La corte di appello milanese segue l’indirizzo, per cui -in tema di intermediazione finanziaria- la violazione dei doveri informativi fa presumere il nesso di causalità col danno subito

La Corte di appello di Milano 05.02.2019 , est. Giani, conferma l’indirizzo, per cui la mancata informazione dell’investitore da parte dell’intemediario fa presumere il ricorrere del nesso di causa col danno subito. Il passo pertinente  è al § 35.

La Corte invoca due precedenti : Cass. 18.05.2017 n. 12.544 e Cass. 26.07.2017 n. 18363. La prima tralaticiametne invoca a sua volta Cass., 17 novembre 2016, n. 23417 (v. § 6) per cui risulta priva di interesse; la seconda profonde invece maggior impegno motivazionale (§ 5.1). Precisamente così afferma la Corte milanese:

<<La giurisprudenza della Corte di legittimità ha più volte chiarito che, in materia di intermediazione finanziaria, gli obblighi d’informazione che gravano sull’intermediario, dal cui inadempimento consegue in via presuntiva l’accertamento del nesso di causalità del danno subito dall’investitore, impongono la comunicazione di notizie conoscibili in base alla necessaria diligenza professionale e l’indicazione, in modo puntuale, di tutte le specifiche ragioni idonee a rendere un’operazione inappropriata rispetto al profilo di rischio dell’investitore, purché debitamente e compiutamente acquisito, in quanto tali informazioni costituiscono reali fattori per decidere, in modo effettivamente consapevole, se investire o meno (Cass., 18-05-2017, n. 12544; cfr. anche Cass., 26-07-2017, n. 18363). Anche questa Corte (App. Milano, 15-01-2014, R. C. E. c. Banca Italease) ha avuto modo di stabilire che nelle azioni di danno promosse dagli investitori si deve presumere la sussistenza del nesso di causalità tra informazione inesatta od omessa e danno, del quale si chiede il risarcimento, salvo che l’informazione inesatta non sia marginale e di scarsa importanza; tuttavia, il convenuto ha la possibilità di dare la prova contraria, e cioè di dimostrare che controparte avrebbe comunque effettuato l’investimento dannoso anche se avesse conosciuto il vero stato delle cose.

Nel caso in esame, avendo l’intermediario omesso di acquisire il questionario MIFID prima dell’investimentoed essendosi, dunque, posto nella colpevole condizione di non poter compiere una valutazione di appropriatezza, il nesso causale tra tali gravi violazioni e omissioni, che hanno impedito in radice l’osservanza dell’obbligo susseguente di valutare l’appropriatezza dell’investimento in obbligazioni LB, si pone come sicura origina causale [qui c’è verosmilmente una dimenticanza da parte del giudice] del danno patito dall’investitore, senza che possa ritenersi vinta tale presunzione, facendo unicamente riferimento al portafoglio pregresso dell’investitore né, ancor meno, al questionario MIFID compilato solo successivamente agli investimenti de quibus. L’assenza di titoli di banche d’affari americane, coinvolte nella vicenda dei mutui subprime già in data anteriore al luglio 2008 (epoca degli investimenti in questione), fa ritenere non superata dall’intermediario la suddetta presunzione di sussistenza del nesso causale tra i gravi inadempimenti ascrivibili alla Banca e il danno cagionato. L’’investimento deve corrispondere al profilo personale (che nel caso di specie è carente d’informazioni sulla conoscenza del prodotto) e deve essere frutto di una scelta informata e consapevole (cfr. Cass 4727/2018). La prova del mancato adempimento di un rilevante obbligo informativo non può essere ritenuta ininfluente in considerazione dell’esperienza dell’investitore dal momento che l’accettazione consapevole di un investimento finanziario non può che essere il frutto di una scelta consapevole ed informata sulla preventiva conoscenza del prodotto (Cass 4727/2018. Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza nella quale la Corte di Appello aveva escluso la sussistenza del nesso causale tra l’inadempimento ed il danno, sul rilievo che dalla prova testimoniale espletata era emerso che l’eventuale violazione degli obblighi informativi non avrebbe comunque inciso sulla decisione dell’investitore, orientato da un intento speculativo).

È necessario altresì sottolineare che, diversamente opinando, la probatio del nesso causale diverrebbe diabolica per l’investitore: qui, si sottolinea nuovamente, l’intermediario finanziario, avendo omesso di adempiere “a monte” all’obbligo di acquisire un profilo corretto e completo dell’investitore, si è posto nelle condizioni di violare l’obbligo di valutazione di appropriatezza dell’investimento, così impedendo ogni possibile disamina di questa, anche ai fini del nesso di causalità, non potendosi sapere a priori quali fossero le risultanze del questionario e dunque le propensioni dell’investitore relativamente agli strumenti negoziati dall’intermediario senza previa acquisizione del questionario. Soluzione questa che risulta altresì coerente con la finalità non solo riparativa, ma anche sanzionatoria della responsabilità civile e del risarcimento dei danni, quale sancita dalle Sezioni Unite della Cassazione (Cass., sez. un., 05-07-2017, n. 16601)>>.

L’orientamento indicato e la sentenza in esame sono forse un pò frettolosi.

Che l’investitore sia parte debole è affermazione di sicura esattezza. Invece il ravvisare il nesso di causalità per qualunque omissione informativa e per qualunque investitore non lo è altrettanto. In particolare, affermarlo in modo apodittico e a prescindere dalla circostanze, significa porre una presunzione di causalità di dubbia esattezza , essendo arduo definirla grave, precisa e concordante.  Il giudizio è sempre sul caso singolo, non per tipologie di rapporti sociali: e dunque deve analizzare le circostanze stesse. Si v. ad es. il più argomentato ragionamento in fatto svolto dalla cit. Cass. 18363/2017  al § 5.2.

Sorprendente infine è l’affermazione al termine del passo riportato, sulla finalità sanzionatoria della responsabilità civile. Da un lato pare poco pertinente nel percorso motivatorio ivi condotto; dall’altro le stesse sezioni unite l’hanno si ammessa nel 2017 ma a precise condizioni, che qui non sono ricordate.

Secondo S.C. s.u. 16601/2017, infatti, <<le  Sezioni Unite ritengono che questa analisi sia superata e non possa più costituire, in questi termini, idoneo filtro per la valutazione di cui si discute. Già da qualche anno le Sezioni Unite (cfr. SU 9100/2015 in tema di responsabilità degli amministratori) hanno messo in luce che la funzione sanzionatoria del risarcimento del danno non è più  “incompatibile con i principi generali del nostro ordinamento, come una volta si riteneva, giacchè negli ultimi decenni sono state qua e là introdotte disposizioni volte a dare un connotato lato sensu sanzionatorio al risarcimento”. Le Sezioni Unite hanno tuttavia precisato che questo connotato sanzionatorio non è ammissibile al di fuori dei casi nei quali una “qualche norma di legge chiaramente lo preveda, ostandovi il principio desumibile dall’art. 25 Cost., comma 2, nonchè dall’art. 7 della Convenzione Europea sulla salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali”. Se si completa quest’avvertenza con il richiamo, altrettanto pertinente, all’art. 23 Cost., si può comprendere perchè mai, perfino nello stesso ambito temporale, ritornino (l’esempio più significativo: SU n. 15350/15) dinieghi circa la funzione sanzionatoria e di deterrenza della responsabilità civile. Essi risalgono, quando non si tratta di meri arricchimenti argomentativi, alla esigenza di smentire sollecitazioni tese ad ampliare la gamma risarcitoria in ipotesi prive di adeguata copertura normativa>> (sub § 5.1).

E’ vero che subito dopo aggiungono: <<non possono valere tuttavia a sopprimere quanto è emerso dalla traiettoria che l’istituto della responsabilità civile ha percorso in questi decenni. In sintesi estrema può dirsi che accanto alla preponderante e primaria funzione compensativo riparatoria dell’istituto (che immancabilmente lambisce la deterrenza) è emersa una natura polifunzionale (un autore ha contato più di una decina di funzioni), che si proietta verso più aree, tra cui sicuramente principali sono quella preventiva (o deterrente o dissuasiva) e quella sanzionatorio-punitiva. 5.2) Indispensabile riscontro di questa descrizione è il panorama normativo che si è venuto componendo. Esso da un lato denota l’urgenza che avverte il legislatore di ricorrere all’armamentario della responsabilità civile per dare risposta a bisogni emergenti, dall’altro dimostra, con la sua vivacità, quanto sia inappagante un insegnamento che voglia espungere dal sistema, confinandole in uno spazio indeterminato e asfittico, figure non riducibili alla “categoria”>>  (segue elenco di ipotesi legislative in cui la r.c. assume funzione deterrente-sanzionatoria).

Però poi segue una importante precisazione, spesso dimenticata: <<Ciò non significa che l’istituto aquiliano abbia mutato la sua essenza e che questa curvatura deterrente/sanzionatoria consenta ai giudici italiani che pronunciano in materia di danno extracontrattuale, ma anche contrattuale, di imprimere soggettive accentuazioni ai risarcimenti che vengono liquidati. Ogni imposizione di prestazione personale esige una “intermediazione legislativa”, in forza del principio di cui all’art. 23 Cost., (correlato agli artt. 24 e 25), che pone una riserva di legge quanto a nuove prestazioni patrimoniali e preclude un incontrollato soggettivismo giudiziario.>>

La sentenza delle Sez. Un. era stata data in un processo per riconoscimento di sentenza statunitense (Florida) di condanna ai danni punitivi (€ 1.436.136,87); e di  altre pronncie per rifusione di spese e costi), per  cui il principio di diritto enunciato è stato il seguente: <<Nel vigente ordinamento, alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poichè sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile. Non è quindi ontologicamente incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto di origine statunitense dei risarcimenti punitivi. Il riconoscimento di una sentenza straniera che contenga una pronuncia di tal genere deve però corrispondere alla condizione che essa sia stata resa nell’ordinamento straniero su basi normative che garantiscano la tipicità delle ipotesi di condanna, la prevedibilità della stessa ed i limiti quantitativi, dovendosi avere riguardo, in sede di delibazione, unicamente agli effetti dell’atto straniero e alla loro compatibilità con l’ordine pubblico.>>).