Trib. Firenze 19.05.2023 n° 1519/2023, RG 16901/2018, rel. Pattonelli (da giurisprudenzadelleimprese.it):

<<Più in generale, la disciplina d’autore non assicura la tutela alle semplici idee,
informazioni, opinioni e teorie espresse nell’opera (come anche chiarito all’art. 9,
comma 2 Accordo TRIPS, all’art. 2, n. 8 L. n. 633/41 e nelle DCE nn. 1991/250 e 1996/9, rispettivamente in tema di programmi per elaboratore e di banche-dati), ma soltanto alle relative forme espressive, ossia alla loro concretizzazione esterna, intesa come rappresentazione nel mondo esterno di un contenuto di idee, fatti, sensazioni, ragionamenti, sentimenti, sicché l’opera dell’ingegno è tutelata soltanto quale espressione, segno palese e concreto della creatività dell’autore, mentre pari tutela non riceve l’utilizzazione dell’argomento o dell’insegnamento espressi nell’opera stessa: ciò in nome di criteri di ragionevolezza, dacché un’esclusiva tanto ampia da abbracciare perfino le idee – ancorché originali – dell’autore o i contenuti dell’opera recherebbe pregiudizio al progresso delle arti e delle scienze. Siffatto principio – esteso anche alle c.d. “idee elaborate”, per tali intendendosi gli schemi che fungono da traccia nello svolgimento di un’attività diretta alla successiva realizzazione di un’opera dell’ingegno completa – è stato ribadito, in particolare, per quanto qui di interesse, con riferimento alle opere di carattere scientifico (Cass. n. 190/62), nel cui ambito, del pari, l’esclusiva deve ritenersi cadere soltanto sull’espressione formale, id est, sulla soluzione espressiva del discorso scientifico, ma non pure sul contenuto intellettuale intrinseco dell’opera scientifica, o sull’insegnamento che da esso può trarsene, dovendo questo invece rimanere a disposizione di tutti, per il progresso delle scienze e della cultura generale (Cass. n. 10300/20; n. 15496/04). E se è pur vero, da un lato, che la visione personale, che dà luogo all’opera dell’ingegno creativa nel senso suindicato, si manifesta non soltanto nella c.d. forma esterna con cui viene espressa l’opera, ossia nell’espressione in
cui l’opera si presenta ai soggetti che intendono fruirne, ma anche nella c.d. forma interna, identificabile con la struttura dell’opera, ovvero con quel nucleo fondamentale che ne costituisce l’originalità creativa, che – come tale – non è appropriabile liberamente dai terzi; è d’altro canto da ribadirsi come, al fine della configurazione di un’opera dell’ingegno, occorra pur sempre una forma esteriore compiuta, determinata e identificabile, in cui la stessa opera si concretizzi e possa pertanto essere percepita come tale all’esterno, non ponendosi altrimenti neppure il problema della sua percezione come frutto dell’attività creativa di un determinato autore.

In altri termini, dunque, un’opera dell’ingegno in tanto riceve protezione, in quanto sia riscontrabile in essa un atto creativo, seppure minimo, suscettibile di manifestazione nel mondo esteriore, a prescindere dal suo carattere edito o inedito, sempreché, tuttavia, ne sussistano i requisiti della concretezza di espressione, e, dunque, una forma come tale riconoscibile e riconducibile al soggetto autore (Cass. n. 22010/15; n. 18073/12) – come è ben evincibile, anzitutto, dalla lettura della clausola di chiusura di cui all’art. 1 LDA (“in qualunque forma di espressione”) e all’art. 2575 c.c., entrambe presupponenti l’esistenza di un’espressione tangibile e percepibile dell’opera>>

Oper dell’integno non ravvisata nel caso specifico in cui <<secondo le prospettazioni attoree (cfr. pag. 4 citazione), “idea, ricerca, formulazione, programma, progetto ed esecuzione” di un laboratorio scientifico, il LISM, costituirebbero un’opera dell’ingegno da tutelare in suo favore, in quanto diretta promanazione dai suoi studi e dalle sue intuizioni, e di cui, pertanto, lo stesso attore avrebbe dovuto essere ritenuto l’unico autore>>.

Decisione ineccepibile anche se facile.