Sospensione prefettizia illegittimità dell’attività commerciale (da emergenza COVID 19) e risarcimento del danno conseguente

Il prefetto di Napoli nell’aprile 2020 sospendeva l’attività commerciale di un’impresa, che vendeva materiali elettrici, non ritenendola funzionale alla filiera ammessa dal DPCM.

Il TAR Napoli 04.02.2021 n° 789/2021 reg. prov. coll. – 1219/2020 reg. ric., Sonepar Italia S.p.A. – So c. U.T.G. – Prefettura di Napoli, ed altri, ritiene illegittima la sospensione prfettizia e liquida il danno in euro 5.000 per i giorni di spensione (dal 9 al 23 aprile, poi essendo il provvedimenot decaduto perchè a tempo e non reiterarto).

Il giudice si diffonde dapprima sulla illegittimità del provveduimento amminstrativo e in particolare sull’elemento sogtgettivo: <<Passando all’elemento soggettivo, sul punto giova premettere che, in presenza di illegittima attività provvedimentale, la responsabilità dell’amministrazione non può farsi conseguire, in via diretta e automatica, all’annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo. Tuttavia, l’illegittimità del provvedimento lesivo, pur non identificandosi nella colpa, costituisce un indizio (grave, preciso e concordante) idoneo a fondare una presunzione di colpa, che la p.a. può vincere solo dimostrando elementi concreti da cui possa evincersi la scusabilità dell’errore (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 4.9.2015, n. 4115; Sez. V, 9.3.2015, n. 1182; id., 22.11.2017, n. 5444; Sez. III, del 7.6.2016, n. 3858). Nel caso di specie, osserva il Collegio che la evidente e grave erroneità che inficia la determinazione annullata, l’assenza di complesse valutazioni rimesse all’organo competente, unitamente alla mancanza di elementi idonei a rendere scusabile l’operato dell’Amministrazione, che, come sopra detto, ha omesso di vagliare con la dovuta attenzione la documentazione corredante l’istanza presentata dalla ricorrente, rende palese la violazione delle regole basilari di imparzialità, correttezza e buona fede e quindi la sussistenza dell’elemento soggettivo della colpevolezza (cfr., per tutte, Consiglio di Stato, Sez. IV, 14.6.2001, n. 3169; id., Sez. III, 1.4.2015 n. 1717; Cassazione civ., S.U., 22.7.1999, n. 500)>>, § 7.

Poi passa alla determinazione del danno da mancate vendite (lucro cessante):

<<il Collegio non condivide i criteri seguiti ed i conteggi esposti nella relazione di stima effettuata dal perito di parte, poiché tali conteggi, oltre a non essere supportati da una concludente ed affidabile documentazione contabile (non sono state allegate le scritture contabili ed i bilanci), si fondano esclusivamente sul raffronto tra il fatturato conseguito, nel medesimo periodo (mese di aprile), rispettivamente nell’anno 2019 e nell’anno 2020, laddove il riconoscimento della domandata posta risarcitoria (mancato guadagno) impone l’onere di dimostrare, previa stima dei beni presumibilmente oggetto di vendita nel periodo considerato, quale sarebbe stato l’utile netto conseguibile dal danneggiato mediante la vendita dei beni prodotti; utile costituito dalla differenza tra l’ordinario prezzo di vendita ed i costi fissi e variabili della produzione che sarebbe stato necessario sostenere>>

Non potendosi procedere in tale modo per insufficienti allegazioni del ricorrente, procede in via equitativa ex 1226 cc:

<<Pertanto, considerando la parziale ed ordinaria erosione del fatturato conseguito da parte dei costi sopra indicati, il carattere eccezionale e straordinario dell’emergenza pandemica che, a causa delle adottate misure di contenimento sociale, ha indubbiamente ridotto le quote di mercato cui erano normalmente rivolti i prodotti della ricorrente, – circoscrivendole prevalentemente, e dunque limitandole, alla domanda proveniente da imprese ritenute ex lege essenziali per l’economia nazionale -, nonché la media dei prezzi di vendita dei prodotti commercializzati come desumibile dalla tabella allegata in atti, l’utile non conseguito dalla ricorrente a seguito della illegittima sospensione della sua attività può essere equitativamente determinato nel complessivo importo di € 5.000.00 (cinquemila/00), espresso in valori monetari attuali.>>

Sugli interessi legali come danno da ritardo nella compensazione, così osserva:

<<Tale prova può essere offerta dalla parte e riconosciuta dal giudice mediante criteri presuntivi ed equitativi, quale l’attribuzione degli interessi, ad un tasso stabilito valutando tutte le circostanze obiettive e soggettive del caso; in siffatta ultima ipotesi, gli interessi non possono essere calcolati (dalla data dell’illecito) sulla somma liquidata per il capitale, definitivamente rivalutata, mentre è possibile determinarli con riferimento ai singoli momenti (da stabilirsi in concreto, secondo le circostanze del caso) con riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente, in base ai prescelti indici di rivalutazione monetaria, ovvero in base ad un indice medio (Cass. Sez. Unite 17.2.1995 n. 1712).

Ritiene il Collegio che tale danno possa certamente presumersi, nel caso di specie, in ragione della qualità soggettiva della ricorrente che rende prevedibile l’impiego fruttifero del danaro secondo i modi e le forme tipiche dell’imprenditore, con conseguente liquidazione in applicazione del criterio degli interessi, al tasso legale, su tutte le somme liquidate, via via rivalutate dal fatto generatore del danno, secondo l’orientamento ormai pacifico dei giudici di legittimità (cfr.: Sez. Un. 14/1/09 n. 557; Sez. Un. 11/1/08 n. 584; Sez. Un. 5/4/07 n. 8521; Sez. Un. 17/2/95 n. 1712).

Pertanto, si rivela equo, ai sensi del secondo comma dell’art. 2056 c.c., adottare, come criterio di risarcimento del pregiudizio da ritardato conseguimento delle somme dovute (cd. lucro cessante), quello degli interessi legali, stante anche il ridotto arco temporale intercorso tra la commissione dell’illecito ed il riconosciuto risarcimento pecuniario.

In definitiva, alla ricorrente deve essere riconosciuto il pregiudizio da ritardato conseguimento delle somme dovute (cd. lucro cessante), da liquidarsi mediante il metodo degli interessi legali (cfr.: Cassazione civile sez. I, 19/03/2020, n.7466).

L’ammontare dei danni, liquidato all’attualità in Euro 5.000,00, dovrà dunque essere devalutato al momento del verificarsi del fatto illecito (23 aprile 2020, data di cessazione degli effetti dell’impugnato provvedimento interdittivo) e dovranno essere calcolati gli interessi sul capitale così devalutato fino alla data di deposito della sentenza (segnante la trasformazione dell’obbligazione risarcitoria da debito di valore in debito di valuta: cfr. Cass. n. 24896/05; Cass. n. 8214/04), ferma restando la corresponsione degli interessi sull’intero importo dovuto (residuo capitale maggiorato di rivalutazione monetaria e danno da ritardo) dalla data di deposito della sentenza al soddisfo (cfr. Sez. Un. 10/7/17 n. 16990; conf. Cass. 10/10/14)>>, sempre § 7.