L’invio di contenuti offensivi ad una pluralità di soggetti ma con messaggi Facebook individuali può (ma difficilmente) costituire diffamazione e comunque l’onere probatorio incombe sul denigratospetta al

Cass. sez. 3 ord. n. 5.701 del 4 marzo 2024, rel. Rubino:

<<Vi è poi da considerare la seconda questione, ovvero la
configurabilità o meno del presupposto obiettivo della diffamazione,
integrato dall’essere stata la comunicazione indirizzata a una
pluralità di destinatari (v. Cass. n. 11271 del 2020)
Nel caso in cui, come nella specie, ci siano state più comunicazioni,
ma tutte indirizzate ad un singolo destinatario, l’elemento oggettivo
della diffamazione, integrato dalla diffusività della condotta
denigratoria, potrebbe sussistere solo nell’ipotesi in cui l’agente, pur
comunicando direttamente con un’unica persona, esprima la volontà
o ponga comunque in essere un comportamento tale da provocare,
da parte dell’agente medesimo, l’ulteriore diffusione del contenuto
diffamatorio attraverso il destinatario.
Valutando le espressioni usate dalla controricorrente nei suoi
messaggi con amici del Gamba, la corte d’appello ha però preso in
considerazione anche questo profilo ed ha escluso, con valutazione
in fatto non sindacabile in questa sede, che in realtà le affermazioni
della Giusi, nel senso di pregare gli amici di non far sapere al Gamba
dei suoi messaggi esprimenti preoccupazione sul suo conto, fossero
surrettiziamente volte a sollecitare in effetti la diffusione dei
messaggi stessi e comunque di notizie preoccupanti sul conto del
Gamba nell’ambiente musicale al quale tutte le persone coinvolte
appartenevano.
Né può ritenersi che il particolare strumento di comunicazione usato
(messaggi inviati sul canale Facebook privato) si presti di per sé, per
le caratteristiche intrinseche del mezzo di facilitare la diffusione delle
comunicazioni, a far ritenere formata in capo al mittente
l’accettazione del rischio di diffusione.
Diversamente opinando, l’apprezzamento aprioristico della
potenziale idoneità diffusiva del mezzo di comunicazione usato,
scisso dalla considerazione delle circostanze del caso concreto,
avrebbe l’effetto di ribaltare impropriamente sul mittente di un
messaggio con unico destinatario l’onere della prova di non aver
voluto l’ulteriore diffusione del messaggio.   Non si può quindi
affermare, senza ribaltare la distribuzione degli oneri probatori, che
in mancanza di una prova del divieto di diffusione da parte del
mittente, si presume che i messaggi inviati tramite social network
sui canali di posta privati siano destinati alla diffusione o che,
comunque, il mittente abbia consapevolmente accettato il rischio
della diffusione da parte del destinatario e debba subire, per questo,
le conseguenze dell’eventuale diffusione qualora essa integri un
obiettivo discredito della persona di cui si parla.
Nel caso di specie, la corte d’appello ha fatto corretto uso dei principi
indicati, e non ha ritenuto provata in capo alla Giusi la volontà o
l’accettazione del rischio che i suoi messaggi, sol perché indirizzati
ad un destinatario determinato tramite Facebook, fossero diffusi ad
altri>>.