Revocatoria del fondo patrimoniale (costituito dopo l’ingiunzione contro i fideiussori) ed estraneità del debito ai bisogni familiari

Cass. sez. I del 13/12/2023 n. 34.872, rel. Russo:

<<Si deve qui premettere che il fondo patrimoniale, rappresenta effettivamente – come afferma la parte – un sistema idoneo a garantire la soddisfazione dei bisogni della famiglia, ma non esclude del tutto la possibilità per i creditori di aggredire i beni in essa inclusi, poiché nella definizione del punto di equilibrio tra l’interesse della famiglia e quello dei creditori non si è totalmente obliterato il principio di cui all’art. 2740 c.c., ma si è introdotto uno speciale regime di responsabilità patrimoniale. Inoltre, esso non crea uno schermo impermeabile ai rimedi che i creditori possono esperire avverso le attività dirette ad eludere o vanificare in toto la garanzia patrimoniale generica.

3.1- Il fondo patrimoniale costituito ex art. 167 c.c., impone un vincolo di destinazione su determinati beni, per far fronte ai bisogni della famiglia, con la conseguenza, in ragione di quanto dispone l’art. 170 c.c., che “la esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia”. Qualora sorga controversia sulla assoggettabilità dei beni ad esecuzione forzata deve, pertanto, accertarsi in fatto se il debito si possa dire contratto per soddisfare i bisogni della famiglia (o se il titolare del credito non ne conosceva l’estraneità a tali bisogni); con la importante precisazione che, se è vero che tale finalità non si può dire sussistente per il solo fatto che il debito sia sorto nell’esercizio dell’impresa, è vero altresì che tale circostanza non è nemmeno idonea ad escludere, in via di principio, che il debito si possa dire contratto, appunto, per soddisfare tali bisogni (v. Cass. 10166/2020). Per contestare il diritto del creditore ad agire esecutivamente, ed anche il diritto di iscrivere ipoteca giudiziale, il debitore opponente deve sempre dimostrare la regolare costituzione del fondo e la sua opponibilità al creditore procedente, e pure che il suo debito verso quest’ultimo venne contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia; la rispondenza o meno dell’atto ai bisogni della famiglia richiede una verifica estesa al riscontro di compatibilità con le più ampie esigenze dirette al pieno mantenimento e all’armonico sviluppo familiare, cosicché l’estraneità non può considerarsi desumibile soltanto dalla tipologia di atto (ad es. la fideiussione prestata in favore di una società) in sé e per sé considerata (Cass.. 29983 del 25/10/2021).

Pertanto, i creditori vengono distinti in base alla natura dei bisogni dai quali origina il rapporto obbligatorio e della condizione soggettiva in cui si trovavano al momento dell’insorgenza dell’obbligo, tra creditori della famiglia, ai quali è riservata la garanzia generica sui beni attributi al fondo, creditori che ignoravano l’estraneità dei debiti ai bisogni familiari, che dall’art. 170 c.c., sono equiparati ai precedenti, e creditori che conoscevano tale estraneità; a questi ultimi è preclusa l’esecuzione sui beni del fondo e sui relativi frutti. La destinazione dei beni ai bisogni della famiglia è quindi favorita attraverso la sottrazione dei beni stessi all’azione esecutiva di una specifica categoria di creditori, ferma restando la possibilità per tutti i creditori di agire, se ne ricorrono i presupposti, in revocatoria ordinaria, posto che l’atto di costituzione del fondo patrimoniale, anche se compiuto da entrambi i coniugi, è un atto a titolo gratuito, soggetto ad azione revocatoria ai sensi dell’art. 2901 c.c., comma 1, n. 1), se sussiste la conoscenza del pregiudizio arrecato ai creditori (Cass. n. 4933 del 07/03/2005; Cass. n. 15310 del 07/07/2007; Cass. n. 24757 del 07/10/2008; Cass. n. 2530 del 10/02/2015).

4.- Nella specie, l’istituto di credito non ha preteso di agire sui beni del fondo patrimoniale, ma ha affermato che la costituzione del fondo patrimoniale reca pregiudizio alle proprie ragioni e quindi ha chiesto e ottenuto che il negozio venisse dichiarato inefficace nei suoi confronti ai sensi dell’art. 2901 c.c..

L’azione pauliana, come è noto, è diretta a far dichiarare giudizialmente l’inefficacia, nei confronti del creditore stesso, degli atti di disposizione del patrimonio con cui il debitore arrechi pregiudizio alle sue ragioni, per consentire allo stesso di esercitare sui beni oggetto dell’atto azioni esecutive e cautelari. L’accoglimento della domanda proposta ex art. 2901 c.c., produce quindi l’effetto di rendere inopponibile, e solo nei confronti del creditore che ha agito in revocatoria, l’atto dispositivo del debitore, senza incidere sulla validità inter partes dell’atto stesso, né sulla sua opponibilità ai terzi rimasti estranei al giudizio revocatorio (Cass. 25855/2021).

La banca ha posto a fondamento della propria azione revocatoria la circostanza che -ove non ottenesse la dichiarazione di inefficacia- non potrebbe agire sui beni del fondo patrimoniale ed è in ciò che consiste il pregiudizio, come correttamente ritenuto dalla Corte d’appello, pregiudizio che la dichiarazione di inefficacia rimuove perché consente alla banca di agire liberamente sui beni del fondo patrimoniale, pur se questo resta validamente costituito.

L’effetto tipico della costituzione del fondo, vale a dire la (parziale) sottrazione dei beni alla garanzia patrimoniale generica, non si produce nei confronti del creditore vittorioso nell’esperimento dell’azione pauliana e non sarà quindi necessario, in questo caso, verificare se il credito per cui si agisce deriva da obbligazione contratta nell’interesse della famiglia e se il creditore ne fosse consapevole o meno.

Correttamente pertanto la Corte di merito ha focalizzato l’attenzione non già sulla conoscenza da parte della banca della – pretesa- estraneità del credito vantato ai bisogni della famiglia, quanto sulla sussistenza di eventus e scientia damni.

Quanto al resto, si tratta di censure di merito oppure generiche, a fronte di una ampia motivazione resa dalla Corte d’appello-condivisibile in punto di diritto e non rivedibile in punto di fatto- la quale osserva che la circostanza che il credito sia sub judice non fa venire meno la facoltà della banca di agire per la conservazione della garanzia patrimoniale posto che assume rilevanza, ai fini che qui interessano, una nozione lata di credito estesa anche al credito litigioso; la Corte ha altresì osservato che l’eventus damni si ha non soltanto quando l’atto dispositivo comprometta totalmente la consistenza patrimoniale del debitore ma anche quando lo stesso determini una variazione quantitativa che rende più difficile la soddisfazione delle ragioni del creditore, così uniformandosi in punto di diritto ai principi costantemente affermati da questa Corte (da ultimo Cass. n. 20232 del 14/07/2023); infine la Corte di merito ha affermato che i due fideiussori erano ben consapevoli, nel momento in cui hanno costituito il fondo patrimoniale e vi hanno conferito tutti i loro immobili, non solo di avere già prestato la fideiussione e dell’inadempimento della debitrice principale, ma anche della emissione del decreto ingiuntivo nei loro confronti.

Irrilevante è infine, nella fattispecie, il richiamo alla protezione dell’habitat domestico della famiglia; la questione rileva qualora ci siano figli minori, nei rapporti tra i genitori, ai fini della assegnazione della casa familiare, vicende che qui non sono state dedotte>>.

Le Sezioni Unite sulla revocabilità di atti dispositivi ove l’acquirente sia (già) caduto in fallimento

Le SU si pronunciano sulla revocabilità (ordinaria e fallimentare) di atti dispositivi , quando l’acquirente è però già fallito.

Già c’era sul tema una pronuncia in negativo del 2018 (Casss. sez. un. 30416/2018), , che però non soddisfa la 1 sez. remittente, la quale ne propone un ripensamento.

Esclusa la recuperabilità del bene, acquisito irreversibilmente alla massa fallimentare,  ai creditori vittoriosi in revocatoria non resta che l’ammissibilità al passivo del fallimento per il controvalore.

così Cass. s.u. 24.06.2020 n. 12.476, rel. Terrusi.

Si basa sostanzialmente sulla natura costitutiva della sentenza che dispone la revoca (sub VIII e anche IX): <<quando invece la domanda [di revoca] è successiva al fallimento dell’acquirente, quel che unicamente rileva è questo: che l’azione revocatoria, ove accolta, finirebbe per recuperare il bene che ne costituisce oggetto alla garanzia patrimoniale del solo creditore dell’alienante (ovvero, secondo il caso, del di lui ceto creditorio) – e quindi, specularmente, finirebbe per determinare la sottrazione del bene medesimo alla garanzia collettiva dei creditori dell’acquirente – sulla base di un titolo giudiziale formato dopo la sentenza dichiarativa del fallimento di costui, e con efficacia postuma rispetto a essa. Questo certamente contrasta col complesso di regole desumibili dagli artt. 42, 44, 45, 51 e 52 legge fall. e spiega perché è inammissibile ipotizzare l’azione costitutiva in casi simili>>, sub X.

La tutela del creditore allora, da mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale, si muterà nella possibilità di concorso tramite insinuazione al passivo per l’equivalente pecuniario: <<ll fallimento del terzo acquirente, dichiarato dopo l’atto di alienazione, vale a dire dopo l’atto di frode determinativo della lesione della garanzia patrimoniale ma prima che l’azione revocatoria sia esercitata, impedisce solo l’esercizio dell’azione costitutiva, non anche invece l’esercizio di quell’azione restitutoria per equivalente parametrata al valore del bene sottratto alla garanzia patrimoniale. Il fallimento del terzo acquirente, prevenuto all’azione costitutiva, rende l’azione suddetta inammissibile perché non è consentito incidere sul patrimonio del menzionato fallimento recuperando il bene alla sola garanzia patrimoniale del creditore dell’alienante: e quindi perché non è dato di sottrarre quel bene all’asse fallimentare cristallizzato al momento della dichiarazione di fallimento. Ma, così come accade ove prevenuta sia la rivendita con atto già trascritto, il fallimento dell’acquirente impedisce di recuperare il bene onde esercitare su questo l’azione esecutiva, non di insinuarsi al passivo di quel fallimento per il corrispondente controvalore>>, sub § XIII