La prova ematologica nell’azione per dichiarazione giudiziale di paternità non è sottoposta a precondizioni ma può essere dipostas in qualunque momento processuale

Cass. Sez. I, ord. 12 ottobre 2023 n. 28.444,  Rel. Pazzi, sull’art. 269 c.2 cc:

<<In tesi di parte ricorrente nell’economia del giudizio volto alla dichiarazione di paternità le indagini genetiche potrebbero essere disposte soltanto se risulti dimostrata in altro modo la sussistenza di una relazione sentimentale tra il presunto padre e la madre; in assenza di questa prova il rifiuto opposto alle indagini genetiche sarebbe giustificato e impedirebbe l’applicazione del disposto dell’art. 116 c.p.c..
La fondatezza di una simile tesi è stata smentita, da tempo, dalla giurisprudenza di questa Corte, che ha chiarito come nei giudizi volti alla dichiarazione giudiziale di paternità l’ammissione degli accertamenti immuno-ematologici non è subordinata all’esito della prova storica dell’esistenza di un rapporto sessuale tra il presunto padre e la madre, giacchè il principio della libertà di prova, sancito, in materia, dall’art. 269 c.c., comma 2, non tollera surrettizie limitazioni, nè mediante la fissazione di una gerarchia assiologica tra i mezzi istruttori idonei a dimostrare quella paternità, nè, conseguentemente, mediante l’imposizione, al giudice, di una sorta di “ordine cronologico” nella loro ammissione ed assunzione, avendo, per converso, tutti i mezzi di prova pari valore per espressa disposizione di legge, e risolvendosi una diversa interpretazione in un sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione in relazione alla tutela di diritti fondamentali attinenti allo status (si vedano in questo senso, per tutte, Cass. 14976/2007, Cass. 19583/2013, Cass. 3479/2016, Cass. 16128/2019).
Va dunque escluso che nei suddetti giudizi il figlio attore debba fornire alcuna prova o principio di prova in ordine all’esistenza di una relazione tra la propria madre ed il presunto padre antecedentemente all’ammissione della C.T.U. avente ad oggetto l’esame del D.N. A..
Ne discende che una simile pretesa probatoria, del tutto infondata, non poteva giustificare il rifiuto dell’odierno ricorrente di sottoporsi alle indagini ematologiche disposte dal primo giudice, come giustamente ha rilevato la Corte territoriale; i giudici distrettuali, di conseguenza, hanno fatto corretta applicazione dell’orientamento consolidato di questa Corte (Cass. 7092/2022, Cass. 3479/2016, Cass. 6025/2015, Cass. 12971/2014, Cass. 11223/2014) secondo cui il rifiuto ingiustificato di sottoporsi agli esami ematologici costituisce un comportamento valutabile da parte del giudice ai sensi dell’art. 116 c.p.c., anche in assenza di prove di rapporti sessuali tra le parti, in quanto è proprio la mancanza di riscontri oggettivi certi e difficilmente acquisibili circa la natura dei rapporti intercorsi e circa l’effettivo concepimento a determinare l’esigenza di desumere argomenti di prova dal comportamento processuale dei soggetti coinvolti.
Per questo motivo è possibile trarre la dimostrazione della fondatezza della domanda anche soltanto dal rifiuto ingiustificato a sottoporsi all’esame ematologico del presunto padre, posto in opportuna correlazione con le dichiarazioni della madre, e tale rifiuto costituisce un comportamento valutabile da parte del giudice, ex art. 116 c.p.c., comma 2, di così elevato valore indiziario da poter anche da solo consentire la dimostrazione della fondatezza della domanda (Cass. 18626/2017, Cass. 26914/2017, Cass. 28886/2019)>>.

(segnalazione e testo offerti da Ondif)