Momento e modo cui valutare il marchio violato nel giudizio di contraffazione

Cass. sez. I n° 21.738 del 20.07.2023, rel. Falabella (con passaggi non limpidissimi…):

1) il giudizio sulla esistenza o meno della rinomanza va dato alla data del deposito (o di uso, se marchio di fatto) del secondo marchio. Così parrebbe leggendo :  <<l’odierna ricorrente ha agito in giudizio per sentir dichiarare la nullità dei marchi di (Omissis) e l’accertamento della contraffazione posta in essere, ai propri danni, attraverso di essi. Sotto il primo profilo i Giudici del merito dovevano evidentemente verificare se alla registrazione dei marchi si frapponesse l’impedimento di cui all’art. 12, lett. e): a tal fine l’indagine circa la rinomanza dei segni in questione andava condotta avendo riguardo all’epoca del deposito del primo dei marchi “(Omissis)” (anno 1999, come è pacifico), non ad epoca successiva. Simile (ma non esattamente coincidente) conclusione si impone in relazione alla sola domanda relativa all’accertamento dell’illecito contraffattivo. Come insegna la Corte di giustizia, il diritto del titolare alla tutela del suo marchio contro le lesioni di quest’ultimo non sarebbe né effettivo né efficace se non permettesse di prendere in considerazione la percezione del pubblico interessato nel momento in cui si è iniziato l’uso del segno che lede il suddetto marchio: quindi, per determinare la portata della tutela di un marchio regolarmente acquisito in funzione della sua capacità distintiva, il giudice deve prendere in considerazione la percezione del pubblico interessato nel momento in cui il segno, il cui uso lede il suddetto marchio, ha iniziato ad essere oggetto di utilizzazione (Corte giust. CE 27 aprile 2006, C-145/05, Levi Strauss & Co., 17 e 20, pure citata da parte ricorrente)>>.

Affermazione scontata.

2) la contraffazione va accertata rispetto al marchio violato così come depositato, non così come concretamente usato. Così parrebbe da <<è  senz’altro vero che il giudizio quanto al rischio confusorio determinato dalla somiglianza dei marchi, siccome impiegati per prodotti o servizi identici o affini, può riguardare segni che presentino una differente caratterizzazione (per essere l’uno denominativo e l’altro al contempo denominativo e figurativo: per una ipotesi siffatta cfr. ad es. Cass. 18 giugno 2018, n. 15927). E’ altrettanto vero, però, che, ove si tratti di accertare la nullità della registrazione ex art. 12, comma 1, lett. b), o l’uso illecito del segno che sia simile ad altro marchio precedentemente registrato, a norma dell’art. 20 comma 1, lett. b), occorre guardare a tale titolo di privativa, e cioè al segno oggetto di deposito e registrazione, non al modo con cui esso venga utilizzato dall’avente diritto (sull’irrilevanza delle modalità concrete di applicazione dei marchi denominativi ai prodotti, dovendo la valutazione quanto all’impedimento alla registrazione del marchio effettuarsi sulla base dei segni quali registrati o richiesti: Trib. UE 29 febbraio 2012, T-525/10, Azienda Agricola Colsaliz, 37; Trib. UE 9 giugno 2010, T-138/09, Muñoz Arraiza, 50)>>.

Pure affermazione scontata: la diversità rileva solo al fine di eventuale decadenza per non uso