In caso di recesso del committente dall’appalto (art. 1671 cc), egli può ugualmente poi chiedere la restituzione degli acconti e il risarcimento del danno

Cass. sez. II dell’08/01/2024 n. 421, rel. Trapuzzano:

<<5.2. – Ora, per un verso, quanto al rapporto tra recesso e risoluzione per inadempimento, il committente non può invocare la risoluzione giudiziale del contratto dopo l’esercizio del diritto di recesso, che importa lo scioglimento, con effetti ex nunc, dell’appalto. Segnatamente il diritto potestativo riconosciuto al committente di risolvere unilateralmente l’appalto può essere esercitato ad nutum in qualunque momento posteriore alla conclusione del contratto (purché prima dell’ultimazione dell’opera) e può essere giustificato anche dalla sfiducia verso l’appaltatore per fatti di inadempimento. Ne consegue che, in caso di recesso, il contratto si scioglie per l’iniziativa unilaterale dell’appaltante, senza necessità di indagini sull’importanza e sulla gravità dell’inadempimento (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5368 del 07/03/2018; Sez. 2, Sentenza n. 11028 del 26/07/2002; Sez. 2, Sentenza n. 6814 del 13/07/1998), le quali sono rilevanti soltanto quando il committente abbia preteso anche il risarcimento del danno dall’appaltatore per l’inadempimento in cui questi fosse già incorso al momento del recesso>>. [alquanto ovvio]>>.

E poi:

<5.3. – Nondimeno, per altro verso, benché l’esercizio del recesso impedisca al committente di invocare, in seconda battuta, la risoluzione per inadempimento dell’appalto, la circostanza che l’appaltante si sia avvalso dello ius poenitendi non impedisce di esercitare, in favore dello stesso appaltante, il diritto alla restituzione degli acconti versati e al risarcimento dei danni che sono derivati dall’inadempimento dell’assuntore.[ok per il danno, ma per la restituizione acconti serviva qualche precisazione: solo quellli in esubero rispetto all’obbligo di indennizzo?]

La formulazione di un’istanza di restituzione dell’acconto versato e la riserva di chiedere spese e danni non sono, infatti, incompatibili con la domanda di recesso (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6972 del 27/03/2006; Sez. 2, Sentenza n. 11642 del 29/07/2003; Sez. 2, Sentenza n. 77 del 08/01/2003; Sez. 2, Sentenza n. 2236 del 30/03/1985; Sez. 2, Sentenza n. 2055 del 28/03/1980). Piuttosto, dei danni subiti dall’appaltante per pregresse inadempienze dell’appaltatore si può tenere conto in sede di liquidazione dell’indennizzo spettante all’assuntore, all’esito del recesso esercitato dall’appaltante. In specie, il committente può fare valere tali danni allo scopo di ottenere una proporzionale riduzione dell’indennizzo da questi dovuto, anche se li conosceva al momento del recesso. (…)

5.4. – Orbene, e in secondo luogo, tali domande restitutorie e risarcitorie – contrariamente all’assunto della pronuncia impugnata – non sottostanno alla disciplina speciale sulla garanzia per i vizi e al conseguente regime decadenziale e prescrizionale ex art. 1667 c.c..[questo è il passaggio più interessante e meno sconntato]

Infatti, la responsabilità speciale per difformità o vizi, come disciplinata dal legislatore, non è invocabile – ed è invocabile piuttosto la generale responsabilità per inadempimento contrattuale ex art. 1453 c.c. – nel caso di mancata ultimazione dei lavori, anche se l’opera, per la parte eseguita, risulti difforme o viziata, o di rifiuto della consegna o di ritardo nella consegna rispetto al termine pattuito.

In base a tale ricostruzione, nel caso in cui l’appaltatore non abbia portato a termine l’esecuzione dell’opera commissionata, restando inadempiente all’obbligazione assunta con il contratto, la disciplina applicabile nei suoi confronti è quella generale in materia di inadempimento contrattuale, mentre la speciale garanzia prevista dagli artt. 1667 e 1668 c.c. trova applicazione nella diversa ipotesi in cui l’opera sia stata portata a termine, ma presenti dei difetti (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 7041 del 09/03/2023; Sez. 2, Sentenza n. 35520 del 02/12/2022; Sez. 1, Ordinanza n. 4511 del 14/02/2019; Sez. 3, Ordinanza n. 9198 del 13/04/2018; Sez. 2, Sentenza n. 1186 del 22/01/2015; Sez. 2, Sentenza n. 13983 del 24/06/2011; Sez. 3, Sentenza n. 8103 del 06/04/2006; Sez. 2, Sentenza n. 3302 del 15/02/2006; Sez. 2, Sentenza n. 9849 del 19/06/2003; Sez. 2, Sentenza n. 9863 del 27/07/2000; Sez. 3, Sentenza n. 14239 del 17/12/1999; Sez. 2, Sentenza n. 446 del 19/01/1999; Sez. 2, Sentenza n. 10255 del 16/10/1998; Sez. 2, Sentenza n. 7364 del 09/08/1996; Sez. 2, Sentenza n. 10772 del 16/10/1995; Sez. 2, Sentenza n. 11950 del 15/12/1990; Sez. 2, Sentenza n. 49 del 11/01/1988; Sez. 2, Sentenza n. 2573 del 12/04/1983).

Da ciò deriva che, anche ove il rapporto si sia sciolto sulla scorta dello ius poenitendi attuato dal committente, la pretesa di quest’ultimo di ottenere la riparazione dei danni conseguenti a fatti di inadempimento addebitati all’assuntore e accaduti in corso d’opera, prima che fosse fatto valere il recesso, ricade nella cornice normativa generale di cui all’art. 1453 c.c., sicché non trova applicazione la disciplina speciale sulla garanzia per le difformità e i vizi, anche con riferimento ai termini di decadenza e prescrizione. (…)

Quindi, venuto meno il rapporto fiduciario tra le parti dell’appalto, per effetto dell’esercizio del diritto potestativo di recesso dell’appaltante, nessuna equiparazione può essere disposta tra completamento dell’opera e definitiva interruzione dei lavori, cui non si applica la disciplina speciale sulla garanzia per i vizi in ordine agli inadempimenti contestati dal committente per fatti verificatisi prima dell’attuazione dello ius poenitendi>>.