Rapporto (non facile) tra DOP (denominazione di origine protetta) e marchio collettivo aventi ad oggetto segni quasi uguali: le privative possono cumularsi, secondo l’EUIPO

Alessandro Cerri su IPKat segnala una assai interessante decisione della 5 Commissione di ricorso EUIPO 15.11.2023, proc. n° R 1073/2022-5, Consorzio Grana Padano ,

Il consorzio è titolare della DOP  “Grana Padano” e ora vuole registrare un marchio collettivo quasi identico.

In primo grado amministrativo la domanda è rigettata ex art. 76.2  reg. 2017/1001 (“La domanda di marchio collettivo UE viene inoltre respinta se il pubblico rischia di essere indotto in errore circa il carattere o il significato del marchio, in particolare quando questo non sembri un marchio collettivo“).

segni a confronto (dal post di A. Cerri in IPKat)

Per l’ufficio non c’è incompatibiità ex lege.

Nemmeno c’è confondibilità in concreto , stanti la diversità sia dei segni che delle reciproche modalità regolamentari di uso (solo sulle forme per la DOP; sulla confezione dei formaggi apporzionati per il marchio collettivo).

Sul presupposto che sia esatto ritenere rilevante la confondibilità, i due aspetti fattuali sono di dubbia sufficienza ad escluderla.

I segni sono infatti assai sinili; la dichiarazione negoziale programmaticaa sulle modalità di uso parrebbe insufficiente , essendo lasciato alla discrezione (giuridica o quanto meno fattuale, anche se in contrasto con la  prima) del titolare (profilo da verificare però).

Tema comunuje assai interessante e meritevole di approfondimento.

Va segnalata l’analitica difesa del Consorzio riportata nella decissione

Riprodurre l’aspetto di un formaggio protetto da D.O.P. può violare quest’ultima?

Si , secondo la Corte di Giustizia (CG), 17.12.2020 , C-490/19,  Syndicat interprofessionnel de défense du fromage Morbier c. Société Fromagère du Livradois SAS, relativo al formaggio <Morbier> prodotto da DOP, il cui aspetto esteriore veniva riprodotto da un concorrente (già legato in passato da rapporti contrattuali-associativi col Syndicat).

Questo il formaggio Morbier:

da www.labasilicadisanformaggio.it

Questa l’analitica descrizione del formaggio nel disciplinare (§ 10) : <<«Il “Morbier” è un formaggio prodotto con latte crudo vaccino, a pasta pressata, non cotta, di forma cilindrica piatta a facce piane e scalzo lievemente convesso, con diametro da 30 a 40 cm, altezza da 5 a 8 cm e peso da 5 a 8 kg.    Esso presenta al centro una striscia nera orizzontale, unita e continua lungo tutto il taglio.          La crosta è naturale, strofinata, di aspetto regolare, ammuffita, segnata dalla trama dello stampo, di un colore che va dal beige all’arancione, con sfumature aranciate tendenti al marrone, al rosso e al rosa. La pasta è omogenea, di un colore che va dall’avorio al giallo pallido e presenta spesso un’occhiatura sparsa del diametro di un ribes o bollicine appiattite. Essa è morbida al tatto, burrosa e tenera, poco collosa al palato, a grana liscia e sottile. Il gusto è schietto, con note lattiche, di caramello, vaniglia e frutta; i sapori sono equilibrati e, con la stagionatura, la gamma aromatica si arricchisce di note tostate, speziate e vegetali. Il contenuto di grassi è di almeno 45 g/100 g dopo completa essiccazione. Il tasso di umidità nel formaggio scremato deve essere compreso tra il 58% e il 67%. La stagionatura del formaggio dura almeno 45 giorni a partire dal giorno di produzione, senza interruzione del ciclo»>>

Nonostante il lemma DENOMINAZIONE DI ORIGINE PROTETTA, la tutela vieta non solo il richiamo del nome, ma qualunque pratica commerciale possa evocare il prodotto protetto.

L’art. 13 del reg.1151/2012 (e prima del reg. 510/2006) ha una portata molto ampia: solo la lettera a) menziona il profilo denominativo; le lettere b-d) invece si riferiscono in sostanza  a qulsiasi altra pratica che generi rischio di confusione.

Inevitabilmente dunque <<non si può escludere che la riproduzione della forma o dell’aspetto di un prodotto oggetto di una denominazione registrata, senza che tale denominazione figuri sul prodotto di cui trattasi o sul suo imballaggio, possa rientrare nell’ambito di applicazione di dette disposizioni. Ciò si verifica quando tale riproduzione può indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto di cui trattasi>>, § 38.

Per capire se ciò si verifichi, occorre <<da un lato, fare riferimento alla percezione di un consumatore europeo medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto (…) e, dall’altro, tener conto di tutti i fattori rilevanti nel caso di specie, ivi comprese le modalità di presentazione al pubblico e di commercializzazione dei prodotti di cui trattasi, nonché del contesto fattuale (…)>>, § 39.

In particolare, per quanto riguarda, come nel caso de quo,  un elemento dell’aspetto del prodotto oggetto della denominazione registrata, occorre soprattutto valutare <<se tale elemento costituisca una caratteristica di riferimento e particolarmente distintiva di tale prodotto affinché la sua riproduzione possa, unitamente a tutti i fattori rilevanti nel caso di specie, indurre il consumatore a credere che il prodotto contenente detta riproduzione sia un prodotto oggetto di tale denominazione registrata>>, § 40.

Sull’evocazione di una D.O.P. tramite segno figurativo anziché denominazione

Nello scorso maggio la Corte di Giustizia si è pronunciata su interessanti questioni teoriche in materia di DOP , di sicura rilevanza pratica: sentenza 2 maggio 2019, C-614/17, Fundación Consejo Regulador de la Denominación de Origen Protegida Queso Manchego c. Industrial Quesera Cuquerella SL-Juan Ramón Cuquerella Montagud.

Nel caso specifico si trattava della DOP <<queso manchego>> relativa a formaggi provenienti dalla regione spagnola de La Mancia

Era capitato che un produttore della zona (IQC), commercializzante formaggi non conformi al disciplinare della DOP,  con le sue etichette richiamava non direttamente la DOP bensì la regione spagnola appunto de La Mancia: ciò faceva soprattutto tramite richiami al personaggio letterario di Don Chisciotte della Mancia.

La sentenza (§ 7) menziona i tre tipi sotto ricordati (che potrebbero essere quelli rappresentati nelle fotografie linkate, tratte dalla Rete):

<<Adarga de Oro>>;

<<Super Rocinante>>;

<<Rocinante>>;

La Fondazione riteneva che ciò costituisse evocazione illegittima della DOP sulla base dell’art. 13 lett. b) del reg. 510/2006 (§ 7 sentenza CG). Il testo dell’art. 13 il cui testo è:

<< 1.   Le denominazioni registrate sono tutelate contro:

a)  qualsiasi impiego commerciale diretto o indiretto di una denominazione registrata per prodotti che non sono oggetto di registrazione, nella misura in cui questi ultimi siano comparabili ai prodotti registrati con questa denominazione o nella misura in cui l’uso di tale denominazione consenta di sfruttare la reputazione della denominazione protetta;

b) qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l’origine vera del prodotto è indicata o se la denominazione protetta è una traduzione o è accompagnata da espressioni quali «genere», «tipo», «metodo», «alla maniera», «imitazione» o simili;

c) qualsiasi altra indicazione falsa o ingannevole relativa alla provenienza, all’origine, alla natura o alle qualità essenziali dei prodotti usata sulla confezione o sull’imballaggio, nella pubblicità o sui documenti relativi ai prodotti considerati nonché l’impiego, per il condizionamento, di recipienti che possono indurre in errore sull’origine;

d) qualsiasi altra prassi che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine dei prodotti.

Se una denominazione registrata contiene il nome di un prodotto agricolo o alimentare che è considerato generico, l’uso di questo nome generico sui corrispondenti prodotti agricoli o alimentari non è considerato contrario al primo comma, lettera a) o b).>>.

La Fondazione agiva quindi verso IQC ma vedeva respinta la domanda in primo e secondo grado. Successivamente il Tribunal Supremo formulava tre importanti questioni pregiudiziali (§ 14):

<<1 – Se l’evocazione della [DOP], evocazione che è vietata dall’articolo 13, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 510/2006, debba necessariamente derivare dall’uso di denominazioni che presentano una somiglianza visiva, fonetica o concettuale con la [DOP] o se possa derivare dall’uso di segni figurativi che evocano la [DOP].

2  –   Nel caso di una [DOP] di natura geografica [articolo 2, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 510/2006] e in presenza degli stessi prodotti o di prodotti simili, se l’uso di segni che evocano la regione cui è associata la [DOP] possa essere considerato un’evocazione della stessa [DOP], ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 510/2006, che è inaccettabile anche nel caso in cui colui che utilizzi tali segni sia un produttore stabilito nella regione cui è associata la [DOP], ma i cui prodotti non sono protetti da tale [DOP], perché non soddisfano i requisiti, diversi dall’origine geografica, richiesti dal disciplinare.

3 – Se la nozione di consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, alla cui percezione deve fare riferimento il giudice nazionale per determinare se esista un’“evocazione” ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 510/2006, debba intendersi riferita a un consumatore europeo o possa essere riferita solo al consumatore dello Stato membro in cui si fabbrica il prodotto che dà origine all’evocazione dell’indicazione geografica protetta o cui è associata geograficamente la DOP, e in cui esso si consuma maggiormente>>.

Sulla prima,  la CG risponde che l’evocazione può derivare anche da un’immagine e non solo da un segno denominativo. La risposta è condivisibile, non essendoci alcun limite nella norma in tal senso, né essendo desumibile dalla successiva lettera c) nel senso che solo in questa fattispecie rileverebbe l’evocazione tramite immagine (§§ 23-28).

La seconda questione è meno semplice sotto il profilo teorico. Secondo la CG anche l’evocazione della Regione può costituire evocazione della dop e ciò anche se il produttore risieda nella regione stessa, purchè in tal modo il consumatore sia portato a pensare alla DOP.  Precisamente così dice (§§ 38-40):

<< 38  In tal modo, il giudice nazionale deve sostanzialmente fondarsi sulla presunta reazione del consumatore, essendo essenziale che il consumatore effettui un collegamento tra gli elementi controversi, nel caso di specie segni figurativi che evocano l’area geografica il cui nome fa parte di una denominazione d’origine, e la denominazione registrata (v., in tal senso, sentenza del 21 gennaio 2016, Viiniverla, C‑75/15, EU:C:2016:35, punto 22). 

39      A tale riguardo, spetta a tale giudice valutare se il nesso tra tali elementi controversi e la denominazione registrata sia sufficientemente diretto e univoco, di modo che il consumatore, in loro presenza, è indotto ad avere in mente soprattutto tale denominazione (v., in tal senso, sentenza del 7 giugno 2018, Scotch Whisky Association, C‑44/17, EU:C:2018:415, punti 53 e 54). 

40      Pertanto, spetterà al giudice del rinvio stabilire se esista una vicinanza concettuale, sufficientemente diretta e univoca, tra i segni figurativi di cui al procedimento principale e la DOP «queso manchego», che, conformemente all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 510/2006, rinvia all’area geografica alla quale essa è collegata, vale a dire la regione La Mancia.>>

La risposta della Corte è un pò frettolosa a fronte della complessità della questione. Infatti il monopolio comunicativo concerne solo il nome della DOP e non il termine amministrativo di un’articolazione statale o substatale , che deve rimanere nella libera disponibilità di tutti. Impedirlo significherebbe impedire di comunicare il pregio della propria regione, che non è detto sia costituito necessariamente e per sempre solo dalla DOP sub iudice. Inibire il richiamo alla regione a terzi , allora, ostacolerebbe altre iniziative imrpenditoriali locali, concorrenziali o meno con la DOP-.  Su questa ragione riposano norme come l’art. 11 c. 4 c.p.i. sul marchio collettivo: dopo aver precisato che <<Qualsiasi soggetto i cui prodotti o servizi provengano dalla zona geografica in questione ha diritto sia a fare uso del marchio, sia a diventare membro della associazione di categoria titolare del marchio, purche’ siano soddisfatti tutti i requisiti di cui al regolamento>>, ammette che ciònonostante <<l’Ufficio italiano brevetti e marchi puo’ rifiutare, con provvedimento motivato, la registrazione quando i marchi richiesti possano creare situazioni di ingiustificato privilegio o comunque recare pregiudizio allo sviluppo di altre analoghe iniziative nella regione. L’Ufficio italiano brevetti e marchi ha facolta’ di chiedere al riguardo l’avviso delle amministrazioni pubbliche, categorie e organi interessati o competenti>>. Che significa <<analoghe>>? in rapporto di concorrenzialità? Del resto l’art. 13 reg. 510/2006 parla di <<prodotti … comparabili>> per cui pare esclusa una tutela extramerceolgica del tipo di quella offerta ai segni rinomati (conf. Grisanti, L’ “evocazione” di elementi figurativi e l’interpretazione della CGUE in relazione alla tutela delle DOP/IGP dei prodotti agricoli ed alimentari: il caso “Queso Manchego”, Il dir. ind., 2019, 5, 439-440, in nota alla sentenza qui esaminata, che ricorda il dibattito sul punto).

Eventualmente si può dire forse che l’evocazione della regione è vietata, se porta ad evocare direttamente, inevitabilmente ed esclusivamente la DOP. Cosa che però sarà difficile da verificarsi e dipenderà dal parametro soggettivo di riferimento, oggetto della terza questione pregiudiziale.

Sulla terza questione pregiudiziale La Corte risponde che il parametro soggettivo di riferimento è il consumatore europeo medio normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto . Con riferimento poi al modo in cui si deve considerare il consumatore del paese della DOP (certamente più attento di quello  degli altri paesi), la risposta della Corte -non chiarissima- è la seguente

<< Ne risulta che occorre rispondere alla terza questione dichiarando che la nozione di consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, alla cui percezione deve fare riferimento il giudice nazionale per determinare se esista un’«evocazione» ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 510/2006, deve intendersi riferita a un consumatore europeo, compreso un consumatore dello Stato membro in cui si fabbrica e si consuma maggiormente il prodotto che dà luogo all’evocazione della denominazione protetta o a cui tale denominazione è associata geograficamente>>.

Non è chiarissima poichè dire che va riferita <<al consumatore europeo compreso quello dello stato di produzione e consumo>> (ipotizzando che questi ultimi due aspetti coincidono nel medesimo stato)  non chiarisce se debbano considerarsi i più informati (i quali magari proprio per questo non faranno l’associazione mentale unica ed esclusiva alla DOP) o i meno informati