Legittima difesa nella aggressione del genitore verso il docente tre giorni dopo il presunto “eccesso correttivo” verso l’aluinno? Dice di no la Casazione

Cass. sez. 3 del 18 agosto 2023 n. 24.848, rel,. Pellecchia (notizia e testo da Ondif)

<<Per orientamento costante di questa Corte, infatti, la legittima difesa, idonea ad escludere la responsabilità per fatto illecito, esige il concorso di due elementi: la necessità di difendere un diritto proprio od altrui dal pericolo attuale di un’offesa ingiusta, e la proporzione tra l’offesa e la difesa.
Mentre nel giudizio penale la semiplena probatio in ordine alla sussistenza di siffatta scriminante comporta l’assoluzione dell’imputato ex art. 530, comma 3, c.p.p., nel giudizio civile, al contrario, il dubbio si risolve in danno del soggetto che la invoca e su cui incombe il relativo onere della prova (Cass. n. 18094/2020). In particolare, in tema di risarcimento dei danni, l’art. 2044 c.c. rinvia sostanzialmente, per la nozione di legittima difesa, quale situazione idonea ad escludere la responsabilità civile per fatto illecito, all’art. 52 c.p., che richiede, come già osservato poc’anzi, la sussistenza della necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, semprechè vi sia proporzionalità tra la difesa e l’offesa, da valutarsi ex ante. L’identità concettuale tra l’art. 52 c.p. e l’art. 2044 c.c., deve, comunque, confrontarsi, oltre che con il “favor rei” che ha valenza generale in materia penale, con le diverse regole che presiedono alla formazione della prova nel processo civile e penale, con la conseguenza che, mentre nel giudizio penale la semiplena probatio in ordine alla sussistenza della scriminante comporta l’assoluzione dell’imputato ex art. 530, comma 3, c.p.p., nel giudizio civile il dubbio si risolve in danno del soggetto che la invoca e su cui incombe il relativo onere della prova (Cass. n. 4492/2009).
Nel caso di specie, il Tribunale dopo aver opinato che, per il minore, costituisse offesa ingiusta la condotta della docente, ha poi ritenuto, del tutto erroneamente, che l’aggressione verbale del padre all’insegnante integrasse gli estremi della legittima difesa e fosse proporzionata alle azioni dalla stessa poste in essere, pur nella totale assenza del requisito della contestualità della condotta, volta che risulta fatto non contestato che la reazione – violenta, aggressiva e certamente non più giustificata nè inquadrabile nel perimetro applicativo dell’art. 2044 c.c. per essere trascorsi ormai tre giorni dal fatto – non fosse avvenuta entro un tempo ragionevolmente compatibile con il requisito della contestualità rispetto al rimprovero della docente.
Tra il comportamento dell’insegnante e l’aggressione verbale del B.B. si era frapposto, difatti, un lasso di tempo tale da consentire di attivare non altro che le eventuali, legittime forme di tutela del minore – i.e. il ricorso all’autorità giudiziaria al fine di ottenere eventualmente un provvedimento idoneo alla predetta tutela. Risulta, per altro verso, del tutto incomprensibile (con conseguente, mera apparenza della motivazione) il riferimento operato dal Tribunale ad un preteso (benchè mai allegato dalla parte, finanche nella forma del mero flatus vocis) “stato di incapacità” del resistente, il quale, a distanza di tre giorni dal fatto, si era coscientemente e consapevolmente determinato a recarsi appositamente presso l’istituto scolastico al deliberato fine di insolentire l’insegnante, in attuazione di una forma comportamentale qualificabile non certo in termini “di legittima difesa” – come ritenuto dal giudice di merito in spregio ai più elementari principi posti a fondamento dell’esimente in parola – bensì caratterizzata inequivocamente da una sorta di inammissibile ricorso ad un inammissibile modello di “giustizia fai da te”, come sempre più frequentemente è tristemente dato riscontrare nei rapporti d’oggi tra genitori ed insegnanti>>.