Sul testamento del cieco

Cass. sez. II del 15/01/2024  n. 1.431, rel. Picaro:

<<La sentenza impugnata alle pagine 13 e 14, dopo avere escluso che il testamento olografo sia stato vergato con la mano della testatrice condotta da terzi, come era stato ipotizzato da De.At., ha invece ritenuto plausibile, sulla base del fatto che all’atto della redazione Ce.Ma. era ormai non vedente e che il testamento olografo presenti due “centrature”, una della data e delle disposizioni di ultima volontà, aventi un margine sinistro abbastanza uniforme, ed una della firma, e che invece il margine destro non sia uniforme, che la testatrice, come ipotizzato dal CTU, sia stata aiutata al momento di vergare il testo del testamento olografo nel posizionare la mano all’inizio delle righe. La sentenza ha poi evidenziato che tale mero aiuto di posizionamento non ha inciso sull’autografia, e spiega come mai siano state riscontrate piccole incongruenze nel testo dell’olografo rispetto alle scritture di comparazione (puntini, trattini, l’uso di lettere minuscole per nomi propri tranne che nella firma, i trattini delle t mancanti), che non vi sarebbero state se la mano della testatrice fosse stata condotta nello scrivere da parte di un terzo. La sentenza ha poi evidenziato che ogni altra questione relativa alla consapevolezza della testatrice circa l’atto che stava compiendo ed il suo contenuto non attenevano alla falsità della scrittura, ma semmai alla capacità di intendere e di volere di Ce.Ma..

Il semplice posizionamento della mano del testatore, che aiuti il non vedente a dare una forma ordinata alle sue disposizioni di ultima volontà e non comporti coartazione del gesto di scrittura del testatore stesso attraverso il sostegno della mano, o addirittura attraverso il suo direzionamento in fase di scrittura, lasciando quindi intatta la gestualità grafica del testatore, non è di per sé prova del difetto di autografia della redazione e sottoscrizione del testamento olografo, e quindi della sua nullità ex art. 606 cod. civ., a meno che non si dimostri che l’assistenza nella redazione del documento non faccia parte di un più ampio disegno di coartazione della capacità di intendere e di volere, che può sfociare eventualmente nell’annullamento, per cui il motivo è infondato.

In proposito si deve ricordare che mentre il testamento pubblico del non vedente, non contemplato dalla L. 16.2.1913 n. 89, che si riferisce invece alle particolari formalità richieste per il testamento pubblico del sordo, del muto e del sordomuto (vedi in tal senso Cass. 4.12.2001 n. 15326; Cass. 7.4.2000 n.4344), in base all’art. 603 cod. civ. richiede normalmente la presenza solo di due testimoni, ma secondo l’ultimo comma addirittura di quattro testimoni solo quando il non vedente sia anche muto, sordo, o sordomuto, il testamento olografo del non vedente è regolato dalla L. 3.2.1975 n. 18, che stabilisce:

a) all’art. 1, che la persona affetta da cecità congenita e contratta successivamente per qualsiasi causa, e a tutti gli effetti giuridici pienamente capace di agire purché non sia inabilitata, o interdetta;

b) all’art. 2, che la firma apposta su qualsiasi atto, senza alcuna assistenza, dalla persona affetta da cecità e vincolante ai fini delle obbligazioni e delle responsabilità connesse e che è vietato per il non vedente il testamento segreto;

c) all’art. 3, che per espressa richiesta della persona non vedente e ammessa ad assistere la medesima nel compimento degli atti, o a partecipare alla loro redazione, nei limiti indicati dall’interessato, altra persona cui egli accordi la necessaria fiducia e che la persona che presta assistenza nel compimento dell’atto, o partecipa alla redazione dell’atto, deve apporre su di esso la propria firma premettendo ad essa le parole “il testimone” o “il partecipante alla redazione dell’atto”;

d) all’art. 4, che se il non vedente non può sottoscrivere l’atto, si richiede la sottoscrizione di due persone designate ai sensi dell’art. 3.

Nel caso di specie non è stata allegata ed invocata la violazione delle formalità richieste per il testamento olografo del non vedente dalla L. 18/1975, ma dalla stessa si desume che il non vedente ha la piena capacità di agire purché non sia stato interdetto, o inabilitato, e che particolari cautele sono previste per le ipotesi in cui il non vedente non sia in grado di sottoscrivere l’atto, ipotesi che non ricorre nel caso in esame, in cui la CTU grafologica espletata ha pienamente confermato l’autenticità sia del testo, che della sottoscrizione di Ce.Ma., che del resto ha progressivamente perso la vista solo negli ultimi anni della sua vita, conservando, malgrado l’età avanzata, la capacità di scrittura comprensibile anche se qualitativamente scaduta per il tremore e la perdita della vista>>.

Validità e modalità redazionali del testamento pubblico

Cass. sez. 2 del 31 ottobre 2023 n. 30.221, rel. Criscuolo (sempre stimolanti le riflesisoni di questo relatore in tema successorio):

<<Questa Corte, anche di recente, ha ribadito che nel testamento pubblico le operazioni attinenti al ricevimento delle disposizioni testamentarie e quelle relative alla confezione della scheda sono idealmente distinte e, pertanto, possono svolgersi al di fuori di un unico contesto temporale; in tal caso, qualora la scheda sia predisposta dal notaio, condizione necessaria e sufficiente di validità del testamento è che egli, prima di dare lettura della scheda stessa, faccia manifestare di nuovo al testatore la sua volontà in presenza dei testi (Cass. n. 1649 del 23/01/2017; Cass. n. 2742/1975).

In passato è stato poi precisato che (Cass. n. 3552/1971), poiché la legge prescrive a pena di nullità per la formazione del testamento pubblico, che il testatore dichiari in presenza dei testimoni la sua volontà e che il notaio, dopo averne curato la redazione in iscritto, debba darne lettura al testatore in presenza dei testimoni stessi, la osservanza di tale duplice formalità, da eseguire entrambe alla simultanea presenza del notaio, del testatore e dei testimoni, è intesa al fine di raggiungere la maggiore garanzia di certezza che il contenuto del testamento sia l’eco fedele della libera e cosciente volontà manifestata dal testatore. Pertanto tale finalità di legge, nel caso di testamento già predisposto dal notaio senza la presenza dei testimoni non è raggiunta se non a condizione che, prima di dar lettura dell’atto, il notaio faccia manifestare di nuovo al testatore la sua dichiarazione di volontà in presenza dei testimoni, e ciò non può essere supplito dalla sola lettura dell’atto fatta dal notaio alla presenza dei testimoni e del testatore, ancorché questi ne confermi il contenuto con semplici monosillabi di approvazione o con gesti espressivi del capo.

La legge nella sostanza prescrive che siano adempiute le seguenti formalità: a) dichiarazione della volontà del testatore alla presenza dei testimoni; b) riduzione di essa per iscritto a cura del notaio; c) lettura dell’atto al testatore ed ai testimoni; d) menzione dell’esecuzione di tali formalità.

Non è però necessario che tutte le operazioni siano effettuate senza soluzione di continuità.

L’atto impugnato conferma l’effettiva esecuzione di tutte le dette formalità, e non può spiegare alcuna rilevanza la circostanza addotta dai ricorrenti circa il fatto che la testatrice aveva in una prima fase espresso una diversa volontà.

Infatti, come si ricava dal complesso della ricostruzione in fatto operata dai giudici di rinvio, è emerso che il notaio aveva inizialmente verificato la volontà della testatrice di beneficiare con il testamento anche alcune delle persone che avrebbero dovuto prendere parte all’atto come testimoni, il che ne aveva determinato il temporaneo allontanamento.

Era quindi seguita una interlocuzione tra la notaia e la testatrice (rientrando nei precisi doveri di diligenza del notaio, quello di indagare la reale volontà della parte, onde inquadrare le intenzioni del testatore nel sistema della legge ed a darne pratica attuazione, senza che tale compito infranga il precetto della libertà e spontaneità delle disposizioni testamentarie, così Cass. n. 869/1960), all’esito della quale la seconda era pervenuta alla diversa determinazione di istituire unica erede la T. (verosimilmente in quanto rassicurata circa il fatto che il marito di questa aveva assunto l’informale impegno di provvedere anche in favore dei soggetti che del pari si voleva inizialmente beneficiare). Deve, quindi, reputarsi che proprio tale colloquio abbia permesso la definitiva formulazione delle volontà testamentarie e che il verbale di redazione del testamento pubblico abbia quindi avuto ad oggetto la raccolta delle volontà in tal senso determinatesi, non potendo pertanto più spiegare alcuna influenza, ai fini dell’accertamento della presenza dei testimoni, quanto in precedenza avvenuto, trattandosi di una fase che presenta una soluzione di continuità rispetto alla definitiva manifestazione di volontà.

La necessità della presenza di testimoni e del rispetto delle formalità prescritte dalla legge si pone quindi solo in relazione a tutte le attività intraprese dopo il detto colloquio riservato con la notaia, per le quali fa piena fede l’atto pubblico, non potendosi quindi invocare ai fini della sua inveridicità la circostanza che la P. fosse stata inizialmente allontanata allorché la prima intenzione della Cravero (come detto, poi superata) appariva volta a beneficiarla.

L’erroneo presupposto interpretativo da cui prende le mosse la tesi dei ricorrenti è che siano avvinte in un’unitaria valutazione e considerazione le due distinte fasi in cui si sarebbe venuta a determinare la volontà della testatrice, trascurando di considerare, come invece emerge dalle prove raccolte, e ritenute attendibili dai giudici di rinvio, che vi fu un ripensamento della testatrice, e che quindi il rispetto dei requisiti di forma di cui all’art. 603 c.c. si imponeva solo allorché era maturata in maniera definitiva la volontà della testatrice, corrispondente a quella poi documentata nel testamento oggetto di causa>>.