Il danno non patrimoniale da violazione della distanza minima dalle vedute (art. 907 cc) è presunto, non in re ipsa

Cass. sez. II, 14/05/2025 n. 12.879, rel. Caponi:

<<2. Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 115 c.p.c., 1226, 2043, 2059, 2697 e 2727 c.c., lamentando che la Corte territoriale abbia riconosciuto il danno non patrimoniale in re ipsa, senza prova della sua effettiva sussistenza e senza che vi fosse una specifica previsione normativa in tal senso. Si sostiene che la violazione della distanza legale non comporta automaticamente un danno risarcibile, ma è necessario dimostrare un effettivo pregiudizio subito dal proprietario del fondo confinante.

Il motivo è fondato.

L’argomentazione della Corte d’Appello (“in tema di violazione delle distanze tra costruzioni, il danno che il proprietario confinante subisce, deve ritenersi in re ipsa, senza necessità di una specifica attività probatoria, essendo il detto danno l’effetto, certo e indiscutibile, dell’abusiva imposizione di una servitù nel proprio fondo e, quindi, della limitazione del relativo godimento, che si traduce in una diminuzione temporanea del valore della proprietà”) deve essere valutata criticamente alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale più recente sul danno in re ipsa, che ha conosciuto una tappa importante con Cass. SU 33645/2022.

Le Sezioni Unite hanno proposto di sostituire la locuzione danno in re ipsa con quella di danno presunto o danno normale, privilegiando la prospettiva di una presunzione basata sull’allegazione di specifiche circostanze da cui inferire il pregiudizio. Secondo le Sezioni Unite, nel caso di occupazione sine titulo di un immobile, il fatto costitutivo del diritto al risarcimento del danno da perdita subita è la concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento (diretto o indiretto) che è andata perduta. Questo significa che, sebbene non si richieda una prova precisa dell’ammontare del danno (che può essere liquidato equitativamente, ad esempio tramite il canone locativo di mercato), la parte che chiede il risarcimento deve comunque allegare la concreta possibilità di godimento che ha perso a causa dell’occupazione abusiva. Il convenuto può poi contestare specificamente tale allegazione, nel rispetto dell’art. 115 co. 1 c.c. In presenza di una contestazione specifica, sorge per l’attore l’onere di provare lo specifico godimento perso, onere che può essere assolto anche tramite nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza o mediante presunzioni semplici.

Pur essendo pronunciata su una fattispecie diversa da quella qui controversa, l’orientamento delle Sezioni Unite segna una tendenza da condividersi a riconfigurare l’applicazione del concetto di danno in re ipsa, riconoscendo la necessità di allegare e, se necessario, di provare il danno effettivo subito come conseguenza dell’illecito>>.

E’ quest’ultimo il punto perplesso: l’equiparazione al danno da occupazione sine titulo.  Per quest’ultima è esatto escludere il danno in re ipsa; per la fattispecie de quo, invece, lo si può probabilmente ammettere, dato che la vicinanza eccessiva della costruzione altrui dà disturbo certamente a chiunque.

Presunzione di danno nella violazione della distanza minima di canna fumaria dal balcone

Cass. sez. II, ord. 27/06/2024 n. 17.758, rel. Giannaccari, circa una canna fumaria posta a 38 cm. dal balcone altrui, in violazione degli artt 1120 (dunque in condominio) e 890 cc:

<<Il rispetto della distanza prevista per fabbriche e depositi nocivi e pericolosi dall’art. 890 c.c. è collegato ad una presunzione assoluta di nocività e pericolosità che è assoluta ove prevista da una norma del regolamento edilizio comunale, ed è invece relativa – e, come tale, superabile con la dimostrazione che, in relazione alla peculiarità della fattispecie ed agli accorgimenti usati, non esiste danno o pericolo per il fondo vicino – ove manchi una simile norma regolamentare (Cassazione civile sez. II, 20/06/2017, n.15246; Cassazione civile sez. II, 23/05/2016, n.10607;Cassazione civile sez. II, 22/10/2009, n.22389).

Nel caso di specie, la Corte di merito ha accertato la violazione delle distanze della canna fumaria dal balcone di proprietà dell’attrice e la sua intrinseca pericolosità, attesa la sua composizione in amianto e le pessime condizioni manutentive, pericolosità che era superabile con la dimostrazione da parte dei convenuti di aver adottato idonee cautele tecniche al fine di salvaguardare la dispersione nell’ambiente di sostanze nocive.

La sentenza impugnata, pur condividendo le conclusioni del CTU sulla natura obsoleta della canna fumaria, realizzata in difformità delle disposizioni di legge, ha escluso il risarcimento in assenza di un danno diretto alla salute, omettendo però di valutare, anche in via presuntiva, se il pericolo concreto ed attuale derivante dall’esposizione ad amianto, abbia limitato il godimento del bene, a prescindere dalla verifica delle immissioni nocive.

Quanto alla tutela risarcitoria, le Sezioni Unite, con sentenza del 15.11.2022, n. 33645, in tema di prova del danno da violazione del diritto di proprietà e di altri diritti reali, hanno optato per una mediazione fra la teoria normativa del danno, emersa nella giurisprudenza della II Sezione Civile, e quella della teoria causale, sostenuta dalla III Sezione Civile.

La questione se la violazione del contenuto del diritto, in quanto integrante essa stessa un danno risarcibile, sia suscettibile di tutela non solo reale ma anche risarcitoria è risolta dalle Sezioni Unite in senso positivo.

È stato dato seguito al principio di diritto, più volte affermato da questa Corte, secondo cui, in caso di violazione della normativa sulle distanze tra costruzioni, al proprietario confinante compete sia la tutela in forma specifica finalizzata al ripristino della situazione antecedente, sia la tutela in forma risarcitoria (ex multis Cass. Sez. II, 18.7.2013, n.17635).

Le Sezioni Unite hanno confermato la linea evolutiva della giurisprudenza della II Sezione Civile, nel senso che la locuzione “danno in re ipsa” va sostituita con quella di “danno presunto” o “danno normale”, privilegiando la prospettiva della presunzione basata su specifiche circostanze da cui inferire il pregiudizio allegato.

Le Sezioni Unite hanno, altresì, definito il danno risarcibile in presenza di violazione del contenuto del diritto di proprietà: esso riguarda non la cosa ma il diritto di godere in modo pieno ed esclusivo della cosa stessa sicché il danno risarcibile è rappresentato dalla specifica possibilità di esercizio del diritto di godere che è andata persa quale conseguenza immediata e diretta della violazione. Il nesso di causalità giuridica si stabilisce così fra la violazione del diritto di godere della cosa, integrante l’evento di danno condizionante il requisito dell’ingiustizia, e la concreta possibilità di godimento che è stata persa a causa della violazione del diritto medesimo, quale danno conseguenza da risarcire.

Nel caso in cui la prova sia fornita attraverso presunzioni, l’attore ha l’onere di allegare il pregiudizio subito, anche mediante le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza.

Ha, quindi, errato la Corte d’Appello ad escludere la tutela risarcitoria per l’assenza di un danno effettivo alla salute, senza prima valutare se gli elementi presuntivi allegati fossero astrattamente idonei a compromettere il godimento del bene, come l’intrinseca pericolosità della canna fumaria per la composizione in amianto, la difformità della canna alle prescrizioni di legge ed il suo cattivo stato di conservazione.

Sulla base del fatto noto, costituito dalla pericolosità della canna fumaria posta a distanza inferiore a quella legale, la Corte d’Appello avrebbe dovuto accertare se, per le condizioni di tempo e di luogo, vi fosse stata una limitazione concreta nel godimento dell’immobile per il rischio di dispersione nell’aria di sostanze altamente nocive.

La sentenza impugnata non si pone in linea con l’orientamento di questa Corte in tema di presunzione di danno correlato alla normale utilità del bene, basato sull’assunto che il diritto di proprietà ha insite le facoltà di godimento e disponibilità del bene ne è oggetto, sicchè una volta soppresse o limitate tali facoltà, l’esistenza di un danno risarcibile può fondarsi su presunzioni (Cassazione Civile, Sez. II, 23.6.2023, n.18108)>>.