell’elemento necessario all’esposizione del fatto in tale peculiare forma satirica (attraverso il paradosso e la metafora surreale), costituito dalla dimensione pubblica della vicenda, dalla notorietà del personaggio preso di mira e dalla rilevanza dell’interesse manifestato dal pubblico.

Invero, la rappresentazione provocatoria in esame e la direzione paradossale ed iperbolica della satira utilizzata nel verso della leale inverosimiglianza e dell’accostamento sarcastico e sferzante, offerte al lettore, senza proporre alcuna funzione informativa (accostamento dell’immagine del collegio giudicante ad un gruppo di attori di un noto programma riferibile al palinsesto televisivo del personaggio politico in argomento sia con riferimento alla burlesca, dissacrante, parodia dell’affermazione secondo cui la legge è eguale per tutti), non possono essere considerate in modo avulso dal contesto socio – culturale in cui erano calate, in considerazione delle numerose reazioni dell’opinione pubblica e dell’accesa polemica sviluppatesi con riguardo alla peculiare vicenda giudiziaria penale (di particolare scabrosità), protrattasi per diversi anni, ascritta all’ex Presidente del Consiglio dei ministri, notissimo uomo politico, imprenditore televisivo e industriale, all’indomani della sua assoluzione in appello.

In altri termini, è mancato l’esame del contesto di sincera non veridicità finalizzata alla critica e alla dissacrazione di un personaggio politico di alto rilievo, all’indirizzo del quale, in definitiva, l’intero inserto fotografico in oggetto (contenente, tra le altre, la fotografia del Collegio giudicante d’appello), intendeva provocare l’amaro riso del lettore>>.

Mi pare troppo indulgente verso l’editore e troppo poco verso il giudice diffamato: egli non è personaggio pubblico e l’ordinata vita collettiva riceve solo danno, senza un utile, dall’incremento di sfiducia verso la magistratura derivatone.