La locazione agraria stipulata da uno solo dei comprorietari è efficace verso il conduttore

Cass. 21.11.2022 sez. III n° 34.131 , rel. Condello:

<<La sentenza impugnata si pone in linea con il principio pacifico della giurisprudenza di legittimità secondo cui il comproprietario può agire in giudizio per ottenere il rilascio dell’immobile per finita locazione o la risoluzione del contratto per inadempimento, trattandosi di un atto di ordinaria amministrazione della cosa comune per il quale si deve presumere che sussista il consenso degli altri comproprietari o quanto meno della maggioranza dei partecipanti alla comunione (tanto che si esclude la necessità della integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri partecipanti) (Cass., sez. 3, 13/07/1999, n. 7416; Cass., sez. 3, 04/06/2008, n. 14759).

Pertanto, qualora il contratto di locazione abbia ad oggetto un immobile in comproprietà indivisa, ciascuno dei comunisti ha, in difetto di prova contraria, pari poteri gestori, rispondendo a regole di comune esperienza che uno o alcuni di essi gestiscano, con il consenso degli altri, gli interessi di tutti, sicché l’eventuale mancanza di poteri o di autorizzazione rileva nei soli rapporti interni fra i comproprietari e non può essere eccepita alla parte conduttrice (Cass., sez. 2, 02/02/2016, n. 1986).

Ciò impone di ritenere che il contratto di locazione, seppure concluso dal V. solo con C.M., come ritenuto dalla Corte d’appello, era valido ed opponibile anche agli altri comproprietari del fondo, anche se rimasti estranei alla stipula del contratto di affitto, e che l’ordine di rilascio del fondo, derivante dall’accoglimento della domanda di risoluzione del contratto di affitto, sebbene proposta dal solo C.M., si estende anche agli altri comproprietari del bene>>.

Comunione e uso esclusivo individuale -senza opposizione- ex art. 1102 c.c.: obbligo di versare i frutti civili?

Nel caso di uso individuale da parte del comunista che sia esclusivo, c’è obbligo di versare i frutti civili percepiti agli altri comunisti? Pare di si, secondo Cass. 1738 del 20.02ò.2022, rel. Criscuolo. Non chiarisce per òl’esatta base normativa di tale obbligo.

Inoltre l’uso da parte di tutti può essere concomitante o anche a turno.

Nel caso c’era una comunione <impropria> dato che concorreva un usufrutto per un terzo con la redisua titolarità: ma la SC applica -giustamente- l’art.  1102 cc.

<<3. (…) In primo luogo, ed anche in risposta alle deduzioni formulate in controricorso, secondo cui nella fattispecie sarebbe inappropriato il richiamo alle regole dettate per la comunione, occorre ricordare che, a seguito degli accordi intervenuti in sede divisionale quanto al patrimonio immobiliare, R.E. aveva conservato su di un bene, per il resto attribuito alla figlia D., la sola quota di usufrutto pari ad un terzo, con la conseguenza che le facoltà di godimento del bene competevano ad entrambe, e precisamente per la quota di due terzi, in capo alla figlia, a titolo di piena proprietaria, e per la residua quota a favore della R., in quanto usufruttuaria. Al fine di ricondurre anche tale fattispecie alla disciplina della comunione appare pertinente il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte che, in relazione alla normativa vigente anteriormente all’entrata in vigore della riforma del diritto di famiglia di cui alla L. n. 151 del 1975, in base alla quale il coniuge superstite, nella sua qualità di legatario “ex lege”, era investito, sin dal momento dell’apertura della successione del coniuge, di un diritto reale che gli consentiva di partecipare a pieno titolo alla comunione ereditaria, ha affermato che in tal modo viene a determinarsi una comunione incidentale di godimento tra gli eredi ed il predetto coniuge, usufruttuario pro-quota di tutti i beni indivisi facenti parte del compendio ereditario (così Cass. n. 1085/1995).

Cass. n. 355/2011 ha altresì chiarito che tale comunione incidentale di godimento tra diritti qualitativamente eterogenei comporta che la cosa è goduta per una quota dagli eredi a titolo di proprietà e per l’altra dal legatario a titolo di usufrutto (in termini analoghi Cass. n. 3097/1974; Cass. n. 3294/1968; Cass. n. 3313/1984).

Sebbene nel caso di specie il concorso dei due diritti eterogenei non derivi dalle vicende successorie di cui alla normativa previgente, ma da un accordo intervenuto tra le parti, deve del pari ritenersi insorta una comunione impropria di godimento, per la quale, quanto alle modalità di uso appaiono correttamente invocabili anche le disposizioni espressamente dettate in tema di comunione, tra cui quella di cui all’art. 1102 c.c..

Ma l‘applicazione di tale disciplina non preclude il diritto del comunista che non abbia fatto uso del bene a conseguire un indennizzo per effetto del godimento esclusivo dell’altro contitolare.

E’ affermazione ricorrente nella giurisprudenza di questa Corte quella secondo cui (cfr. Cass. n. 7881/2011) il condividente di un immobile, che durante il periodo di comunione abbia goduto del bene in via esclusiva senza un titolo giustificativo, deve corrispondere agli altri i frutti civili, quale ristoro della privazione della utilizzazione “pro quota” del bene comune e dei relativi profitti, con riferimento ai prezzi di mercato correnti dal tempo della stima per la divisione a quello della pronuncia (conf. Cass. n. 7716/1990; Cass. n. 20394/2013; Cass. n. 17876/2019), aggiungendosi che siffatto diritto, corrispondente al corrispettivo “pro quota” del godimento esclusivo, prescinde da comportamenti leciti o illeciti altrui (Cass. n. 10896/2005). E’ stato altresì chiarito, e ciò in risposta alla deduzione circa la violazione della previsione di cui all’art. 820 c.c., che i frutti civili, dovuti dal comproprietario che abbia utilizzato, in via esclusiva, un bene rientrante nella comunione, hanno, ai sensi dell’art. 820 c.c., comma 3, la funzione di corrispettivo del godimento della cosa e possono essere liquidati con riferimento al valore figurativo del canone locativo di mercato (Cass. n. 5504/2012), sicché non può trovare fondamento la pretesa di limitare la previsione de qua al solo godimento che intervenga da parte di soggetti diversi da quelli che già vantino diritti pro-indiviso sul bene fruttifero.

E’ pur vero che la sottrazione del godimento potrebbe avvenire con modalità tali, come ad esempio mediante l’esercizio di una condotta violenta, tale da concretare altresì la commissione di un fatto illecito (cfr. sul punto Cass. n. 14213/2012, secondo cui in tal caso la sottrazione delle facoltà dominicali di godimento e disposizione del bene, è risarcibile, sotto l’aspetto del lucro cessante, non solo con il lucro interrotto, ma anche con quello impedito nel suo potenziale esplicarsi, ancorché derivabile da un uso della cosa diverso da quello tipico, aggiungendo che tale danno è da ritenersi “in re ipsa”, potendo essere comunque quantificato in base ai frutti civili che l’autore della violazione abbia tratto dall’uso esclusivo del bene, imprimendo ad esso una destinazione diversa da quella precedente), ma è innegabile che l’uso esclusivo dell’immobile, ove le caratteristiche dello stesso non ne consentano una fruizione congiunta anche da parte dell’altro comunista, eccede sicuramente dalle modalità di uso di cui all’art. 1102 c.c., e legittima la richiesta, quanto meno a titolo indennitario, di ristoro del mancato godimento, e ciò sia quando il bene si presenti fruttifero tramite la concessione in godimento a titolo oneroso a terzi, sia allorché la fruizione avvenga, ed in maniera esclusiva, da parte di uno solo o alcuni dei comunisti (conf. Cass. n. 19215/2016).

In tal senso è stato affermato che (Cass. n. 5156/2012) sussiste la violazione dei criteri stabiliti dall’art. 1102 c.c., in ipotesi di occupazione dell’intero immobile ad opera del comproprietario e la sua destinazione ad utilizzazione personale esclusiva, tale da impedire all’altro comproprietario il godimento dei frutti civili ritraibili dal bene, con conseguente diritto ad una corrispondente indennità.

Tuttavia ritiene il Collegio che debba darsi continuità al principio per il quale, se la natura di un bene immobile oggetto di comunione non ne permette un simultaneo godimento da parte di tutti i comproprietari, l’uso comune può realizzarsi o in maniera indiretta oppure mediante avvicendamento, ma che fino a quando non vi sia richiesta di un uso turnario da parte degli altri comproprietari, il semplice godimento esclusivo ad opera di taluni non può assumere la idoneità a produrre un qualche pregiudizio in danno di coloro che abbiano mostrato acquiescenza all’altrui uso esclusivo, salvo che non risulti provato che i comproprietari che hanno avuto l’uso esclusivo del bene ne abbiano tratto anche un vantaggio patrimoniale (Cass. n. 24647/2010; Cass. n. 2423/2015).

La Corte d’Appello, riprendendo le considerazioni già spese dal Tribunale, ha ricordato che ancor prima che la figlia iniziasse a godere personalmente del bene, la madre aveva conseguito la propria quota parte dei canoni di locazione, ma non può trarsi da tale circostanza, che si correla alla regola per la quale il comunista che gestisce la locazione del bene comune agisce come utile gestore degli altri comunisti, anche una conclusione circa la opposizione della usufruttuaria pro quota al godimento esclusivo del bene in proprio da parte della figlia, essendo invece necessario correlare l’insorgenza del diritto a ricevere una quota parte dei frutti alla esternata opposizione alla condotta posta in essere dall’odierna ricorrente, che viene individuato nelle conclusioni della comparsa di risposta in primo grado, e ribadito in controricorso, nella missiva del 17 giugno 2003, con la quale la defunta R. aveva sollecitato in via stragiudiziale la figlia a corrisponderle la somma dovuta quale corrispettivo per la mancata fruizione della propria quota di usufrutto, denotando a tal fine un’evidente avversione all’uso esclusivo da parte della figlia, ritenuto come tale in contrasto con la previsione di cui all’art. 1102 c.c..

Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere cassata quanto all’individuazione della data di decorrenza dell’obbligo dell’attrice di corrispondere una quota parte dei frutti civili del bene, in corrispondenza dell’uso esclusivo fattone, per l’epoca anteriore alla detta missiva, dovendo il giudice di rinvio quindi rideterminare le somme dovute a tale titolo dalla ricorrente>>

Messa a frutto unilaterale dell’immobile da parte del comproprietario e obbligo di rendiconto

Un caso di affitto unilateralmente stipulato e di canone unilateralmente percepito da parte di un  comproprietario, è deciso da Cass. 21.906 del 30.07.2021, rel. Tedesco, Cristini+1 c. Brivio.

Ecco cosa insengna la corte:

1° <<Il comproprietario, il quale abbia il godimento di uno dei beni comuni senza un titolo giustificativo, deve corrispondere agli altri, quale ristoro per la privazione dell’utilizzazione pro quota del bene comune e dei relativi profitti, i frutti civili. Questi, identificandosi con il corrispettivo del godimento dell’immobile che si sarebbe potuto concedere ad altri, possono, solo in mancanza di altri più idonei parametri, essere individuati nei canoni di locazione percepibili per l’immobile (Cass. n. 7716/1990; n. 7881/2011; n. 17876/2019)>>.

2° <<Risulta chiaramente dalla giurisprudenza della Suprema corte che l’obbligo dei vari partecipanti alla comunione di non esercitare il godimento diretto della cosa comune, che di norma compete a ciascun partecipante ai sensi dell’art. 1102 c.c., sorge solo se ed in quanto venga deliberato, in sede di amministrazione della cosa comune, di procedere alla sua utilizzazione con la forma del godimento indiretto. In difetto di una siffatta delibera, ove l’immobile venga usato di fatto da uno soltanto dei comproprietari, con il consenso espresso o tacito e comunque senza l’opposizione degli altri aventi diritto, non può in ciò configurarsi un impedimento a che gli altri partecipanti possano usare della cosa comune secondo il loro diritto, in guisa da concretare una violazione dei limiti che sono stabiliti dall’art. 1102 c.c. all’uso della cosa comune da parte dei vari partecipanti (Cass. n. 2902/1974; n. 4131/2001; n. 22435/2011)).>>

E poi:

3° <<In questo ordine di idee è stato precisato che il semplice godimento esclusivo da parte del singolo comunista non può provocare un danno ingiusto nei confronti di coloro che hanno mostrato acquiescenza all’altrui uso esclusivo, quando non risulti provato che i beneficiari del godimento esclusivo del bene, ne abbiano tratto anche un vantaggio patrimoniale (Cass. n. 13036/1991; n. 24647/2010; n. 2423/2015).>>

4° <<E’ perfettamente configurabile l’ipotesi che i condividenti si accordino, anche in modo tacito, per una suddivisione materiale del godimento della singola cosa comune o dei più beni comuni. Non si tratta naturalmente di una assegnazione definitiva che corrisponderebbe a una vera e propria divisione (cfr. Cass. n. 3451/1977): i comunisti continuano a essere titolari di tutta la cosa, o delle più cose comuni; essi si sono soltanto accordati, anche tacitamente, nel senso di rinunziare ciascuno al godimento (e, normalmente, anche ai frutti) della parte o delle cose date agli altri. Salvo patto contrario, e fermo restando il divieto di mutamento di destinazione, la suddivisione materiale nei termini sopra indicati include la possibilità del compartecipe di ammettere anche altri al godimento delle cose assegnate, soprattutto qualora si tratti degli stretti familiari.>>

Mentre i passaggi sub 2-3-4 sono condivisibli, perplessità suscita quello sub 1 circa la quantificazione (inoltre si badi la più generale regola ivi affermata, importante a livello pratico: la messa a frutto, pur se del tutto unilaterale e mai comunicata loro, va poi condivisa con gli altri condomini).

In causa infatti era stato accertato l’ammontare dei canoni percepiti. Perchè allora la SC parla di <<corrispettivo del godimento … che si sarebbe potuto concedere ad altri>> e di <<canoni di locazione percepibili>>? Non pare fosse  stata azionata la negotiorum gestio nè una negligenza per mancato guadagno.