Concorrenza sleale da parte del terzo

Cass. sez. I del 8 maggio 2023 n. 12.092, rel. Iofrida sull’annosa tradizionale questione:

<<Lamenta la ricorrente la violazione e falsa applicazione dell’art. 2598 c.c., oltre che vizi di omesso esame di fatto decisivo, in ordine sempre alla carenza in capo alla stessa della qualità di imprenditrice concorrente della cooperativa San Giovanni, eccepita sin dal primo grado, che, a suo avviso, avrebbe dovuto in ogni caso comportare necessariamente al rigetto delle domande svolte dalla controparte.
Ora si deve osservare, in linea di principio, che la concorrenza sleale costituisce fattispecie tipicamente riconducibile ai soggetti del mercato in concorrenza, sicché non è ravvisabile ove manchi il presupposto soggettivo del cosiddetto “rapporto di concorrenzialità”; tuttavia, l’illecito non è escluso se l’atto lesivo sia stato posto in essere da un soggetto (il cd. terzo interposto), che agisca per conto di un concorrente del danneggiato poiché, in tal caso, il terzo responsabile risponde in solido con l’imprenditore che si sia giovato della sua condotta, e, se il terzo sia un dipendente dell’imprenditore che ne ha tratto vantaggio, quest’ultimo ne risponde ai sensi dell’art. 2049 c.c., ancorché l’atto non sia causalmente riconducibile all’esercizio delle mansioni affidate al dipendente, risultando sufficiente un nesso di “occasionalità necessaria” per aver questi agito nell’ambito dell’incarico affidatogli, sia pure eccedendo i limiti delle proprie attribuzioni o all’insaputa del datore di lavoro (Cass. 31203/2017; Cass. n. 18691/2015; in argomento pure: Cass. n. 9117/2012; Cass. n. 17459/2007; Cass. n. 13071/2003); quando invece l’atto di concorrenza sleale sta stato compiuto da chi non sia dipendente dell’imprenditore che ne beneficia, la responsabilità dell’impresa concorrente viene affermata sulla base della regola dell’art. 2598 c.c., che qualifica illecito concorrenziale anche l’avvalersi “indirettamente ” di mezzi non conformi ai principi della correttezza professionale, laddove, pur in assenza di una partecipazione anche solo ispirativa, l’atto corrisponda all’interesse dell’imprenditore (Cass. n. 3446/1978), sempre che il terzo si trovi con il primo in una relazione tale da qualificare il suo agire come diretto ad avvantaggiare l’imprenditore della concorrenza sleale (Cass. n. 742/1981; Cass. n. 4755/1986; Cass. n. 5375/2001; Cass. n. 6117/2006; Cass. 4739/2012). La giurisprudenza di merito ha affermato in più occasioni la responsabilità della società per gli atti compiuti dall’amministratore, stante il rapporto organico e la valenza funzionale dell’atto al perseguimento dell’interesse sociale.
Il terzo autore dell’illecito concorrenziale, che agisca in collegamento con il concorrente del danneggiato, risponde in solido con l’imprenditore avvantaggiato dall’atto, mentre, mancando del tutto un collegamento tra il terzo autore del comportamento lesivo del principio della correttezza professionale e l’imprenditore concorrente del danneggiato, il terzo stesso è chiamato a rispondere ai sensi dell’art. 2043 c.c. (Cass. n. 17459/2007; Cass. n. 9117/2012; Cass. n. 18691/2015; Cass. 7476/2017). Da ultimo questa Corte (Cass. n. 18772/2019) ha ribadito che “Gli atti di concorrenza sleale di cui all’art. 2598 c.c., presuppongono un rapporto di concorrenza tra imprenditori, sicché la legittimazione attiva e passiva all’azione richiede il possesso della qualità di imprenditore; ciò, tuttavia, non esclude la possibilità del compimento di un atto di concorrenza sleale da parte di chi si trovi in una relazione particolare con l’imprenditore, soggetto avvantaggiato, tale da far ritenere che l’attività posta in essere sia stata oggettivamente svolta nell’interesse di quest’ultimo, non essendo indispensabile la prova che tra i due sia intercorso un “pactum sceleris”, ed essendo invece sufficiente il dato oggettivo consistente nell’esistenza di una relazione di interessi tra l’autore dell’atto e l’imprenditore avvantaggiato, in carenza del quale l’attività del primo può eventualmente integrare un illecito ex art. 2043, c.c., ma non un atto di concorrenza sleale”. In motivazione, si è rammentato che, secondo i principi generali in materia di concorrenza sleale, nel caso di condotta posta in essere da un soggetto terzo diverso dagli imprenditori concorrenti, non è necessaria la dimostrazione della colpa nella commissione della condotta stessa e che, affinché la commissione del fatto lesivo della concorrenza da parte del terzo abbia rilievo ex artt. 2598 c.c. e segg., è necessario dimostrare l’esistenza di una relazione di interessi tra l’autore dell’atto e l’imprenditore avvantaggiato, mentre non trova applicazione l’inversione dell’onere della prova previsto dall’art. 2600 c.c..>>

(in verde il passo più interessante a livello operativo)

Concorrenza sleale tra editori anche per la raccolta pubblicitaria

Interessante (ma laconica) precisazione di Cass. 14.03.2022 n. 8270, rel. Fraulini, GEDI gruppo editoriale spa c. RTI-reti telefvisive italiane spa, relativa alla illecita pubblicazione da parte della prima sul proprio portale di video illeciti, su cui aveva diritti di autore/connessi la seconda.

Per quanto qui interessa, la SC conferma la decisione di appello, secondo cui i due editori sono concorrenti nella gara per raccogliere la pubblicità ai fini della concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3 c.c.:

<<Una nozione “dinamica” di comunanza di clientela nel senso di richiedere l’accertamento che l’attività di cui si tratta, considerata nella sua naturale dinamicità, consenta di configurare, quale esito di mercato fisiologico e prevedibile, sul piano temporale e geografico, e quindi su quello merceologico, l’offerta dei medesimi prodotti [qui: spazi pubblicitari per inserzionisti], ovvero di prodotti affini e succedanei rispetto a quelli offerti dal soggetto che lamenta la concorrenza sleale. Con tali presupposti, l’affermazione della Corte romana, secondo cui la concorrenza tra le due parti del giudizio poteva essere riguardata anche [sotto cosa altro? non riporta l’accertamento di Appello …] sotto il profilo della concorrenza sul mercato pubblicitario degli inserzionisti, che dal numero di utenti collegati trae certamente primaria indicazione per orientare le proprie scelte pubblicitarie, con conseguente rilevanza dell’utilizzazione non autorizzata dei contenuti immessi sulportale dell’odierna ricorrente, costituisce una valutazione che, in astratto, rientra nella larga nozione di comunanza di clientela e, in concreto, è un giudizio di fatto che si sottare al sindacato di questa Corte>>

Cioè , par di capire, permettendo la permanenza di video anche illeciti, favoriva i  conseguenti download degli utenti (cioè aumentava il numero di accessi) e quindi , adeguatamente rivelandolo, incrementava la propria attrattività  agli occhi degli inserzionisti.

Il punto è importante (anche se non nuovo) , ma purtroppo andava motivato di più, ben di più.

Si badi che il dare rilevanza al mercato della raccolta pubblicitaria comporta che tutti quelli che hanno portale web concorrono tra loro su tale mercato, a prescindere poi dal rispettivo mercato dei prodoitti/servizi caratteristici.

La libertà di parola sui social media (FB) da parte di soggetti critici verso le vaccinazioni (ancora sulla content moderation)

interessante caso sul diritto di parola e la content moderation di Facebook (Fb) in relazione ad un ente che sostiene la pericolosità di varie pratiche sociali, tra cui vaccini e la tecnocologia 5G per telefoni.

Si trata Tribunale del Nord California 29.06.2021, Case 3:20-cv-05787-SI, CHILDREN’S HEALTH DEFENSE (CHD) c. Facebook, Zuckerberg e altri.

Fb aveva etichettato i post del CHD come di dbbia attendibilità e simili (v. esempi grafici di ciò i nsentenza a p. 8/9).

Tra le causae petendi la prima era basata sul Primo (e 5°)  Emendametno in relazione al caso Bivens v. Six Unknown Named Agents of Fed. Bureau of Narcotics  del 1971 (il che dà l’idea del ruolo svolto dal precedente nella common law, degli USA almeno).

Gli attori diccono <<that “Facebook and the other defendants violated Plaintiff’s First Amendment rights by labeling CHD’s content ‘False Information,’ and taking other steps effectively to censor or block content from users. . . . Facebook took these actions againstPlaintiff in an effort to silence and deter its free speech solely on account of their viewpoint.” Id. ¶ 318. CHD also assertsa First Amendment retaliation claim, allegingthat after it filed this lawsuit, Facebook notified CHD that it “would modify the parties’ contractual term of service § 3.2, effective October 1, 2020, to read: ‘We also can remove or restrict access to your content, services, or information if we determine that doing so is reasonably necessary to avoid or mitigate adverse legal or regulatory impacts to Facebook.’”Id. ¶ 324>>, p. 12.

E poi: <<CHD alleges that defendants violated the Fifth Amendment by permanently disabling the “donate” button on CHD’s Facebook page and by refusing “to carry CHD’s advertising of its fundraising campaigns.” Id.¶ 319.6CHD alleges that “Defendants’ actions amount to an unlawful deprivation or ‘taking’ of Plaintiff’s property interests in its own fundraising functions. . . . without just compensation or due process.” Id. ¶¶ 320, 322.>>, ivi.

Il tribunale, però, conferma che le entità private non sono sottoposte al Primo emenda,mento ma solo Federal Actors, p. 12-13.

E’ curioso che gli attori avessero citato personalmente Mark Zuckerberg , dicendo che aveva realizzato <federal actin>per i due motivi indicati a pp. 14-15 (tra cui la combinazione con l’azione provaccini e contro la disinformazione, portata avanti dal  Congressman Adam Schiff ,consistente in una lettera aperta a MZ).

Che l’intevento diretto di MZ fosse probabile, non basta: dovevano dare la prova che egli actually partecipated, p. 16.

Da ultimo , non realizza Federal Action il fatto che Fb fruisca del safe harbour ex § 230 CDA. Gli attori infatti avevano così detto: <<CHD also allegesthat “government immunity [under Section 230of the CDA] plus pressure (Rep. Schiff). . should turn Facebook and Zuckerberg’s privateparty conduct into state action.” SAC ¶ 300.CHD asserts that Section 230, “by immunizing private parties against liability if they engage in conduct the government seeks to promote, constitutes sufficient encouragement to turn private action into state action.” CHD’s Opp’n to Facebook’s Mtn. at 6. With regard to coercion, CHD allegesthat Congressman Schiff pressured Facebook and Zuckerberg to remove “vaccine misinformation” through his February 2019 letter and his subsequentpublic statement that “if the social media companies can’t exercise a proper standard of care when it comes to a whole variety of fraudulent or illicit content, then we have to think about whether [Section 230] immunity still makes sense.” SAC ¶ 64. CHDrelies onSkinner v. RailwayLabsExecutives’ Association, 489 U.S. 602 (1989),as support for its contention that the immunity provided by Section 230 is sufficient encouragement to convert private action into state action>>, p. 24.

Ma la corte rigetta, p. 25: <<Skinner does not aid CHD.“Unlike the regulations in Skinner, Section 230 does not require private entities to do anything, nor does it give the government a right to supervise or obtain information about private activity.” >>

Altra causa petendi è la violazione del Lanham Act (concorrenza sleale a vario titolo e qui tramite informazioni denigratorie o decettive).

Per gli attori , 1) i convenuti erano concorrenti (è il tema più interessante sotto il profilo teorico) e 2) tramite la etichettatura di FB volutamente errata, avevano diffuso notizie dannose a carico degli attori, p. 28-29.

La Corte rigetta anche qui: <<However, the warning label and factchecks are not disparaging CHD’s “goods or services,” nor are they promoting the “goods or services” of Facebook, the CDC,or the factchecking organizations such as Poynter. In addition, the warning label and factchecks do not encourage Facebook users to donate to the CDC, the factchecking organizations, or any other organization. Instead, the warning label informs visitors to CHD’s Facebook page that they can visit the CDC website to obtain “reliable uptodate information” about vaccines, and the factchecks identify that a post has been factchecked, with a link to an explanation of why the post/article has been identified as false or misleading.>>, p. 30.

(notizia e link alla sentenza dal blog di Eric Goldman)